In questa pagina ho riportato gli ultimi articoli che ho scritto per il quotidiano ambientalista Terra, il settimanale Carta, Manifesto, per siti come Global Project, FrontiereNews o siti di associazioni come In Comune con Bettin e altro ancora.
La mia esperienza col Reiki
14/09/2016Query
Per cercare di capire di più di questa disciplina, non appena mi si è presentata l’occasione mi sono iscritto ad uno dei corsi reiki di primo livello che periodicamente si svolgono vicino alla mia città, Venezia, organizzato da una delle associazioni più attive nel territorio: la Riziki. Contrariamente a quello che si potrebbe pensare, Riziki non è un termine giapponese, ma africano. «Una parola in Kiswahili, ‘la lingua della costa’ - si legge nel loro sito - che mette in comunicazione vari gruppi etnici dell’Africa dell’est: una sorta di Esperanto africano». Scopo dell’associazione, sempre dal loro sito internet, è di promuovere «un equilibrio, dal punto di vista personale, sociale ed ambientale». Per questa ragione, Riziki, oltre che ad organizzare corsi in Italia, opera per la diffusione del reiki soprattutto nei Paesi del Sud del mondo,[...]
L'articolo integrale può essere letto solo sulla rivista o sul sito di Query
Dieci Sì per Venezia
12/09/2016EcoMagazine
Di contro, c’è un Governo che di Venezia non ha mai capito niente. Un Governo che ci ha regalato solo Grandi Opere e commissariamenti. Un Governo che da oltre 4 anni sta derogando dall’assumere l’unica soluzione atta a difendere la laguna, o quel che ne resta, dallo stupro, continuo e doloroso, delle Grandi Navi. Un Governo che ha consentito all’Autorità Portuale di regalare concessioni senza gare d’appalto alle lobby crocieristiche e di avviare, di fatto, la privatizzazione del porto con la benedizione della Regione e di Veneto Sviluppo. Un Governo che, tra progetti assurdamente secretati o decisamente farlocchi, e nonostante i tanti moniti dell’Unesco e di altri organismi internazionali di tutela, ha sempre evitato di assumersi la responsabilità dell’unica scelta logica e sostenibile per la città. Che poi è solo questa, semplice semplice: le Grandi Navi debbono rimanersene fuori dalla laguna.
E per ribadire a tutti, dalle lobby finanziarie, al Comune ed al Governo, che Venezia non è ancora morta e che il suo cadavere non è ancora in vendita, movimenti, ambientalisti, spazi sociali e le tante, tantissime associazioni che esistono e ancora lottano per una città diversa hanno organizzato una grande mobilitazione.
L’appuntamento è per domenica 25 settembre, a partire dalle 15.30 in Riva delle Zattere. Sarà una grande giornata di festa e di lotta per urlare al mondo che Venezia è incompatibile con queste sorte di inquinanti Villaggi Vacanza galleggianti chiamati Grandi Navi. Non solo. La giornata sarà anche una importante occasione per fare politica come questa dovrebbe essere sempre fatta: discutere assieme e provare ad immaginare una idea diversa della nostra città.
Domenica 25 settembre, gli ambientalisti di Venezia faranno un passo in avanti. E, in fondo, avanti di un passo, il movimento ambientalista lo è sempre stato, giusto? Ricordate le nostre critiche al Mose? Inutile, devastante e funzionale solo a far lievitare i costi e dirottare vagonate di fondi pubblici dalla salvaguardia ad aziende in odor di mafia e politici corrotti? Adesso pure il Gazzettino si è accorto che avevamo ragione!
Il passo in avanti che i cittadini di Venezia faranno domenica sarà quello di trasformare il No di protesta in Dieci Sì.
Sì a una città con un turismo su misura
Sì a alle case per i residenti
Sì a un controllo per i cambi d’uso per immobili
Sì a controllo del traffico acqueo
Sì a all’artigianato veneziano
Sì a a una vita a Venezia
Sì a al controllo dell’inquinamento dell’aria e del moto ondoso
Sì a una città solidale
Sì alle Grandi Navi fuori dalla laguna
Come dite? Solo solo nove? Avete contato bene. Ne manca uno. L’ultimo Sì. Quello che viene dai nostri cuori. Sì a riempirci il cuore di un infinito e disperato amore per la nostra bellissima e violentata città.
Intanto, in attesa del 25 settembre, aderite alla campagna “Venezia che parla dai balconi!” e fate sventolare su calli, fondamente e canali, una bandiera che racconti a chi passa sotto le vostre finestre che Venezia è ancora viva e che è qui, e solo qui, che vogliamo immaginare il nostro futuro.
L’appello del comitato Laguna Bene Comune No Grandi Navi alla mobilitazione
http://www.globalproject.info/it/in_movimento/grandi-navi-a-venezia-storia-e-presa-in-giro-infinita-o-prossima-vittoria-per-la-citta-per-lambiente-e-loccupazione/20306
La pagina Facebook del Comitato
https://www.facebook.com/comitatonograndinavi/?fref=nf
e della campagna “Venezia che parla dai balconi!”
https://www.facebook.com/events/170389006698307/
Città d’Europa protagoniste del cambiamento tra guerre e migrazioni
7/09/2016In Comune
L’obiettivo dell’incontro è stato quello di “riprendere il mano il bandolo della matassa” dopo la pausa estiva - ha spiegato nella sua introduzione Mattia Orlando - per tessere da protagonisti “le trame di un futuro ancora incerto al quel arriviamo dopo un passato di conflittualità”. A far gli onori di casa, Anna Messinis, consigliere di circoscrizione di 2020Ve e e vice presidente della Municipalità di Venezia. Città che è uno dei punti focali del cambiamento cui accennavamo. Ma tutto in negativo. “Dopo un anno di giunta Brugnaro, possiamo affermare che Venezia è diventata un laboratorio di politiche populiste, tradendo la sua antica tradizione di città aperta e la sua ancora più antica e, allo stesso tempo, innovativa vocazione di città capace di tutelare il suo ambiente”. La democrazia ha lasciato il posto alla tecnica gestionale, ha spiegato la consigliera. Il welfare è stato abbandonato in nome del profitto privato e l’ambiente è letto solo come merce da vendere. “Il degrado di cui tanto si parla, nasce proprio da questa visione commerciale del mondo e della città. Le soluzioni che il sindaco propone, come quella di colpire il turismo ‘straccione’ a favore di quello ricco, è un rimedio peggiore del male. La strada dovrebbe essere, al contrario, quella di valorizzare le proposte dei tanti movimenti e dei tantissimi cittadini che si battono per una Venezia diversa e per una diversa economia: aiutare la residenzialità locale, l’artigianato e le altre attività non necessariamente legate al turismo, per ridare linfa vitale e dignità a chi vuole costruire in laguna il suo futuro”.
Dal grigione di una Venezia dall’incerto futuro, la giornalista Luciana Castellina spazia verso una lucida analisi del momento politico europeo. E comincia col dire che le elezioni non bastano più per garantire democrazia e, ancor meno, partecipazione. “Il primo danno fatto dal governo Renzi è stato quello di dichiarare la politica incompetente a dare risposte ai bisogni delle persone. In questo modo, il partito degli affari ha pressoché nullificato la democrazia. Ripartire sarà difficile perché è necessario ricostruire tutta la pratica democratica e non basterà mettere una croce su una scheda. La sinistra non deve più fare l’errore di adagiarsi solo sulle consultazioni elettorali ma diventare protagonista dei cambiamenti nel sociale. Dobbiamo costruire una nuova democrazia e la strada è quella di riscoprire e ridare dignità alla politica”.
Sulla stessa lunghezza d’onda Valentina Orazzini, responsabile per l’Europa di Fiom, che sottolinea l’importanza di riappropiarsi di fiducia e speranza. “Il problema non è solo quello di andare al governo. La Grecia insegna che non è sufficiente il potere politico per cambiare le politiche neoliberiste. Il nostro obiettivo è piuttosto quello di costruire una forte opposizione sociale e di mettere in rete i movimenti di opposizione per costruire dal basso il cambiamento”. Le fa eco Martina Carpani, Rete per la Conoscenza: “Più che interrogarsi sulle alleanze politiche e sugli andamenti dei flussi elettorali, la nascente sinistra dovrebbe chiedersi come vuole rappresentare e costruire il nuovo”.
A questo punto viene da chiedersi se la citata sinistra italiana sia finalmente pronta a slegarsi dal mito della “conquista del palazzo d’Inverno” e dei “diecimila anni” di felice socialismo che ne sarebbero derivati, magari per capire che il progresso sociale si costruisce giorno dopo giorno alzando sempre di più l’asticella del conflitto tra movimenti e un potere politico, o meglio ancora, economico, che per sua natura tende a “piramidizzarsi” verso l’alto, indipendentemente da chi siede nella stanza dei bottoni. La nascente Sinistra italiana, ad esempio, sarà l’ennesimo partito tradizionale o qualcosa di davvero nuovo? Non ha esitazioni, Nicola Fratoianni, deputato e promotore di SI. “Abbiamo tante cose difficili da fare. Il problema è come farle. Non ho dubbi che è necessario costruire un partito capace di raccogliere le opposizioni a questo sistema, mettere insieme idee e proposte e dare gambe a tutto ciò”.
"Ciao fossili" I cambiamenti climatici tra resilienza e futuro post carbon
18/07/2016EcoMagazine
Il cambiamento dal basso che auspica Lombroso, riguarda semplicemente tutti e tutto. Niente e nessuno può chiamarsi fuori. Sarà una rivoluzione economica, tecnica, culturale ma anche etica e sociale. Soprattutto, sarà inevitabile. Ed è per questo che la prima parte del libro è una sorta di dizionario alfabetico per insegnarci a "convivere con la resilienza". Accanto ai capitoli che ti aspetti, come Bicicletta, Trivelle" e Biodiversità, troviamo Ogm ("Il problema del cibo - spiega Lombroso - non si risolve con gli Ogm. Anzi non si farebbe altro che rendere i piccoli produttori dipendenti dalle grandi compagnie abbassando la resilienza") e Sforzi Vanificati ("i politici per primi devono essere coerenti ed evitare che mentre vengono promossi iniziative di sostenibilità ... dall'altro si insista per costruire nuove autostrade, cercare petrolio e gas"). Con la categoria dei "politici", Luca Lombroso non ci va a nozze. E come dargli torto? Il politico più lungimirante lavora nell'arco del suo mandato. Cinque anni, forse dieci se riconfermato. Ma i tempi della terra non sono i tempi della politica. Per non parlare dei tempi dell'economia. Che non solo non sono i tempi della terra - né lo sono mai stai - ma nemmeno quelli dell'umanità. Dire "Ciao fossili", Lombroso lo spiega con coerenza ed efficacia, significa salutare per sempre una economia che ha mercificato ambiente, beni comuni e diritti. Significa lasciarci per sempre alle spalle una economia che ha trasformato in nostro futuro in uno sportello di bancomat.
Ma se la politica si rivela inadeguata, a chi spetta il compito di indicare all'umanità una nuova rotta attraverso il burrascoso mare della transizione? Racconta Luca Lombroso che, in seguito alla pubblicazione di Apocalypse Now? (che Luca venne a presentare proprio al laboratorio Morion, alla nostra scuola #ClimateChaos), le mail più intelligenti gli vennero spedite dai bambini. "Nelle giovani generazioni c'è una grande preoccupazione per il futuro e non comprendono l'immobilismo e il ritardo dei potenti, nonché l'insensibilità di tanti adulti". La speranza dell'umanità sta nella loro capacità di rispondere in maniera positiva agli eventi traumatici che, non c'è dubio alcuno, i cambiamenti climatici porteranno con sé, anche nella migliore delle prospettive possibili, e "nella capacità di ricostruirsi restando sensibili alle opportunità positive che la vita offre senza perdere la propria umanità". In altre parole, nella resilienza.
Non è un caso che la seconda parte del libro sia tutta dedicata alla Cop 21 di Parigi, che Luca ha seguito dalla capitale francese, sottolineandone le manchevolezze e le ambiguità. Non fa mistero infatti, di preferirgli l'enciclica Laudato Si' di papa Francesco delle cui citazioni è infarcito il volume. Una lettura della Cop, quella di Lombroso, non del tutto negativa considerato che la Conferenza ha quantomeno sancito che le energie fossili sono dalla parte sbagliata della storia (quella che non ha futuro). Ma neppure totalmente positiva. Al massimo, l'accordo di Cop 21 può essere letto come una Costituzione ambientale. La prima Costituzione valida per tutta la terra perché del futuro della terra tratta. E, come tutte le costituzioni, ne sappiamo qualcosa in Italia come in Turchia, è fragile se non saranno i popoli a difenderla, inutile se non saranno i popoli a pretendere che venga applicata. Dall'altra parte ci sono i poteri forti della finanza, le multinazionali del fossile, politici inadeguati e senza coraggio, destre trasformiste che alzano muri di ignoranza per nascondere sotto le nebbie del nazionalismo e della xenofobia i veri problemi dell'umanità.
Loro non hanno futuro. Tocca a noi far sì che non rubino il nostro.
Dalle città ribelli per una Europa diversa
14/07/2016In Comune
A far gli onori di casa, il presidente della municipalità, Gianfranco Bettin. “In un momento in cui i Comuni sono ridotti a semplici organi esecutori di una politica di tagli al welfare decisa in altre sedi, gli esempi di disobbedienza che stanno dando Barcellona e Napoli sono preziosi per farci capire che si può amministrare in maniera diversa. Ciò che non sta facendo il Comune di Venezia, purtroppo, che proprio nel primo atto della nuova Giunta ha tagliato i trasporti per i malati di Alzheimer e nel secondo ha eliminato il parco della laguna, già finanziato dalla comunità Europea. Ada Colau e Luigi De Magistris hanno dimostrato che si può amministrare una città non solo senza scatenare la guerra ai poveri, ma anche aprendo spazi di democrazia ai movimenti e alla cittadinanza attiva”. Tutto il contrario di Venezia, dove le stesse municipalità sono state rapinate da tutte le deleghe.
Ad introdurre il dibattito, Lorenzo Marsili, fondatore di European Alternatives, che ha raccontato come l’idea di costruire una associazione costruire una rete politica per far comunicare movimenti ed esperienze di democrazia dal basso, gli sia venuta a Pechino “dove i litigi tra Francia e Germania sulle politiche comunitarie sembrano davvero poca cosa”. “Viviamo un momento di collasso sia nella politica che nell’economia - ha spiegato -. Da questo collasso ne può uscire una Europa dei diritti come un ritorno del fascismo. La crisi della democrazia apre nuovi scenari e anche nuovi spazi di protagonismo dei movimenti sociali, come dimostrano per l’appunto i casi di Barcellona e di Napoli”.
Spazio quindi ai due ospito d’onore dell’incontro, intervistati da dal giornalista Giacomo Russo Spena, autore di “Ada Colau. La città in comune”, edizioni Alegre.
“Come sia diventata sindaca di Barcellona è un mistero anche per me - ha spiegato in perfetto italiano l’alcalde Ada Colau -. Fino a poco tempo fa non ero interessata alla politica istituzionale e mi limitavo a lottare per il diritto alla casa e a combattere gli sfratti. Barcellona è sempre stata una città con forte tradizione di sinistra ma a governare erano sempre gli stessi. La crisi economica ha portato con sé una crisi della democrazia rappresentativa. Le istituzioni non davano più risposte ai bisogni dei cittadini su temi fondamentali come la casa, la sanità, il lavoro… Abbiamo cominciato a far rete tra associazioni, cittadinanza attiva e movimenti. Alla fine abbiamo deciso di presentarci alle elezioni contro tutto e tutti e… abbiamo vinto. Alcuni non ci credono ancora. E anche io faccio fatica a pensare che sia potuto succedere ma adesso a Barcellona non si sfratta più nessuno e sul municipio sventola uno striscione con la scritta: benvenuti rifugiati”.
Contro tutti e tutto, anche la vittoria di Luigi De Magistris, per il secondo anno consecutivo. “Gli exit poll non mi menzionavano neppure. Avevo contro la destra, la sinistra, i cinquestelle, per non parlare dei poteri forti e della mafia. Eppure abbiamo vinto. Ho trovato una città devastata dai debiti e dalle immondizie. Ho contribuito a cambiarla assieme ai cittadini napoletani investendo non sul capitale economico ma sul capitale umano, e ho vinto anche la seconda volta. Mi dicevano che dovevo chiudere le scuole per via della spending review. Neanche fosse una guerra o una epidemia. Ho disobbedito e ho assunto maestre e personale. Ora le scuole pubbliche ci sono e funzionano. Sono l’unico sindaco ad aver obbedito, e volentieri, al referendum sull’acqua trasformando una azienda privata in una azienda pubblica che oggi si chiama Abc, acqua bene comune. Ho internalizzato il patrimonio pubblico che era gestito solo da un imprenditore privato. Insomma, ho dimostrato che ‘pubblico’ funziona e che la disobbedienza è un valore civile quando si tratta di difendere il bene comune. Gli altri sindaci di fronte alle occupazioni di aree dismesse e degradata vanno da questore per chiedere lo sgombero, io vado dagli occupanti a ringraziarli per il lavoro svolto. Napoli oggi si è ripresa in mano il suo futuro. E non dite che è merito mio. Il merito è dei cittadini che hanno saputo ribellarsi”.
In viaggio con gli scettici: Ca’ Dario, la casa che uccide
5/07/2016Queryonline
Il palazzo al civico 353 del sestiere di Dorsoduro con la sua eccentrica bellezza, non mancò di accendere anche la fantasia John Ruskin che nelle “Pietre di Venezia” ne descrisse lungamente e con la dovizia di particolari che contraddistingue la sua scrittura, le ricche decorazioni di marmi policromi che ornano la sua facciata.


Dopo la celeberrima Ca’ D’Oro, Casa Dario, situata a fianco dell’incompiuto palazzo Venier dei Leoni, oggi sede della collezione Guggenheim, quasi all’altezza di piazza San Marco, è senza dubbio alcuno, uno degli edifici più eleganti e spettacolari che si specchiano sul Canal Grande.
Eppure c’è un “ma”. La casa sarebbe gravata da una antica maledizione che causerebbe a tutti i suoi proprietari e chi vi soggiorna la rovina economica e una morte violenta. Tutto cominciò nel 1479 quando il segretario del Senato e ambasciatore per la Serenissima Repubblica, Giovanni Dario (1414-1494), un ricco mercante di origini dalmate, commissionò un grande palazzo all’architetto Pietro Lombardo come dote per la figlia Marietta, promessa sposa al nobile Vincenzo Barbaro. Quello stesso anno Dario aveva ottenuto il titolo onorifico di Salvatore della Patria per aver negoziato un trattato di pace col sultano turco Mehmet II e l’unione con l’importante famiglia dogata dei Barbaro lo avrebbe reso un punto di riferimento della politica cittadina. Forse per questo l’uomo volle che nella facciata del palazzo comparisse la scritta “genius urbis Joannes Dario”. Frase traducibile come una dedica di Giovanni alla città di Venezia (“genius urbis”).
I sostenitori della maledizione non hanno perso l’occasione di giocare con gli anagrammi, ricavandone un “Sub ruina insidiosa genero”: genero sotto una insidiosa rovina. Che, con un po’ di fantasia, diventa: porto la rovina a coloro che vivono sotto di me.

La casa viene ereditata dai tre figli di Marietta: Gasparo (1496-1514), Giacomo (1501-1542) e Giovanni (1502-1582). Giovanni Barbaro porterà avanti la discendenza, ristabilirà le finanze familiari e si spegnerà ad 80 anni. Tocca al fratello Giacomo alimentare la leggenda della maledizione morendo per mano ignota nella lontana isola di Candia, l’odierna Creta. Ma la realtà è meno prosaica. Nel 1650 la Serenissima inviò una truppa di rinforzo alla città di Sittia assediata dai turchi; la spedizione cadde in un’ imboscata e, mentre i cavalleggeri riuscirono a rifugiarsi tra le mure della città, tutti i fanti vennero massacrati. Tra costoro figurava il provveditore Giacomo Barbaro.

La maledizione pare essersi assopita. Per vederla risvegliarsi, dobbiamo attendere il dopoguerra, quando la casa fu acquistata da Charles Briggs, un americano proprietario di miniere in Sudafrica, fuggito dagli Usa per una accusa di omosessualità. Per qualche anno, abiterà a Ca’ Dario con il suo amante, quando nel 1962 la magistratura italiana gli comunica che, pur non essendoci nel nostro Paese leggi contro l’omosessualità, risulta comunque un personaggio non gradito in Italia. Briggs è costretto a rimettere Ca’ Dario sul mercato. Fuggirà in Messico dove il suo amante si suiciderà. Per sei anni Ca’ Dario rimane senza un padrone, quando nel 1968, si fa avanti un altro nobile, anch’egli omosessuale, il conte Filippo Giordano delle Lanze. Ed è proprio il conte delle Lanze, esperto d’arte e antiquario, l’unico proprietario che andrà davvero incontro ad una morte violenta all’interno del palazzo: il 19 luglio del 1970, il conte 46enne viene trovato assassinato con la testa fracassata da un vassoio d’argento. Sarà condannato a 18 anni un giovane amante del conte, il marinaio jugoslavo Raoul Biasich. Mai scontati perché il marinaio è tutt’ora irreperibile.
Dopo la nobiltà, va in scena il rock. Il nuovo proprietario di Ca’ Dario è Kit Lambert, manager del celebre complesso degli Who. La leggenda racconta che anche questo impresario si suicidò dopo un fallimento. Nulla di più falso. Lambert morì il 7 aprile dell’81 per una emorragia cerebrale dopo una caduta dalle scale di casa causata, secondo alcuni giornali, dal troppo alcol. In ogni caso, si trovava a Londra e la sua residenza veneziana l’aveva già venduta tre anni prima. Nel ’78 infatti, la casa era stata acquistata dalla Nuova Bavaria Assicurazioni di proprietà di un discusso uomo d’affari di Mestre, Fabrizio Ferrari, e viene usata come esclusiva location per feste dai vip della finanza e della politica. La magistratura indaga su festini a base di droga e prostitute, ma la Casa non uccide nessuno e tutti godono ancora di ottima salute.
L’ultimo dramma sul palcoscenico di Ca’ Dario va in scena nell’85 quando la casa viene acquistata da Raul Gardini, l’uomo di Enimont, della Montedison e del Moro di Venezia. Otto anni dopo l’acquisto, il finanziere travolto da Mani Pulite, sarà trovato morto. Non a Ca’ Dario, ma nella sua casa milanese, lo storico palazzo Belgioioso, il 23 luglio del 1993. Gli inquirenti avvalorano la tesi del suicidio con un colpo di pistola in testa. Oggi Ca’ Dario è disabitata. La figlia di Gardini, Elisabetta, l’ha venduta nel 2006 ad una società americana che ha commissionato gli attuali restauri. Sulla destinazione finale dell’immobile, non ci sono notizie.
Il timore è che la storica magione dei Dario diventi l’ennesimo albergo. La vera maledizione di Venezia è solo questa.
Bibliografia
Libri
- Fabrizio Falconi; I monumenti esoterici d’Italia, Newton Compton, Roma
- Gianni Nosenghi; Il grande libro dei misteri di Venezia risolti e irrisolti, Newton Compton, Roma
- Marcello Brusegan; Storia insolita di Venezia, Newton Compton, Roma
- Alberto Toso Fei; Leggende veneziane e storie di fantasmi, Elzeviro, Treviso
- Gabriele D’Annunzio; Il fuoco, Newton Compton, Roma
- John Ruskin; Le pietre di Venezia, Rizzoli, Milano
- Marin Sanudo; I diarii
- Giulio Lorenzetti; Venezia e il suo estuario, Lint, Trieste
- Thomas Jonglez e Paola Zoffoli; Venezia insolita e segreta, Thomas Jonglez editore, Venezia
- Damien Simonis; Venezia, EDT Edizioni, Torino.
- Renzo Mazzaro; Le vacanze di Berlusconi ospite di Fabrizio Ferrari il mestrino della Dolce vita, in «La Nuova di Venezia», 15 agosto 2010.
- Claudio Pasqualetto; Quel maledetto giorno in cui Raul comprò Ca’ Dario, in«Corriere della Sera», 24 luglio 1993.
- Wikipedia italiana, voce Ca’ Dario
- Le morti inspiegabili di Palazzo Dario, minube.it.
- Ca’ Dario, la casa maledetta di Venezia – La Tela Nera
- Ca’ Dario tra maledizioni e realtà storica… | True Crime
- Ca’ Dario. Una maledizione a Venezia – www.pensierospensierato.net/2011
- Christopher Sebastian “Kit” Lambert, findagrave.com.
- Lambert – Biography, reachinformation.com.
- Gardini, la maledizione di Ca’ Dario colpisce ancora, adnkronos.com.
- L’omicidio di Filippo Giordano delle Lanze, cronaca-nera.it.
La laguna fa la festa alle Grandi Navi. Attivisti in acqua per impedire il transito
12/06/2016EcoMagazine
Una situazione che non può più essere tollerata e alla quale la politica deve dare una risposta. E dovrà essere una risposta compatibile con l’ambiente e la tutela della salute dei veneziani. Soprattutto, dovrà essere una risposta partecipata e trasparente. Proprio quella che il Governo non vuole dare, considerando che proposte e alternative sono attualmente secretate ed è difficile seguirne anche l’iter procedurale. Il timore è che gli interessi dei grandi gruppi crocieristici e le acquisite rendite di posizione, pesino sulle scelte finali più della volontà di tutelare la città più bella del mondo.
Ed è proprio per ricordare a tutti che Venezia è la sua laguna, e difendere la laguna dalle Grandi Navi significa difendere la città, che le ragazze e i ragazzi degli spazi sociali, questo pomeriggio, non hanno esitato ad infilare le pinne e a tuffarsi, un’altra volta, in acqua. Proprio come in Val di Susa gli attivisti no Tav tagliano le reti dei cantieri.
Storia di una panchina
15/05/2016Frontiere News
Non che abbia tanto altro cui pensare tutto il santo giorno, il Brugnaro Luigi sindaco. Piange il morto con ogni malcapitato ministro che si avventura in laguna per domandargli soldi per “salvare Venezia”, si fa sfanculare in diretta nelle trasmissioni radiofoniche, ha bannato la parola “ambiente” dal vocabolario municipale, cassato il parco della laguna nord che pure era già stato finanziato dalla Comunità Europea - pare che con i parchi non si facciano soldi e si scontentino i cacciatori che hanno grana -, litigato con le società remiere, insultato quel culattone di Elton John che sui social si era detto preoccupato per Venezia, armato i vigili di pistola, assicurato le compagnie di navigazione che possono far circolare le Grandi Navi dove vogliono come vogliono e quando vogliono, invitato i residenti di Venezia a trasferirsi tutti a Mestre, così si fa più spazio ai turisti che portano schei, twittato contro l’utero in affitto. Problema quest’ultimo che lo assilla più dei cambiamenti climatici ai quali non crede affatto. Ma il meglio di sé, come abbiamo detto, lo riserva tutto alla lotta al degrado. Degrado causato tutto da slavi, negri, nomadi, froci, clandestini, barboni, zecche dei centri sociali, vu cumprà, puttane, zingari, terroristi islamici, tossici ed extracomunitari non svizzeri. Gente, diciamolo pure, non pulitissima. C’erano una volta le docce comunali ma il Brugnaro Luigi Sindaco ha ruspato via pure quelle. Gente che dorme per strada. C’erano una volta associazioni, come la Caracol, che si occupavano dei senza casa offrendo loro un posto letto al caldo durante i rigidi mesi invernali. Ma il Brugnaro Luigi sindaco ha deciso che si poteva fare benissimo a meno di loro. Gente che ti piscia sul portone di casa. C’erano una volta i bagni pubblici. Ma anche questi hanno fatto la fine della nostra disgraziatissima panchina.
E così Mestre - che bella bella non è mai stata - è diventata una fogna a cielo aperto dove, vai a capire il perché, i fascisti di Casa Pound si sentono come a casa loro e cominciano a fare proselitismo. In più, spuntano come funghi i comitati di residenti sempre più incazzati ed intrattabili. E tutti ad invocare il Brugnaro Luigi sindaco, unico e vero paladino della lotta al degrado. Riporto a commento la pacata osservazione di una ragazza che, prima dell’era Brugnaro, passava le notti a portare bevande calde e coperte ai clochard assieme agli attivisti della Caracol. Si chiama Vittoria Scarpa ed è un tipetto ruspante che non te le manda a dire (io non saprei sintetizzare la situazione meglio di lei). “E se vi pisciano sotto casa non va bene. E se mettono i bagni no perché son brutti e attirano gente brutta. E se per strada non c'è nessuno abbiamo paura. E se c'è un bar aperto c'è casino e non dormiamo. E se non ci sono negozi la città muore. E se li comprano i cinesi siamo invasi. E gli spacciatori tunisini sono il problema ma la generazione di giovani che si fanno di tutto l'avete cresciuta voi. Ma più di tutto regna il dio degrado. Ma andate tutti affanculo, compratevi una casetta su Marte”.
Ma adesso che ha ruspato via tutto lo stato sociale, cosa resta da fare al Brugnaro Luigi sindaco per portare avanti la sua crociata contro il degrado? Se pensate che lui sia uno di quelli che si perdono d’animo, siete fuori strada. Zompa in consiglio comunale e scatena una bagarre degna di miglior causa fino a che non ottiene di far approvare due richieste formali al presidente del consiglio. Una per chiedere il ritorno dei marò e l’altra per invocare “più poteri” e risolvere così il problema del degrado a modo suo. Quale sia questo modo suo, non ce lo ha spiegato. A dir la verità, non glielo ho neppure chiesto perché temo la risposta.
Questa signori, è l’aria che tira a Venezia. “La città più sicura del mondo - si vanta sempre il Brugnaro Luigi sindaco -. Se solo uno di quei musulmani prova a gridare Allah si trova sparato nel giro di due secondi”. Con i militari col mitra spianato che marciano per le calli, a parer suo, i veneziani dovrebbero respirare sicurezza a pieni polmoni Attenzione solo a non farvi beccare con l’abbonamento scaduto nel bus che va a Mestre, perché il servizio di controllo è stato appaltato a guardie private che ti chiedono il biglietto armate di pistole. Una spesa che bisognava fare per la sicurezza. Ma per un orinatoio a muro non ci son soldi. E così a Mestre tira un’aria che sa di piscio. Neanche tanto diversa, alla fin fine, da quella che spazza Verona con Tosi Flavio sindaco, dove ti becchi 500 euro di multa solo se ti azzardi a fare la carità ad un disperato. O da quella che ammorba Padova con quell’altro Bitonci Massimo sindaco, che ha inventato addirittura la panchina anti degrado dotata di una sbarra centrale ti impedisce di abbracciare la morosa anche se sei eterosessuale! E ci si è pure fatto immortalare seduto sopra con la faccia soddisfatta accanto al suo degno assessore! Oh… e parliamo di persone che la domenica vanno pure in chiesa e si sistemano in prima fila per sentire le prediche sulla carità cristiana, eh?
Siete schifati? Posso capirlo ma, per favore, continuate a leggere qualche altra riga perché la storia continua con quell’altra panchina. Quella cui accennavamo in apertura. Quella colore del fuoco. L’hanno sistemata, esattamente dove sorgeva la panchina originale giustiziata dalla ruspa, i ragazzi dei centri sociali, che poi hanno portato in corteo il manichino di un Cristo vestito da clochard sino alla sede dell’assessorato ai servizi sociali per chiedere che ci sta a fare un assessorato ai servizi sociali se i servizi sociali non ci sono più. Non sono stati ricevuti perché loro sono le zecche dei centri sociali. Ma la panchina che hanno costruito, c’è da dire, è più bella di quella che c’era prima. Hanno sistemato sopra addirittura una piccola tettoia per riparare dalla pioggia il malcapitato costretto a dormirci sopra. E se il Comune pialla anche questa, ne rimetteranno subito un’altra, assicurano. E vediamo chi si stufa prima. #noisamogentechenonmollamai è l’hastag di battaglia.
Come ha reagito l’amministrazione? La risposta è stata affidata ad un tweet che, se non lo avesse mandato l’assessore alla Sicurezza, Giorgio d’Este, ma uno dei tanti sparasentenze da bar Sport farebbe solo che pietà ma invece fa anche piangere. “Ecco!!! Questa gente che tanto si schiera per salvaguardare soggetti tossici e disadattati intende aiutarli rimettendo la panchina. Ma perché, mi chiedo, non li aiutano veramente offrendogli un posto a casa loro?” Una argomentazione, questa del “perché non ve li portate a casa vostra”, magari non eccessivamente elaborata nei contenuti ma che la dice tutta su cosa intenda per “politica” - la “cosa di tutti” - la giunta del Brugnaro Luigi sindaco che governa la mia città. A questo punto, avrete intuito perché la puzza di piscio che si sente in laguna non è dovuta solo ai famosi “soggetti tossici e disadattati” costretti a svuotarsi le vesciche sui portoni delle case.
Ma intanto la panchina è sempre là. Un pugno rosso fuoco contro il grigiore di una Mestre che naufraga nella sporcizia, nell’abbandono e nella vergogna. E attorno a lei ci sono ancora loro, le ragazze e i ragazzi del Loco, del Morion e del Rivolta, pronti a fare quadrato, a ricostruire quello che altri distruggono, a sentire tutte le ingiustizie fatte al mondo come fossero fatte a loro, a denunciare un degrado che sta tutto nell’anima di chi lo invoca a pretesto. A lottare per quella libertà e quella democrazia per cui lottavano i loro nonni partigiani. A resistere, a tener duro, a rompere i coglioni.
Quella rapina a mano armata che chiamano TTIP
28/04/2016EcoMagazine, Global Project
Lo ha sottolineato, tra gli altri, anche il premio Nobel per l'economia Joseph Stiglitz in uno suo intervento al Parlamento italiano il giorno 24 settembre del 2014, che passerà alla storia per il totale disinteresse dimostrato dai nostri onorevoli. "Il TTIP non è un accordo di libero scambio, come vogliono farci credere - ha sottolineato il Nobel statunitense -. Un accordo simile potrebbe essere contenuto in tre pagine: noi eliminiamo le nostre barriere doganali e voi le vostre. Ma gli Usa non sono interessati ad un accordo di libero scambio. Gli Usa vogliono un patto di gestione del commercio per favorire particolari interessi americano che non non sono neppure gli interessi dei cittadini americani. Ecco cosa è il TTIP. Questo è il motivo per il quale l'Ustr (United States Trade Representative, l'agenzia governativa che gestisce le trattative in materia.ndr) si è rifiutata di rivelare il testo dell'accordo anche ai membri del Congresso. Vogliono che i nostri e i vostri rappresentanti siano all'oscuro di quando contenuto nell'accordo. Figuriamoci i normali cittadini che non ne devono sapere assolutamente nulla".
La segretezza con la quale sono condotte le trattative su un piano economico che, nel bene e nel male, coinvolgerà oltre 820 milioni di persone tra cittadini europei e statunitensi, e alla fine dovrà essere ratificato da un parlamento europeo che, per ore, non ne sa assolutamente niente, è il primo punto che fa suonare una campanella d'allarme.
Nell'unico documento ufficiale diffuso dall'Ue si leggono obiettivi quanto meno superficiali e generici, tipo «aumentare gli scambi e gli investimenti tra l’UE e gli Stati Uniti realizzando il potenziale inutilizzato di un mercato veramente transatlantico, generando nuove opportunità economiche..." e via discorrendo. Ma perché tanta segretezza allora? Tutti si spiega con le bozze di accordo, pubblicate e mai smentite dalla Ue, da settimanali come il tedesco Zeit o lo Huffington Post che hanno messo in evidenza come la direzione generale commercio della Commissione europea (l'unico "ministero" preposto alla trattativa con gli Usa) stia tramando - non trovo parola migliore - per portare avanti una liberalizzazione feroce che farebbe la felicità degli economisti della scuola di Chicago.
Il TTIP punta infatti ad eliminare tutti i dazi sugli scambi bilaterali di prodotti, liberalizzare tutti i servizi e gli appalti, con conseguente perdita del lavoro per delocalizzazione in mercati più convenienti (e con meno diritti sociali e ambientali) e il decadimento delle norme a favore dell'imprenditoria locale in tema di forniture pubbliche,. Inoltre, il TTIP punta a tutelare i grandi investitori con l'introduzione dell'Isds (Investor to State Dispute Settlement) che consente ai finanzieri di citare in giudizio i Governi e, di fatto, assoggetta gli Stati nazionali ad un diritto tagliato apposta per le multinazionali.
Tra le altre conseguenze denunciate da pressoché tutte le associazioni europee di consumatori e di tutela dell'ambiente, sono state evidenziate una maggior dipendenza dal petrolio (Cop21 ci fa una pippa!), la mercificazione del territorio e dei beni comuni, un aumento dei rischi per la salute perché verrebbero meno tutte le garanzie ed i controlli sui farmaci e sugli alimenti.
Senza contare che per la frammentata agricoltura europea che oggi punta sulla qualità del prodotto, la scomparsa delle protezioni doganali sarebbe il colpo finale e le culture Ogm sarebbero invocate come la sola soluzione possibile per allineare il settore a quello d'oltre oceano.
In poche parole, il Ttip altro non è che una rapina a mano armata che spazzerebbe via le piccole e medie aziende europee a favore delle grandi multinazionali. E con loro, quello che resta di una democrazia rappresentativa che già adesso, in Italia come in Europa, non rappresenta più nessuno.
Una storia, questa dei trattati Usa per il "libero scambio", che sbarca in Europa dopo aver fatto piazza pulita dell'economia dell'America latina.
Le conseguenze di un simile accordo economico lo possiamo già vedere nell'odierno Messico dove, il primo gennaio 1994, gli Stati Uniti imposero il Nafta (North American Free Trade Agreement) e la nazione centroamericana perse, con la sua indipendenza economica, anche la sua sovranità, consegnando il suo territorio alle multinazionali minerari e la sua democrazia alle multinazionali del narcotraffico.
Quel giorno, nel Chiapas, qualcuno disse che era ora di finirla. Occupò cinque città in armi e salì sul balcone del municipio di San Cristobal per gridare "Ya basta" ed annunciare al mondo intero che, se la scelta era tra morire combattendo o morire di fame, loro sarebbero morti combattendo.
Fin che la barca va, l'inquinamento aumenta
19/04/2016EcoMagazine, Global Project
Sotto osservazione, in particolare, l'inquinamento atmosferico che deriva dal traffico navale e dal via vai di Grandi Navi al porto di Venezia. "Ho effettuato valutazioni dell'aria in tanti porti e tante città - ha dichiarato Axel Friedrich - ma un inquinamento simile non l'ho mai rilevato. In Italia, si continua a permettere alle navi di bruciare carburante di pessima qualità e di non adoperare i filtri antiparticolato con conseguenze tragiche per la salute di migliaia e migliaia di cittadini, per non parlare degli effetti nefasti sul clima, sull'ambiente e anche sui monumenti. I Paesi che si affacciano nel mare del Nord e nel mar Baltico, invece, hanno ottenuto per le loro acque il riconoscimento dell'area Seca (SOx Emission Control Area. ndr) migliorando notevolmente la qualità dell'aria".
In Italia le cose marciano diversamente, le lobby crocieristiche giocano al risparmio, e di filtri e di carburanti a basse emissioni non vogliono sentir parlare. Anche l'accordo Venice Blue Flag con il quale le compagnie si impegnavano ad abbattere la percentuale di zolfo nei carburanti utilizzati in entrata e in uscita del porto, lascia il tempo che trova, considerato che nessuno ha mai effettuato un serio controllo sulle emissioni e che gli stessi dati ottenuti dallo staff di Friedrich dimostrano tutto il contrario. Vedi i picchi registrati ogni qualvolta volta che una nave transitava per il canale della Giudecca.
Le modalità con le quali l'Arpav controlla le emissioni, infatti è uno dei punti focali delle critiche dello scienziato tedesco. Ad oggi c'è una sola centralina in tutta la laguna e sistemata, per di più, a Sacca Fisola. Cioè sottovento rispetto ai principali venti che soffiano a Venezia che sono quelli di bora. "Un posto perfetto per dimostrare che l'inquinamento non esiste. Se proprio vogliono usare una sola centralina dovrebbero sistemarla dove c'è più flusso di persone e dove batte di più l'inquinamento. A San Marco, per esempio. Là noi abbiamo rilevato i picchi più preoccupanti".
Da sottolineare che, pur se misurati con un arbitraggio... "casalingo", i dati raccolti dalle centraline Arpav in questi primi mesi dell'anno hanno ugualmente sforato i limiti di legge. E che in Italia si continua a morire di inquinamento lo afferma anche l'Unione Europea, che ha sanzionato il nostro Paese per mancanza di interventi a tutela della salute dei suoi cittadini. Secondo l'agenzia Ambiente europea, sarebbero oltre 50 mila in Italia le morti premature dovute agli inquinanti atmosferici.
Una situazione criminale nella quale Governo, Regione e Comune, a veri livelli, si guardano bene dall'intervenire preferendo continuare con la politica dello struzzo. Tanto per citare un esempio, da quest'anno la normativa rende obbligati i controlli delle polveri ultra sottili (proprio queste misurate dal dottor Friedrich) ma l'Arpav non è ancora stata dotata degli strumenti per effettuare un corretto monitoraggio. E stiamo parlando di apparecchiature che costano poche migliaia di euro.
Non ci sono soldi o non c'è la volontà politica di affrontare una situazione che imporrebbe scelte radicali e ben diverse da quella di continuare a far fare passerella in laguna alle Grandi Navi?
Ma sappiamo già da che parte pende la bilancia quanto il governatore Luca Zaia e il sindaco Gigio Brugnaro, mettono sul piatto la salute dei cittadini e gli interessi delle grandi lobby.
Fin che la barca va, lasciala andare.