In questa pagina ho riportato gli ultimi articoli che ho scritto per il quotidiano ambientalista Terra, il settimanale Carta, Manifesto, per siti come Global Project, FrontiereNews o siti di associazioni come In Comune con Bettin e altro ancora.

Il gasdotto for dummies. Ovvero, perché noi stiamo dalla parte degli ulivi

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Ulivi contro manganelli? Noi stiamo dalla parte degli ulivi. Anche perché i manganelli scendono sempre in campo quando le altre argomentazioni non convincono. Reprimere e criminalizzare, è un buon sistema per evitare di dare risposte. Soprattutto quando le risposte non ci sono o sono ben diverse da quelle che la propaganda ufficiale cerca di propinarci. In gergo tecnico, si chiamano "bugie". Ecco di seguito un elenco commentato con le principali "bugie" che raccontano quelli che stanno dalla parte dei manganelli. E che, non per altro, hanno bisogno dei manganelli.

Tap, di cosa stiamo parlando?
Lo possiamo leggere nel sito stesso della Trans Adriatic Pipeline: "Tap, Trans Adriatic Pipeline, è il progetto per la realizzazione di un gasdotto che trasporterà gas naturale dalla regione del Mar Caspio in Europa. Collegando il Trans Anatolian Pipeline alla zona di confine tra Grecia e Turchia, attraverserà la Grecia settentrionale, l’Albania e l’Adriatico per approdare sulla costa meridionale italiana e collegarsi alla rete nazionale".

Gas naturale, naturalmente.
Tutta la campagna pubblicitaria a favore del Tap si basa su due equivoci di fondo. Entrambi montati ad arte. Il primo è che "Una volta realizzato, costituirà il collegamento più diretto ed economicamente vantaggioso alle nuove risorse di gas dell’area del Mar Caspio", come si legge sempre sul loro sito che evita di spiegare per chi è "economicamente vantaggioso".
Il secondo è quello del "gas naturale". Naturale come dire che è ecologico. Ma stiamo parlando di metano. Siamo d'accordo che bruciare carbone è più inquinante ma non dimentichiamo che il metano, come tutti i combustibili fossili, fa parte delle energie non rinnovabili, quelle che a Parigi (ce lo vogliamo ricordare o no?) sono state buttate fuori dalla storia dell'umanità. dell'umanità che vuole avere ancora un futuro su questa terra, intendiamo. Il metano è un climalterante, è tutt'altro che un combustibile ecologico ed è un gas serra. Quando, sempre a Parigi, parlavamo di "decarbonizzazione" non intendevamo il processo di sostituzione del carbone col gas, ma abbattere le emissioni di carbonio. Quelle emissioni che anche il metano produce.
Il Tap, come tante altre Grandi Opere, si basa su queste due fondamenta di argilla: convenienza economica e 'sviluppo'. Siccome è facile smentirle con un po' di dati, le manganellate si rivelano sempre necessarie per convincere gli ambientalisti recalcitanti. Dove non può la logica…


L'obiettivo del Tap è variare le rotte di importazione del metano che oggi sono appannaggio di un Paese tutt'altro che stabile e amico dell'Europa come la Russia di Putin.
Già. Perché la Turchia guidata da quel Pinochet del Bosforo che altro non è Erdogan è un Paese serio, democratico e affidabile! Per non parlare della Georgia e dell'Azerbaijan, dei satrapi che le governano e che, oltretutto, pescano parte del gas che rivendono a noi proprio dalla Russia di Putin.

Grazie a questa condotta, l'Italia diventerà un hub dal metano. (Hub è un inglesismo brutto ed inutile per dire "fulcro". Noi lo usiamo perché tutta la propaganda a favore della Tap usa questo termine e ciò da anche l'idea del valore di questa propaganda.)
Manco per sogno. La Germania ha già investito sul raddoppio del North Stream che le porta il gas direttamente dai giacimenti russi. Il gas proveniente dagli Stan ce lo dovremmo ciucciare tutto noi. Anche perché la Francia non ne ha bisogno, visto che ha il nucleare. E così la Croazia.

Questo gas ci serve.
In Italia nessun Governo ha mai affrontato la costruzione di una politica energetica seria. Così come, ad esempio, hanno fatto Paesi come la Svezia o la Danimarca, pianificando per tempo il passaggio alle rinnovabili sulla lunghezza di decenni. Per cui nessuno può dire quanto metano servirà agli italiani nei prossimi anni. Due fatti però possiamo notare. Il primo è che la nostra capacità di importare metano, anche senza Tap, è già doppia rispetto ai fabbisogni attuali. Il secondo è che la tendenza dell'ultimo decennio all'uso di gas è in diminuzione.
La realtà è che il mondo sta cambiando. Le rinnovabili stanno rivoluzionando l'economia e non ci sono dubbi che alla fine, nonostante la fortissima e violenta resistenza delle multinazionali dei combustibili fossili, vinceranno loro. I Paesi che si adegueranno arriveranno primi al traguardo della storia. Il Trans Adriatic Pipeline ci riporta alla partenza.

Il governatore Emiliano gioca sporco sul Tap e cerca di spostare gli equilibri in vista del congresso del Pd.
Domenica scorsa, dopo una combattutissima partita, il Campodarsego si è imposto 2 a 1 sull'Union Feltre nella 29esima giornata del campionato di serie D, girone C. Come dite? Non ve ne frega niente? Neanche a me dell'Emiliano e del congresso del Pd.

I soldi investiti sono dei privati. Gli italiano avranno solo benefici in bolletta.
Questa barzelletta l'abbiamo già sentita e non ci diverte più. Il privato geneticamente modificato che lavora per gli interessi pubblici devono ancora inventarlo. Il Tap, oltre che dalle sei società iniziali - Saipem, Bp, Socar e in misura minore Fluxys, Axpo e Enagas - è finanziato anche dalla Banca Europea per gli Investimenti (che avrebbe nel suo statuto la mission di combattere i cambiamenti climatici, pensate un po') e vi partecipa anche la Snam con altri soldi pubblici che prima o poi ci ritroveremo in bolletta. Ricordiamoci soltanto del rigassificatore di Livorno. Altra Grande Opera "strategica" sull'approvvigionamento di metano che doveva essere realizzata interamente dai privati e poi si è trasformata nell'ennesima inutile incompiuta capace solo di fagocitare vagonate di finanziamenti pubblici. E senza che i privati ci abbiano rimesso un euro. Anzi.

Gli ulivi verranno solo spostati e non distrutti.
Che bello! E i poveri orsi polari che per colpa dei cambiamenti climatici si troveranno senza ghiaccio sotto il culo, li carichiamo su una nave e li portiamo nello zoo del film Madagascar. Scherzi a parte, non possiamo ridurre problemi complessi che richiedono una soluzione radicale al destino di ulivi e di orsi. Rispondere, a chi ribadisce il suo No al Tap chiedendo una diversa politica energetica, che gli ulivi saranno risparmiati, vuol dire fare brutta demagogia. Talmente brutta che servono le manganellate per farla entrare nella testa degli ambientalisti. E poi cosa significa "li spostiamo su un altro posto dove si troveranno ancora meglio"? Se son cresciuti là, devono restare là. Se c'è un altro posto adatto, piantiamoci ulivi giovani e facciamoli crescere. Con questo ragionamento, tra un po' sposteremo tutte le opere d'arte, anche quelle architettoniche, dentro musei privati a pagamento ed i paesaggi li ricorderemo in cartolina. A pagamento, pure queste.

Il metano ci aiuta nel passaggio alle rinnovabili
Questo sarebbe vero se ci fosse un Governo più serio. Ma, d'altra parte, un Governo più serio avrebbe fermato le trivelle in mare e non si imbarcherebbe mai in una opera senza futuro come il Tap. Il rischio, piuttosto, è che avvenga il contrario. Il nostro Paese attualmente ha creato una sovracapacità di energia elettrica basata sui fossili e in particolare sul metano che finisce per rallentare, se non addirittura opporsi, ad un auspicabile passaggio verso le rinnovabili.
Soprattutto, perseverare in questa direzione, ostinata e contraria ad un futuro senza fossili, ci allontana dalla vera soluzione che è la creazione di una politica energetica sostenibile, atta a contenere davvero i cambiamenti climatici. Bruciare metano al posto del carbone, - come ci ordinano le multinazionali del Tap - non è la risposta corretta alle domande che sono state poste negli incontri di Parigi. La soluzione è sempre quella: risparmiare energia, consumare meno, combattere lo spreco, utilizzare mezzi sostenibili, rinunciare al superfluo.
Ma non abbiate timore che un giorno ci arriveremo. Il giorno in cui i fossili saranno solo un ricordo e non sarà più l'economia ma la scienza e la democrazia dal basso a dettare l'agenda politica.

In Veneto c'è un'enclave dell'accoglienza

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Qui tra i monti del Cadore
oggi è un giorno un po' speciale,
gli invitati sono in tanti
e tre coppie a festeggiare.
In paese le notizia ha stupito anche il prete,
Tre figlie con la mano con un giovane africano!

Cinquemila persone sfilano tra le calli e i campi di Venezia. Cinquemila persone in marcia per l'umanità, dietro ad un grande striscione ricamato con la scritta "Side by side", fianco a fianco. Sono ragazze e ragazzi degli spazi sociali del Veneto, sono migranti, sono "seconde generazioni", sono cittadine e cittadine, sono profughi, richiedenti asilo, attivisti di associazioni umanitarie e di diritti umani.
Cinquemila persone che hanno risposto così all'appello del City Plaza di Atene e della Campagna #overthefortress di Melting Pot, a scendere nelle piazze d'Europa - nei "campi" nel nostro caso lagunare - per dare corpo e parole a quanti non possono rassegnarsi ad accettare un presente di odio, barbarie e falsa informazione.

Cinquemila persone e una sola, ripeto, una sola!, fascia tricolore. Ed è stato così che, in una domenica 19 marzo accarezzata di primi zefiri primaverili, ho conosciuto Alessandra Buzzo, sindaca di Santo Stefano di Cadore. Alessandra è una bella signora bionda dall'aspetto giovanile. Non mi sogno nemmeno di azzardarle una età. Veste in maniera semplice, come si conviene ad una manifestazione: jeans, scarpe da ginnastica e una giacca a vento imbottita gialla. Lassù, nella verdi vallate del Cadore, deve fare ancora freddo. E' venuta a Venezia come sindaca, con tanto di fascia tricolore, come abbiamo detto. Santo Stefano, tra tutti i 576 Comuni del Veneto, è quindi l'unico che ha ufficialmente aderito all'iniziativa per i diritti dei migranti.

E se la cosa non vi stupisce abbastanza è perché non conoscete il Veneto. L'aria che tira da queste parti, e soprattutto tra i Comuni di montagna, è quella delle barricate contro chi viene dal mare, dei Gonfaloni di San Marco usati a sproposito (la Serenissima era assai più accogliente, e guardava più al Mediterraneo che alle Alpi), degli albergatori che protestano perché i profughi danneggiano il turismo, dei sindaci che rifiutano di accogliere perché il loro Comune ha già troppi problemi per caricarsene di altri, dei cretini che hanno paura delle malattie portate dai migranti e magari poi rifiutano di far vaccinare il figlio, dei predicatori del "non possiamo accogliere tutti" per non accogliere nessuno.

Cantano ancora i Modena City Ramblers. (Poi spieghiamo il perché della scelta di questa canzone a dare musica all'articolo).

C'è chi dice " non so razzista
ma ci tengo alla mia valle" …
e chi storce pure il naso
e alle spalle va a colpire.


E riprendiamo a raccontare di Alessandra Buzzo. Quando mi si è presentata, nel bel mezzo del corteo, ho subito pensato che era un nome che avevo già sentito. Ma dove? E' bastata una ricerca in rete per ricordare il fatto di cronaca che l'aveva resa famosa. E' la sindaca del paese dove i fedeli avevano intimato al prete di non dare la comunione ai profughi!
Facciamo raccontare a lei come è andata la faccenda.
Siamo a Santo Stefano di Cadore, piccolo paese con poco più di 2600 abitanti sovrastato dal monte Col e posto alla confluenza del fiume Piave, sacro alla patria, col torrente Padola. La provincia quella di Belluno. Profondo Veneto. E' venerdì 13 maggio dell'anno del signore 2011. Non nel medioevo. Nel 2011.

"La prefettura mi aveva telefonato alle 16 per dirmi che un pullman con 90 ragazzi in fuga dalla guerra e dalla fame sarebbe arrivato nel mio Comune verso le 20 di quella sera stessa. Lì per lì, mi venne da rispondergli che non se ne parlava neppure. Che, quantomeno, avrebbero dovuto avvisarmi con qualche giorno di anticipo. Ma poi ho pensato: e se ci fosse uno dei miei figli là in mezzo? E se io fossi una delle madri di questi ragazzi, come vorrei che fosse trattato mio figlio? Così non ci ho pensato più sù, e, grazie all'aiuto di un gruppo di volontari, ho sistemato 90 brande e preparato 90 pasti. Ci son cose per cui i calcoli politici non valgono nulla. Di fronte a qualcuno che ha bisogno, c'è una cosa sola che una sindaca può fare: darsi da fare ad aiutarlo. Certamente, i miei concittadini non l'hanno presa bene. Nei giorni successivi gruppi di genitori hanno picchettato la scuola dove lavoro come amministrativa. E la cosa più sconvolgente è successa la domenica, quando qualcuno di questi ragazzi in fuga, ha voluto andare a messa! Le mamme sono insorte contro il parroco chiedendogli di non dare la comunione ai loro figli con le stesse mani con le quali aveva toccato i profughi!"

Vien da chiedersi se Gesù Cristo si disinfettava le mani prima di moltiplicare pani e pesci, con tutti quei luridi palestinesi che toccava ogni giorno.
Ma a parte queste amenità, desta qualche perplessità il comportamento della Prefettura, che avvisa un Comune con solo 4 ore di anticipo sull'arrivo di 90 persone alle quali trovare una sistemazione.
"Come venni a sapere dopo, fu una sorta di punizione. Nel 2011 assistevamo ai primi arrivi di migranti e già tutti gli altri sindaci dei Comuni del Cadore, tutti leghisti o di quanto meno di destra, avevano alzato muri, minacciando di sbarrare l'ingresso del loro paese con le barricate. Io ero l'unica che diceva che accogliere era un obbligo e che un amministratore non può negare il proprio aiuto di fronte a certe terribili situazioni. Che noi non siamo stati eletti solo per sistemare i buchi delle strade. Noi abbiamo il dovere morale di trasmettere valori ai nostri concittadini e di testimoniarli con le nostre azioni! Facevamo di quelle litigate… Così, quando sono arrivati i primi profughi, li hanno scaricati tutti a me invece di dividerli per Comune, come sarebbe stato più logico, più giusto e anche più funzionale. Devono aver pensato: 'Vediamo come se la cava, quella, con tutte le sue teorie sull'accoglienza'"

Eran magri e spaventati quando qui sono arrivati,
quando qui sono arrivati,
Clandestini sulla nave,
poi il destino gli ha portati
dove il mare è un miraggio
e la neve invece e nera,
con magliette e infradito a scalare un sogno ardito.


"Quando sono arrivati, ero piena di paura di non riuscire a gestire la situazione. Ho delle precise responsabilità anche nei confronti dei miei concittadini. Così, ho detto loro: 'Guardiamoci negli occhi. Io farò di tutto per aiutarvi. Voi fate di tutto per non crearmi problemi'. Non me ne hanno creati. Né dopo, né mai".

C'è chi vince il pregiudizio
e rincorre un po' d'amore


"Avevano la paura dipinta negli occhi. Ho chiesto loro di cosa avessero bisogno e mi hanno risposti tutti che volevano telefonare a casa, per dire alle loro famiglia che stavano bene e che erano arrivati in Europa. Nessuno aveva ancora dato loro un telefono o una scheda. Così ho messo a loro disposizione il mio. Ancora oggi, qualcuno mi chiama per sbaglio dall'Africa perché ha memorizzato il mio numero".
A creare problemi ad Alessandra non sono stati i migranti ma pregiudizio, ignoranza ed intolleranza. Terreno fertile per l'opposizione leghista che, alle amministrative del maggio del 2014, han provato a scalzarla dalla carica di sindaca. Eppure Alessandra è stata rieletta. Forse che è riuscita a far cambiare idea ai suoi concittadini sui profughi? "A qualcuno, forse. Ma diciamo meglio che il lavoro di una sindaca non si misura solo con un metro. Io non ho mai delegato e mi sono sempre assunta le mie responsabilità. Sono sempre stata in prima linea, con coerenza, nella battaglie per la sanità, l'ambiente e la viabilità. I cittadini hanno riconosciuto il lavoro che ho fatto a vantaggio di tutta la comunità. Certo, se fossero nati problemi con i migranti l'avrei pagata cara, ma il fatto che tutto sia andato bene, anzi, benissimo, mi ha aiutata. Questa è una prova che, se il problema viene gestito bene, alla fine è una risorsa in più. Abbiamo affidato loro dei lavori, come la tinteggiatura del municipio e dell'anagrafe, per cui non trovavamo manodopera. Affittando le case di alcune signore anziane, permettono loro di pagare la retta della casa di riposo… Senza contare che la nostra valle ha il problema dello spopolamento. Alcuni di questi ragazzi si sono fermati ed ora fanno parte della comunità. Tre hanno sposato ragazze locali, una delle quali è mia figlia, e ora sono nonna. I Modena City Ramblers ci hanno scritto pure una canzone".

I confetti sono pronti mandorla e cioccolato,
ebano ed avorio insieme,
una promessa e un bacio.
brillano le fedi
e il bouquet volan suol Piav


La canzone, che è quella che citiamo sin dall'inizio dell'articolo, è intitolata "Fiori d'arancio e chicchi di caffè" e fa parte del loro album "Niente di nuovo sul fronte occidentale".

Oggi, la sindaca Alessandra del Cadore che sfila senza paura accanto ai "violenti dei centri sociali" di Venezia, oltre ad un nipote in più, ha anche un figlio in più. E con la pelle tutta nera. Uno di questi 90 ragazzi, con il quale si era creato un legame speciale, si è fermato a casa sua, è stato adottato e ora la chiama mamma.
"In realtà, sono in tanti, tra quei primi 90 arrivati a Santo Stefano a chiamarmi mamma. Di tutti loro so dove sono e come se la passano, siamo amici sui social e li seguo con affetto. E poi c'è quel ragazzo bengalese che prima di partire mi ha chiesto quando è il mio compleanno. Ora lavora a Roma in una agenzia turistica ma ogni anno, quel giorno per me speciale, sale in Cadore a portare un regalo per me e uno per il mio compagno".

Uomo nero la strada ti chiama, infradito e polsi del tuo cielo nero.
Fratello dalla pelle di tabarro è la paura che ti veste ad ogni ballo,
il ballo della gente che non sa dire niente,
il ballo di chi è povero ma diversamente da te che non sei di pelle uguale a noi,
da te che non hai qui cresciuto i tuoi figli. Ci saranno corvi in volo sopra questi monti,
nuvole maligne a nascondere i tramonti tra le strade di montagne confidano nei ponti,
quindi adesso lancia il riso e balla!

Dove nasce il terrore. la crisi siriana tra fascismi e combattenti per la libertà

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Perché? La domanda che pesava nel cuore di tutti noi, accomodati in platea, viene fuori solo alla fine dell'incontro. Marco Sandi, prima di porla sente il bisogno di scusarsi, quasi a vincere un naturale pudore nel cercare di entrare nell'intimo di una persona che ha dato tanto ad un ideale di giustizia e libertà. Tanto da mettere a repentaglio anima e vita. Perché lo hai fatto? Cosa spinge un giovane ad arruolarsi nelle Ypg per combattere, armi in pugno, i fascisti dell'Isis? Davide Grasso scuote la testa e risponde che queste sono domande senza risposta. Forse è nato tutto da una lettura giovanile di un libro sulla vita di Che Guevara, racconta. Forse su quelle pagine ha imparato che in tante parti del mondo, sorelle e fratelli, compagne e compagni, combattono per la libertà e per la giustizia. E le compagne e i compagni che lottano non vanno mai abbandonati. "Sapevo bene che, probabilmente, non sarei tornato vivo, ma sapevo anche che se fossi tornato vivo sarei stato contento della scelta che avevo compiuto". Ed è stato così? "Per certi versi sì. Ma non puoi andare a fare la guerra di rivoluzione e tornare integro. Quello che ho visto, quello che ho sofferto e che ho visto soffrire mi hanno scavato dentro. Di fronte agli immani orrori che ho trovato, quello che io ho potuto fare è quasi niente e non è sufficiente a colmare l vuoto che sento".


Almeno duecento persone, ben oltre la capienza dell'aula, sono venute all'appuntamento con il combattente Davide Grasso e il regista Claudio Jampaglia, questo pomeriggio al Baum dell'università Ca' Foscari di Venezia. Il tema era "La battaglia per l'umanità" perché, come ha sottolineato nella sua introduzione Jacopo Bernaus del collettivo universitario Lisc "siamo attivisti più che conferenzieri. Non abbiamo paura di dire che siamo dalla parte dei curdi perché quelle che si combatte nel Rojava e in tutto il Kurdistan non è solo la battaglia dei curdi per le loro terre ma la battaglia per l'umanità contro gli orrori del Daesh, la battaglia della democrazia contro il fascismo. Una battaglia che dobbiamo combattere tutti. Nell'ultimo comunicato del battaglione Antifa, in prima fila contro le milizie islamiche, abbiamo letto: 'pianteremo dei semi e li difenderemo sino alla fine'. Ed è quello che il collettivo vuole fare all'interno di una università sempre più lontana dai principi del sapere critico e della conoscenza dal basso".

L'incontro è stato organizzato, oltre cha da Lisc, anche dall'associazione Ya Basta Edi Bese. Marco Sandi, che ha avuto il compito di moderarlo, ha chiarito subito il campo da equivoci. Se oggi tutti i media sono concentrati sull'attentato di Londra, il cuore di Ya Basta non è in Inghilterra ma nel Rojava, assieme a coloro che combattono davvero il terrorismo. Tra le compagne e i compagni curdi, e non tra quei governanti che a parole attaccano l'Isis ma finanziano proprio quei Governi fascisti che soffiano sul fuoco degli integralismi ed hanno trasformato la Siria in un "poligono di tiro".

Quanto sta accadendo a Mosul non è la liberazione di una città, come è stato per Kobane, dove esisteva un progetto politico e non solo militare di liberazione, ma una conquista. Una conquista volta a riconsegnare la città a quelle milizie che hanno giurato fedeltà al criminale di Damasco, Bashar Hafiz al-Asad.
E che quanto accada su quel fronte non sia sempre quello che le tv ci fanno vedere lo testimonia l'altro ospite della serata, Claudio Jampaglia venuto a proiettare il suo docu-film Our War. "Come i peshmerga nel Kurdistan orientale, in Siria le milizie di Assad non fanno passare nulla. Né medici, né medicinali, né tantomeno giornalisti. Parlo di quelli veri. Conosco una giornalista britannica che è ferma da due settimane ad un posto di blocco. Mi ha scritto che ha visto passare solo una troupe della Bbc e ne ha chiesto ragione ai soldati. Le hanno risposto: ma quelli sappiamo che cosa scrivono".
La verità, qualcuno ha scritto, è sempre la prima vittima di ogni guerra.

L'ospite d'onore dell'incontro, avrebbe dovuto essere lui, Karim Franceschi, autore de "Il combattente" (Rizzoli), che è tornato a combattere con il Ypg. Il collegamento dal fronte di guerra doveva essere la sorpresa della serata. Ma non c'è stato niente da fare. Ci auguriamo che il problema sia tutto nella difficoltà di collegamento in rete, ma un po' di preoccupazione non riusciamo a mandarla via.
A Karim, un abbraccio forte da tutti noi.

A raccontare quanto accade nel fronte, rimane Davide Grasso, che dalla Siria è tornato da poco. Davide traccia una mappa precisa delle azioni in cui sono impegnati in Siria combattenti arabi e curdi delle Ypg, e del prossimo obiettivo: la città di Raqqa. Parla anche dell'attentato di Londra. "Non è stato un attentato al Parlamento. Il terrorista voleva solo colpire la gente comune. Così come avviene in Siria, considerato che il popolo siriano è stato trasformato un carne da macello dai tagliagole dell'isis ma anche dalle feroci milizie di Assad e dai governi occidentali. Il sindaco di Londra ha ribadito che la città non si piegherà al terrorismo. Giusto. Ma dovremmo definire meglio cosa sia terrorismo. Proprio in Inghilterra, qualche giorno fa è stato arrestato un ragazzo inglese che tornava in patria dopo aver combattuto nelle file curde. Lui, che ha combattuto i terroristi, lo hanno chiamato terrorista. Ma terroristi veri, come Erdogan o gli sceicchi dell'Arabia Saudita che fomentano l'integralismo e l'Isis, sono considerati alleati dai governanti europei. Per non parlare del presidente del Kurdistan iracheno, Mas'ud Barzani, che compie autentici genocidi gasando interi quartieri di Damasco e accordandosi con l'Isis per massacrare gli yazidi eppure, forte del petrolio che scorre sotto il suo Paese, viene accolto a braccia aperte ai colloqui di pace di Ginevra".

Come sia possibile che terroristi diventino alleati, e combattenti per la libertà vengano visti come terroristi - in una Europa dove l'opinione pubblica ed il rispetto dei diritti umani dovrebbero ancora contare qualcosa - è imputabile solo ad una pesante mancanza di corretta informazione.
Anche nella guerra contro il terrorismo e il capitalismo suo alleato, la prima vittima è sempre la verità.
Conclude Davide: "Conoscere ed informarsi è il primo fronte su cui dobbiamo impegnarci tutti. Se non capiamo quello che accade nel mondo, siamo tutti in pericolo. Anche solo a camminare per le strade di Londra o di Venezia".

Pfas, il veleno nell'acqua e nella testa

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Un vero paradiso, il Veneto. Per gli inquinatori. Quegli inquinatori che, anche quando i risultati di ricerche scientifiche e le denunce dei comitati per l'ambiente portano a scoprire intere aree trasformate in discariche tossiche, possono sempre contare sulla complicità della Regione Veneto, pronta a ritoccare al rialzo i limiti di sicurezza delle percentuali delle sostanze tossiche. Anche a costo di andare allegramente in deroga a regolamenti nazionali ed europei, oltre che alle stesse indicazioni dell'Oms. E' accaduto con le polveri, è accaduto con l'amianto, è accaduto… sempre.
Accade anche oggi con i Pfas, composti chimici nati dalla fusione di solfuro di carbonio e acido floridico. Composti di cui, solo fino a qualche anno fa, soltanto gli studiosi di chimica conoscevano l'esistenza, ma che ora, secondo alcune stime (e neppure le più pessimiste) perlomeno 400 mila persone che vivono lungo il bacino del Fratta Garzone hanno scoperto di avere nel sangue con valori ben oltre la soglia di attenzione. Numeri degni di una epidemia di peste medioevale, quando i medici giravano con le bautte dal becco lungo per difendersi dal contagio e il popolino, complici i governanti, se la prendeva con gli untori.
Oggi che il popolino, complici i governanti, se la prende con i migranti e la scienza qualche progresso l'avrebbe pur fatto, ci è voluto un medico epidemiologico vicentino, Vincenzo Cordiano, per scoprire che nella ottantina di Comuni attorno a Trissino da anni la gente moriva in percentuali che sforavano le medie Istat per patologie riconducibili ai Pfas. A qualcuno allora è venuto il sospetto che tutto fosse riconducibile a quella fabbrica, la Miteni, di Trissino appunto, specializzata nell'impermeabilizzazione di tessuti tramite i Pfas, che aveva fatto registrare negli ultimi anni la bellezza di ventun operai morti delle medesime patologie: tumori ai reni e ai testicoli, in particolare.
La faccenda a questo punto, si sposta in procura. Anzi, in tre procure, perché tre sono le provincie le cui falde sono state contaminate di Pfas: Vicenza, Verona e Padova. Arrivano studi scientifici, analisi e gli screening. La Regione ne ha attivato uno che durerà dieci anni senza pensare che certe malattie ammazzano molto prima ma considerando che, per i tempi della politica, dieci anni senza dover prendere decisioni scomode sono una manna del cielo. Arriva anche l'Unione Europea che laurea il Po e i suoi affluenti come i fiumi più inquinati e pericolosi del continente. Come dire: "Ecco cosa ottenete ad andare in deroga ai nostri limiti". Arriva una prima sentenza del tribunale di Venezia che non può che prendere atto che le falde sono inquinate da far paura ma si prende il disturbo di sottolineare che detto inquinamento non è dovuto soltanto ai Pfas ma anche a tante altre sostanze nocive. E se per voi questo è un motivo in più per intervenire velocemente, per la Regione è un motivo in più per prendere tempo e studiare un "piano complessivo di bonifica". Aspettando i risultati dello screening tra dieci anni o, se preferite, due legislature. Arriva anche la Miteni che casca dalle nuvole. "Abbiamo inquinato? Beh… bonificheremo" e intanto continua ad inquinare come prima, complice, come abbiamo detto, la Regione Veneto che per evitare di scontrarsi con chi produce pur sempre "schei", oltre che morti ammazzati, gli adegua i limiti di sversamento così da non far perdere alla fabbrica neppure un giorno di lavoro.
A chiedere la chiusura immediata della Miteni e la bonifica immediata della falda, rimangono solo i soliti ambientalisti. Quelli che hanno ragione sempre dopo una decina di anni e dopo un bel po' di inchieste della magistratura.
Abbiamo detto tutto? Ah già… dimenticavamo… Buona giornata mondiale dell'acqua potabile a tutti!

Occhio al parco! La Regione Veneto non è posto per ambientalisti. Delibera o no, sabato si manifesta per il Parco dei Colli

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Vista dalla pagine dei giornali di oggi, parrebbe che la Regione Veneto abbia alzato bandiera bianca. Un bel #ciaone al consigliere "sparattutto" Berlato e il Parco dei Colli, a furor di popolo, viene salvato per direttissima delibera regionale da cacciatori e palazzinari.
Ma è davvero così?
Come minimo, prima di cantar vittoria, bisogna fare qualche considerazione. La prima è che la Regione Veneto - e con essa intendo tanto la maggioranza al governo quando buona parte della cosiddetta opposizione - sta all'ambientalismo come Erdogan sta alla democrazia.

D'accordo, consentire la caccia all'interno di un parco naturale, e bello come quello dei Colli per di più, era una proposta degna di un titolo di Lercio. Troppo persino per una Regione che ogni hanno paga salatissime multe all'Europa - con soldi nostri! - pur di varare norme che consentono la caccia a specie protette, in deroga a tutte le tutele. La sollevazione di cittadine e cittadini, delle amministrazioni locali e di tutte le associazioni ambientaliste, erano inevitabili e certo devono aver pesato non poco sulla decisione annunciata dal governatore Luca Zaia di cassare l'emendamento Berlato con salvifica delibera. Delibera che comunque non è ancora stata firmata. Lo sarà lunedì, così perlomeno è stato annunciato. Ma stiamoci attenti. Non sarebbe la prima volta che il governo regionale annuncia una correzione di rotta davanti ad una protesta popolare col solo proposito di sgonfiare le mobilitazioni. Magari per poi varare alla fine dell'iter legislativo, con qualche ritocco qua e là, una legge che si rivela ancor peggio di quella annunciata.
La manifestazione di sabato quindi si deve fare, e si farà, con ancor più determinazione di prima per ribadire quello che abbiamo sempre detto e scritto. Nel parco dei Colli Euganei non c'è spazio per cacciatori e cementificatori.
Ma c'è anche un'altro motivo che ci spinge a tener duro nella nostra battaglia ambientalista. Ce lo spiega bene Francesco Miazzi in questo breve video. Questa delibera che con troppo ottimismo è stata chiamata "Salvaparco" puzza troppo da operazione di marketing e non incide minimamente sul vero pericolo che minaccia l'integrità dei parchi veneti: quella legge 143 che smantella i piani ambientali messi a punto dagli enti gestori dei parchi, demandando nei fatti la loro gestione ai Comuni. In pratica, proprio quanto il fratello d'Italia Sergio Berlato ha cercato di fare, pur se per altre strade!

Anche per questo, domani, sabato 11 marzo, cittadini e ambientalisti si ritroveranno a Merendole alle ore 15,30, per manifestare tutti insieme. Lo slogan "Salviamo il parco dei Colli Euganei" è valido oggi, come ieri, come domani.

A questo link, l'intervista a Francesco Miazzi
https://youtu.be/y5hJceEMODM

Nasce l’associazione Preziose, per una politica al femminile

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Preziose, è il nome che si sono date. Perché “preziose” sono le donne che fanno politica. Donne capaci di agire con consapevolezza e radicalità per allargare orizzonti oggi confinati al solo maschile. “In un’epoca di crisi come quella in cui stiamo vivendo, c’è bisogno che le donne imparino a fare rete e a mettere in comune tutta quella ricchezza di saperi, competenze accumulata in tanti anni, per arginare la decomposizione delle istituzioni e della stessa democrazia” ha spiegato la verde Luana Zanella, in apertura dell’incontro.
La presentazione della nuova associazione ideata da Annarosa Buttarelli, è avvenuta, ieri pomeriggio negli spazi dell’eco osteria Laguna Libre, in fondamenta Cannaregio, a Venezia. Un locale aperto di recente ma che già si propone come un punto di riferimento, oltre che per l’aspetto gastronomico, anche per le più innovative attività culturali, politiche, artistiche e musicali del veneziano. Imperdibili, le jam session del martedì sera che sono già diventate un must per gli appassionati di jazz d’autore.

A presentare la nuova associazione tutta femminile, e femminista, con la Zanella e la Buttarelli sono intervenute anche la presidente Luisella Conti e Nadia Lucchesi.
Nei programmi di Preziose, c’è la vicina fondazione di una scuola di alta formazione politica con sede a Venezia e a Roma, e una accademia delle eccellenze femminili con lo scopo di valorizzare quanto le donne hanno saputo produrre.
Una curiosità. Il nome “Preziose” viene da un movimento culturale e letterario femminile nato in Francia nel salotto mondano di Madame de Rambouillet in cui molti studiosi lessero un tentativo di reazione contro la condizione di passività legata alla condizione femminile. Il “preziosismo” si basava su una scrittura barocca tutta iperboli e parafrasi, volta a strutturare tempi, spazi e modi del corteggiamento amoroso. Il genio di Molière ebbe buon gioco a metterlo alla berlina nella sua commedia in prosa “Les précieuses ridicules”. Alle preziose francesi, ha ricordato Luisella Conti, va comunque il merito di aver inventato i racconti di fate. Ed in un momento in cui l’inquisizione metteva al rogo qualsiasi donna al solo sospetto di stregoneria, non è stata una invenzione da poco.

Il luogo più inquinato del mondo? Il ponte di una nave da crociera!

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E poi c'è chi va in crociera per "respirare aria buona"! Tutto il contrario, invece. Lo testimonia una ricerca condotta dai tecnici del Nabu (Naturschutzbund Deutschland), una delle maggiori organizzazioni ambientaliste tedesche, e diffusa in Italia dall'associazione Cittadini per l’Aria.
Sul ponte passeggeri di una comune nave da crociera sono presenti concentrazioni di microparticelle fino a 200 volte superiori ai livelli di fondo naturali. Un dato davvero incredibile che in Francia è stato oggetto, il 20 gennaio, di una speciale trasmissione televisiva mandata in onda su France 3 e visibile a questo link focalizzata in particolare sul porto di Marsiglia.
Non è la prima volta che Nabu denuncia l'inquinamento provocato dalle navi. Ricordiamo dal 15 al 19 aprile 2016, i tecnici dell'associazione tedesca sono scesi fino a Venezia per documentare i danni prodotti dal via vai delle Grandi Navi. Qui i risultati delle misurazioni che testimoniano come le emissioni inquinanti non solo danneggiano gravemente l'ambiente, ma soprattutto la salute umana.

"Gli armatori espongono i loro passeggeri a elevate dosi di inquinanti dannosi per la salute mentre promettono vacanze, mare e aria puliti e rigeneranti– ha detto Anna Gerometta, presidente di Cittadini per l’Aria - In realtà, come risulta dalle misurazioni effettuate, chi sta sul ponte di una nave da crociera a prendere il sole è esposto a concentrazioni di particelle superiori anche di 200 volte i valori che si misurerebbero in assenza della nave”.
Nonostante questi dati sconvolgenti i principali attori del settore delle crociere si rifiutano di passare a carburanti più puliti e installare sistemi di depurazione dei gas di scarico come accade per i motori terrestri.
“Tali misure potrebbero ridurre l'inquinamento massiccio da navi da crociera immediatamente e quindi limitare l'impatto per l'uomo, l'ambiente e il clima in modo significativo – continua Gerometta - Interpretiamo questo comportamento come una forma di speculazione irresponsabile resa possibile dalla generale ignoranza del problema". Nabu- si legge in un comuicato diffuso dalla battagliera associazione ambientalista - ha richiamato anche l’evidenza scientifica sui danni ai polmoni a cui possono essere soggette in particolare le persone che già soffrono di malattie respiratorie come l'asma se esposte a simili livelli di particolato e le istituzioni mediche che raccomandano di stare lontano da alcune parti del ponte di una nave da crociera per evitare di inalare gas di scarico che potrebbero innescare riacutizzazioni. Anche l'Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha di recente classificato gli scarichi dei motori diesel come sostanza cancerogena, allo stesso livello di rischio come l'amianto. Quando si brucia olio combustibile pesante o diesel marino – ciò di cui si alimentano le navi - accanto al particolato vengono emesse altre sostanze dannose come la fuliggine, il biossido di azoto e metalli pesanti. Il responsabile della politica dei trasporti NABU Daniel Rieger ha detto: "Non siamo stati sorpresi quando abbiamo visto questi nuovi numeri. E’ noto da anni che i gas di scarico delle navi contengono elevate quantità di inquinanti atmosferici tossici poiché utilizzano i carburanti più sporchi disponibili sul mercato, senza dotarsi di eventuali sistemi di filtraggio. Finora siamo stati solo in grado di documentare l'inquinamento atmosferico delle navi a terra, vicino ai terminal crociere, per esempio, ma né a noi né ad altri soggetti indipendenti era stato permesso di farlo sulle navi al fine di verificare l'inquinamento lì. Forse perché gli armatori si aspettavano questi esiti drammatici? Sarebbe molto grave se si scoprisse che l'industria delle crociere guarda deliberatamente altrove pur essendo a conoscenza del problema".
Si potrebbe supporre che i risultati delle misurazioni non siano un caso isolato, molto probabilmente infatti rappresentano la realtà a bordo della maggior parte delle navi da crociera della flotta corrente. Questa misurazione dovrebbe essere considerata come una prova di inadeguatezza e stimolare ulteriori verifiche nel settore delle crociere, verifiche di cui siamo in attesa da lungo tempo.
I soli annunci pubblici sono stati sin qui di gran lunga insufficienti: ad esempio Aida Cruises, leader del mercato tedesco promise di fare il retrofit di tutta la sua flotta con filtri antiparticolato dal 2014, ma ancora non vi è alcuna prova di un solo sistema installato.
In Italia, neppure promesse!


Tabella 1: I risultati delle misurazioni a bordo di una nave da crociera

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Tabella 2: comparazione dei livelli con altre situazioni (aria pulita e traffico urbano)
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La cittadella della povertà e i reggiseni delle vigilesse

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La questione ruota tutta attorno al concetto di "decoro". Concetto che ognuno interpreta a modo suo. Vediamo due esempi: i poveri e i reggiseni delle vigilesse. Per il sindaco di Venezia, Luigi Brugnaro, meglio conosciuto come "il Gigio da Spinea" da quei veneziani che non lo amano, i poveri sono indecorosi. Sono sporchi, soprattutto da quando l'amministrazione ha tagliato le docce dove andavano a lavarsi, qualche volta puzzano, non hanno un posto dove dormire, anche perché detta amministrazione ha chiuso le cooperative che davano loro un letto, tra loro qualcuno rubacchia o spaccia droga (questo non è vero, altrimenti non sarebbero poveri, ma il Gigio da Spinea ne è convinto), e poi - questo è indiscutibile - continuano a non curare l'eleganza e si infilano tutti gli stracci che trovano nelle immondizie per combattere il freddo. Insomma, sono indecorosi!
Il secondo esempio, riguarda le donne vigile. Ieri, il sindaco ha fatto la rituale comparsata per augurare buon natale ai cittadine decorosi in piazza Ferretto, in pieno centro a Mestre, con una mimetica addosso. Sì… l'altra parola che tiene banco da quando hanno eletto il Gigio da Spinea, è "sicurezza". Metti che ci sia un attentato, beh, lui ha già la mimetica addosso. Tra una cosa e l'altra, il primo cittadino di Venezia ha pensato bene di prendersela con le vigilesse. Si truccano troppo e indossano reggiseni non consoni. Qualche volta, dice il Gigio, non se lo mettono nemmeno il reggiseno.

Io, ve lo giuro, non me ne ero mai accorto. Fatto sta che adesso, in Laguna, ogni volta che passa una donna vigile tutti a misurarla con gli occhi e a fare supposizioni!
Tutto questo, dice il Brugnaro, è indecoroso, perché anche le donne vigile, al pari degli uomini, rappresentano Venezia agli occhi del mondo. Evidentemente, non si può rappresentare Venezia senza reggiseno!

Bisogna anche spiegare che il Gigio da Spinea con le vigilesse nostrane non ci è mai andato d'accordo. Colpa delle pistole. Colpa della "sicurezza". Il Gigio, appena eletto, ha armato di pistola tutti i vigili. Costo non indifferente da sostenere, ma, se vogliamo la "sicurezza", non basta girare in mimetica!
Fatto sta nessun vigile è rimasto contento del regalo e sette donne gli hanno pure risposto picche. La sicurezza non è andare in giro armati, hanno spiegato. I compiti di un vigile non sono quelli di un carabiniere o di un poliziotto. Altre sono le questioni che un vigile è chiamato ad affrontare e nessuna di queste si risolve con una pistolettata. Le pistole sono sempre pericolose, specie se chi le porta, come il corpo di polizia municipale, non è addestrato per usarle. E poi, metti che avvenga uno scippo, cosa dovremo fare? Sparare in mezzo alle calli? Caro sindaco, non siamo Tex Willer e la pistola non la vogliamo.
La questione sta andando per tribunali e sindacati. Ma intanto il Gigio da Spinea ha scoperto che può costringerle a non truccarsi ed a mettere un reggiseno "decoroso", e lo ha fatto.
Ce n'è anche per i colleghi uomini, eh? Niente piercing, niente capelli lunghi e niente tatuaggi. E se poi uno ha il Leone Marciano tatuato su una chiappa, voglio vederlo il Gigio, che glielo va a scovare per licenziarlo!
Non che gli altri dipendenti comunali, lo abbiano particolarmente in simpatia, il nostro sindaco, considerato che giusto lunedì c'è voluto un battaglione della celere per impedire a duecento precari licenziati di mettergli le mani addosso quando hanno assalto il consiglio comunale.

Dico questo per darvi una idea di quali pericoli ed insidie nasconda il sempre antipatico concetto di "decoro". Le soluzioni, poi, sono ancora peggio. Quella ai "troppi poveri indecorosi" - perlomeno 500 persone, secondo le stime della Caritas, vivono in stato di completa indigenza a Venezia - è sin troppo facile, per il Gigio. "Penso ad una cittadella della povertà che allontani i poveri dalle zone residenziali e dal centro, dove concentrare mense e servizi" ha spiegato. Non ha inventato niente, il Gigio da Spinea. Di slum e favellas è pieno il mondo. Di quartieri ghetto, la terra. Fa solo specie che chi non ce li ha, pensi ad istituirli d'ufficio.

Ai giornalisti che hanno chiesto dove dovrebbe sorgere questa… cittadella, il sindaco ha risposto: "Io lo so ma non ve lo dico". E qui ci sta tutto il concetto di democrazia di uno come il Brugnaro che appena eletto vuole vendere i quadri del Comune e si incavola quando gli spiegano che non lo può fare. Oppure quando a uno studente che lo contestava civilmente in un dibattito ha urlato: "Io, te ti aspetto fuori!" Oppure quando ha esautorato tutte le municipalità e si è circondato di assessori senza deleghe effettive perché nelle aziende che vogliono fare "schei" troppa "democrazia" impedisce al capo di prendere le decisioni. Oppure quando al referendum costituzionale dichiara ai giornalisti che, nella sua opinione, ci ha ragione il Brunetta e il fronte del No ma che voterà Sì perché glielo ha chiesto Renzi e lui, per principio, si allinea sempre con quelli che comandano. Oppure… va beh, avete intuito, immagino.

"Cosa volete? - commenta il politologo veneziano Beppe Caccia - siamo in un periodo di interregno, tanto per citare Gramsci, il vecchio muore ma il nuovo non può nascere. E in questo periodo sospeso si verificano i fenomeni morbosi più svariati. Trump e Brugnaro ne sono due efficaci esempi".
Ah sì, Trump. Il Gigio da Spinea ne è un accanito sostenitore. Gli ha scritto una lettera per invitarlo in laguna assieme ad un altri due "suoi" idoli della democrazia, Putin ed Erdogan. Già me li vedo, tutti insieme appassionatamente a spasso per piazza San Marco. Come si dice da queste parti, "Speriamo nell'acqua alta".

Ma torniamo alla famosa cittadella tutta per i poveri da costruire dove non ci è dato sapere ma senz'altro in qualche periferia già degradata di per suo così da non doverci lavorare più di tanto per degradarla ancora di più.
"Ma davvero c'è qualcuno che si stupisce se il Brugnaro non vuole poveri, accattoni, tossici e barboni in centro? - si chiede provocatoriamente Vittoria Scarpa, attivista del cso Rivolta e portavoce della cooperativa Caracol che lavora con l'emarginazione offrendo posti letto al caldo e coperte a chi ne ha bisogno. Cooperativa naturalmente scaricata dall'amministrazione Brugnaro -. A Mestre sono state rimosse le panchine perché i senza casa ci si sedevano, è stata tolta la fermata dell'autobus, piazzale Donatori è stata trasformata in una scoassera (immondezzaio.ndr) piuttosto che fosse frequentato da chi non ha casa casa. Gli operatori in strada sono sempre di meno, perché ora il must è 'aiutiamo solo chi vuole redimersi'. Come se la povertà fosse una scelta o una colpa! Chi lavorava nel sociale e ha denunciato le vergognose politiche di questa giunta è stato sostituito da quelli che fino a ieri vendevano panchine di legno e oggi da bravi lacchè ammaestrati fanno da palcoscenico al finto assessore buono! Si vantano di progetti che non sono loro e non sanno che sono nati dalle nostre occupazioni delle stazioni nei giorni freddi. Ma noi non lo facevamo per togliere i poveri da sotto gli occhi della città per bene e neanche per carità cristiana. Noi ci siamo battuti e ci batteremo ancora per garantire a tutti i loro diritti. Ma il sindaco e l'assessore non sanno neanche cosa significhi questa parola".

Purtroppo per il brugnaro, il progetto della cittadella dei poveri nasce già in salita. Le mense colpevoli di attirare i poveri da spostare nella famosa cittadella appartengono tutte alla curia patriarcale e non al Comune. Immediata la replica del patriarca Francesco Moraglia: "La città non può emarginare realtà che appartengono al vivere sociale. Se c’è da organizzare meglio le mense, ci impegneremo perché questo avvenga, però portare tutto in un luogo deputato alla carità, quasi come se ci fossero barriere divisive all’interno della comunità civica e sociale, questo no. Così si crea emarginazione su emarginazione".
Adesso bisogna vedere cosa risponderà il Gigio da Spinea che certo non ama essere contraddetto, lui che si è fatto i soldi creando una società di lavoro interinale! E' una fortuna per il patriarca di Venezia non aver bisogno di portare reggiseni!

Guerre per il petrolio e petrolio per le guerre

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I cambiamenti climatici generano guerre. E le guerre generano i cambiamenti climatici. Facciamo le guerre per i combustibili fossili e consumiamo combustibili fossili per fare le guerre. Ci siamo mai chiesti quanto costa un carro armato in termini di emissioni di Co2? Quante emissioni serra porta con sé un bombardamento? 
D’accordo, di fronte a tragedie come quella di Aleppo, tentare di valutare la questione in termini di riscaldamento globale, sembra una bestemmia. Ma non dimentichiamoci che la guerra in Siria è stata causata anche dai cambiamenti climatici. 
Uno
studio pubblicato sui “Proceedings of the National Academy of Sciences” e riportato in italiano dalla celebre rivista Le Scienze (versione nostrana di Scientific America) ha spiegato come la guerra civile che sta insanguinando il Paese mediorientale sia imputabile, tra le altre cause, ad una tremenda siccità. La peggiore mai registrata in quell’angolo di medio oriente che ha visto nascere la civiltà. Tra il 2006 e il 2011, la siccità ha messo in ginocchio l’agricoltura, costringendo decine di migliaia di contadini a spostarsi verso le città. Un flusso migratorio che si è mescolato con quello dei profughi provenienti dal vicino Iraq in guerra – altro conflitto che ha radici profonde nel riscaldamento globale – causando un forte aumento dei prezzi, scarsità di generi alimentari e tensioni sociali. “Non stiamo sostenendo che la siccità abbia causato la guerra – scrive il climatologo Richard Seager – ma che, aggiunta a tutti gli altri fattori di tensione, ha contribuito a spingere la situazione oltre il limite, fino al conflitto aperto. E una siccità di tale entità è stata facilitata dalle attività umane in corso in quella regione”.
“I cambiamenti climatici mettono sotto stress le risorse idriche e l’agricoltura e probabilmente aumenteranno ancor più il rischio di conflitti – ha spiegato Seager su Scientific America – La guerra siriana vive ormai di vita propria, tuttavia, l’aggravamento della siccità per i cambiamenti climatici è stato un fattore importante nell’innescare la disgregazione sociale.”

Il caso della Siria non è certo l’unico. Altri
studi scientifici hanno messo in relazione l’aumento di temperatura con lo scoppio di conflitti in tutto il mondo, dall’africa sub sahariana allo stesso Egitto, dove la rivoluzione è stata preceduta da una impennata dei prezzi del cibo causata dalla siccità. 
Non è quindi una questione secondaria chiedersi quanto ci costa in termini di emissioni di Co2 quelle guerre causate proprio dalle emissioni di Co2. 
Più difficile dare una risposta esauriente. 
Il primo in Italia a fare i conti in tasca ai… carri armati è stato, a quanto ci risulta, il meteorologo Luca Mercalli. In un suo
articolo del 2003 (quando ancora i negazionisti contestavano la teoria dei cambiamenti climatici), consultabile nel sito della società meteorologica italiana, l’ambientalista si domandava, riferendosi a Desert Storm: quanto petrolio ci costa la guerra per il petrolio? 
Partiamo intanto dai dati che abbiamo. 
  • Un carro armato consuma in media 200 o 300 litri ogni 100 chilometri. Poi ci sono le “eccellenze”: l’Abrams M1, ad esempio, soprannominato “l’ingozzatore di benzina”, ne brucia almeno 450. 
  • Un aereo tipo F-15 Strike o un F16 Falcon consumano 16 mila e 200 litri all’ora. (Non mi lamenterò più della mia Kawasaki 750Z!)
  • Un bombardiere B52, 12 mila litri all’ora.
  • Un elicottero da combattimento Apache, 500 litri all’ora. 
  • I mezzi di appoggio sono assai più parchi, e possiamo stimare, sempre lavorando di difetto, il consumo medio in un litro a chilometro. 
Limitandoci solo alle forze dell’esercito statunitense e dei loro alleati, Desert Storm ha messo in campo 42 F17 che volarono per 6900 ore in 38 giorni, 2400 aerei, 1848 carri Abrams, più di 50 mila veicoli d’appoggio. Solo i rifornimenti in volo che tutti i telegiornali mandarono in onda in quanto “spettacolari”, costarono 675 milioni di litri di carburante sufficienti a riempire i serbatoi di 17 milioni di auto. 
“Assegnando un parco mezzi più o meno di questa consistenza – scrive Mercalli – e applicando un coefficiente di utilizzo molto prudente di una sola ora al giorno per mezzo, si ottiene un consumo giornaliero di 45 milioni di litri di carburante”. E parliamo solo delle forze alleate di terra. Senza considerare le navi, le portaerei che vanno col nucleare e sulle quali bisognerebbe fare tutto un altro discorso, i consumi dell’esercito iracheno e i pozzi di petrolio dati alle fiamme. 
Facciamo adesso due conti della serva: 45 milioni di litri di carburante bruciati si traducono con emissioni pari a 112.400 tonnellate di Co2. Come dire che 10 giorni di guerra inquinano – e, ripetiamolo, la cifra è calcolata per difetto – come per una anno una città di oltre 110 mila abitanti. 
“Da ciò si constata come, oltre ai problemi di ordine etico che difficilmente giustificano un tale sperpero di risorse volto a danno di una nazione (quindi si preparano altri costi energetici per ricostruire quanto distrutto) – scrive Mercalli –
un tale volume di emissioni gassose in atmosfera vanifica in pochi giorni gli sforzi di intere nazioni per ridurre i consumi e risparmiare energia, alla faccia del Protocollo di Kyoto”. Tanto per fare un esempio, l’emissione giornaliera derivante dal conflitto iracheno equivaleva almeno alla metà del carico di emissioni che il nostro Paese avrebbe dovuto ridurre per mettersi in regola con gli allora accordi di Kyoto. 
A questo punto vien da chiedersi
come mai, durante la Cop parigina, le attività militari siano state esonerate dall’obbligo di ridurre le emissioni. Anzi, le cosiddette “spese per la difesa” non hanno neppure fatto parte degli argomenti messi nelle agende di discussione. Quella guerra che secondo Gino Strada dovrebbe diventare un tabù come l’incesto, è stata invece esonerata da ogni rendicontazione climatica. Come fosse welfare cui l’umanità non può rinunciare. 
Eppure la guerra ammazza. Prima ammazza con le bombe, poi ammazza ancora di più con l’inquinamento climalterante e le conseguenti guerre innescate all’inquinamento climalterante. 
Marinella Correggia giornalista di Altreconomia in un suo
interessante articolo si chiede provocatoriamente “quanto carburante fossile ha consumato il 3 ottobre 2015 l’aereo AC-130 della United States Air Force per i 45 minuti di bombardamenti sull’ospedale di Medici senza Frontiere a Kunduz”.
Mike Berners-Lee, autore di “How Bad are Bananas? The Carbon Footprint of Everything” scrive: “I costi umani diretti delle guerre sono così tragici che pensare agli impatti ambientali e climatici pare quasi frivolo o insolente. Ma le moderne forze armate e le loro operazioni belliche sono voraci divoratrici di energia ed emettendo carbonio riscaldano il clima, condannando gli umani anche oltre e dopo la fase della guerra”. 
Opinione condivisa anche da Barry Sanders, autore di “Green Zone. The environmental costs of militarism”: “Il settore militare non solo inquina ma contamina, trasfigura, rade al suolo. Scrivendo il mio libro mi sono accorto che
il destino della Terra e del mondo è nelle mani delle armi”. Una prospettiva davvero inquietante. 
Nel 2005, l’associazione ecologista Friends of the Earth ha stimato che
solo il mantenimento dell’apparato militare mondiale – senza contare il suo uso – produce due miliardi di tonnellate di Co2 all’anno. Oggi, più di dieci anni dopo, il bilancio è peggiorato. 
E la fetta più grossa della torta militare mondiale, è quella che si mangiano gli Usa. “Da quanto ne so – scrive sul suo Facebook il meteorologo Luca Lombroso –
il solo Pentagono ci costa in emissioni quanto la Svizzera“. Il sopracitato Sanders è ancora più esplicito. “L’esercito degli Stati Uniti è il principale produttore istituzionale di gas serra al mondo: oltre il 5% del totale. E la percentuale sarebbe molto più alta, se si comprendessero i costi energetici di produzione delle armi, il consumo di combustibili fossili e di materiali da parte dei privati contractors e infine l’enorme peso della ricostruzione di quanto distrutto dalle guerre”. 
Vien da chiedersi se si possa pensare di contenere l’aumento di temperature entro i due gradi, come prevede Cop 21, mantenendo questo mostruoso apparato inquinante capace solo di generare altre occasioni di inquinamento climatico. 
L’ultimo rapporto dell’International Peace Bureau spiega che ciò non è possibile: “
Ridurre il complesso militar-industriale e ripudiare la guerra è una condizione necessaria per salvare il clima, destinando le risorse risparmiate all’economia post-estrattiva e alla creazione di comunità resilienti. Le spese militari rubano alla comunità internazionale i fondi di cui ha disperatamente bisogno per la mitigazione e l’adattamento alla crisi climatica”.
Destinare alle iniziative di contenimento dell’inevitabile aumento della temperatura globale le risorse che oggi vengono spese per finanziare le guerre che sono la principale causa dell’impennata della temperatura globale, sarebbe probabilmente la sola speranza dell’umanità di vivere su questo pianeta così come ha vissuto sino ad oggi. Ed è quanto ha chiesto l’appello “
Stop the Wars, Stop the Warming” lanciato da scienziati climatici e ambientalisti Usa nel luglio del 2014. Appello inascoltato dall’allora presidente Barack Obama. E possiamo azzardarci a prevedere che non avrà miglior fortuna con Donald Trump!
“È un circolo vizioso infernale – si legge nel documento -: l’uso esorbitante di petrolio da parte del settore militare statunitense per condurre guerre per il petrolio e le risorse, guerre che rilasciano gas climalteranti e provocano il riscaldamento globale. È tempo di spezzare questo circolo: farla finita non solo con le guerre per il petrolio, ma con l’uso di petrolio per fare le guerre”.

I cacciatori nel parco. La Regione confeziona un bel regalo di Natale alla lobby degli “sparatutto”

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Alla regia di questo ennesimo tentativo della Regione Veneto di smantellare le – poche – aree protette del Veneto per trasformarle in riserve di caccia per gli amici degli amici, c’è ancora lui: il consigliere Sergio Berlato, eletto nelle liste di Fratelli d’Italia – Alleanza Nazionale. Sotto tiro, è proprio il caso di dirlo, c’è il parco dei Colli Euganei. Un emendamento alla legge regionale legge di stabilità che sta per andare in discussione a Palazzo Ferro Fini, a firma del consigliere vicentino, chiede di ridurre di ben due terzi l’attuale superficie del parco, così da poter permettere ai cacciatori di praticare il loro “sport” preferito in aree sino ad oggi proibite alle doppiette
Un provvedimento che è stato definito una autentica porcheria, non solo dagli ambientalisti ma anche dai sindaci dei Comuni interessati come Arquà, Montegrotto, Battaglia, Lozzo, Este, Monselice e Galzignano, che vedono azzerare tutti i benefici che i loro cittadini ottengono dal parco, per fare un regalo di natale alla potentissima lobby dei cacciatori che ha nel consigliere Berlato il suo punto di riferimento. Una lobby, questa dei cacciatori, molto appetita da tutti i politici di destra (e anche da qualcuno di sinistra), considerato che il suo esempio è stato immediatamente seguito dal collega consigliere Stefano Valdegamberi, lista Zaia, che ha presentato un emendamento fotocopia sostituendo al nome “parco dei Colli”, “parco della Lessinia”. 

In poche parole, se gli emendamenti dovessero essere approvati, il nostro povero Veneto, già abbastanza cementificato, si ritroverebbe con due storici parchi in meno e due aziende venatorie in più. 
Il tutto, nel silenzio (complice?) del presidente Luca Zaia, dal quale ci si attenderebbe un po’ di veemenza in meno nella difesa di una lingua che non esiste e di una etnia immaginaria, e un po’ di attenzione in più per l’ambiente in cui viviamo.
E, siccome siamo sotto natale, i regali ai cacciatori non sono finiti: l’emendamento a firma Berlato prevede anche la depenalizzazione degli illeciti penali in materia di caccia. Come dire: fate quello che volete anche se la legge lo vieta. Tanto, tutti i vostri reati saranno condonati. Pensate che festa se questo principio giuridico fosse applicato anche alle altre categorie come, che so, gli automobilisti o i ladri!  
E c’è ancora qualcuno che sostiene che i cacciatori non siano una lobby! Lo sono invece. Proprio come quella dei costruttori che sarebbero i secondi a beneficiare dell’emendamento Berlato perché, una volta abbattuti i vincoli di tutela dei parchi, anche il cemento e le speculazioni edilizie avrebbero la strada spianata. 
La colpa poi, è tutta dei cinghiali! Il partito dei cacciatori giustifica questa vergognosa operazione di smantellamento dei parchi veneti imputandola ai cinghiali. E che ci sia un numero eccessivo di questi animali nella nostra Regione, che questi causino danni all’agricoltura e che trovino rifugio all’interno dei sopracitati parchi, è una verità indiscussa. 
Ma la soluzione non sono i cacciatori. Nessuna questione ambientale può essere risolta con la caccia. Soprattutto per come la intende chi oggi se la spassa a procurare dolore agli animali. Un cacciatore come lo era Mario Rigoni Stern, sottoscriverebbe ogni parola che abbiamo scritto perché non avrebbe nulla da spartire con chi spara per “sport”. 
I cacciatori non sono la soluzione. Casomai, sono il problema. Se la popolazione di questi animali ha raggiunto nel nostro Veneto livelli preoccupanti è solo perché proprio i cacciatori ne hanno fatto continue, e spesso illegali, immissioni. Non è neppure un mistero che questi animali sono fonte di grandi guadagni nel mercato clandestino della carne da tavola. 
Affidare la “tutela” della fauna, o anche una suo semplice contenimento, ai cacciatori è un controsenso. Intanto perché la loro sensibilità ambientale è quella di un dirigente del Consorzio Venezia Nuova, ma soprattutto perché l’interesse di un cacciatore è quello di riempire il carniere e, di conseguenza, di avere tanti animali ai quali sparare. 
Quello che si deciderà in consiglio regionale è il destino dei parchi veneti. Ed è appena il caso di notare che le scelte saranno irreversibili. Da una colata di cemento, dalla scomparsa di una specie, dalla devastazione di un’area protette non si torna più indietro. 
Chi ha a cuore l’ambiente e i beni comuni, deve agire oggi perché domani i pentimenti non serviranno a niente. 
Ambientalisti, comitati civici, associazioni animaliste hanno invitato tutti cittadini alla mobilitazione. L’appuntamento è lunedì 12 dicembre a Venezia, a mezzogiorno, davanti a Palazzo Ferro Fini, sede del consiglio regionale.
Dovremo essere in tanti. Solo così riusciremo a far capire un bel po’ di cose a gente che ha la testa dura. 
Vedi gli articoli precedenti
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