In questa pagina ho riportato gli ultimi articoli che ho scritto per il quotidiano ambientalista Terra, il settimanale Carta, Manifesto, per siti come Global Project, FrontiereNews o siti di associazioni come In Comune con Bettin e altro ancora.

Condizioni inumane all'hotspot di Pozzallo. La denuncia in due video

 

di Yasmine Accardo e Riccardo Bottazzo – Hotspot di Pozzallo. Da sempre luogo impenetrabile a giornalisti ed attivisti dei diritti umani. Per sapere come si vive dentro quelle mura, diamo voce ai migranti trattenuti, alle foto e ai video che vengono inviati a LasciateCIEntrare. Qui i migranti vengono rinchiusi per quarantene che durano ben oltre i 14 giorni previsti dalla normative anti Covid. E spesso accade che l’annuncio della fine della quarantena coincida con quello dell’espulsione forzata dall’Italia. Decisione che arriva senza che abbiano avuto accesso ad alcune informazione sui loro diritti e sulle procedure per la richiesta di protezione umanitaria.
Così, in questi nudi casermoni di sbarre e cemento, i migranti, in particolare coloro che provengono dalla Tunisia, vedono infrangersi il sogno di una vita lontana dalle violenze e dalla povertà. Inevitabile che l’annuncio dell’espulsione generi proteste e anche scatti di violenza ai quali la polizia risponde con durezza. Scatti di di violenza dettati dalla disperazione che, in molti casi, sono rivolti contro la loro stessa persona. Gli episodi di autolesionismo e i tentati suicidi sono frequenti tra queste mura.

L’hotspot di Pozzallo si conferma un luogo fuori da ogni giurisdizione dove i diritti umani pesano meno di una piuma. Le persone sono ospitate in grandi stanzìni, dove il tetto non riesce a fermare la pioggia, gli impianti idrici e fognari dei bagno sono devastati. Uomini, donne e bambini condividono gli stessi spazi. Ci sono famiglie con bambini anche piccoli. Una donna in stato interessante ci invia messaggi in cui ripete di sentirsi trattata peggio delle bestie, che il cibo è insufficiente: “Vi prego fateci uscire di qui. Fateci uscire di qui. Io sto da oltre un mese non abbiamo alcuna assistenza e guardate in che condizioni viviamo”.

Tra loro anche un minore con il padre con una grave patologia invalidante che dorme su un letto su cui cade l’acqua. Così sono costretti a trascorrere una quarantena che avrà fine solo con l’espulsione.

Fuori da quelle grigie mura c’è una società “civile” alla quale sembra non importare nulla del trattamento inumano e degradante imposto a questa umanità in fuga dal nostro stesso Governo. Così funziona la macchina di questa accoglienza carceriera che è solo un prolungamento delle sofferenze che questi migranti hanno subite in precedenza, nel lungo viaggio che li ha portati a rischiare la vita in mare. A noi rimane il peso di vivere in un Paese dove l’abuso di potere nei confronti dei più deboli e disperati è legge indiscussa da troppo, troppo tempo.

Il caso dell’hotel Monaco. Un motivo di più per chiedere una sanatoria. E subito!

“Ci mancavano solo gli stranieri” titola Libero. E sotto la notizia dei 100 richiedenti asilo dell’hotel Monaco trovati positivi al Covid19, le conclusioni che tira la testata diretta da Vittorio Feltri sono quelle razziste e xenofobe che, senza fatica, ci possiamo immaginare. E noi che abbiamo sottoscritto la campagna “Sanatoria subito!”, saremmo dei “pazzi” solo perché riteniamo che la maniera migliore di fermare il contagio sia quella di evitare i grandi assembramenti, come sono per l’appunto i centri per migranti dopo che i decreti sicurezza hanno spazzato via quello che di buono era stato fatto con l’accoglienza diffusa per affidare tutto il business migratorio alle grandi cooperative. Quelle che ogni tanto si guadagnano le prime pagine dei giornali per essere finite sotto inchiesta per reati di stampo mafioso. Ma anche la mafia per Libero è tutta colpa dei migranti. 

Sotto il titolone, per la cronaca, troviamo un’altra balla: “Sbarcati 467 clandestini, con Salvini erano quasi azzerati”. Non è vero. Gli sbarchi non erano affatto azzerati quando il ducetto legaiolo era ministro degli Interni. Lo dicono i numeri e pure il sindaco (leghista) di Lampedusa. Ma i colleghi di Libero sanno bene che se ripeti tante volte una bugia, qualcuno finisce per crederla una verità. E questa storia dell’hotel Monaco pare perfetta per rovesciare la frittata, e far diventare bianco il nero e nero il bianco. Nel caso, la storiella pare perfetta per trasformare i migranti in untori, le vittime in carnefici, il dritto per lo storto. 
Ma cosa è successo all’hotel Monaco, una struttura alberghiera situata nella zona industriale di Verona, trasformato dal 2014 in un centro di accoglienza richiedenti protezione internazionale? E’ successo quello che noi dalle pagine di questo sito, abbiamo sempre denunciato: le concentrazioni di migranti sono ingiuste per chi ci finisce dentro, dannose per un vero processo di inclusione, inutilmente costose, socialmente pericolose perché alimentano la percezione di insicurezza dei cittadini, utili solo per chi fa campagne xenofobe e deve dimostrare che “non funziona niente” e “i clandestini sono tutti delinquenti”. Non potevamo sapere che sarebbe arrivato il Covid19, altrimenti avremmo aggiunto anche “a forte rischio di diffusione di un eventuale contagio”. 
Poi è cambiato il Governo, ma le politiche sui migranti sono rimaste le stesse. Ed è arrivata anche la pandemia. Ma questa non l’hanno portata i migranti ma gli uomini d’affari che andavano su e giù tra l’Italia e la Cina. Cosa che ha spiazzato parecchio la nostra destra. Come fare per continuare ad addossare la colpa ai “clandestini”? Il caso dell’hotel Monaco cade a fagiolo. Eccoli trasformati tutti in untori. La struttura di accoglienza è assediata da un cordone di forze dell’ordine che neanche se ci fosse nascosta dentro l’intera “cupola” della mafia. Se avete stomaco, andate a leggervi i commenti sotto gli articoli web dei giornali locali che hanno riportato la notizia. C’è chi chiede alla polizia di sparare a vista, chi il lanciafiamme liberatorio. 
Tutto normale. In momenti di smarrimento come questo, la vigliaccheria prende il sopravvento sulle anime più semplici. I migranti, i “neri”, i “clandestini” sono feticci perfetti per sfogare le nostre paure. Un meccanismo che i “giornalisti” di Libero conoscono bene. Ai colleghi che gestiscono le pagine web dei giornali locali invece, vorrei ricordare che la nostra deontologia proibisce di lasciare commenti razzisti sulle pagine e che vanno immediatamente bannati. Invito i lettori a segnalare ogni violazione ai probi viri dell’Ordine dei Giornalisti. 
“Siamo indignati per come è stata gestita la conduzione dell’hotel Monaco – spiega Daniele Todesco dell’Osservatorio Migranti Verona – La struttura era attenzionata sin dall’inizio dell’epidemia e non è immaginabile che non sia stato previsto un piano. Dentro ci sono 147 migranti. Alcuni lavorano in cooperative. Come è possibile che si sia arrivati a questo punto? Le concentrazioni sono sempre negative ma in tanto di pandemia, rischiano di mettere in pericolo tutti, migranti e non. Il vero problema è la densità abitativa della struttura, per altro ‘benedetta’ dalla Prefettura non solo al Monaco”. 
Già. Densità abitativa. E si ritorna alla questione della chiusura per decreto del precedente Governo Lega & 5 Stelle, dei piccoli centri di accoglienza per raggruppare i migranti in grosse strutture con taglio di operatori e di servizi, e conseguente trasformazione dei mediatori in sorveglianti.
L’Osservatorio ha inviato una formale richiesta di chiarimenti al prefetto di Verona, Donato Cafagna: “Chiediamo chiarezza, perché riteniamo che le persone ospitate all’interno dell’Hotel non siano state trattate in modo rispettoso”. 
Il comunicato inviato al Prefetto è volutamente garbato. In  realtà, ci sarebbe da incazzarsi parecchio sul fatto che i migranti dell’hotel Monaco abbiano saputo, solo attraverso la stampa, che un centinaio di loro è stato trovato positivo al tampone. Tranne pochi di loro, nessuno sa ancora l’esito del suo test. Positivi e negativi continuano a vivere assieme senza che nessuno li abbia neppure informati delle precauzioni da adottare per non essere contagiati o per non diffondere il contagio! Più che in modo “poco rispettoso”, sono stati trattati in maniera vergognosa e discriminatoria! Oltre a tutto, riteniamo che, informare la stampa prima dei diretti interessati, sia una grave violazione dei diritti delle persone sottoposte a tampone e, per i colleghi giornalisti che hanno riportato la notizia, anche una violazione del codice di deontologia professionale riguardo alle norme sulla privacy e sui dati sensibili. 
Ma c’è molto di più che una “semplice” violazione della privacy. “Perché non si è provveduto immediatamente a separare coloro che erano risultati positivi dai negativi?” chiede l’Osservatorio Migranti. In questo modo decine di persone sono state lasciate a rischio di contagio e, probabilmente, ora sono tate contagiate. I principi di sicurezza che valgono per le vite dei cittadini italiani, non valgono evidentemente per le vite degli stranieri. 
Un doppio errore. Perché, anche a voler prescindere dalla palese ingiustizia, dovremmo aver imparato che il Coronavirus non rispetta i confini nazionali e non guarda neppure se hai la carta di identità o il permesso di soggiorno in regola. Queste sono idiozie da umani, lui è un virus “democratico”. Per questo bisogna rispondergli tutti insieme perché tutti siamo parte della stessa umanità. Le regole anti contagio che valgono per gli italiani devono valere per tutti coloro che si trovano a vivere accanto a noi. Aspettiamoci, nel prossimo futuro, altri casi come questo dell’hotel Monaco. Sono costruiti ad arte per cavalcare paure e fomentare irrazionali divisioni. Ma la risposta che dovremo dare è sempre la stessa: sanatoria subito!

Ponte Galeria sbarrato. "Ospiti" senza protezioni e abbandonati da tutti

“Sono chiusi in stanze da otto persone. A nessuno di loro è stata data una mascherina o i guanti protettivi. Impossibile anche solo pensare di mantenere la distanza di sicurezza negli spazi comuni o nella mensa. E gli operatori sociali e le forze dell’ordine attorno a loro sono nelle stesse identiche condizioni”. Così si sfoga Carla Livia Trifan, 22 anni, romana, operatrice sociosanitaria in attesa di occupazione, che ha contattato LasciateCIEntrare in seguito all’appello per una sanatoria dei migranti irregolari lanciato dalla nostra associazione e da Legal Team Italia, Progetto Melting Pot Europa e Medicina Democratica.
“Tenerli in queste condizioni non ha nessun senso e rischia solo di far espandere ancora di più il contagio. O li liberano tutti o li sistemano in un posto sicuro”. Carla si riferisce ai migranti “ospiti” del centro Ponte Galeria a Roma: 40 donne e 75 uomini, compreso il suo fidanzato. “Lo hanno fermato il 3 marzo – racconta -. Appena l’ho saputo ho chiamato la polizia per chiedere spiegazioni. Lui è nato in Tunisia ma vive in Italia sin da quanto aveva 14 anni. Ora ne ha 26 ma non è ancora riuscito ad ottenere la cittadinanza italiana. La polizia mi ha detto di stare tranquilla, che era solo un controllo, ma intanto lo avevano già portato al centro”.

L’iter per il suo rilascio si complica con l’arrivo della pandemia. Le date del processo slittano a non si sa quando. Intanto lui è ancora dentro. Carla va portargli vestiti puliti e generi alimentari. “Gli servono cibo scaduto che puzza. Chi può si fa fare la spesa dagli operatori o si fa aiutare dagli amici fuori”. Ma il 18 marzo entra in vigore il decreto di chiusura sanitaria e le porte di Ponte galeria vengono sbarrate. “Sono andata a portargli un po’ di cibo. Avevo la mascherina, i guanti e l’autocertificazione. Sono stata fermata dalla polizia che mi ha spiegato che la mia non si poteva considerare una emergenza e mi mi hanno minacciato di denuncia. Tra l’altro, loro non avevano né guanti né mascherine e mi si sono avvicinati a meno di un metro di distanza”. Adesso, Carla può sentire il suo fidanzato solo per telefono. Lui ha una scheda, che si paga, con la quale la può chiamare una volta al giorno da una cabina situata dentro la struttura. “Mi ha detto che un ragazzo che stava là è stato trovato positivo. Ora è in isolamento. Ma quanto ci metteremo a capire che, con questa epidemia, liberarli tutti è l’unica cosa da fare?”

Deniz, rinchiuso dentro un Cpr, a due settimane di sciopero della fame, ci scrive...

Deniz è stato fermato a Piacenza perché privo di documenti. Da agosto è rinchiuso nel Cpr di Torino. Rinchiuso in una struttura carceraria, senza essere mai stato condannato e senza che nessuno gli abbia mai detto quanto durerà la sue reclusione.
Deniz Pinaroglu è di origine turca, si è dichiarato rifugiato polito, perseguitato dal regime di Erdogan. Dall’1 settembre ha deciso di intraprendere uno sciopero della fame perché considera illegittimo il suo fermo e chiede che venga esaminata la sua richiesta d’asilo.
In questa lettera che è riuscito ad inviare oltre le sbarre del Cpr, ci fa sapere come sta procedendo la sua protesta e quali sono le richieste sue e degli altri migranti rinchiusi.


Il diciannovesimo giorno del mio sciopero della fame, un’amica parlamentare mi ha visitato. Ha detto che stava seguendo il mio caso e stava tentando di accelerare l’iter burocratico. Abbiamo parlato dei problemi di questo posto e le ho inoltrato le mie richieste, che sono le seguenti:

1. Monitoraggio regolare, nel Cpr, da parte degli individui/ong indipendenti e impegnati nel salvaguardare i diritti umani,

2. Nominare professionisti che prendono sul serio il proprio lavoro e portare le cause al tribunale della città per discutere i casi delle persone trattenute nel Cpr, non giudici pensionati,

3. Nell’infermeria, all’interno del Cpr, devono lavorare le persone che rispettano l’etica professionale e le visite effettuate devono essere registrate in un sistema ospedaliero sulla rete senza subire modifiche,

4. Diversificazione dei pasti e migliorare e rispettare le condizioni igieniche con delle ispezioni periodiche,

5. Accelerare il processo burocratico che si svolge qui dentro il Cpr e impedire/evitare che le persone trascorrano i migliori anni della loro vita tra 4 mura,

6. Formazione linguistica e di diverse attività formative per le persone che rimarranno qui a lungo,

7. Chiudere questi e campi simili a lungo termine.

La mia richiesta personale: appena possibile, uscire di qui senza perdere la salute, ricostruire la mia vita.

Ringrazio; La deputata Jessica Costanzo per il suo interessamento e la sensibilità per la situazione,
Al mio caro Murat Cinar, che è stato con me sin dall’inizio del processo ed è stato il mio interprete, ai miei avvocati Federico Milano e Gianluca Vitale
“La famiglia” della nostra famiglia Mika Sims and Zeynep Koçak
Alla cara Ezel Alcu, che ha portato la mia situazione alla stampa italiana, correndo il rischio di perdere il lavoro.
Engin Aslan da cui ho ricevuto informazioni sul mio caso, parliamo al telefono quasi ogni giorno.
I miei angeli custodi a Güleycan Demir, Naciye Demir, Naat Naat, Yeşim Pınaroğlu, Seçil Pınaroğlu, Nazlı Bayram ‘a.
Ai compagni/attivisti della Göçmen Dayanışma Ağı – Migrant Solidarity Network che si sono riuniti per trovare soluzioni ai problemi degli immigrati in solidarietà e lotta,
Al caro Luca De Simoni e #BlackPost, #LinformazioneNero #subianco, che hanno fatto sentire la mia voce in Italia,
Ad Alda e agli amici che compongono #Lasciatecientrare, il cui lavoro e solidarietà sono sempre stati al mio fianco,
Non sono stato in grado di scrivere i nomi di alcuni a causa della loro sicurezza, che erano con me prima e dopo lo sciopero della fame; dalla Grecia verso l’Italia, dalla Polonia alla Turchia, dalla Svizzera dalla Germania, dalla Francia all’Inghilterra per combattere spalla a spalla per superare i confini, i miei compagni che hanno dedicato la loro vita alla lotta contro l’ingiustizia, ai miei cari heval ed a tutti miei amici…

Sto continuando con lo sciopero della fame.

Per la libertà,

Con solidarietà e in lotta …

Nuovo rotte migratorie, stessa risposta violenta. In Messico la polizia carica i migranti africani

Anche il Messico alza un muro contro i migranti africani. La situazione è precipitata a Tapachula, cittadina dello Stato del Chiapas a pochi chilometri dal Guatemala. Una zona di selve tropicali dove nella tradizionale rotta dei migranti mesoamericani verso gli Stati Uniti si sono aggiunti i profughi provenienti dai Paesi equatoriali dell’Africa: Congo, Camerun e Angola, in particolare. Qualche giorno fa la guardia nazionale messicana ha cercato di chiudere e di sgomberare un campo chiamato Ventunesimo Secolo dove erano stati sistemati circa 700 migranti. Ne sono seguiti cariche e tafferugli che sono ancora in corso. Irineo Mujica attivista di Pueblo Sin Fronteras ha denunciato come la polizia messicana abbia picchiato anche bambini e donne incinte, una delle quali ha perso il piccolo. 


“Il Messico non ha soldi per rimpatriare questi migranti ai quali non viene data nessuna alternativa – ci spiega l’attivista -. Queste persone vengono da perlomeno due mesi di cammino tra le giungle del Centroamerica, si trovano in una situazione quantomeno precaria e certo non possono tornare indietro. Con la chiusura del campo, ora sono costretti a vivere sulla strada senza nessuna assistenza. Il Governo messicano così come quello dello stato del Chiapas, hanno accettato in tutto e per tutto le richieste del presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, di impedire a qualsiasi costo il passaggio di questi migranti ma non hanno predisposto nessuna soluzione per queste persone. Dicono che è colpa dei migranti che non vogliono farsi identificare ma è completamente falso e hanno avviato una campagna di criminalizzazione di queste persone senza neppure accennare ad una possibile soluzione del problema”. Campagna di criminalizzazione che Pueblo Sin Fronteras ha formalmente denunciato alla commissione Interamericana dei diritti umani. 

Gli scontri di Tapachula hanno perlomeno il merito di portare all’attenzione dell’opinione pubblica la rotta alternativa a quella che conduce all’Europa aperta dai migranti dell’Africa equatoriale verso gli Stati Uniti. Anche la risposta degli Usa riflette quella Europea, giocata sull’esternalizzazione della frontiera tramite la complicità di Governi ricattabili e ubbidienti cui viene demandato il lavoro sporco. Una ulteriore testimonianza di come la questione migratoria sia una questione globale che non può più essere nascosta e che va risolta globalmente con politiche di accoglienza e mantenendo come punto fermo il diritto della gente di migrare. 

Di seguito alcuni video e immagini inviatici da Pueblo Sin Fronteras






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