In questa pagina ho riportato gli ultimi articoli che ho scritto per il quotidiano ambientalista Terra, il settimanale Carta, Manifesto, per siti come Global Project, FrontiereNews o siti di associazioni come In Comune con Bettin e altro ancora.

A Vicenza nasce la piattaforma Veneta per la democrazia climatica. La marcia mondiale per il clima non si arresta

Una tappa fondamentale per la nostra Regione. Almeno 250 persone, in rappresentanza di comitati, associazioni e spazi sociali di tutto il Veneto, si sono riuniti al Bocciodromo di Vicenza per mettere insieme proposte, idee, iniziative, problematiche e costruire un percorso condiviso che porti alla marcia per la giustizia climatica, contro le grandi opere, che si svolgerà a Roma sabato 23 marzo. 
Un percorso, questo lanciato in Italia sotto l’hashtag #siamoancoraintempo, che apre spazi di mobilitazione in tutto il pianeta, perché non c’è zona della terra che non sia messa in pericolo dai cambiamenti climatici. Se è vero che siamo ancora in tempo, è anche vero che il tempo è questo. E’ necessario, per rispolverare un vecchio slogan ambientalista, pensare globalmente ma agire localmente. Tanto più in una Regione come il Veneto, da decenni ostaggio di una cricca di potere che ha mercificato l’ambiente sotto il tallone di grandi opere, inutili e dannose, come la Pedemontana, la Tav, il Mose, inquinando l’acqua con Pfas, la terra con capannoni, per lo più inutilizzati, e cemento, l’aria con valori di Pm10 che sono tra i più alti in Italia. E senza contare che già in Italia sono tra i più alti d’Europa!
Al di là di ogni inutile compromesso, a Vicenza è stato ribadito quando detto in occasione della marcia dell’8 dicembre a Padova: per difendere il clima non c’è che una sola strada, quella che cambia il sistema. Giustizia climatica è giustizia sociale. La lotta per difendere il clima è la lotta per difendere i diritti dell’uomo e per un lavoro che non sia asservito al capitale ma ricondotto alla sua funzione originale di sostentamento. Si lavora per vivere e non si vive per lavorare. Anche questa è una lotta contro l’inquinamento
Nei nove tavoli tematici in cui l’assemblea vicentina si è divisa, sono stati affrontati tutti gli argomenti -dall’inquinamento delle falde alla cementificazione del suolo, dal traffico automobilistico agli allevamenti animali intesivi – volti a mettere insieme una piattaforma completa di rivendicazioni per la giustizia climatica. Una piattaforma che, prima ancora che a Roma, sarà presentata alla Regione Veneto. 
Il 23 febbraio l’arcipelago ambientalista organizzerà in un campo di Venezia ancora da stabilire, una festa per l’ambiente che mescoli informazione, protesta e divertimento (siamo proprio nel bel mezzo del carnevale). 
Altri appuntamenti, li segnaleremo su EcoMagazine, non appena saranno pronti. Sempre su EcoMagazine, troverete, una volta conclusa la stesura, il documento finale del meeting al Bocciodromo ed i testi delle rivendicazioni ambientali preparate da ogni tavolo. 
Su Ecomagazine.infouna panoramica in stile “foto di famiglia” del meeting vicentino, gentilmente realizzate per EcoMagazine dal fotografo Attilio Pavin, al quale vanno i nostri ringraziamenti.

A Katowice è stato un funerale

Cop 24 è conclusa. Adesso sappiamo cosa bisogna fare per evitare ila catastrofe. E sappiamo anche che i Governi non lo faranno. La 24esima conferenza mondiale sul clima è finita come era cominciata. Ed  era cominciata proprio male, con il discorso di apertura del presidente polacco, il nazionalista Andrzei Duda, che augurava buon lavoro ai delegati di quasi 200 Stati presenti, aggiungendo subito dopo che “la Polonia non può rinunciar al carbone”. Non è neppure un caso che Katowice, scelta come sede della conferenza, si trovi proprio nel cuore della regione mineraria più importante della Polonia, la Slesia, che copre oltre l’80 per cento dei suoi bisogni energetici bruciando carbone. 
L’obiettivo di Cop 24 era quello di approvare il cosiddetto “rulebook“, cioè l’agenda per rendere operativo l’accordo di Parigi. Accordo che, ricordiamolo, impegnava i Paesi firmatari ad attuare tutte le misure necessarie a limitare l’aumento della temperatura globale a 2 gradi centigradi rispetto all’epoca pre-industriale ed a contenerlo possibilmente entro il grado e mezzo. Accordo immediatamente criticato dai movimenti ambientalisti di tutto il mondo, in quanto non vincolante e basato tutto sulla “buona volontà” dei vari Governi. Tutto vero. Ma dobbiamo tener presente che, se l’accordo fosse stato vincolante, almeno un quarto dei Paesi firmatari – e, guarda il caso, proprio quelli più inquinanti! – non lo avrebbero sottoscritto col risultato che di politiche volte a ridurre i gas serra non se ne sarebbe più parlato. A Parigi, si è scelta la via diplomatica. Una via che, se non altro, ha tenuto aperte le porte a future negoziazioni ed ha consentito ai movimenti ambientalisti di tutta la terra di attivarsi, agendo localmente su prospettive globali, per chiedere ai Governi dei loro Paesi il rispetto di quegli accordi che loro stessi hanno sottoscritto. 

E l’adozione del “rulebook” inteso come una tabella di marcia con tanto di regole vincolanti e trasparenti per valutazione degli obiettivi è forse l’unico risultato positivo di questa conferenza polacca. Certo, neppure il “rulebook” sarà vincolante, ma renderà più facile stabilire come, dove, quando e perché un Governo ha sforato i limiti di emissioni che si era prefisso con gli accordi parigini. Ma rimante comunque una incolmabile distanza tra le piccole concessioni strappate ai vari Governi, con mezze promesse e impegni tutti da verificare, e la spaventosa urgenza della crisi climatica in cui il pianeta intero è precipitato.  
Gli accordi di Parigi assegnavano alle future Cop il compito di fare il punto sulla situazione climatica del pianeta. Qualche giorno prima dell’apertura dei lavori, l’Ipcc, il “panel” di climatologi dell’Onu impegnato nello studio dei cambiamenti climatici, aveva diffuso un rapporto preoccupante. Dati alla mano, da Parigi in poi, le emissioni di gas climalteranti non soltanto non sono diminuite ma sono addirittura aumentate. La conclusione del rapporto è drastica: abbiamo dodici anni per ridurre le emissioni di almeno il 45 per cento a livello globale altrimenti si apriranno per la nostra Terra degli scenari catastrofici. Senza un’inversione di rotta, raggiungeremo e supereremo già entro il 2030 quel limite che gli accordi di Parigi imponevano di evitare entro la fine del secolo. 
Come dire che, davanti al baratro, l’umanità invece di rallentare o cambiare strada, ha accelerato. Una accelerazione climatica che va di pari passo con l’accelerazione a destra che ha portato partiti nazionalista, populisti e radicalmente ignoranti in posizioni di Governo in molti Paesi del Mondo. Ai tradizionali “fan” delle energie fossili, come Arabia, Russia e Kuwait, si sono aggiunti via via Paesi come l’Australia del liberale Scott Morrison e, new entry, il Brasile di quella sorta di macchietta di generale golpista da repubblica delle Banane che altro non è il neo presidente Jair Bolsonaro. Per non parlare degli Stati Uniti, che con Barack Obama furono i protagonisti in positivo della Cop di Parigi ed ora con Donald Trump alla Casa Bianca hanno già annunciato di volersi sfilare dagli accordi di Parigi non appena i tempi della burocrazia internazionale renderà praticabile questa opzione. Trump, d’altra parte, ha più volte twittato che gli scienziati possono dire quello che vogliono ma lui, ai cambiamenti climatici, non ci crede e, riferendosi agli aiuti economici ai Paesi più poveri perché abbassino le emissioni, che non capisce perché mai “i contribuenti e i lavoratori americani devono pagare per ripulire l’inquinamento degli altri paesi”. Il bello di Trump è che è sinceramente convinto che gli Usa non si trovino sul pianeta Terra!
Una marcia indietro, questa degli Stati Uniti, che ha avuto l’effetto di rallentare la conversione verso energie più pulite di Paesi come la Cina (responsabile del 27% delle emissioni globali), dell’India(7%) e pressoché di tutti gli Stati africani. Paesi disposti a cambiare politica energetica ma soltanto nel caso che questa si dimostrasse più conveniente dal punto di vista economico rispetto all’utilizzo del fossile. 
Il che ci porta al nocciolo della questione: quali e quanti incentivi assegnare ai cosiddetti “Paesi in via di sviluppo” affinché optino per una scelta energetica sostenibile? Una questione fondamentale che i delegati dei Paesi del mondo riuniti a Katowice hanno semplicemente evitato di affrontare, rimandando tutto alla prossima Cop che si svolgerà in Inghilterra. Perché la proposta di farla in Italia lanciata dal nostro ministro per l’Ambiente, Sergio Costa, è stata valutata dalla comunità internazionale credibile esattamente come il nostro Governo. Cioè, zero. 
Con una posta in gioco che è il futuro di tutto il pianeta, i delegati dei vari Governi sono andati a Katowice per litigare sugli spiccioli. Eppure “affrontare il cambiamento climatico farebbe risparmiare almeno un milione di vite all’anno” si legge in una relazione dell’Oms , l’Organizzazione Mondiale della Sanità. I benefici economici di un miglioramento della salute, sottolinea, statistiche alla mano, un articolo di ValigiaBlu, sono più del doppio dei costi di riduzione delle emissioni. “Al momento facciamo finta che i combustibili fossili siano combustibili a buon mercato, solo perché non ne includiamo il costo per la nostra salute e per l’economia” ha dichiarato Diarmid Campbell Lendrum, dell’Oms. “Non si tratta solo di salvare il pianeta in un ipotetico futuro, si tratta di proteggere la salute delle persone in questo momento”.
Per trovare dei politici capaci di guardare oltre i 4 o 5 anni del loro prossimo mandato, bisogna andare alle isole Marshall o alle Maldive. In quei Paesi insomma, che non sono imprigionati in politiche estrattiviste ma che, come colmo dell’ingiustizia, saranno i primi a pagare le spese dell’innalzamento del livello del mari. “Noi saremo i primi a soffrire le conseguenze dei cambiamento climatici – ha spiegato ai delegati la presidente delle isole Marshall, Hilda Heine, – Il mio Paese rischia l’estinzione. Entro il 2050 dovremo abbandonare centinaia di isole. Dove andremo?”
Tra i Paesi convertitisi ad una destra ostinatamente negazionista ci possiamo mettere anche l’Italia. Il siparietto del nostro sopracitato ministro a 5 Stelle in quel di Katowice, che ha proposto di far fare la prossima Cop anche ai bambini – “Loro parlano e noi adulti ascoltiamo. Abbiamo tanti da imparare dai bambini” ha dichiarato – è stato semplicemente pietoso. Ma si sa che i cambiamenti climatici sono rimasti fuori dal contratto del Governo del Cambiamento, proprio come gli incentivi al green sono stati esclusi dalla Finanziaria degli Italiani. Ricordiamo solo per amor di cronaca anche lo sproloquio del capo di gabinetto del ministero per la Famiglia, Cristiano Ceresani, per cui la colpa dei cambianti climatici sarebbe tutta del diavolo e dei peccatori, e chiudiamo qua il “contributo” del nostro Governo lega stellato alla questione del Climate Change. 
Chi ha capito invece, che i cambiamenti climatici sono una cosa seria è la finanza. Un articolo del Sole 24 Ore ha spiegato nei dettagli come ci si possa fare i soldi grazie al clima, investendo in operazioni finanziarie volte a “impadronirsi anzitutto di diritti d’accesso a falde acquifere sotterranee, sempre più scarse e preziose”. In particolare “nelle zone tra le più inaridite dall’effetto serra“, magari approfittando di situazioni contingenti come lo scioglimento delle nevi dei ghiacciai che liberano risorse idriche, proprio come è avvento in Nevada, con grande gioia degli investitori che hanno triplicato i loro soldi in due anni appena. 
A dettar legge, insomma, continua ad essere l’economia. Non la scienza e nemmeno la politica. In questo modo, i cambiamenti climatici sono stati utilizzati come utile ed emblematico strumento da rapina da un capitalismo che continua a crescere ed alimentarsi sfruttando gli ultimi sussulti di vita di un pianeta condannato. 
In mani rapaci, il clima è diventato un’arma da guerra puntata contro i Paesi meno industrializzati, prima per depredarli delle loro ricchezze fossili – le stesse che hanno causato i cambiamenti climatici – utilizzando Governi fantocci e terrorismi religiosi, e poi trasformando la loro ultima risorsa, la migrazione, in una merce da appaltare dove genera più profitto: le organizzazioni criminali, governative o meno. 
Il clima è entrato in borsa come un titolo in perenne rialzo. Al di là delle dichiarazioni di intenti, anche i Paesi europei che più si professano a favore di una svolta green, l’ottica di fondo rimane sempre quella capitalista. E’ il caso della Francia di Emmanuel Macron che aumenta le tasse sul carburante senza però impostare una politica di alternativa al trasporto privato, col solo risultato di scaricare i costi del disinquinamento sulle categorie meno abbienti.  
Oppure la proposta del nuovo padrone dell’Ilva, il miliardario indiano Adiya Mittal, che ha chiesto all’Europa l’istituzione di dazi verdi sull’acciaio prodotto da Paesi come gli Stati Uniti, le cui industrie non sono soggette al vincolo comunitario che le obbliga a ridurre del 43 per cento le emissioni di gas serra. Va de sé che questi dazi, anche a volerli definire “verdi”,  non andrebbero ad intaccare la quantità di Co2 sparata complessivamente nel pianeta Terra dall’inquinantissima industria siderurgica, quanto piuttosto a determinare “dove” questo acciaio viene prodotto. 
Ridurre i consumi, utilizzare materiale meno impattanti, riciclare e riutilizzare quanto è possibile, cambiare l’economia e non il clima, insomma, sono concetti ancora lontani dalla sfera di comprensione e di azione dei Governi. Soprattutto di quei Governi che potremmo definire neo nazionalisti ai quali i cambiamenti climatici fanno tutto sommato comodo perché possono cavalcare le tante crisi sociali che questi portano con sé – migrazioni, impoverimento, criminalità, svendita dei beni comuni… – per imporre militarizzazioni e autoritarismi. 
Tutto questo è passato sopra Katowice senza che i delegati dell’Onu riuscissero o volessero affrontarlo. Il rapporto dell’Ipcc indicava la luna e non hanno saputo o potuto far altro che guardare il dito. Sappiamo cosa bisogna fare ma sappiamo anche che i Governi non lo faranno. Sappiamo anche che non ci sono alternative e che solo una rivoluzione ci salverà. Quello che è andato in scena a Katowice è stato un funerale. Che sia quello della Terra o quello del capitalismo lo dovremo decidere noi. 

Attenzione: il Governo del Cambiamento sta cambiando il divieto di uso di Ogm!

5 Stelle e Lega hanno aperto la porta agli organismi geneticamente modificati e lo hanno fatto proprio lavorando all’interno della legge che doveva disciplinare le coltivazioni biologiche. Una legge sulla quali le associazioni di coltivatori come Aiab avevano già espresso forti perplessità, soprattutto in merito ai pesanti tagli dei già scarsi finanziamenti deviati verso le grandi e inquinanti coltivazioni che fanno abbondante uso di prodotti chimici. Una legge discutibile, elaborata senza tener conto delle osservazioni in merito dei coltivatori biologici che comunque non immaginavano che in fase di dibattimento, fosse accolto, nel testo approvato dalla Camera, la proposta dell’onorevole Guglielmo Golinelli, giovane deputato della Lega e grande allevatore di suini nel modenese, che abolisce in toto l’articolo 18. 
Come fa notare nel suo sito l’Aiab, l’associazione italiana per l’agricoltura biologica, l’articolo 18 era il muro che difendeva le coltivazioni nostrane dall’assalto degli organismi geneticamente modificati. Non solo l’articolo rimarcava il divieto assoluto di utilizzo di Ogm, ma affermava anche che non poteva essere commercializzato come biologico un prodotto contaminato anche se accidentalmente. 
“E’ un fatto che riteniamo gravissimo –  ha dichiarato il presidente di Aiab, Vincenzo Vizioli – che rende impossibile il sostegno di chi lavora per il buon biologico italiano. Riteniamo inaccettabile che si liberalizzi la contaminazione accidentale che, per le produzioni in pieno campo, apre pericolosamente la porta a future liberalizzazioni della coltivazione di Ogm. Liberalizzazioni che il nostro Paese più volte ha respinto grazie alla mobilitazione di associazioni e cittadini”. 

L’onorevole Guglielmo Golinelli, allevatore di maiali leghista
Oltretutto, fa notare Aiab, questa legge approvata dalla Camera viola il divieto sancito dal regolamento europeo di uso di Ogm in tutte le fasi di produzione, trasformazione e preparazione dei prodotti. 
“Insomma, invece di lavorare per evitare ogni tipo di contaminazione e qualificare il prodotto italiano, si sceglie la strada più semplice, quella dell’omertà – conclude Aiab -. I consumatori scelgono il biologico perché hanno paura dei pesticidi e vogliono evitare contaminazioni di qualsiasi tipo”. Si invoca da tutte le parti la massima trasparenza dell’etichettatura e di rintracciabilità di tutta la filiera “e poi si tiene nascosto al consumatore che nel prodotto c’è anche quello che lui, comprando biologico, sta cercando di evitare”.
Vincenzo Vizioli conclude invitanfo i parlamentari che riesamineranno la norma a reinserire l’articolo 18, sanando un passaggio che “vorrei poter leggere solo come errore e non come deprecabile strategia”.
Una deprecabile strategia, purtroppo, alla quale il cosiddetto Governo del Cambiamento targato leghisti e 5 Stelle ci ha già abituato da un pezzo! 

La mappa mondiale delle lotte ambientali

Si chiama Environmental Justice Atlas traducibile come “atlante della giustizia ambientale” e la potete consultare a questo link. Vi sono raccolte tutte le grandi battaglia in difesa dell’ambiente e dei beni comuni che gli attivisti di tutto il mondo stanno portando avanti: dai popoli originari del sud America in lotta per la conservazione della biodiversità, alle denunce degli ambientalisti canadesi e statunitensi sui disastri dell’estrazione petrolifera negli oceani e sugli versamenti dei grandi oleodotti. La mappa è consultabile nel suo insieme ma anche scorporando le singole tematiche: dal nucleare alla difesa dell’acqua pubblica, dalla cementificazione alle miniere, senza dimenticare un’altro tipo di devastazione come la “turistificazione”, ovvero l’impatto del turismo di massa. Anche questa è una lotta per la difesa dell’ambiente. Il bollino viola che contraddistingue questa battaglia per la democrazia ambientale lo troviamo, come c’era da aspettarsi, sopra la nostra Venezia, accanto a quello grigio che indica la presenza di una Grande Opera devastanti: il Mose, per l’appunto. 
E non sono certo i “bollini” che mancano nella nostra penisola. Nell’Environmental Justice Atlas, un sito aperto ai contributi di tutti i movimenti dal basso, sono segnalate tutte le lotte ambientaliste del nostro Paese: dalla Tav al Tap, dalle trivelle ai veleni dell’Ilva. Cliccando su ogni bollino si apre una scheda con utili informazioni sul conflitto in corso. La mappa permette inoltre di avere una panoramica delle questioni ambientali di cui i media dedicano poco o nessuno spazio, come quelli in atto nel continente africano. 
Un capitolo a parte meritano i luoghi segnalati dal bollino nero che indicano i conflitti per la giustizia climatica. E’ la mappa di Blockadia. Termine coniato da Naomi Klein per indicare la resistenza contro il potere fossile. “Non si tratta di un luogo preciso sulla mappa – scrive l’autrice di “No Logo”-, ma piuttosto di una rovente zona di conflitto transnazionale che sta spuntando con crescente frequenza e intensità ovunque ci siano progetti estrattivi che tentano di scavare e trivellare, che si tratti di miniere a cielo aperto, di fratturazione idraulica o di oleodotti per il petrolio delle sabbie bituminose”. 
Uno spazio in continua espansione, questo di Blockadia, come si evince proprio dal nostro atlante per la giustizia ambientale. Negli ultimi 10 anni, si è registrato un continuo aumento, sia come frequenta che come intensità, dei movimenti di resistenza a questi crimini contro la terra che, ricordiamolo, sono i primi responsabili dei cambiamenti climatici. Dagli ogoni del Delta del Niger in azione contro la Shell, sino agli yasuni in Ecuador contro l’estrattrivismo o alle iniziative di disobbedienza civile di massa di Ende Gelände in Renania. Tutto questo è Blockadia. Fermare l’estrattivismo per far vivere la terra. 

Il Veneto marcia per il clima. Siamo ancora in tempo e il tempo è ora

Tute bianche e maschere da angry animals, animali arrabbiati, dietro ad un grande striscione con le scritta “Stop Biocidio, cambiamo il sistema e non il clima” in testa al corteo. Dietro, un'originale carrozzella a pedali con tanto di impianto di amplificazione azionato da un pannello fotovoltaico per dare voce ai rappresentanti dei comitati e delle associazioni ambientaliste che si sono avvicendati al microfono. A seguire, un fiume colorato di oltre 5 mila persone che questo pomeriggio ha sfilato pacificamente per le strade di Padova, dalla stazione a piazza Garibaldi. Un corteo dalle mille bandiere ciascuna delle quali ricorda una delle tante lotte per l’ambiente che si stanno combattendo nella regione, dal Mose ai Pfas, dalla Pedemontana ai cementifici. Mille bandiere per mille battaglie ma per una sola guerra: quella contro i cambiamenti climatici. Una guerra che si sta combattendo in tutto il mondo, con milioni di persone scese nelle strade di tutti i Paesi per partecipare a questa marcia per il clima e ribadire che siamo ancora in tempo e che il tempo di cambiare è ora.
Quelli che un tempo venivano etichettati come i tanti comitati delle sindrome Nimby – Not In My Back Yard, traducibile con “non nel mio cortile” – hanno dimostrato con questa manifestazione di avere chiaro che il loro Back Yard oggi è il mondo. Perché i cambiamenti climatici riguardano tutta la terra e nessuno se ne può tirare fuori. Ridurre le emissioni di Co2 entri i prossimi 12 anni significa sovvertire un sistema economico che continua a basarsi sullo sfruttamento del lavoro e delle risorse, mercificando diritti e democrazia. Per questo, la battaglia per il clima è anche la battaglia per una società più giusta e includente.

«Non è l’umanità che sta cambiando il clima – ha spiegato Marta Busetto dell’associazione Mala Caigo, in apertura del dibattito che si è svolto nella sala polivalente di via Valeri, poco prima del corteo – ma un modello capitalista figlio di una logica estrattivista che vede il mondo come una cassaforte dove si può rubare sempre di più, come se le risorse fossero infinite». Non è neppure un caso se il Veneto, che è una delle Regioni più ricche d’Italia, sia anche una delle più colpite da fenomeni meteorologi estremi.

«Siamo la Regione dei 4 inceneritori e delle 17 discariche, senza contare i cementifici e le discariche abusive, non di rado nascoste sotto le nuove strade – commenta Mattia Donadel di Opzione Zero – Abbiamo uno dei siti più inquinati d’Italia, Porto Marghera, dove da decenni si fa un gran parlare di bonifiche che non arrivano mai. Siamo la Regione che utilizza più pesticidi di tutto il Paese, per non parlare dell’inquinamento dell’aria e delle falde acquifere con i Pfas o di città come Venezia, Padova e Vicenza che con 100 sformanti di polveri sottili all’anno sono tra le città più inquinate d’Italia. Quest’anno abbiamo superato la Lombardia come percentuale di terreno ulteriormente cementificato. Poi arrivano le inondazioni e con le inondazioni il ministro Salvini che ci spiega che è tutta colpa nostra, colpa degli ambientalisti da salotto, e non della Lega che sta governando il Veneto da più di vent’anni».

Veneto che è il laboratorio di un sistema di Grandi Opere, nato col Mose e proseguito con il Tav e la Pedemontana, volto ad impostare un sistema di corruzione che ha letteralmente espropriato la democrazia grazie ad un iter collaudato di commissariamenti e leggi in deroga.

Un sistema che, come hanno ribadito altri portavoce di organizzazioni ambientali e sindacali, ha colpito anche il lavoro, creando precarizzazione e sfruttamento. La lotta per il clima è quindi anche la lotta per il lavoro e per i diritti sociali. Se l’umanità sopravviverà ai cambiamenti climatici, lo farà solo imboccando la strada giusta per una società più giusta, libera dalla schiavitù del capitalismo.

In conclusione del dibattito, l’assemblea ha deciso di accogliere la proposta che viene dalla Val di Susa di partecipare alla manifestazione del 23 marzo a Roma, senza per questo trascurare le battaglie regionali. Battaglie da affrontare assieme e sotto una comune ottica di lotta ai cambiamenti climatici invocando il rispetto del protocollo di Parigi e, si spera, del documento rafforzativo che uscirà dalla Cop 24 che si sta svolgendo in Polonia. Per questo motivo, i comitati veneti hanno scelto di dare vita ad un tavolo di lavoro che non si limiti a mettere in fila tanti no ma ad impostare battaglia concrete volte a realizzare un mondo ad emissioni zero. «Dobbiamo fare capire che tutelate l’ambiente non significa rinunciare al benessere o al lavoro – ha concluso Francesco Pavin del No Dal Molin – ma, al contrario, creare un mondo più sano e più giusto, senza quello sfruttamento e quelle ingiustizie sociali che sono figlie di questo capitalismo che somiglia sempre di più ad una rapina a mano armata».

Dossier Libia, tutti gli orrori dell'altra sponda del Mediterraneo

Un progetto di LasciateCIEntrare per urlare cosa accade ai migranti in un Paese che è "sicuro" solo per la politica europea

Nessuno dica che non lo sapeva. Quanto accade nei lager libici è sotto gli occhi di tutti quelli che vogliono vedere. Reportage giornalistici, testimonianze dirette, fotografie, allucinanti video girati qualche volta dalle vittime più spesso dagli stessi torturatori per ricattare i familiari dei seviziati o semplicemente per divertimento. Tutto questo è noto al mondo. Dite piuttosto che non ve ne frega niente o che non sono affari vostri, ma non dite mai che la Libia è un Paese sicuro o che i lager in cui rinchiudono i migranti sono centri di detenzione al pari di tanti altri.
E non dite nemmeno che l'Italia, l'Europa, noi stessi non abbiamo responsabilità di quanto accade in quel Paese. E' con i nostri soldi, quelle della "cooperazione", che i torturatori sono pagati per torturare, è con le nostre motovedette che la guardia costiera riprende i barconi dei profughi in fuga, quando non li affonda direttamente per lasciarli morire nel Mediterraneo.

Abbiamo trasformato il fenomeno della migrazioni in un business e lo abbiamo appaltato alla criminalità organizzata. In cambio, ci è stata restituita quella paura sufficiente per giustificare una politica fascista, populista e xenofoba. Una politica fatta di emergenze urlate, di proclami vuoti, di notizie false. Una politica che ha come unico obiettivo la limitazione dei diritti civili, la criminalizzazione dei movimenti e l'instaurazione di un regime totalitario. In altre parole, una politica che ha come obiettivo la stessa democrazia.
In tutto questo processo, il silenzio è complice. E per questo abbiamo deciso di denunciare con tutta la voce che abbiamo quanto accade in Libia. Perché tollerare tali continue e sanguinose violazioni dei diritti più basilari dell'uomo significa rinunciare alla nostra stessa umanità. Significa accettare il fascismo e la violenza come qualcosa di inevitabile. Oggi in Libia domani in Italia e in Europa.

Dossier Libia è nato all'interno della campagna LasciateCIEntrare in collaborazione con Asgi e Melting Pot proprio per questo scopo. Raccogliere reportage e testimonianze di quanto accade ogni giorno su quella sponda del Mediterraneo. Reportage di giornalisti di tutti i media del mondo che hanno acconsentito a collaborare con noi. Testimonianze raccolte dai volontari della rete di operatori che lavorano quotidianamente con le vittime della tortura e che abbiamo scelto di pubblicare senza censure - e vi assicuro che per noi questa non è stata una scelta facile! - proprio perché nessuno possa dire, un giorno, "io non lo sapevo".

Arrivederci alla prossima emergenza!


E così abbiamo assistito all’ultima “emergenza maltempo” che, con un bollettino di morti ammazzati degno della prima guerra mondiale (per citare un periodo che pare essere tornato di moda), ha messo ancora una volta in ginocchio il Paese dell’abusivismo edilizio, delle Grandi Opere e dei grandi condoni, dell’ambiente usato come un bancomat per mercificare i beni comuni, dirottare denaro pubblico nelle casse di aziende in odor di mafia e fabbricare consenso per politici inqualificabili.
Ma stavolta il Governo del Cambiamento ci ha spiegato con chiarezza di chi è la colpa: dei Governi precedenti, della Comunità Europea che non ci dà i soldi da spendere in altre Grandi Opere con le quali potremmo peggiorar ulteriormente la già pessima situazione, e, new entry, degli “ambientalisti da salotto”.
Virgolettato sparato dal ministro Ruspa, Matteo Salvini. Quello che nella sua veste di deputato europeo ha votato contro la ratifica degli accordi di Parigi sui cambiamenti climatici.

Eppure, che i cambiamenti climatici siano in atto e che l’umanità ha appena cominciato a pagarne le pesanti conseguenze, oramai lo sappiamo tutti, non solo i climatologi o gli scienziati. Lo sanno pure quelle persone che hanno votato per politici negazionisti come Bolsonaro, Trump o lo stesso Salvini. Politici cha hanno avuto la capacità di rassicurare le loro paure raccontando che la colpa è tutta dei migranti, dei poveri o delle donne che adorano farsi stuprare. Eppure sappiamo tutti che questi sono gli ultimi anni che l’umanità avrebbe a disposizione per cambiare rotta verso il disastro e cercare di limitare quei danni che, in ogni caso, bisogna mettere inevitabilmente in preventivo perché abbiamo perso troppo tempo.

Ma qualcuno direbbe che anche questo ritardo è tutta colpa degli ambientalisti da salotto. Qualcuno come la Lega che ha Governato il Veneto negli ultimi decenni ed ha portato la Regione in testa all’hit parade mondiale di consumo di suolo con un volume record di capannoni dismessi di oltre 21 milioni di metri quadri e, come sottolinea l’ultimo rapporto Ispra, ben 580 siti contaminati. Di investire in bonifiche non se ne parla nemmeno. Meglio dare i soldi ai cacciatori, che non sono “ambientalisti da salotto”. E nemmeno guardie forestale. Tanto per citare una categoria di lavoratori che ha subito tutti i tagli possibili, che all’ambiente potrebbe essere soltanto che utile ma che il presidente della Regione, Luca Zaia, si rifiuta anche di incontrare.

Ci stiamo preparando ad affrontare la subentrante epoca del nuovo clima con i pantaloni abbassati e senza un soldo per le bretelle.
Viene anche da domandarsi come si faccia ad essere così cialtroni. E la risposta è semplice: perché conviene. Naomi Klein l’ha battezzata “shock economy”. Per un certo modello di economia – lo stesso che ci ha regalato i cambiamenti climatici – è più remunerativo ricostruire che riparare. Mettere a norma di sicurezza una scuola costa meno che realizzarne una tutta nuova. E, vista così, non è nemmeno un caso che la Regione Veneto abbia stanziato più soldi per i presepi che per gli standard antisismici. Ma dall’Aquila terremotata alla Siria in guerra, dai disastri ambientali a quelli causati direttamente dall’uomo, l’economia che marcia e che fa guadagnare di più è quella della ricostruzione dopo la devastazione. La messa in sicurezza idrogeologica dei nostri fiumi ha il difetto di costare troppo poco. La finanza è un animale predatorio e si nutre di più a realizzare una nuova villa abusiva, magari esattamente nello stesso posto in cui la piena aveva spazzato via la precedente. Tanto poi si può sempre contare in uno di quei condoni in stile “e allora il piddi?” per i quali i 5 Stelle sono una garanzia. Perché a cambiare una guarnizione si guadagna di meno che sistemare una cantina allagata.

Lo sanno gli idraulici e lo sanno anche i nostri politici. Il giro di soldi che sta dietro una catastrofe va tutto a loro vantaggio. E non parliamo solo di eventuali tangenti. I disastri e le ricostruzioni portano clientele e visibilità che si traducono in consenso elettorale. Programmare interventi di risistemazione ambientale che, per forza di cose, devono essere studiati a lungo termine, no. Se poi questi interventi prevedono l’abbattimento di strutture abusive, la limitazione del traffico su strada, la lotta agli sprechi domestici, la riconversioni di fabbriche inquinanti, l’applicazione di politiche atte a limitare i cambiamenti climatici e altre cosa da “ambientalisti da salotto”, stiamo anche certi che di voti se ne perdono!

Ma a proposito di cambiamenti climatici, sapete dirmi quanti euro sono stati destinati su questo fronte nella “finanziaria del popolo”?
Bravi! Proprio così. Zero su zero!
Ci vediamo alla prossima emergenza maltempo!

Se il problema è la pioggia...

Ci risiamo. "Italia sferzata dal maltempo" leggiamo nei giornali. Titoli che sono gli stessi di un anno fa. Poi c'è la conta delle vittime. Sette persone hanno perso la vita lunedì. Altre quattro corpi sono stati recuperati oggi. Ci si augura che non arrivino altri aggiornamenti, ma anche così il numero delle vittime è superiore a quello dell'ultima "emergenza maltempo".

E dopo la conta delle vittime, ecco che i telegiornali sparano l'elenco dei danni. A Rapallo cede una diga, acqua alta da record a Venezia, la provinciale 227 per Portofino è cascata giù e il paese noto per la vita mondana è isolato, in Trentino 170 persone sono bloccata al passo dello Stelvio, tromba d'aria in Valsugana, decine di famiglie evacuate dalle loro case a Moena e nei paesi vicini, il mare spazza il porto di Posillipo devastando in maniera democratica tanto le barche dei pescatori che gli yacht dei vip, Adige e Piave in piena nel Veneto, scuole chiuse e incidenti un po' dappertutto.

A concludere il servizio tv o l'articolo, tocca alle dichiarazione del politico di turno. Il microfono viene dato al ministro, al deputato, o al presidente di Regione di turno. E qua, rispetto al servizio di un anno fa, qualche anima candida potrebbe anche aspettarsi delle novità. Non ci ripetono in tutte le salse che è arrivato il Governo del Cambiamento? Ma non c'è niente da fare. Anche se sono cambiati i suonatori, non cambia la musica. Anche se le scuse, e questo va detto, sono sempre più originali ("Ah, c'è una penale? Non lo sapevo quando facevo opposizione…") Ma la colpa delle strade che crollano è sempre e comunque dell'amministrazione precedente. Di assumere un serio impegno a lungo termine per mettere in sicurezza il Paese e prepararlo a quei cambiamenti climatici che, anche nella migliore delle ipotesi, saranno comunque drammatici ed inevitabili, non se ne parla.

Anzi! Se mai fosse entrata, potremmo scrivere che la questione "cambiamenti climatici" è stata completamente defenestrata dalla lista degli impegni delle nostre forze politiche. Opposizione compresa. Evidentemente non porta voti. Oppure la sua portata epocale va troppo al di là dagli orizzonti ristretti di questi politici che ci meritiamo.

Non è cambiata la musica - abbiamo scritto - perché, anche se sono cambiati i suonatori, non è cambiato quell'economica da rapina che continua a scrivere da solista lo spartito dove a noi tocca improvvisare. Se la colpa dei disastri è sempre del Governo precedente, la soluzione resta dappertutto quella delle Grandi Opere.

Da Trento, il neo presidente Maurizio Fugatti esce dalla sala di crisi della Protezione Civile soltanto per ribattere ai giornalisti l'importanza strategica della Valdastico e del tunnel sul Brennero. "Strade e autostrade vanno portate avanti - dichiara -, anche perché ormai c’è la piena consapevolezza delle persone sul fatto che neppure le remore ecologiste valgano più a giustificare lungaggini e rimandi. La migliore strategia di prevenzione di incidenti sta proprio nella costruzione intelligente di nuove opere”.

Da una Venezia allagata quasi come in un lontano '66, al sindaco Gigio Brugnaro non passa neppure per la testa che sarebbe stata una azione più intelligente potenziare la protezione civile piuttosto che assumere un battaglione di vigili palestrati ed armarli con le pistole per "correre dietro ai nigeriani”, per dirla come lui. «Giornate di acqua alta eccezionale come queste ci dimostrano che il Mose è necessario» ha spiegato, mentre con stivaloni da pescatore faceva la sceneggiata - davanti alle telecamere - di andare a salvare i turisti in piazza San Marco. Non ha spiegato invece che il Mose non entrerà mai in funzione, che non serve per fermare l’acqua qua alta e che è utile solo a dirottare soldi pubblici dalla salvaguardia vera a politici e privati in odor di mafia. Con paratie che si alzano solo sotto i 120 centimetri, piazza San Marco e tante calli di Venezia andrebbero ugualmente a mollo, e in caso di alte eccezionali come quelle di questi giorni, il pericolo di collassi delle paratie metterebbero in serio rischio la città.

Ma il problema vero del Mose, la "madre" di tutte le Grandi Opere italiane, non sta neppure qua e non si misura sui centimetri di marea che vanno al di là della portata delle paratie. Se invece di insistere su un'opera inutile e costosissima, pensata solo per foraggiare una nota gang di malaffare misto politico e mafioso, si fosse investito nel porre rimedio al dissesto della laguna causato dallo scavo inconsiderato di troppi canali, oggi Venezia non si troverebbe a mollo. Il Mose è la causa e non il rimedio dell'emergenza acqua alta di questi giorni.

Che sia proprio il cemento connesso alla politica delle Grandi Opere, e non la pioggia in se, a causare problemi all'Italia non viene in mente a nessuno di coloro che sono al Governo. Lo sottolineano ingegneri, ambientalisti, climatologi, ma non i nostri politici. Perlomeno non quelli seduti nelle stanze dei bottoni. Nessuno di loro ha neppure degnato di una risposta l'appello di Legambiente a chiudere le Grandi Opere più devastanti, salvaguardando il territorio e dirottando i fondi risparmiati alla messa in sicurezza idrogeologica dei nostri fiumi. Il Governo del Cambiamento continuerà come tutti i Governi precedenti, a finanziare opere come la Pedemontana che, più della pioggia che è sempre caduta al mondo, sono causa stessa del dissesto profondo in cui ci troviamo.

Sino alla prossima esondazione, sino alla prossima tromba d'aria, sino al prossimo allarme maltempo, per riscrivere da capo gli stessi articoli.

Internazionale “agisce e reagisce” per il sindaco di Riace


Il festival del giornalismo di Ferrara si ferma per manifestare a sostegno di Mimmo Lucano. Ed il Gad invita tutti a denunciare Salvini


“Agire e reagire” è il tema che Giovanni De Mauro, direttore di Internazionale, ha scelto per il festival del giornalismo più importante d’Italia che si sta svolgendo in questi giorni a Ferrara. E “Agire e reagire” di fronte ad un sopruso come quello dell’arresto del sindaco di Riace, Mimmo Lucano, è quanto hanno fatto i ferraresi che, grazie all’associazione Cittadini del Mondo, Ferrara che Accoglie, Rete per la Pace ed al Gad, Gruppo Anti Discriminazioni, hanno organizzato un presidio in contemporanea con la grande manifestazione che si stava svolgendo a Riace, nel pomeriggio di sabato.

Solidarietà e sostegno a Mimmo Lucano sono venuti dal pubblico di Internazionale, dallo stesso sindaco di Ferrara, Tiziano Tagliani, e dai tanti giornalisti presenti ai dibattiti, tra i quali Gad Lerner e Ida Dominijanni, che hanno partecipato attivamente a presidio, nella piazza principale della città, ai piedi dello storico castello degli Estensi.

“Criminalizzare l’esperienza di Riace significa criminalizzare tutte le esperienze di solidarietà sociale del Paese - ha commentato Ida Dominijanni , cosa che peraltro il Governo sta già cercando di fare. Perché queste esperienze fanno paura e dimostrano quello che il Governo cerca di negare. Ma Riace non è una fiaba. E’ la dimostrazione vivente che l’accoglienza non soltanto è possibile ma anche conveniente”.

Anche il giornalista Gad Lerner invita alla mobilitazione e non farsi distrarre dalle bugie che stanno circolando sul sindaco. Una per tutte, la fake news diffusa da ambienti di estrema destra secondo la quale Lucano avrebbe scambiato accoglienza per favori sessuali. “Ci sono persone che si sono fatte intimorire e che ora hanno paura di schierarsi. ‘Aspettiamo di sentire cosa dice la magistratura’ dicono. Ed invece no. Queste titubanze sono solo un preannuncio di fascistizzazione. Questo è il momento di metterci la faccia. Mimmo Lucano non è un delinquente. Lo hanno detto anche i giudici. E’ stato messo agli arresti proprio perché esercitava il dovere morale dell’accoglienza, barcamenandosi a fatica tra le strettoie di leggi che, invece di favorire chi lavora come lui, ostacolano”.

Lo stesso festival di Internazionale ha ufficialmente aderito alla manifestazione in sostegno del sindaco di Riace. Tanti i ferraresi in piazza e tra gli organizzatori dell’iniziativa figurano anche le attiviste e gli attivisti del Gad, gruppo Anti discriminazione, che qualche mese fa si sono recati in procura per denunciare il ministro Matteo Salvini per incitamento all’odio razziale, depositando una ventina di esposti individuali. L’iniziativa ha preso piede e si è diffusa anche in altre città italiane dove dei privati cittadini hanno seguito l’esempio del Gad. Da sottolineare che l’acronimo Gad, a Ferrara, indica un quartiere con una alta percentuale di migranti, continuamente messa sotto attacco da esponenti della Lega.

Nel video, Giuliana Andreatti, attivista del Gad, spiega le ragioni che hanno portato dei cittadini, per lo più senza esperienza politica, a denunciare un ministro della Repubblica ed invita tutti a seguire il loro esempio.



Agire e reagire, quindi. Sempre e comunque, hanno spiegato gli attivisti e le attiviste del presidio. Perché se le leggi sono dalla parte dei potenti e dell’arbitrio, compito della cittadinanza attiva e quello di rimanere, sempre e comunque, dalla parte della giustizia e dei diritti.

All’arrembaggio! Venezia sale in barca contro le Grandi Navi

E’ stata una grande giornata di festa e di mobilitazione per Venezia. Una giornata in cui chi abita la città e chi l’ha a cuore ha trovato l’orgoglio di salire in barca o di scendere in fondamenta per ribadire che Venezia appartiene a chi la vive e non a chi la sfrutta come un bancomat. In questo senso, le Grandi Navi non sono altro che un emblematico esempio di una economia al collasso che scarica inquinamento e devastazioni ambientali sul territorio per produrre profitto per pochi, mercificando ed umiliando la stessa democrazia di base. Perché i canali sono le strade di Venezia e i veneziani li vogliono attraversati da imbarcazioni tradizionali a remi e non da questi immensi centri commerciali galleggianti, pieni di turisti da vacanza in saldo, che guardano la città dall’alto senza comprenderne la natura, e salutano dall’alto con la mano i pochi residenti rimasti come fossero vuote comparse in una insulsa cartolina.
Ma oggi è stata anche la giornata in cui il cosiddetto “Governo del cambiamento” ha gettato la maschera rivelandosi per quello che è: un nemico dei movimenti ambientalisti. Un governo che persegue le stesse politiche del peggior Pd condendole con razzismo ed autoritarismo. Nonostante il canale della Giudecca fosse presidiato da una cinquantina di barche a remi ed a motore, le grandi navi non sono state fatte passare ugualmente – al contrario di quanto avvenne un anno fa – scortate da una flotta di imbarcazioni della polizia che hanno speronato e sparato con gli idranti contro le leggere barche a remi. Non hanno esitato a mettere in pericolo la vita dei manifestanti e neppure di rischiare un incidente navale in bacino, considerato che, in acque basse, la manovrabilità delle Grandi navi è limitata. Eccolo qua, il “cambiamento”!

“A sei anni dal decreto Clini Passera che poneva un limite al tonnellaggio delle navi entranti in laguna, non è cambiato niente – hanno detto i portavoce dei No Navi – Le navi continuano a transitare per l’area marciana. E il ministro Toninelli non sa che pesci prendere. Un giorno dice una cosa e il giorno dopo la smentisce. I loro alleati della Lega invece sanno bene da che parte stare: quella degli interessi delle multinazionali crocieristiche”.

In questo solo fine settimana, le navi che transiteranno nel canale della Giudecca sono 18. E se consideriamo che ciascuna di loro inquina come 14 mila automobili si capisce come mai, Venezia – la città per antonomasia senza auto – risulta una delle più inquinate d’Europa, proprio come se fosse costruita a ridosso di una autostrada a tre corsie!

“Per questo – hanno detto gli attivisti – rilanciamo la proposta di organizzare una grande manifestazione a Roma, come suggerito da tutti i movimenti ambientalisti con cui ci siamo riuniti ieri al Sale. Dobbiamo porre questo Governo davanti alle sue contraddizioni. Parlano di cambiamento ma è chiaro a tutti che la confusione con cui trattano il problema delle Grandi Navi a Venezia e, in generale, tutta la politica delle grandi opere, è solo un sistema per evitare di decidere e lasciare tutto come sta, consentendo a chi saccheggia i territori di continuare impunemente a farlo”.


Nel video girato da Global Project, la polizia difende il passaggio della terza Grande Nave, mettendo a repentaglio la vita dei manifestanti sul barchino, tentando uno speronamento.


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