In questa pagina ho riportato gli ultimi articoli che ho scritto per il quotidiano ambientalista Terra, il settimanale Carta, Manifesto, per siti come Global Project, FrontiereNews o siti di associazioni come In Comune con Bettin e altro ancora.

Il Mose è nato dalla corruzione. Ecco cosa ci dice la sentenza della Corte d’Appello

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Alla fine dei conti, dei cosiddetti “imputati eccellenti”, a pagare è rimasto solo lui, l’ex ministro Altero Matteoli. La Corte d’Assise di Venezia lo ha ritenuto colpevole di corruzione per lo scandalo delle bonifiche di Porto Marghera e lo ha condannato a 4 anni di reclusione e al pagamento di 9 milioni e mezzo di euro, oltre all’interdizione dai pubblici uffici. Stessa pena, 4 anni e 9 milioni e mezzo di multa, anche all’imprenditore Erasmo Cinque della Socostramo. Due anni per corruzione  l’altro imprenditore Nicola Falconi, mentre un anno e dieci mesi con sospensione della pena sono stati inflitti l’avvocato Corrado Crialese per millantato credito.
Assolti tutti gli altri. L’ex presidente del Magistrato alle Acque Maria
Giovanna Piva per prescrizione, che non vuol dire che non prendeva soldi dal Consorzio, come era stata accusata, ma che è trascorso il tempo utile per incriminarla. Assolti per non aver commesso il fatto l’ex deputata socialista e poi berlusconiana Lia Sartori, e l’architetto Danilo Turcato, quello che curava i restauri della villa di Giancarlo Galan. Assolto per prescrizione pure l’ex sindaco di Venezia Giorgio Orsoni dall’accusa di finanziamento illecito in campagna elettorale. Orsoni,  che tra tutti gli imputati, era quello meno coinvolto nello scandalo, non si è fatto vedere in aula. La vera colpa dell’ex sindaco è quella di aver consegnato Venezia ad uno come il Gigio Brugnaro. Ma su questa “imputazione”, non ci sono Corti d’Assise che tengano.

Resta comunque una sentenza che farà discutere, questa emessa questo pomeriggio dalla Corte d’Assise di Venezia che, in  pratica, dimezza le richieste penali dei pubblici ministeri e assolve metà degli imputati. Difficile un ricorso in appello perché molti dei reati contestati stanno per cadere anch’essi in prescrizione.
Si chiude quindi il sipario, con pochi perdenti e nessun vincitore, sulla grande inchiesta sullo scandalo Mose cominciata, non senza un tocco di spettacolarità, in una calda mattina del giugno 2014 con 35 arresti tra cui, ricordiamolo, l’ex presidente del Veneto Giancarlo Galan, l’ex assessore regionale Renato Chisso e l’ex magistrato alle acque Patrizio Cuccioletta che al processo hanno preferito la via del patteggiamento.
Si è chiuso un sipario, dicevamo, ma la tragedia chiamata Mose è ben distante dal concludersi. Oggi che le “mele marce” sono state allontanate, i tempi di chiusura dell’Opera si allungano di mese in mese come ai bei tempi dei corrotti. La parlatorie arrugginiscono e fanno acqua da tutte le parti. E “la più grande opera di ingegneria italiana” come l’ha definita il pm Carlo Nordio, si sta rivelando per quel che è: una costosissima baraccata mangia soldi e devasta ambiente.
Anche i costi, al di là delle puntuali dichiarazione del Consorzio, lievitano di mese in mese più o meno come lievitavano una volta, con la differenza che le imprese coinvolte negli scandali di ieri, oggi piangono il morto, licenziano i lavoratori e ricattano la politica con l’arma dell’occupazione.
C’è da scommettere quindi, che questa di oggi passerà alla cronaca come la “prima” sentenza sul Mose. Altri sipari si alzeranno su altri scandali. Perché il vero scandalo sta tutto nell’opera.
Oggi gli ambientalisti, presenti ieri in aula con una nutrita delegazione, hanno comunque vinto una prima battaglia perché il tribunale ha sentenziato esattamente quello che loro sostenevano da tempo: dietro al Mose c’è corruzione. E non bisogna fare lo sbaglio di stare a sindacare sulle prescrizioni, su chi se l’è cavata per il rotto della cuffia, sulle assoluzioni più o meno piene, o sugli anni di galera inflitti o non inflitti. Il punto focale è che il Mose che ha trasformato la nostra laguna in un braccio di mare aperto, è figlio della corruzione. Questa, da oggi in poi, deve essere una certezza per tutti. Ed a questo punto bisogna tornare a chiedersi se l’opera serve anche a qualcosa, oltre che a far cassa per la corruzione. E magari domandarsi anche se è sicura e se porta più vantaggi che svantaggi per la città. Qualche dubbio a proposito, lo hanno solevato eminenti ingegneri idraulici!
“La sentenza dimostra l’alto grado di corruttela che stava dietro al Mose – ha concluso
Cristiano Gasparetto di italia Nostra -. Oggi non siamo più solo noi ambientalisti a denunciare questo malaffare perché anche la magistratura ha dimostrato la sua esistenza. La questione a questo punto è: se è stata necessaria tutta questa corruzione è perché il Mose, senza di essa, non sarebbe stato approvato, Solo la corruzione infatti ha potuto portare alla realizzazione di questa opera inutile, costosissima e devastante. Chiediamo quindi che vengano identificati i responsabili dell’approvazione di questa opera mangiasoldi e che venga finalmente effettuato uno studio per conto terzi, senza corruzione dietro, sulla reale efficacia del progetto”.
Siamo ancora ai primi atti della tragedia, quindi. Il sipario è ben lontano dall’essere calato.

Regione Veneto: per i parchi solo le briciole, per il referendum 14 milioni

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La Regione Veneto non si smentisce a anche quest’anno ha eroso la quota annuale disposta a favore dei 5 parchi regionali. Una ulteriore dimostrazione di quanto poco o niente pesi nella sua agenda politica capitoli come la tutela dell’ambiente e del territorio.
Con la delibera di Giunta numero 1398, datata 29 agosto 2017 (sempre in agosto, escono le delibere peggiori della nostra Regione!), il Governatore Luca Zaia ha stabilito un contributo complessivo per tutti e cinque i nostri parchi di 3 milioni e 792 mila euro. Il fondo sarà così suddiviso: Colli Euganei 1,49 milioni di euro; Regole D’Ampezzo 514.195; Lessinia 612.028; Sile 418.257; Delta del Po 756.883.
Tutto qua? No. Bisogna aggiungere i contributi dedicati alla realizzazione dei Piani Ambientali, naturalmente. Altra non-priorità della Giunta Regionale che assegna, a tutti e cinque i parchi assieme, la bellezza di 430 mila euro!
Una somma così esigua che non ha paragone in nessun’altra Regione italiana e che, come commenta Ilario Simonaggio, responsabile dell’area Ambiente della Cgil, merita una sola risposta “Vergognatevi!”
Tanto per fare un paragone, per il “referendum” regionale sulla cosiddetta “autonomia” – che non ha nessun valore istituzionale e sul quale potremmo discutere a lungo se definirlo appena appena “consultivo” – la Regione non ha esitato a investire oltre 14 milioni di euro!
Vergognatevi, appunto!

A Venezia contro i mostri del mare

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Provate a immaginare quanto veleno possa uscire dai tubi di scappamento di 14 mila automobili. Ce la fate? Ecco, vi state avvicinando a capire come possa ridurre il canale della Giudecca, uno di quelli che sfociano a San Marco, una Grande Nave. Soltanto una. Sono molti anni che un grande e tenace movimento si oppone all’ osceno via vai dei mostruosi grattacieli galleggianti, veri e propri villaggi turistici che si muovono concentrando in sé, o nella loro colossale simbologia figlia dell’economia fossile, l’insaziabile sete di profitti, l’umiliazione dell’idea del viaggio, l’arroganza delle multinazionali del mare e la corruzione politica. Il 23 e 24 settembre, in modo tanto particolare quanto affascinante, l’acqua di Venezia si propone allora come “territorio” da difendere, insieme all’ambiente e alla democrazia. E’ questa l’idea di fondo che il Comitato No Grandi Navi propone a chi, per esempio in Italia e in Europa, si batte per affermare che le calli veneziane, così come gli ulivi del Salento o le montagne della Val di Susa, sono un bene comune da sottrarre al saccheggio e alla devastazione. Un’occasione da non perdere per un primo week-end autunnale in cui, c’è da giurarci, Venezia non sarà affatto triste!


E’ una battaglia per l’ambiente, prima di tutto, ma non è solo questo. E’, anche e soprattutto, una battaglia per la democrazia.
La questione delle Grandi Navi, “simboli galleggianti dell’arroganza delle multinazionali e della corruzione di una classe politica piegata alla difesa dei profitti privati a scapito del bene comune”, sta tutta in questa domanda: chi decide sul territorio?
La stessa domanda che si pongono i valsusini che lottano contro la Tav o i No Tap che si battono contro la devastazione degli antichi ulivi nel Salento, tanto per citare due esempi delle tante battaglie per la democrazia ambientale che comitati, associazioni e movimenti dal basso portano avanti senza tregua, senza curarsi di arresti, cariche e intimidazioni, sfidando una politica di palazzo che oramai con la politica, intesa come “cosa di tutti”, non ha più nulla da spartire.
Chi decide sul territorio, quindi? Chi amministra deve tutelare i beni comuni e gli interessi delle generazioni presenti e future o quelli di una economia da rapina che ha trasformato questi stessi territori in merce? Domande queste, che si sono posti anche i veneziani che chiedono l’allontanamento delle Grandi Navi dalla laguna e che non si danneggi ulteriormente l’ambiente con altri scavi per far passare questi villaggi turistici galleggianti da qualche altra parte. Ipotesi questa, già bocciate dalla Via ma che vengono puntualmente riproposte dal ministro di turno che si trova a passare per Venezia.
“Venezia è, da oltre mille anni, città simbolo dell’equilibrio tra uomo e natura, la sua magia origina e vive nella e della straordinaria compenetrazione di artificio e natura, pietra e acqua, città e Laguna”. “E’ una città unica, certo, ma è al contempo un simbolo globale. Vorremmo che la nostra città divenisse per due giorni la cassa di risonanza di tutte quelle lotte che oggi, in Italia e in Europa, sono condotte per la difesa dei territori, per la giustizia ambientale e per la democrazia decisionale”.
Il virgolettato è tratto dall’appello ai movimenti europei per la difesa dei territori, la giustizia ambientale e la democrazia che il comitato No Grandi Navi ha lanciato proponendo una “due giorni” internazionale per parlare di democrazia dal basso e di ambiente, sabato 23 e domenica 24 settembre. E, naturalmente, sfilare in barca e per terra, contro le Grandi Navi.
Le adesioni non si sono fatte attendere. Dalla Valsusa al Salento, da Stop Biocidio di Napoli al No Muos di Sicilia sino alle Terre In Moto delle Marche. Moltissime e in continuo aggiornamento anche i movimenti europei che si battono contro le Grandi Opere: i francesi del Comitè contre la construction de l’aereporte de Notre Dame des Landes, i tedeschi dell’associazione Geheimagentur e del Movement against Stuttgart 21, i catalani dell’assemblea Ciutat per a qui l’habita, i portoghesi dell’Academia Cidadã, gli internazionali del quarto Forum Against Unnecessary Imposed Mega Project. Ciascuno parteciperà con una loro delegazione alla “due giorni” di Venezia. Il primo dei quali, sabato, sarà dedicato ad un incontro di presentazione delle varie realtà presenti e all’approfondimento dei temi ambientali che si svolgerà negli antichi Magazzini del Sale, alle Zattere, che si aprono sul canale della Giudecca, teatro del contestato passaggio di quesi condomini galleggianti. Il secondo giorno, domenica, in marittima, ci sarà la manifestazione in barca e per terra contro le Grandi Navi con un concerto che avrà come protagonisti, tra gli altri, i 99 Posse e Cisco dei Modena City Ramblers.
Per la lista completa delle adesioni e anche per aderire (come abbiamo fatto anche noi di Comune, ndr), ma anche per leggere il programma della Due giorni e per altre informazioni, collegatevi al sito del comitato contro le Grandi Navi.
“Non c’è dubbio che quella di domenica sarà una grande e coloratissima manifestazione con tantissima gente in barca e nella riva – commenta
Marta Canino, portavoce del comitato -. Lo possiamo già affermare perché attendiamo tantissime persone da tutta Europa. Associazioni e comitati stanno organizzando pullman, oltre che dal Veneto, dal Friuli e dall’Emilia Romagna anche dalla Valsusa e dal sud Italia. Senza contare la partecipazione dei veneziani che patiscono sulla loro salute l’inquinamento generato da questi mostri del mare, che temono per l’incolumità della loro città e delle loro case sfiorate da queste tonnellate di acciaio più alte del campanile di San Marco, che non possono stendere la biancheria fuori della finestra che la tirano dentro sporca di fuliggine”. Già, perché le Grandi Navi, partorite da una economia fossile basata sullo spreco, non possono spegnere i loro motori nemmeno quando sono ormeggiate e continuano ad inquinare come una autostrada a tre corsie e a fare di Venezia, il luogo per antonomasia senza auto, la terza città più inquinata d’Italia.
“Per questo, noi attiviste del comitato, non abbiamo dubbi che domenica il popolo delle calli sarà in riva con noi – conclude Marta Canino -. La gente ce lo dimostra tutti i giorni avvicinandoci ai banchetti che stiamo organizzando nei campi e nelle calli per esprimerci solidarietà e vicinanza. E ce lo ha dimostrato anche nel referendum autogestito che abbiamo organizzato domenica 18 giugno, raccogliendo oltre 18 mila votanti in poche ore con una percentuale di favorevoli all’allontanamento delle Grandi Navi pari all’98,7 per cento. Di fronte ad una politica che non sa decidere e che è prona agli interessi di una economia armata che porta profitti per pochi e povertà per tanti, i veneziani hanno avuto il coraggio di alzare la testa e di ribadire che la laguna è un bene comune e non una proprietà privata della compagnie di crociera“.

La mal'aria di Venezia: le Grandi Navi

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A leggere le percentuali dei principali inquinanti, dalle microparticelle all’ozono, dal Pm10 al monossido di carbonio, dall’ozono al biossido di azoto, vien da credere di trovarsi nel bel mezzo di una autostrada a tre corsie. Ed invece siamo sotto il ponte di Rialto.
Avete letto bene. Sotto il ponte di Rialto, nel cuore della città che, unica al mondo, ha la fortuna di non essere ammorbata dal traffico automobilistico: Venezia.
Già, Venezia, la quarta città più inquinata d’Italia secondo una recente stima dell’Oms. La stessa stima che ha classificato l’aria che respiriamo nel nostro Paese come la peggiore dell’Europa occidentale.
E dopo il ponte di Rialto, che ha il “merito” di fare da effetto tunnel e trattenere gli inquinanti come fanno, per l’appunto, i tunnel autostradali, un alto punto critico della città lagunare è piazza San Marco.
Questo estate, nei momenti di maggior siccità, sotto le finestre dove si affacciava il Doge si sono registrati più sforamento dei limiti di sicurezza di Pm10 che a Milano. Altre città del Veneto, per molto meno, hanno bloccato e limitato la circolazione delle auto. Ma a Venezia, il traffico, che lo blocchi a fare?
Vien da chiedersi, allora, quale sia la causa di tutta questa mal’aria che tocca respirare ai lagunari. Una parte di responsabilità, senza dubbio alcuno, ce l’hanno i vaporetti del trasporto pubblico. Mezzi per lo più fatiscenti e inquinanti. Altra parte di responsabilità va tutta ai tanti, troppi barchini a motore che scorrazzano in laguna senza che l’amministrazione si sogni di porre un benché minimo freno al moto ondoso. Altro tema scottante in laguna, perché lo spostamento d’acqua che creano devasta barene e rive.


UNA CAUSA CHIARA: LE GRANDI NAVI
Ma il 40 per cento delle emissioni inquinanti che ammorbano la laguna ha una sola causa: le grandi navi. Sul ponte di una nave da crociera, ha dimostrato una ricerca condotta dall’associazione tedesca Naturschutzbund Deutschland, sono presenti concentrazioni di microparticelle fino a 200 volte superiori ai livelli di fondo naturali. Come dire che gli eleganti ponti dove i crocieristi si sdraiano in panciolle a prendere il sole, in assenza di benefici venti marini, sono più inquinati delle peggiori strade di Bombay. E poi uno dice: “Vado in crociera a respirare un po di aria buona!”
La verità è che questi condomini galleggianti che a Palermo si portano via tutta l’acqua della città come fosse roba loro, quando transitano nel cuore stesso di Venezia per raggiungere il mare aperto, scaricano i loro più pestilenziali effluvi creando una cappa di inquinamento che a Pechino se la sognano.
“Noi che abitiamo vicino al porto – mi ha spiegato una signora che ha casa a Santa Marta – non possiamo neppure mettere la biancheria ad asciugare fuori del balcone che la ritiriamo più sporca e puzzolente di prima. Le grandi navi tengono sempre il motore acceso anche quando sono ferme. Dai loro camini, i fumi neri non smettono mai di uscire. Mai”.
Le grandi navi utilizzano i combustibili più sporchi ed inquinanti presenti nel mercato e non possono permettersi di spegnere i motori neppure quando sono all’ancora per mantenere in funzione l’impianto elettrico e il ricambio dell’aria nei locali interni.
Figlie di una economia di solo profitto basata sui fossili, sul gigantismo e sul consumo acritico, questi villaggi turistici galleggianti per vacanze low cost, regalano profitti milionari alle compagnie di Crociera e possono permettersi un esercito di avvocati per impugnare e invalidare anche ordinanze ministeriali, come quella dei ministri Clini e Passera che nel 2012 ne aveva vietato l’ingresso in laguna.

IL (SOLITO) RICATTO OCCUPAZIONALE
Come sempre accade quando si parla di inquinamento sotto le lente dell’economia e ci si dimentica che gli effetti del riscaldamenti globale riguardano tutti e su tutta la Terra, le compagnie di Crociera hanno agitato il ricatto dell’occupazione. Venezia campa di turismo, hanno scritto nelle pagine pubblicitarie che hanno comperato sui giornali locali. Senza turismo Venezia muore. Non hanno scritto che se c’è una cosa che non mancherà mai a Venezia, grandi navi o no, sono proprio i turisti. Inoltre, i fruitori delle offerte low cost proposte dalle grandi navi non portano una lira in città. Per loro Venezia è solo il palcoscenico della partenza di una crociera che costerà al mondo una emissione di inquinanti atmosferici pari a 5 milioni di automobili. Se va bene, prenderanno un caffè in città. A bordo hanno già il “tutto pagato” e una offerta di souvenir “Made in Murano” che le fornaci dell’isola del vetro se la sognano.

Di fonte ad una lotta così impari, si sono rivelati del tutto inutili i tanti appelli lanciati dall’Unesco e di tante associazioni internazionali. Inutili anche i disastri, come quello al porto di Genova, causati da questi bulldozer del mare. Inutili, come sempre quando si parla di economia e di profitto, anche i richiami alla ragionevolezza per tutelare un bene prezioso per tutta l’umanità come l’antica città dei Dogi.
Le grandi navi, scortate da potenti rimorchiatori, continuano a transitare impunite in quello specchio d’acqua che il Palladio ha immaginato come una estensione liquida della piazza, dove si specchia il palazzo Ducale, allargando ad arte la prospettiva architettonica con la creazione di due tra le sue chiese più belle nelle vicine isole dei San Giorgio e della Giudecca.
E proprio questo canale detto della Giudecca è diventato la personalissima autostrada a tre corsie che inquina Venezia e avvelena i veneziani e, perlomeno per la durata delle loro permanenza, anche turisti e viaggiatori.

IL RICERCATORE:”MAI RILEVATO UN INQUINAMENTO SIMILE NEI PORTI”
“Ho effettuato valutazioni dell’aria in tanti porti e tante città ma un inquinamento simile non l’ho mai rilevato” ha dichiarato il dottor Axel Friedrich, esperto di inquinamento atmosferico, già capo divisione del settore Ambiente e trasporti della Germania e fondatori dell’Icct, il consiglio internazionale per i trasporti puliti. “In Italia, si continua a permettere alle navi di bruciare carburante di pessima qualità e di non adoperare i filtri antiparticolato con conseguenze tragiche per la salute di migliaia e migliaia di cittadini, per non parlare degli effetti nefasti sul clima, sulla città e anche sui monumenti”.
E, aggiungiamo noi, pure sulla laguna. Anche se non inquinassero, anche se dai loro camini che svettano più alti del campanile di San Marco, fuoriuscisse aria balsamica, basterebbe il continuo via via di questi mastodontici scatoloni galleggianti e il conseguente spostamento violento di grandi masse d’acqua, provocano la distruzione delle fondamenta stesse della città che, non dimentichiamolo, è stata costruita su palafitte di legno, piantate ad arte nei fondali per rafforzare le “barene”. D’altronde, basta fare una passeggiata lungo riva degli Schiavoni, la fondamenta della Giudecca o le Zattere per farsi una idea dello stato un cui versano le pietre di riva.

QUALCUNO A VENEZIA SI RIBELLA, TRA IL SILENZIO DI TV E GIORNALI
Eppure qualcosa di positivo, le Grandi Navi, lo hanno regalato alla città. Il loro rumoroso transito su un paesaggio delicato come l’ecosistema lagunare costellato di palazzi e chiese settecentesche, è talmente impattante che i veneziani hanno trovato la forza di ribellarsi.
Non c’è quindi da stupirsi se al referendum autogestito organizzato il 18 giugno scorso dal comitato No Grandi Navi, più di 18 mila veneziani si sono messi in fila ai banchetti elettorali per ribadire la loro contrarietà al passaggio di questi mostri del mare. Per l’esattezza 18 mila 105 voti su una popolazione che oramai si aggira sui 56 mila abitanti, vittima come è di un feroce spopolamento. Altra tragedia che sta massacrando una città che non sta vivendo, come afferma qualche osservatore poco attento, ma morendo di turismo. Più di 18 mila veneziani che, per il 98,7%, hanno scelto l’opzione: “Fuori le Grandi Navi dalla laguna e basta scavare altri canali”. Voti veri e tirati su in una sola domenica. Non una semplice raccolta di firme. I tabulati finali con tanto di nome cognome, carta di identità e indirizzo mail (per chi ce l’aveva) sono stati messi a disposizione di tutti.
Per amor di verità va detto che le urne sono state aperte anche a chi, pur non residente, lavora a Venezia o ha a cuore la città dei Dogi. Francesi, inglesi e tedeschi con i quali abbiamo raccolto alcune interviste durante la consultazione ci hanno dato l’impressione di conoscere il problema della salvaguardai di Venezia più a fondo di tanti italiani e residenti:”Molti giornali francesi parlano di Venezia e dello stato in cui si trova – mi ha spiegato una signora parigina in un italiano con tanto di congiuntivi esatti – Anche France 24 e France Télévisions hanno mandato in onda dei servizi sul problema delle Grandi Navi. Credevo che la questione fosse nota anche da voi ed invece scopro che tutto è tenuto sotto silenzio. Ma è una vergogna che una città come Venezia sia piegata agli interessi economici di compagnie di crociera che con la città non hanno nulla a che fare”.
In effetti, servizi sul degrado in cui una Venezia sempre meno Serenissima è stata fatta precipitare, sono stati pubblicati un po’ dappertutto, questa estate. Ma praticamente solo dalla stampa straniera.
Un articolo del New York Times, che ha paragonato Venezia ad una “Disneyland on the Sea”, è riuscito a scuotere anche il sindaco di Venezia, Brugnaro Luigi (lui si firma prima col cognome che col nome, ndr). Se avete sentito e compreso le sue affermazioni in dialetto trevigiano al meeting di Rimini su come si accoppano le persone che gridano “Allà al Bar” in piazza San Marco, forse vi sarete fatti un’idea del personaggio.
“Il degrado di Venezia? – ha dichiarato il primo cittadino – Tutta una congiura di quelli del Niù Iork Taim”.

Insomma: al New York Times avrebbero interessi ad ordire trame contro Venezia. Ma alla fin fine, anche Mr Dubai – lo chiamano così in città da quando ha affermato vuole “fare Venezia bella come Dubai” – è una perfetta espressione del degrado in cui una città sempre meno Serenissima è stata fatta precipitare, cui abbiamo già accennato.
A questo punto, appare evidente perché i veneziani, gli ultimi rimasti, abbiano preso così a cuore la battaglia contro questi moderni mostri marini e sabato 23 e domenica 24 settembre rilanceranno la mobilitazione con una “due giorni” europea che vedrà la partecipazione di tutti i movimenti ambientalisti italiani e d’oltralpe che si battono per la tutela del mare.
Ma non è soltanto una lotta contro l’inquinamento, non è solo la volontà di difendere la laguna, o, meglio, di quello che ne rimane. Quella che si combatte sullo sfondo del canale/autostrada della Giudecca è, per molti, una battaglia per la democrazia. Una battaglia tra chi afferma il diritto dei cittadini decidere sul futuro della loro città e chi, da uffici con sedi a Milano o in Svizzera, ritiene che al profitto di pochi possa essere sacrificato non solo il benessere di tutti ma anche un bene prezioso, unico ed irripetibile come Venezia e la sua laguna.

Poveglia, l’isola più infestata del mondo

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The most haunted isle of the world. Provate a scriverlo sul vostro motore di ricerca e scoprirete che si tratta di “Poveglia”.
Quei sette ettari e mezzo di case diroccate e di vegetazione incolta, nel bel mezzo della laguna sud di Venezia, sarebbero i più infestati al mondo da presenze ultraterrene: spiriti maligni, fantasmi di morti di pestilenze, vittime senza pace di folli esperimenti psichiatrici.
L’aspetto davvero incredibile della vicenda è che tra noi abitanti della laguna, nessuno ne era consapevole. Perlomeno sino a quella mattina del 18 luglio dell’anno scorso, quando, nell’aprire la pagina di cronaca cittadina dei giornali locali, i veneziani hanno letto la notizia del giorno: “I fantasmi “cacciano” 5 americani” (La Nuova di Venezia e Mestre), “Aiuto i fantasmi! Turisti americani portati in salvo dai vigili del fuoco” (Gazzettino).


Cinque boys del Colorado
Gli articoli, non privi di un certo sarcasmo, raccontavano il “singolare intervento” di salvataggio portato a termine da una “lancia” dei vigili del fuoco. Cinque ragazzi del Colorado, tutti meno che ventenni, avevano deciso di regalarsi una avventura da brivido trascorrendo una notte intera a Poveglia. Si erano fatti portare nell’isola da un taxi con un armamentario da Ghostbusters, quindi avevano salutato il marinaio chiedendogli di venirli a prendere il mattino dopo.
Poco dopo mezzanotte, una barca a vela che rientrava in porto dal canale di Malamocco, li ha sentiti urlare: “Ghosts, ghosts!”, Spettri, spettri. Lo skipper ha chiamato i pompieri che sono immediatamente accorsi e li hanno tratti in salvo. I cinque hanno poi raccontato ai giornalisti di aver avuto un “incontro ravvicinato” con i fantasmi dell’isola, di aver sentito voci e lamenti, rumori infernali che provenivano dal buio della notte… Presi dal panico, hanno abbandonato sul campo le attrezzature e sono scappati sul molo, urlando come anime dannate sino a che i vigili del fuoco non li hanno portati via dall’isola maledetta.
E così, questa estate, i veneziani hanno scoperto che tra le tante attrattive della loro laguna, c’è anche l’isola più infestata del mondo. La vera sorpresa però, come abbiamo scritto in apertura, è che quest’isola infestata è Poveglia. Isola che, nell’immaginario collettivo lagunare, è il posto più tranquillo del mondo. Ci siamo sbarcati tutti da ragazzini, alla ricerca di avventure alla Stevenson, a bordo del nostro primo “cofano”, l’equivalente lagunare del motorino. Più avanti con l’età, Poveglia è tappa obbligatoria per grigliare branzini in compagnia di amici e saltare i “peoci” raccolti in apnea ai piedi della “bricole”.
Ma che l’isola fosse zeppa di fantasmi inquieti… nessuno se lo immaginava.

L’isola maledetta… che non ti aspetti
Di presenza spettrali, nella tranquilla Poveglia, non si trova traccia in tutta la pur ricca letteratura di storia e di tradizioni popolari veneziane. Non ne parla Alberto Toso Fei nel suo “Veneziaenigma” (Elzeviro Edizioni), non ne fa cenno Marcello Brudsegan nelle sue “Guide Insolite” (Newton Compton), e tantomeno se ne trova traccia in “Venezia, luoghi di paure e di voluttà” (Edizioni della Laguna) scritto da Elena Vanzan. Neanche Espedita Grandesso, che ama romanzare leggende popolari tra il gotico e il pauroso in libri come “Fantasmi a Venezia” (Helvetia), ha mai recuperato qualcosa che riguardasse la placida Poveglia. Niente di niente!
Ma allora, come è venuto in mente a questi boys del Colorado di cercare fantasmi proprio a Poveglia? Questo era il vero mistero. E per avvicinarci a una possibile soluzione dobbiamo proprio guardare agli Stati Uniti d’America.
Ci riferiamo in particolare a una seguitissima – oltreoceano – serie televisiva che “indaga” il paranormale e ha dedicato una intera puntata a Poveglia. I metodi di “indagine”, lo avrete immaginato, sono ben diversi da quelli del CICAP. Tanto è vero che in più occasioni gli amici di Skeptical Inquirer hanno liquidato questa serie televisiva come “solo spettacolo e niente di più“.
La trasmissione si chiama Ghost Adventures (in italiano Cacciatori di fantasmi) e, negli Usa, va in onda su Travel Channel, uno dei canali Discovery. Un autentico successo di pubblico, considerando che la serie è alla sua 13esima stagione e continua a produrre nuovi episodi. Ghost Adventures è trasmessa anche in Italia su Sky, anche se nel nostro Paese ha ottenuto un seguito minore.
Manco a dirlo, la puntata che i ghostbusters a stelle e strisce hanno girato a Poveglia, “Poveglia Island”, e che è stata mandata in onda il 13 novembre 2009, è stata votata come una delle migliori della seria. Le riprese notturne all’infrarosso realizzate tra le chiese diroccate ed i palazzi invasi dalla vegetazione sono davvero spettacolari. Nel corso delle “indagini”, il regista, medium nonché capo investigatore Zachary Alexander Bagans detto Zag, viene addirittura posseduto da una delle anime dannate che infestano l’isola dando vita ad una scena degna di un film horror. L’anima inquieta lagunare che parlava un ottimo inglese, si rivelò particolarmente maligna e per il povero e posseduto Zag fu una esperienza terrificante. Tanto che ebbe a dichiarare: “Abbiamo quasi rischiato di dover interrompere le riprese!”

Island of No Return e Death in Venice
Pur se il “merito” di aver reso famosi nel mondo i fantasmi di Poveglia spetta alla troupe di Ghost Adventures, non è stato Zag Bagans il primo ad aver scelto questa location veneziana per ambientarci una storia di fantasmi. La puntata infatti, ricalca una trasmissione simile mandata in onda da Fox Family Channel per la serie “Scariest Places on Earth”, i luoghi più spaventosi della terra, che aveva come ospite la celebre attrice Linda Blair. Ve la ricordate? È la protagonista femminile del film “L’Esorcista”.
Le due puntate dedicate a Poveglia, intitolate “Island of No Return: The Venice Dare”, furono trasmesse il 19 e il 24 agosto 2001. Il tono era più documentarista rispetto alle “possessioni in diretta” che fanno rantolare come tarantolati i ghostbusters di Zag Bagans, e forse per questo la serie targata Fox Channel ottenne meno successo di pubblico.
Qualche tempo prima rispetto a Ghost Adventures, erano poi stati Yvette Felding e Paul O’Grady a visitare Poveglia. Il documentario “Death in Venice” fu trasmesso dal canale britannico Living all’inizio di novembre 2009.

Brividi veneziani
Sono state queste tre trasmissioni, capaci di regalare facili brividi allo spettatore ma non sostenute da una seria ricerca storica o letteraria, a fare di Poveglia “the most haunted isle of the world”.
C’è da rimarcare che, anche se nessuna tradizione locale testimoniata nella letteratura folklorica avalla la presenza di spettri a Poveglia, le suggestioni utilizzate nella trasmissione di Bagans per raccontare Poveglia e la laguna veneziana sono molte. Si racconta infatti di un’isola abbandonata a ridosso di una Venezia decadente, in una laguna misteriosa dove sorgono antichi lazzareti, ripugnanti ossari, conventi spettrali, vecchi ospedali psichiatrici, tra dottori della peste con la spaventosa bautta bianca sul volto, marinai levantini infetti e relitti affondati… Ce n’è più che a sufficienza per catturare l’attenzione dello spettatore in cerca di emozioni e misteri. E pazienza se a Poveglia – proprio a Poveglia tra tutte le isole della laguna – non c’è mai stato nulla di tutto questo. Mi spiega Alberto Toso Fei, scrittore e noto studioso di storia e tradizioni lagunari:
Durante la registrazione della puntata, la troupe della Fox Channel è venuta ad intervistarmi, in qualità di esperto di leggende veneziane. Volevano a tutti i costi che gli parlassi dei fantasmi di Poveglia. Io ripetevo loro che non mi interesso di fantasmi ma di tradizione scritta e orale veneziana e, in tutta questa vastissima letteratura non c’è la pur minima traccia di presenze spettrali a Poveglia. E questo è anche quanto gli hanno detto e ripetuto tutti gli altri studiosi ai quali si sono rivolti. Ma non è stato sufficiente a convincerli. Non gli importava nulla né della storia, né della letteratura o della tradizione scritta e orale di Venezia. Avevano scelto quell’isola per girare un documentario sui fantasmi di Venezia, mescolando un po’ di tutto a casaccio, e così han fatto.

Questioni di location
Un veneziano avrebbe scelto un’altra isola per collocarci degli spettri. Magari Sant’Ariano, l’isola ossario al largo di Torcello, dove trovano riposo centinaia di corpi prelevati dai numerosi cimiteri veneziani. Ma il contesto di Sant’Ariano si presta poco alla possibilità di spettacolarizzare, un ingrediente fondamentale per una trasmissione tv di successo. Vi si trova soltanto un muretto fatiscente che racchiude una boscaglia impervia. L’unica volta che ho provato ad entrarci, mi son dovuto fare largo col machete. Ciò che fa davvero paura qui, è l’incuria nella quale è stato abbandonato questo pezzo di storia veneziana. E invece la trasmissione racconta di una Poveglia piena di fosse comuni, ancora tutte da scoprire, dove sarebbero stati interrati migliaia di corpi di appestati. Anime senza pace che implorano ai vivi una degna sepoltura. Continua Toso Fei:
Io ho spiegato loro che quell’isola [fino alla fine del Settecento] non è mai stata un lazzareto [la rete sanitaria dei Lazzareti che circondavano Venezia era composta dal Lazzareto Vecchio e da quello Novo, attivi rispettivamente dal 1423 e dal 1468]. Solo in due occasioni due navi di appestati provenienti dai porti di levante, vi sono state poste in quarantena. La prima volta nel 1793 quando morirono 8 marinai e la seconda nel 1799 e perirono 12 persone. Sappiamo anche i loro nomi e cognomi. Ma di fosse comuni di appestati a Poveglia non ne troverete di certo.
Nei primi decenni dell’Ottocento, ci ricordano due medici dell’epoca, Angelo Antonio Frari e Gaspare Federigo, ci fu qualcha altro morto, ma in numero assai limitato.

Manicomi & storie truculente
Sempre secondo le “fonti” – o forse è meglio dire la fantasia – degli sceneggiatori di Ghost Adventures, Poveglia sarebbe divenuta, dopo la caduta della Repubblica, un manicomio dove medici sadici e folli praticavano terrificanti esperimenti sui pazienti. “Ma quale ospedale psichiatrico? L’isola era un ricovero per anziani, attivo sino agli anni ’60! Informatevi, dicevo loro. Posso darvi i numeri di telefono dei dottori che da giovani ci hanno lavorato… Ma non c’era nulla da fare. Loro volevano soltanto truculente storie di spettri. Ho capito che se non c’erano, se le sarebbero inventate. E lo hanno fatto”.
Altre sono le isole che fungevano da ospedali psichiatrici in laguna. San Servolo, per esempio. O San Clemente. Ma anche queste due isole, oggi recuperate e trasformate in eleganti centri congressi e sedi della Biennale, non si prestano troppo per girare scene come la possessione in diretta da uno spirito maligno, a differenza della nostra Poveglia. Come ogni regista sa, la location ha una importanza determinante per il successo del film.

Il tempo delle leggende
Facciamo caso alle date. Tutte le “notizie” che troviamo nei tanti siti dei sostenitori delle ipotesi paranormali riguardanti presenza spettrali a Poveglia, sono posteriori alla data di trasmissione della puntata di “Scariest Places on Earth”. È ovviamente possibile che gli autori del programma abbiano sentito da qualche parte un racconto sull’isola e abbiano deciso di dargli corpo in trasmissione, per quanto appunto nei testi che raccolgono le leggende locali non ve ne sia menzione. Ma è altrettanto plausibile che Poveglia sia stata scelta casualmente per ambientarci un racconto di fantasmi, inventando una leggenda di sana pianta. Resta il fatto che la fama mondiale dell’isola si deve senz’altro a questi due programmi statunitensi. E oggi nessuno, anche tra chi non crede ai fantasmi, dubita più che le storie di presenza spettrali siano sempre state una peculiarità dell’isola. Come quella del medico che nel secolo scorso si sarebbe buttato giù dal campanile di Poveglia, terrorizzato da chissà quale presenza demoniaca. Una storia che non trova riscontro in nessun giornale o sito precedente al 2009, e di cui nessun medico che lavorava all’allora ospizio ha ricordi, ma che viene ripetuta in tutte le pagine che trattano il “mistero” di fantasmi di Poveglia. Un “copia e incolla” senza verifica. Tanto per rimanere in tema, questa sì che è la vera pestilenza del nostro secolo!

Fantasmi? Sì, ma buoni
E così, quella tranquilla oasi lagunare dove i veneziani vanno a rifugiarsi quando proprio vogliono evadere da carnevali, mostre del cinema e orde turistiche, è diventata l’isola più infestata del mondo.
Ad alimentare la leggenda e ad aggiungere storie sempre nuove ci pensano i tanti gruppi di ghostbusters che ne hanno fatto una meta ambita delle loro scorrerie nel mondo del paranormale. Cacciatori di fantasmi targati Usa, come i cinque boys del Colorado, ma anche italiani, perché la leggenda dell’isola più infestata del mondo si è oramai diffusa anche nella Vecchia Europa.
A metà gennaio di quest’anno è stata la volta di un gruppo di ghostbusters dell’Epas (European Paranormal Activity Society). Anche loro hanno voluto trascorrere l’oramai tradizionale nottata da brivido tra i ruderi di Poveglia. Come è andata la loro caccia? Bene, hanno spiegato ai giornalisti che non hanno perso l’occasione di intervistarli. Hanno udito chiaramente il lamento di una bambina fantasma. Ma di presenza maligne come quella che ha assalito il povero Zag, no. Nemmeno l’ombra. I fantasmi a Poveglia ci sono, hanno assicurato, ma sono tutti buoni.

Senza tregua. A settembre si torna a manifestare contro le Grandi Navi, par tera e par mar

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E' il momento della svolta. Da un lato una intera città che ha sostenuto il referendum per ribadire il suo No alle devastazioni provocate dalle Grandi Navi, dall'altro un Governo che non sa governare e che - in incontri dove la trasparenza non la fa certo da padrona con gli alti dirigenti delle multinazionali crocieristiche - ancora torna a sbattere su progetti di scavo e di allargamento dei canali già bocciati dalla valutazione di impatto ambientale.
Per chi ha a cuore Venezia e la sua laguna, è il momento giusto di rilanciare la battaglia contro le Grandi Navi. Ed è questo che è stato ribadito in tutti gli interventi che si sono susseguiti questa pomeriggio nel chiostro di San Lorenzo, durante l'assemblea popolare riunita per commentare il risultato del referendum.
E partiamo proprio dai famosi "18 mila 105 Grazie" a tutti coloro che hanno votato ai seggi. "Una scommessa che abbiamo decisamente vinto e vinto ben oltre le previsioni" ha commentato Tommaso Cacciari del Laboratorio Morion. La generosità dei volontari che hanno seminato di banchetti la città d'acqua e la terraferma è stata superata solo dall'entusiasmo dei cittadini che si sono messi in fila per votare. E a proposito, è stato ricordato negli interventi in risposta a chi li ha accusati di aver "taroccato" le firme, tutti i 18 mila e 105 nominativi con mail, numero di carta di identità o patente, nome e cognome di chi ha votato, sono a disposizione di quanti vogliano effettuare una verifica.

Giustizia ad orologeria
Sul tempismo delle azioni giudiziarie, ne sono state dette tante, sia da destra che da sinistra. Sarà forse un caso, ma fatto sta che due giorni dopo il referendum sono arrivati i decreti penali di condanna ai tuffatori che hanno manifestato in acqua contro le Grandi Navi. Una chiamata a giudizio e la richiesta di una seconda "botta" da 2500 euro a testa (dopo la prima, già versata) che fa del Comitato Grandi Navi uno dei migliori contribuenti dello Stato italiano con la bellezza di quasi 200 mila euro di multe. Un chiaro tentativo, spiegano i portavoce dei No Navi, di intimidire chi lotta per la difesa del territorio. Tentativo che, assicurano, otterrà solo l'effetto di stimolarli ancora di più nella loro battaglia. "Senza considerare - commenta Andreina Zitelli - che i tuffatori hanno difeso la legge. Caso più unico che raro tra tutti i comitati, ma la bocciatura del progetto di scavo del Contorta ha comportato la caduta della deroga rilasciata dalla capitaneria di porto al passaggio delle Grandi Navi che era stato bloccato dal decreto Clini Passera. Sono le Grandi Navi quindi, quelle che violano la legge continuando a transitare per il canale della Giudecca". Magari la procura se ne accorgerà tra trent'anni. Come col Mose.

A settembre si ricomincia
Il referendum ha fatto fare il giro del mondo alla questione delle Grandi Navi a Venezia. Ne hanno parlato tutti i giornali nazionali e, ancor di più, quelli europei. Trasmissioni televisive che ritraevano questi mostri galleggianti che svicolano tra gli sterri canali della città più fragile della terra sono andate in onda negli Usa, nel Canada e anche in Corea, suscitando dovunque indignazione.
La marea di schede e di firme raccolte in una decina di ore saranno portate in tutte le sedi dove si sta decidendo il futuro della laguna. Ma l'assemblea di San Lorenzo ha anche deciso di continuare la mobilitazione dal basso rilanciando una "tre giorni", ancora tutta da organizzare, a settembre, a cavallo di domenica 24, approfittando anche dell'assemblea dei movimenti europei contro l'inquinamento prodotto dalle Grandi Navi in programma proprio a Venezia quel sabato.
Già. Perché non è solo Venezia ad essere asfissiata da questi condomini galleggianti per turisti che non sanno viaggiare. In laguna, casomai, abbiamo qualche problema in più per la fragilità dell'ambiente in cui manovrano. Ma l'inquinamento e i cambiamenti climatici che ne derivano (avete visto il meteo di questi giorni?), sono un problema di tutti. Anche di chi non ci crede. Anche di chi al passaggio delle Grandi Navi si dice d'accordo.

E' arrivata la siccità. Tra cambiamenti climatici e cattive gestioni, il futuro è arido

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Una lunga striscia di sabbia. Una volta lo chiamavamo fiume Adige. E la Piave, solo per restare in Veneto, non è ridotta molto meglio. In quanto al lago di Garda, uno dei bacini idrici più grandi d'Italia, siamo all'allarme rosso: il livello sta scendendo di due centimetri al giorno e attualmente è attestato sui 70 cm, contro i 128 o 130 dei tre anni precedenti.
Le altre regioni italiane non sono messe meglio. Solo nell'ultimo anno, in Sicilia, le riserve idriche sono scese del 15 per cento. In Emilia, le città di Parma e Piacenza hanno dichiarato lo stato d'emergenza. La Sardegna è alla disperazione. Rispetto alla stagione precedente, le precipitazioni sono state minori del 40 per cento e il rifornimento idrico per le coltivazioni hanno registrato punte del 90 per cento di deficit. Anche se la situazione migliorasse improvvisamente, saranno ben poche le coltivazioni dell'isola che riusciranno a sopravvivere.
E poi leggi che che il Food sustainability index - lo studio internazionale dell''Economist Intelligence Unit che mette in relazione risorse e sostenibilità - piazza l'Italia al sesto al mondo per quantità di acqua a disposizione!
Stavolta però, i cambiamenti climatici non c'entrano. O meglio, c'entrano a livello globale. L'eccezionale ondata di caldo ha colpito tutto il bacino Mediterraneo sino al nord Europa. Solo in Italia, è stata registrata una temperatura media di 1,9 gradi in più rispetto alla media stagionale. Fatto salvo per il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, nessuno mette più in dubbio che questi picchi siano imputabili alla nuova stagione climatica verso cui l'intero pianeta si sta avviando, oramai, senza possibilità di ritorno.


Ma perché allora abbiamo scritto che, nel caso dell'Italia, i cambiamenti climatici non c'entrano con la siccità? Perché l'Italia avrebbe tutti i mezzi per far fronte perlomeno a questa prima fase dei cambiamenti se avesse dei politici all'altezza di gestire le risorse a disposizione. Politici capaci di uscire dalla fase emergerziale per impostare una oculata politica di gestione del bene comune.
Ed invece è l'opposto: il tema dei cambiamenti che avrebbe bisogno di strategie più a lungo che a breve termine, è sottovalutato - per dirla in maniera gentile - dai nostri politici di Governo e anche di opposizione. Evidentemente, è un tema che, al contrario di quelli legati alla "sicurezza" e al "degrado", non porta facili consensi.
Il risultato è davanti agli occhi di tutti. Siamo uno dei Paesi più ricchi d'acqua e sprechiamo al bellezza di 2,8 milioni di metri cubi di acqua potabile al giorno - più di un quarto del totale - convogliandola in acquedotti che sono delle autentici scolapasta. Anche gli acquedotti dell'antica Roma erano più funzionali degli attuali.
E non è tutto. Anche noi italiani, siamo spreconi. Colpa nostra certamente, ma anche di chi avrebbe dovuto fare e non ha fatto una efficace informazione. Il nostro consumo pro capite è superiore al 25 per cento rispetto alla media europea.
E vanno pesati anche i consumi dovuti ad una agricoltura che ha fatto dello spreco, dell'insostenibilità e dei sussidi statali il suo punto forte. L'89 per cento delle nostre risorse idriche se ne vanno a coprire queste produzioni. E anche qua, siamo gli ultimi in Europa con un utilizzo di di oltre 2 mila e 200 litri per italiano all'anno. Come dire che se ogni giorno ciascuno di noi beve circa due litri d'acqua, ne consuma quasi 5 mila per l'alimentazione. Basterebbe solo adottare la dieta mediterranea - si legge nel Food sustainability index - privilegiando i prodotti di stagione prodotti da una agricoltura per quanto possibile sostenibile e non aggressiva verso l'ambiente, per abbassare a 2 mila litri al giorno il consumo pro capite e rientrare nei parametri europei.
Tutti discorsi che la politica di governo, impegnata a salvare banche e a costruire emergenze sui migranti, non vuole ascoltare. Preferisce dichiarare "Stati di emergenza" - come ha fatto il governatore del veneto, Luca Zaia - che hanno il solo obiettivo di mungere qualche milionata di euro allo Stato. Euro che che finiranno nelle tasche degli agricoltori in modo da che possano continuare a fare agricoltura proprio come la fanno adesso e che, di sicuro, non verranno utilizzati per mettere in efficenza il nostro disatrato sistema idrico. Senza contare che la cattiva gestione delle risorse idriche ha avuto come conseguenza in tante amministrazioni, il loro affidamento al privato. Cosa che, come era lecito aspettarsi, ha comportato solo un aggravio di spesa per i contribuenti ed un peggioramento della gestione complessiva della "merce" in termini di sprechi. Più ne viene adoperata, e più il privato guadagna.
Quello che non vogliono sapere, i nostri amministratori, è che gli studi della Convenzione delle Nazioni Unite Contro la Desertificazione, hanno inserito nelle zone a rischio anche l''Italia. Il 70 per dell'intera Sicilia, il 58 per cento della Puglia e del Molise e, in percentuali poco minori anche le altre regioni, rischiano di trasformarsi in un Sahara.
Se va avanti così, tra i futuri migranti climatici, che tra il 2008 e il 2015 sono stato oltre 200 milioni, presto ci saremo anche noi italiani.

"Sopravvivere a Sarajevo", voci dall'assedio a Sherwood 2017

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Il Washington Post l'aveva definita "una perfetta parodia di una guida turistica alla moda". Il formato era quello delle celebri Michelin, infatti, ed anche le informazioni che vi si trovavano erano quelle che ci si aspetta di trovare in una guida: come vivere in una città straniera. Ma nel caso in questione, la parola esatta sarebbe "sopravvivere". La città infatti è Sarajevo ai tempi dell'assedio (1992 - 1996). La "Survival Guide Sarajevo" nasceva all'interno della città martoriata da un collettivo di artisti e scrittori, Fama, per dare voce alle tante pratiche di resilienza messe in atto dai cittadini della città bosniaca. Le informazioni che trovate sulla guida non sono quindi "dove si beve la migliore birra di Monaco di Baviera" ma "come costruire una lampada ad olio con un bigodino di metallo e un batuffolo di cotone", oppure "come coltivare funghi nello scantinato che serve anche da rifugio dai bombardamenti", "come attraversare la strada senza farsi cecchinare" o, ancora più importante, "come far sorridere e distrarre un bambino mentre fuori sparano".



Voci preziose che  ti mettono in mano l'assurdità di una guerra meglio di tanti articoli di giornale. Voci che non scivolano mai in ragionamenti moral o politici ma che restituiscono la quotidianità di persone che lottano per non precipiare nella pazzia in un mondo che nella pazzia è precipitato. Venticinque anni dopo la fine dell'assedio, la guida è stata anche tradotta in italiano dall'editore bolognese Matteo Pioppi, fondatore della Bébel. Ho avuto il piacere di partecipare con lui all'incontro che si è svolto ieri sera sotto il tendone della libreria dello Sherwood Festival in cui abbiamo chiacchierato insieme sulla guerra nei Balvcani rileggendola sulle pagine di questo libro che ha intitolato "Sopravvivere a Sarajevo". Nel video che potete scorrere in fondo alla pagina, Matteo ci spiega perché, in un quadro politico in cui ci viene raccontato che tutto è merce e l'unica alternativa che abbiamo sia scegliere tra il nazionalismo e il neo liberismo, questa guida è più che mai attuale. Di più, indispensabile per riflettere su ciò che davvero è importante nella vita.

Referendum Grandi Navi. Non ha vinto solo il Si', ha vinto la democrazia

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Lasciamo parlare i numeri. Votanti: 18 mila 105, in una sola giornata di raccolta schede, dalle 9 di mattina alle 18 di sera. Favorevoli all'allontanamento delle Grandi Navi dalla laguna il 98,7 per cento, uno per cento i contrari, 0,3 schede annullate. Lasciamo parlare i numeri e abbiamo già detto tutto. Il resto sono tutti tentativi di sminuire una reale pratica di democrazia dal basso da parte di spaventati politici di palazzo. "Si sono votati tra di loro" ha detto qualcuno. "Hanno fatto votare anche i cani e i gatti" ha rilanciato qualcun altro. Ma chiunque si sia anche solo avvicinato ad uno dei 46 banchetti elettorali predisposti dal comitato No Grandi Navi sa bene che non è così. Le attiviste e gli attivisti ai seggi hanno sempre chiesto ai votanti un documento di identità valido. Tutti i nomi sono stati diligentemente registrati nei moduli predisposti con firma, mail (facoltativa), numero del documento e sono a disposizione di quanti vogliano verificare. Avessimo voluto copiare l'elenco telefonico di Venezia lo avremmo fatto spendendoci meno tempo, meno soldi e pure meno sbattimento dei cosidetti. Ed avremmo facilmente raggiunto cifre di "votanti" ancora più elevate. Ma non sarebbe stata la stessa cosa. Perché quei banchetti sono stati prima di tutto un presidio della città. Una dimostrazione -anche per noi stessi - che possiamo riprenderci un bene che ci è stato scippato. E' anche per questo, e non per qualche punto di percentuale in più di votanti, che abbiamo aperto la consultazione a studenti fuori sede, pendolari e anche a turisti. Perché il referendum è stato anche uno strumento per parlare e per ascoltare la città. Una città che è fatta anche di studenti fuori sede, pendolari e turisti. Come quei tanti francesi che si sono avvicinati al mio seggio, alle Fondamente Nuove, per chiedere come sia stato possibile che un luogo magico come "Venise" venisse brutalizzata da quel mostro chiamato Mose (i giornali francesi non sono mai stati raggiunti dalla lunga mano del Consorzio e hanno potuto scrivere la verità!), oppure come sia possile che il Governo continui a permettere a quei condomini galleggianti delle Grandi Navi di ammorbare la laguna.

Voci di una città
E non è neppure vero che "ci siamo votati tra di noi". A parte il fatto che saremmo stati comunque tanti, ai seggi si sono avvicinati a chiedere la scheda anche persone molto distanti dal nostro pensiero. Tanto per citare un episodio di colore, al mio seggio si è avvicinato un signore con un fazzoletto verde al collo. Io speravo che fosse verde… "green". E dopo il voto mi chiede sorridente se faremo dei banchetti anche per raccogliere firme contro lo Ius Soli! Le Grandi Navi però no. Sporcano, inquinano, devastano… quelle non le vuole nemmeno lui.
Sono tante e diverse le voci della città che abbiamo raccolto in questa domenica. Camilla: "Una signora esita prima di prendere la scheda e mi chiede chi siamo. Glielo spiego e rispiego ma lei non è convinta. Alla fine rompe gli indugi e di domanda: 'Ma non sarete mica di Casa Pound?'" No. Su questo punto può stare davvero tranquilla, signora". Riccardo: "Da noi sono venute tente persone che abitano a Santa Marta. Sono le più incazzate. Qualcuna fa anche discorsi che oscillano tra la destra e il populismo, ma poi racconta che non riescono a vedere la Tv per le emissioni radio delle Navi e che i panni stesi diventano neri se li lasciano un po' di più al sole. Pensa i polmoni…" Marco: "Una signora mi ha raccontato di essere veneziana per nascita ma che risiede a Milano dagli anni '70. E' tornata apposta per votare al nostro referendum. Sentiva di doverlo fare per la sua Venezia". Luciano: "Al Lido abbiamo fatto il botto. 1286 schede solo a Santa Maria Elisabetta. E' venuta anche una decina di persone a votare a favore delle Grandi Navi. Una signora attempata urlava che era una fan di Brugnaro, che lei ne vuole decine e decine di Grandi Navi in laguna perché portano 'schei'. Ha chiesto una scheda è ha votato No. Contenta lei…" Maddalena: "Si avvicina questo tipo lateralmente e mi chiede piano se può votare anche lui che ha fatto una crociera su una Grande Nave. Gli chiedo un documento e gli dò la sua scheda. 'Che spettacolo - mi fa - tutta Venezia dall'alto… indescrivibile! Poi la crociera, per me che non vado in discoteca e non gioco d'azzardo, è stata una noia mortale… ma quello spettacolo valeva tutto. Io le capisco le compagnie di crociera, sa? Ma no, non si può farle passare per la laguna. Non è giusto. Peccato però".
L'unico tentativo di innescare una provocazione lo abbiamo registrato a Santi Apostoli. Flavio: "Sono arrivati questi due che mi raccontano di essere ingegneri del Consorzio. Vogliono discutere sul Mose, tutti ne parlano male, dicono, ma nessuno di noi è mai stato arrestato, e non è vero che non funziona o che non serve… Io gli cito D'Alpaos ma quelli mi zittiscono subito alzando la voce. D'Alpaos è un cretino che spara solo idiozie, dicono, ma è chiaro che vogliono provocare. Si mettono davanti al banchetto ed impediscono alle gente di avvicinarsi per votare. Provo a non dargli corda, quelli vogliono una scheda e continuano a parlare. Alla fine votano No e se ne vanno".

Ma la domanda più frequente ai seggi è solo una: "servirà a qualcosa?" Anche le risposte sono sempre le stesse. Scontate. Chi smette di lottare ha già perso. Chi non molla alla fine qualcosa ottiene. Eppoi vuoi mettere la soddisfazione di rompere le scatole a certa gente?
Ma dietro la domanda c'è la crisi profonda di una politica che è scappata di mano non solo ai partiti ma anche alle amministrazioni, come quelle comunali, che dovevano essere le più vicine ai cittadini e che non contano più nulla anche nei rari casi - e non è certo quello di Venezia! - in cui cercano di mettersi di traverso ai grandi interessi economici.
Le persone che ieri sono venute ai nostri seggi a prendere la loro scheda, sia che abbiano votato per il Si che per il No, non chiedevano solo una soluzione al problema delle Grandi Navi. Chiedevano anche democrazia.

Referendum Grandi Navi. L’appello di EcoMagazine per il SI’

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Ci siamo. Oggi l’altra Venezia, quella che respira con la sua laguna, la Venezia che non ci sta a lasciarsi trasformare in un grande parco giochi per turisti, questa Venezia no logo, scende in calle e va a votare. Le attiviste e gli attivisti del comitato No Grandi Navi, dei centri sociali e delle associazioni ambientaliste hanno sistemato seggi in tutte i principali luoghi della città. Sarà impossibile per un veneziano, o anche per un visitatore diretto alla Biennale o alle spiagge, uscire di casa senza incocciarne uno. Un modo anche questo di riappropriarsi dei campi e delle fondamente della nostra città e di rispondere con i fatti a chi si lamenta del degrado scrivendo lettere ai giornali o postando foto di amorosi lucchetti serrati nelle ringhiere dei ponti sui social.
Perché, sia ben chiaro a tutti, che non andremo a votare solo per cacciare le Grandi Navi dalla laguna. Certo, quelle specie di condomini galleggianti, con i motori accesi anche all’ormeggio, sono una fabbrica di inquinamento come neanche un inceneritore riesce ad essere. Certo, il loro assurdo via vai per scarrozzare qualche turista idiota e dargli l’illusione di aver viaggiato per mare, ha il solo effetto di far guadagnare milioni alle compagnie crocieristiche e maciullare i fondali della laguna mettendo a rischio un equilibrio salvaguardato per secoli. Certo, il gigantismo ha fatto il suo tempo come le energie fossili che lo hanno nutrito. In qualunque direzioni questi villaggi vacanze low cost galleggianti girino la prua, il futuro della terra - sempre che la terra abbia un futuro - sta dall’altra parte.


Tutto questo è vero. Ma nel referendum che voteremo oggi, in quella scheda che ci chiede di decidere se le Grandi Navi debbano rimanere fuori o dentro la laguna, c’è molto di più. C’è la voglia inarrestabile di una città unica al mondo e dei suoi cittadini, lasciatemelo dire, anche loro unici al mondo, di riprendersi in mano il destino e cominciare a guardare al futuro come ad un orizzonte verso il quale dirigersi.
Di immaginare un domani possibile per la nostra città, di compiere quelle scelte a difesa della laguna che il Governo centrale, al pari di quello regionale, non ha mai saputo o voluto fare, limitandosi ad avallare passivamente gli interessi delle grandi compagnie che hanno mercificato, stuprato ed umiliato un bene prezioso, come la nostra incantevole laguna, che appartiene a tutti i veneziani come a tutti coloro che amano con sincerità la nostra città. E non è per caso che il referendum dia anche a loro il diritto di esprimersi col voto.
Perché, il vero degrado che affligge l’antica città dei Dogi non sono i lucchetti sui ponti (che ho trovato in tutte le città del mondo in cui sono stato) e neppure qualche turista sbalconato che si tuffa di testa in canal Grande (cosa che, magari non nel Canalasso ma in qualche canale secondario, facevano anche i nostri genitori). Il vero degrado di Venezia è stato lo scippo ai danni dei suoi cittadini della possibilità di decidere sulla loro città. E tutto in nome degli interessi del mercato. Perchè Venezia, come spiega sempre il nostro, ahimé, sindaco Brugnaro Luigi "xe schei". Il degrado invece, sono proprio questi "schei". Il degrado è il Mose e quel consorzio di banditi che ha corrotto, devastato ed inquinato la democrazia. Il degrado sono le barene artificiali e la trasformazione della laguna in un braccio di mare aperto. Degrado è non aversi saputo dotare di strumenti, come doveva essere il parco della laguna, atti a tutelare un ecosistema unico al mondo. Degrado è una giunta comunale che pensa di risolvere il problema del degrado licenziando gli operatori sociali e assumendo vigili palestrati e pistolettati come cowboy.
Le Grandi Navi, che nessuno a Venezia vuole ma che continuano ad andare su e giù nei nostri canali alla faccia nostra… anche questo è degrado.
Per questo domani andremo tutti a votare. Come in quella vecchia canzone che ascoltavo da ragazzino: per riprenderci in mano la vita, la terra, la luna e l’abbondanza.
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