In questa pagina ho riportato gli ultimi articoli che ho scritto per il quotidiano ambientalista Terra, il settimanale Carta, Manifesto, per siti come Global Project, FrontiereNews o siti di associazioni come In Comune con Bettin e altro ancora.

La Città Metropolitana dice No alla Romea Commerciale

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"Non a casa mia. Spostiamola di qua o di là, ma non a casa mia”. Non la vuole proprio nessuno la nuova Romea Commerciale. Pressoché tutti i Comuni del Miranese e della Riviere hanno votato, uno dopo l’altro, ordini del giorno in cui si chiede di spostare l’incombente asse autostradale più a nord o più a sud o in qualsiasi altra parte ma “non a casa mia”. Le motivazioni sono le stesse che gli ambientalisti sostengono sin dalla presentazione di questa ennesima Grande Opera.
Grande Opera non solo inutile ai fini della circolazione (basterebbe potenziare e mettere in sicurezza i, tracciato già esistente) ma addirittura definita senza mezzi termini dal sindaco di Mira, Alvise Maniero, "violenta e devastante per il territorio".
Sindaci ed ambientalisti quindi, uniti nella lotta come non capitava di vedere da troppo tempo. Perché, come abbiano scritto in apertura, questo nuovo mostro di cemento mangia soldi e divora ambiente, non lo vuole proprio nessuno. A parte ovviamente, il potente e trasversale partito delle Grandi Opere, che in questo caso, è trainato da una cordata di imprese e banche da Gefip di proprietà dell’europarlamentare, ex Udc ora Ncd, Vito Bonsignore: nome ben noto sin dai tempi delle inchieste di Tangentopoli.




Dopo i Comuni dell’entroterra, adesso tocca anche a Venezia esprimersi in difesa del suo territorio grazie ad un odg, un ordine del giorno, proposto dai consiglieri della lista In Comune Camilla, Seibezzi e Beppe Caccia, ed elaborato in collaborazione con i comitati Stop Orme e Opzione Zero. Il testo, ricalca quanto già presentato da Mattia Donadel del comitato Opzione Zero, e votato dal consiglio comunale di Mira.

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ispetto agli analoghi documenti approvati dai Comuni dell’entroterra, questo veneziano propone un paio di novità che val la pena sottolineare. Prima di tutto, si presenta, forse per la prima volta, come un documento di “area metropolitana”. Non la singola posizione di un Comune ma una piattaforma condivisa da un territorio assai più ampio. In secondo luogo, l’odg scritto da Seibezzi e Caccia fa piazza pulita delle possibili alternative cui accennavamo. I problema, sostengono i consiglieri, non sta nel disegnare un percorso o una uscita alternativa al progetto, ma di bocciare l’intero progetto.
“Non abbiamo bisogno di una ulteriore autostrada - ha commentato Beppe Caccia - e neppure di farsi devastare dall'ennesima Grande Opera. L'attuale traffico non giustifica affatto la realizzazione di un'autostrada, mentre i drammatici problemi di sicurezza della Romea richiedono che siano realizzati immediatamente quegli interventi di messa in sicurezza che salverebbero decine di vite umane”. Caccia lancia un appello ai sindaci a lavorare insieme. “A questo -ha spiegato - serve la città metropolitana: non a scaricare il barile al comune vicino, ma insieme a far pesare la propria forza a difesa del territorio di tutti".
Camilla Seibezzi, che è anche candidata al parlamento europeo con la lista Tsipras, fa notare come "il progetto non sia nemmeno riconosciuto come strategico tra i grandi corridoi infrastrutturali dell'Unione Europea, anzi fin dal 2011 la Commissione Europea chiede di rafforzare il corridoio ferroviario dal Baltico all'Adriatico, per trasferire quote crescenti del trasporto merci dalla gomma alla rotaia. Il sospetto che abbiamo è che il nostro governo stia spingendo per la realizzazione di quest’opera per fare un favore alla cordata di imprese presieduta da Vito Bonsignore".

L’Italia tradisce Kyoto. I dati Ispra testimoniano che siamo fuori dal Protocollo

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Fuori da Kyoto. Erano in pochi, nel nostro Paese, a nutrire ancora illusioni sul raggiungimento degli obiettivi stabiliti dal Protocollo di Kyoto che abbiamo sottoscritto nel 1997, ma in attesa dei dati definitivi, sperare era ancora lecito. Adesso però non ci sono più scusanti. Le statistiche diffuse dall’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale (Ispra) non ci lasciano scampo. E va sottolineato che i dati del 2012 sono particolarmente significativi perché concludono l’intera serie storica delle emissioni dal 1990 al 2012. Quello trascorso infatti è l’ultimo anno del primo periodo del Protocollo di Kyoto che spaziava dal 2008 al 2012, appunto. L’Italia si era impegnata a a ridurre in questi cinque anni le emissioni medie di gas serra del 6,5% rispetto ai valori registrati nel 1990 ma nei fatti non è andata oltre il 4,6%. Un fallimento, figlio di una politica economica che non ha mai realmente puntato sulle energie alternative e ha continuato a ripercorrere gli errori di una economia basata su cemento e Grandi Opere, giustificata con lo spauracchio di una crisi per combattere la quale ogni strategia di “sviluppo” diventava lecita.



I dati diffusi dall’Ispra in un incontro con la stampa svoltosi ieri a Roma non sono ancora ufficiali perché bisognerà attendere che questi vengano validati dall’Unfccc, il tavolo dell’Onu dedicato al cambiamento climatico. C’è ancora la possibilità che questi possano subire delle piccole modifiche in positivo non appena verranno considerate alcune statistiche peculiari del settore forestale italiano dove i parametri ambientali sono positivi, ma si tratta, al massimo, dello spostamento di qualche 0,1 percentuale che non modificherà il totale fallimento italiano. Resteremo comunque in debito di 16,9 milioni di tonnellate di Co2 che, come prevede il Protocollo, saremo costretti ad “acquistare” sul mercato delle emissioni. Un vero e proprio “debito economico” che il Governo sarà obbligato a riportane del Documento di Economia e Finanza (Def) e che può essere monetizzato all’incirca ad un euro a tonnellate. Come dire, che dovremo mettere a bilancio almeno 17 milioni di euro per acquistare crediti a quelle nazioni che - loro! - gli obiettivi che si sono prefissati sono riusciti a raggiungerli.

Quello che davvero nessuna economia potrà pagare invece, sono gli irreversibili disastri che saranno provocati in tutto il pianeta da un Climate Change oramai avviato e di cui, adesso, nessuno più dubita.
Quelli li lasciamo tutti in eredità alle future generazioni.

Incendio all’ex ospedale Al Mare. Chi ha interesse a fare terra bruciata?

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Un incendio divampato da quattro punti diversi che hanno cominciato a bruciare allo stesso momento. Difficile non vederci una origine dolosa. Le fiamme hanno avvolto l’ex ospedale Al Mare del Lido di Venezia verso mezzanotte e ci son volute tre ore buone ai vigili del fuoco per domare l’incendio. Attualmente la struttura ospedaliera è abbandonata in attesa che venga definito un contenzioso tra il Comune e i suoi proprietari.
Se venisse confermato che l’incendio è di natura dolosa, quanto accaduto questa notte getta inquietanti ipotesi su loschi interessi speculativi.
“Da anni questa preziosa porzione del nostro territorio è oggetto di mire speculative - ha commentato il consigliere comunale Beppe Caccia-. Solo cinque mesi fa l'amministrazione comunale si è liberata della pesante ipoteca rappresentata dalle fallimentari operazioni finanziarie e immobiliari di EstCapital e dei fondi Real Venice. Ma ciò non significa che torbidi interessi non continuino a svolazzare, come avvoltoi, sul destino di questa area”.
La domanda che dobbiamo porci, sottolinea il consigliere della lista In Comune è: chi ha interesse a fare "terra bruciata" dell'ex Ospedale al Mare? Chi ha interesse a danneggiare le attività volontarie di recupero e valorizzazione dell'area condotte da decine di cittadini al Teatro Marinoni e in tutta l'area?



Questioni queste che dovranno trovare risposta nelle prossime ore, sostiene Caccia, per bloccare sul nascere ogni mira speculativa: “Il futuro dell'ex Ospedale al Mare non può che essere definito riconoscendo e valorizzando l'iniziativa e la partecipazione diretta dei cittadini e l'interesse pubblico e sociale che l'area riveste per l'intera isola del Lido”.

La banda del “buco” colpisce ancora. Fermiamo la Tav in gronda

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L’annuncio viene da Milano. Al termine di un incontro col sindaco Giuliano Pisapia e il presidente di Sea Handlinig, Pietro Modiano, il ministro alle Infrastrutture, Maurizio Lupi ha ufficializzato la volontà sue e del Governo di collegare tre grandi aeroporti internazionali alle linee Alta Velocità. Sotto il mirino ci sono gli scali di Malpensa, Fiumicino e anche Tessera. «Il Governo - ha assicurato il ministro - ha chiesto venerdì a Rfi di presentare progetti e costi. Sarebbe in contraddizione un grande piano di rilancio del sistema aeroportuale italiano se non integrato dall'Alta velocità».
In altre parole, per quando riguarda Venezia, torna a camminare lo “zombie” di un progetto che gli ambientalisti credevano (speravano) oramai morto e sepolto. Quello demenziale di una fermata dell'Alta Velocità a pochissimi chilometri dalle stazioni di Mestre e di Venezia oggi raggiungibili in dieci minuti di autobus. Progetto che comporterebbe lo scavo di un tunnel, in parte in un'area densamente urbanizzata, in parte lungo la gronda lagunare alterando il delicatissimo equilibrio idrogeologico, in parte nel pieno delle aree archeologiche di Altino. Un miliardo di euro di spesa per un flusso di passeggeri contenuto e già efficacemente collegato alla stazione di Mestre.



“I Lupi affamati di grandi opere e dei grandi affari a spese dei cittadini che ne sono il necessario corollario, perdono il pelo ma non il vizio - ha commentato Beppe Caccia, consigliere comunale della lista In Comune - Questo tentativo del ministro di portare la l'Alta Velocità ferroviaria all'aeroporto Marco Polo per la gioia del presidente Save, Enrico Marchi, dovrà trovare nel nostro territorio ogni genere di barricate, da parte delle popolazioni interessate così come da parte dell'amministrazione comunale”.
La stessa RfiSpA, società della holding Ferrovie dello Stato, e il commissario governativo alla Tav, Bortolo Mainardi, ha spiegato il consigliere, hanno sonoramente bocciato il progetto di una nuova linea in gronda, sulla base di rigorose valutazioni tecniche, rilanciando il tema del potenziamento tecnologico dell'attuale collegamento Mestre-Trieste.
“Piuttosto - continua Caccia - c’è un'opera la cui realizzazione è necessaria e urgente: la bretella ferroviaria tra Dese e l'aeroporto, che consentirebbe di integrare il Marco Polo nel sistema ferroviario metropolitano regionale così da permettere a migliaia di passeggeri di raggiungere agevolmente lo scalo”. Purtroppo tale progetto costa “solo” 200 milioni di euro. Peraltro già disponibili e immediatamente cantierabili.
“Troppo pochi - conclude amaramente Caccia - per alimentare, a spese dei cittadini, il perverso meccanismo affaristico collegato alle Grandi Opere infrastrutturali”.

Il Parco della Laguna di Venezia è una realtà. Quasi…

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Finalmente ci siamo. O meglio, finalmente ci siamo... “quasi”. Bisognerà attendere lunedì prossimo, giorno della convocazione del consiglio comunale di Venezia per assistere alla discussione e, ci si augura, all’approvazione della delibera che istituisce il parco della laguna di Venezia. Mal che vada, se la discussione andasse per le lunghe (l’opposizione ha dichiarato guerra e d’altra parte è questo il suo mestiere), toccherà attendere un’altra settimana. Ma il traguardo oramai è vicino. Tanto è vero che l’assessore Gianfranco Bettin, che del progetto è stato anima e mente, ha voluto anticipare la presentazione del nascente parco in un incontro svoltosi questa mattina al Salone Nautico che si sta svolgendo a San Giuliano. Con lui, il responsabile dell’Osservatorio della Laguna, Marco Favaro, che è la struttura comunale che si è presa la poco digeribile briga di dipanare l’iter burocratico, tra corsi e ricorsi di richieste, specifiche, pareri, discussioni, aggiustamenti nelle aule di Municipalità, Comune, Provincia e Regione. Ce n’era da perdere la testa. La sola richiesta di un parere aggiuntivo, tra l’altro non vincolabile alla Regione, che l’assessore Pierantonio Belcaro si è inventato all’ultimo momento, ha fatto perdere almeno tre mesi di lavoro. Ma stavolta ci siamo sul serio e le scartoffie sono tutte a posto. La laguna nord (che poi è tutto quanto rimane dell’antica laguna dei dogi, considerato che scavi e cemento hanno trasfornato la barte meridionale in un braccio di mare aperto) diventerà finalmente un parco.


Si chiude quindi una storia quarantennale, che potremmo far risalire al Fronte per la difesa della laguna di Venezia di Indro Montanelli. Una storia che ha visto momenti quanto meno pittoreschi come quelli rievocati durante l’incontro di questa mattina da Paolo Cacciari, che da onorevole presentò assieme a Luana Zanella un dimenticato pdl per un parco regionale, e che ha raccontato come all’epoca, durante gli incontri di presentazione del progetto a Burano, i cacciatori erano usi aizzargli contro i cani. Altri tempi? Mica tanto! Le ultime proteste anti parco che in certe frange hanno, per dirla con Bettin “travalicato i limiti della buona educazione” dimostrano che la questione è sempre bollente, in particolare nelle isole. Un impasse che superare è costato lavoro, interminabili discussioni, tolleranza e tanta tanta pazienza. “Ma adesso la maggioranza dei residenti è d’accordo col nostro progetto - ha commentato l’assessore -. Anche le categorie come quelle della pesca e del turismo si sono dette favorevoli. Ho già dichiarato che sono favorevole a sottoporre la questione ad un referendum. Chi teme che il parco comporti un regime troppo vincolistico sbaglia bersaglio. I vincoli di tutela già ci sono e non sarebbe neppure in nostro potere aggiungerne altri. Chi teme un ulteriore carrozzone burocratico sbaglia ugualmente. Oggi in laguna nord ci sono tanti vincoli ma non ci sono le opportunità collegate. Il parco serve proprio a potenziare questo aspetto e a salvaguardare non solo al natura ma anche la residenzialità, il lavoro, le attività tradizionali. In un ambiente fortemente antropizzato come la nostra laguna, non potremmo pensare ad un parco tradizionale ma piuttosto a un parco culturale e ambientale allo stesso tempo”.
“Il vero rischio - continua l’ambientalista - è non cogliere le potenzialità che il parco ci offrirà”. Mettere a disposizione gli strumenti adatti a questo scopo, sarà compito del Piano Ambientale che costituirà l’anima stessa del nascente parco e che vedrà la luce entro un anno dall’approvazione della delibera. “Sarà un percorso - ha assicurato Marco Favaro - trasparente e partecipato che godrà dei contributi di tutti gli attori in gioco: amministrazioni, residenti, categorie economiche...”
Il parco della laguna sarà naturalmente solo un parco di interesse locale (come dire “comunale”). Nella hit parade delle aree protette si colloca quindi all’ultimo posto in quanto vincoli di tutela. Ma proprio questa debolezza sarà la sua forza. “Nel ginepraio di competenze che si sommano in laguna, il parco non ne aggiungerà di nuove - ha assicurato Bettin -. I vincoli già ci sono, pure se non sempre vengono rispettati. Piuttosto, il compito del nuovo istituto sarà, oltre a quello di farli rispettare, soprattutto trasformate i vincoli passivi del tipo ‘non si può fare’ in vincoli attivi offrendo nuove possibilità di lavoro e attingendo a nuove forme di finanziamento”.
A lunedì quindi. Per scrivere l’ultimo articolo sulla “storia del famoso parco che non c’è”, per citare il libro di Giannandrea Mencini. E cominciare a scrivere - finalmente - del parco della Laguna di Venezia.

Riapre la stagione crocieristica, la Preziosa fa “stumpft” e Venezia si prepara alla mobilitazione

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Ci avevano raccontato che era impossibile. Avevano tentato di farci credere che un incidente in laguna fosse una eventualità “scientificamente” impossibile (senza considerare che qualsiasi fisico vi può confermare che “scientificamente” sta solo a significare “abbastanza probabile”). Avevano sostenuto che i nostri timori erano allarmismi di profani, di persone digiune della perfezione tecnica raggiunta dagli attuali sistemi computerizzati di navigazione. Che gli incidenti del Giglio e del porto di Genova non significano nulla perché in laguna i livelli di sicurezza sono elevati al massimo grado. Che lo “struscio” a Riva degli Schiavoni, quel giorno in cui i passanti terrorizzati hanno visto la Grande Nave che pareva voler salire sulla fondamenta, era una sorta di illusione ottica.
Ce ne hanno raccontate, di balle!
Ed ecco che, proprio nel viaggio inaugurale della stagione crocieristica, quello che ha riaperto il Bacino di San Marco alle Grandi navi, la Preziosa ha fatto “stumpft”!
Ieri alle 8,15 di mattina, una nave della Msc Crociere in ormeggio, la Preziosa, ha pesantemente sbattuto contro il “finger” – come viene chiamato il corridoio di imbarco dei passeggeri – ricavandone uno sfregio mica da ridere sul mascone di dritta. Eppure, tutte le famose condizioni di sicurezza previste dalle normative erano state rispettate: “Nonostante i due rimorchiatori e la presenza del pilota a bordo – si legge nella Nuova Venezia – la Preziosa è sembrata allargare la poppa e di conseguenza stringere troppo la prua verso la banchina. Il pilota ha dato il ‘macchine indietro’, ma anche questa manovra non è stata sufficiente a evitare che la parte di fiancata più vicina alla prua urtasse uno dei corridoi mobili d’imbarco”.



La Preziosa è una delle ammiraglie della Msc Crociere. Quella stessa Msc Crociere che, ci teniamo a sottolineare, sempre in questi è stata oggetto di una operazione della polizia brasiliana. In un blitz condotto in una sua nave ormeggiata nel porto di Salvador di Bahia, gli agenti hanno liberato undici persone «impiegate in condizioni analoghe agli schiavi», come hanno reso noto le forze dell’ordine. Viene da chiedersi se quando i sostenitori delle Grandi Navi invocano la necessità di difendere il posto di lavoro intendono qualcosa del genere.
A scanso di equivoci, diciamo subito che lo “stumpft” della preziosa nave non ci fa affatto piacere, pure se non fa altro che confermare ciò che Eco Magazine e i comitati per la difesa di Venezia hanno sempre sostenuto. Non ci fa piacere perché noi questi grattacieli galleggianti in manovra sotto il Campanile non li vorremmo neppure se fossero sicurissimi al – e dico una bestialità scientifica – cento per cento. Non ce li vogliamo per un sacco di buoni motivi. Non ultimo, la quantità di inquinamento che inevitabilmente spargono nella nostra laguna e nei nostri polmoni. Vedere confermati i nostri peggiori timori di profani “ignoranti della perfezione tecnica raggiunta dagli attuali sistemi computerizzati di navigazione” ci fa solo preoccupare di più e, naturalmente, ci spinge a gridare ancora più forte: “Fuori questi mostri dalla laguna di Venezia”.
Guarda caso, il giorno di riapertura del Bacino alle Grandi Navi era pure a ridosso della Domenica Ecologica, che a Venezia significa tirare fuori i remi e lasciare in cavana il fuoribordo. Iniziativa lodevolissima, per carità, ma che certo ti lascia un po’ l’amaro in bocca quanto a te tocca spingere sullo scalmo mentre la Msc fa andare le sue navi, che sono un tantino più grandi e più inquinanti della tua “topa”, su e giù per il canal della Giudecca. A Ca’ Farsetti, a far la passerella con i giornalisti, c’era pure il ministro per l’Ambiente, Gianluca Galletti, che si è beccato l’inevitabile contestazione dei comitati. In un breve colloquio con i cittadini che gli hanno ricordato i rischi per la città e la devastazione per la laguna che questi obbrobriosi Grand Hotel galleggianti comportano, il ministro ha ribadito la volontà di “portare fuori le Grandi Navi dalla laguna trovando una soluzione che non danneggi l’economia”.
Soluzione che, dal nostro punto di vista, non può che essere quella di tenere questi alveari il più lontano possibile dalla nostra città. E, siccome abbiamo imparato che senza lotta sociale nessuno ci regala niente – tantomeno un Governo, sia esso di destra o di sinistra – i comitati hanno rilanciato la mobilitazione. L’incidente della Preziosa ha spazzato via due mesi di incessanti propagande e di inqualificabili piagnistei che le compagnie di crociera hanno portato avanti su tutti i media, dalle televisioni locali alle pagine pubblicitarie acquistate sui giornali. E questo è senz’altro un punto a nostro vantaggio.
Domani, lunedì 14 aprile, è stata indetta un’assemblea cittadina a S. Leonardo alle 16.30 per preparare le prossime mobilitazioni.
Di seguito, in chiusura, riporto col copia e incolla il comunicato stampa lanciato dal Comitato No Grandi navi.


Gli dei puniscono la superbia degli uomini, e così stamane [ieri 5 aprile] la Msc Preziosa ha deragliato dai binari di Paolo Costa e di Sandro Trevisanato andando a sbattere contro la banchina della Marittima nonostante due rimorchiatori, il pilota a bordo, le tecnologie ultramoderne che la guidano.
Non c’è che dire, una bella riapertura per la stagione croceristica!
È ovvio per chiunque che in qualsiasi attività umana l’incidente è sempre dietro l’angolo, ma non per i paladini del crocerismo che hanno sempre fatto come il cieco che non vuol vedere o il sordo che non vuol sentire, negando qualsivoglia problema e riducendolo a “fastidio estetico”, come a suon di libri o di paginate di giornali a pagamento hanno cercato di dire l’Autorità Portuale e la Venezia Terminal Passeggeri.
La grande contro-informazione e mobilitazione che abbiamo costruito in questi due anni ha fatto si che centinaia e centinaia di persone si siano opposte al passaggio delle grandi navi in laguna (con i propri cervelli, cuori e corpi) facendo capire al mondo intero l’importanza e la legittimità della nostra battaglia. Battaglia che il mondo ha mostrato di appoggiare e condividere.
Non ci spaventano le ammende che ci sono state inflitte travisando il significato della protesta sociale e colpendola con provvedimenti amministrativi. Siamo giustamente preoccupati per gli immensi problemi, per i gravi rischi connessi al crocerismo e per i pochi vantaggi che ne trae la città. E oggi gridiamo di nuovo basta, basta basta!!!!
Diffidiamo il Governo e la Regione dall’imboccare scorciatoie inaccettabili per fare presto, con la scusa dell’incidente. Bisogna si intervenire presto, ma operare alla luce del sole. La strada è solo una: nessun ricorso alla legge obiettivo, un vero e serio confronto tra i progetti e gli scenari in campo, un dibattito trasparente e partecipato che abbia al primo posto l’interesse pubblico.
Se si terranno in conto tutti i problemi legati al crocierismo tra cui la crescita del livello del mare e i limiti alla portualità che comporterà il Mose alle bocche di porto, la soluzione che unisce la salvaguardia del lavoro e la tutela dell’ambiente è una sola:
le grandi navi incompatibili devono stare fuori dalla laguna.
Quello che è successo oggi ci dice che la lotta è aperta più che mai e ci spinge a proporre un’assemblea cittadina nei prossimi giorni, per chiamare a raccolta la cittadinanza tutta.

Porto Tolle: condannati gli ex amministratori di Enel per disastro colposo

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A Porto Tolle ci fu un disastro ambientale colposo. Per anni, nonostante le denunce degli ambientalisti e dei comitati cittadini, la centrale che funzionò prima a zolfo e gasolio e poi, dal ’95, a orimulsion, avvelenò l’aria danneggiando il delicato ambiente del Delta del Po e causando gravi patologie alla popolazione e, in particolare, all’infanzia. Lo ha stabilito il tribunale di Rovigo che ha condannato ieri in primo grado gli ex vertici di Enel, Franco Tatò e Paolo Scaroni, attuale amministratore delegato di Eni, a tre anni di reclusione con interdizione dai pubblici uffici per 5 anni. Inoltre, Enel è stata condannata a pagare una penale di 3,6 milioni di euro. Assolto l’attuale amministratore di Enel, Fulvio Conti, assolto per mancanza di elementi oggettivi.
Una sentenza controcorrente per un Paese come il nostro dove i reati ambientali non trovano mai troppo seguito nelle aule di giustizia, in particolare quando sui banchi degli imputati siedono potenti manager pubblici. Questa volta invece, grazie alla perseveranza di associazioni come Legambiente, Green Peace, Italia Nostra e Wwf che si sono costituite parte civile, è arrivata una condanna dura che sposa in pieno le tesi degli ambientalisti.



Esterrefatti per una sentenza che incrina la loro “teutonica fiducia sulla Giustizia” si sono detti i due ex amministratori delegati di Enel che annunciano ricorsi e controricorsi. “La centrale Enel di Porto Tolle ha sempre rispettato gli standard in vigore anche all’epoca dei fatti ha sostenuto l’avvocato difensore di Scaroni, Alberto Moro Visconti, - I reati contestati non sussistono, peraltro sono così risalenti nel tempo che, se ci fossero stati, oggi avrebbero dovuto essere dichiarati prescritti”. Traduzione: quel giorno non c’ero e se c’ero dormivo.
Tutto da vedere se la condanna peserà sulla riconferma di Paolo Scaroni al vertice di Eni. Il premier Matteo Renzi non si è ancora pronunciato a riguardo pur se ha sostenuto la necessità di rispettare le sentenze della magistratura.
Comunque vada per la carriera manageriale di Scaroni, questa rimane una sentenza storica che per la prima volta stabilisce un nesso tra le emissioni di una centrale e l'aumento di patologie nella popolazione locale.
Una sentenza che seppellisce definitivamente i progetti di Enel di riconvertire a carbone, la fonte energetica più inquinante per l’ambiente e dannosa per la salute, la centrale di Porto Tolle.
Una riconversione che, si legge in una nota diffusa dalle associazioni ambientaliste, “non risponde ad alcuna necessità energetica del Paese, non ha fondamento in termini di strategia industriale e consegnerebbe il Polesine a un modello di sviluppo già dimostratosi perdente e dannoso”. Un progetto che, qualche settimana fa, era stato bocciato pure dalla commissione Via del ministero per l’Ambiente.
Ancora una volta, agli ambientalisti resta la magra soddisfazione di poter dire, trent’anni dopo, “visto che avevamo ragione noi?” e l'ancor più magra considerazione che c'è voluta la magistratura per dimostrarlo.

La Francia vieta il mais Ogm. L’Italia no e va verso la deregulation

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Casomai qualcuno non lo avesse capito, è tutta questione di volontà politica. La Francia lo ha fatto. Invocando la nota “clausola di salvaguardia”, che consente ai Governi di impedire la commercializzazione di tutto ciò di cui non sia stata scientificamente garantita la salubrità, i nostri cugini d’Oltralpe hanno vietato la semina di mais geneticamente modificato nel suo territorio. L’Italia no. In compenso stiamo creandoci sopra una spettacolare confusione amministrativa che pare fatta apposta per spianare il campo alle culture Ogm.
Intanto, nell’anticipo di primavera che stiamo vivendo, il tempo della semina si sta avvicinando. L’imprenditore (non ci sembra giusto definirlo “agricoltore”) friulano Giorgio Fidenato che lo scorso anno in barba alla normativa ha coltivato il mais modificato Mon 810, si appresta a far il bis e non solo. Il suo ricorso al Tar del Lazio che sarà discusso il prossimo 10 aprile, ha buone possibilità di fare piazza pulita del pasticciato decreto ministeriale che lo scorso anno riuscì a bloccare, sia pure all’ultimo momento, la semina del mais Ogm in Italia dopo che la Commissione Europea gli aveva spalancato le porte.
Cosa succederà se il Tar del Lazio, che in questo caso è competente per tutto il Paese, concederà la sospensiva del divieto? Secondo la normativa, spetta alle Regioni stabilire i criteri di coesistenza tra una cultura geneticamente modificata e una tradizionale. Tali criteri, se pensati per difendere le normali coltivazioni dalla contaminazione, potrebbero essere talmente vincolanti da proibire, di fatto, la semina Ogm. Ebbene, allo stato attuale solo la Regione Friuli Venezia Giulia si è dotata di una tale normativa. Col risultato paradossale che, se il Tar accogliesse il ricorso del Fidenato, costui potrebbe seminare mais Ogm in tutte le Regioni tranne che nella sua! C’è da dire comunque che l’imprenditore ha già fatto sapere che Tar o non Tar, Regione o non Regione, lui il suo Mon 810 continuerà ugualmente a coltivarselo. Anche continuando a pagare tutte le multe che gli venissero appioppate.



Ma, Friuli a parte, tutte le altre Regioni d’Italia - che non hanno avuto il loro Giorgio Fidenato - sono ancora all’anno zero! In poche parole, si rischia a primavera di assistere ad una deregulation totale dove tutti seminano quello che vogliono e dove vogliono, anche a due passi dei campi coltivati a biologico e che, di conseguenza, perderanno così il diritto alla certificazione.
Un terremoto mica da poco per l’agricoltura italiana!
Certo, come scrivevamo in apertura, è tutta questione di volontà politica. L’Italia potrebbe copiare paro paro la Francia dove, in attesa che la legge contro la coltivazione degli Ogm compia il suo iter parlamentare, il Ministero ha impugnato la sopra citata “clausola di salvaguardia” adducendo i tanti studi scientifici che testimoniano il pesante impatto ambientale che il Mon 810 ha sull’ambiente e sulla salute dei consumatori. In questo senso, si è espresso anche il parlamento italiano lo scorso anno votando una dichiarazioni di intenti. Adesso spetta, o forse dovremmo scrivere “spetterebbe”, al nuovo Governo recepirla. Sempre che ci sia la sopracitata volontà politica di farlo. Perché il tempo della semina è sempre più vicino.

Tutto da rifare. Il Tar riapre il bacino di San Marco alle Grandi Navi

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Uno a uno. Palla al centro e partita ancora tutta da giocare. Il Tar del Veneto ha accolto il ricorso presentato da Venezia Terminal Crociere (Vtp) e ha sospeso l’ordinanza della Capitaneria di porto che vietava, a partire dal prossimo anno, l’ingresso per le bocche del Lido alle navi superiori alle 96 mila tonnellate di stazza.
In poche parole, il tribunale amministrativo ha riaperto il palcoscenico del bacino di San Marco alla Grandi Navi sul quale il Governo, grazia anche alla grande mobilitazione popolare dei veneziani, aveva chiuso il sipario. Come se non bastasse il Tar, ha sospeso anche la riduzione del 12,5% del traffico crocieristico davanti alla Piazza.
C’è da dire che ben difficilmente la sospensiva - valida, ricordiamolo, solo in attesa dell’udienza di merito che è prevista per metà giugno - avrà ricadute immediate. Intanto perché il limite delle 96 mila tonnellate sarebbe decorso dal 2015, poi perché la riduzione del traffico è già stata cautelativamente programmata nell’offerta turistica e le compagnie di navigazione non riusciranno ad inserire di punto in bianco altre crociere, perlomeno nel calendario di primavera. Non a caso, i giornali di queste ultime settimane sono zeppe di articoli in cui i padroni delle società che gestiscono le Grandi Navi piangono il morto e la miseria incombente.
Resta comunque la preoccupazione di una sentenza che sposa in pieno la causa delle compagnie di navigazione sostenendo che le limitazioni al traffico "devono essere subordinate alla disponibilità di praticabili vie di navigazione alternative a quelle vietate". Come dire: cari signori, prima di vietare qualcosa, preparate le alternativa. Poco importa che la laguna non ce la faccia più a sostenere l’insostenibile.
Ancora una volta, insomma, l’economia vince sull’ambiente. Esattamente quel principio che ha causato la cosiddetta “crisi economica” e che i No Grandi Navi hanno provato a ribaltare buttandosi in acqua.



La sentenza del Tar ha ottenuto l’ovvio plauso dell’autorità portuale che ne sta facendo un cavallo di troia per spingere sul suo vero obbiettivo: lo scavo del canal Contorta. “La decisione del Tar - si legge in un suo comunicato - non può, né deve, assolutamente distrarci, o peggio fermarci, dal voler trovare e realizzare entro il 2016 la via d’acqua alternativa per raggiungere la Marittima e ovviare al passaggio davanti San Marco. Il Governo, anche su suggerimento del Senato, si è dato 120 giorni di tempo per valutare il Contorta Sant'Angelo o la sua alternativa.  Se la decisione verrà presa entro questi termini, e non abbiamo motivo di dubitarne, la sentenza odierna verrà nei fatti positivamente superata dalla soluzione che metterà insieme la salvaguardia di San Marco e quella dell'eccellenza crocieristica veneziana”. Per Paolo Costa, presidente dell’autorità portuale, questa è la sola strada per salvare capra e cavoli, ovvero evitare di devastare la “zona nobile” di Venezia, il bacino di San Marco, e salvaguardare (più che l’occupazione) gli interessi economici delle grandi compagnie. Peccato che a pagare sia la capra che i cavoli sarebbe la nostra povera laguna che verrebbe devastata dall’ennesima Grande Opera. E sempre ammesso che si possa ancora parlare di “laguna” a proposito di una zona che tra Mose, barene di cemento ed escavazioni varie oramai è diventata un braccio di mare aperto.
Alla soddisfazione di Costa, si somma quella della Confindustria, contentissima che l’economia, o meglio una “certa economia”, sia ancora la prima preoccupazione di giudici osservanti e Governi obbedienti. "La decisione del Tar di accogliere la richiesta di sospensiva alle limitazioni -ha dichiarato Matteo Zoppas, il presidente - è un primo segnale positivo del fatto che i fattori economici e occupazionali siano diventati parte integrante di ogni valutazione”.
Meno soddisfatto della sentenza, il sindaco di Venezia, Giorgio Orsoni, che ha diffuso il seguente comunicato. “Sapevamo che l’ordinanza della Capitaneria di Porto fosse illegittima, tanto è vero che anche il Comune di Venezia ha proposto un ricorso avverso lo stesso atto, e ci aspettavamo quindi un pronunciamento di questo genere. Siamo fiduciosi che la volontà del Governo sarà rispettata, e con questa il suo impegno affinché le navi non compatibili siano allontanate dal Bacino di San Marco. Auspico che questo impegno e questa volontà - che sono anche quelle della Città e del mondo intero che ci guarda - siano ribaditi ponendo rimedio, ove necessario, ai vizi rilevati dal giudice amministrativo, al fine di raggiungere l’obiettivo ampiamente condiviso anche a livello internazionale. È ferma intenzione del Comune di Venezia tutelare la Città e la sua Laguna con determinazione. Non siamo disponibili a delegare a nessuno la difesa degli interessi primari dei cittadini. Così come riteniamo che gli organi dello Stato non possano delegare ai propri concessionari l’attuazione di politiche condivise a livello di governo nazionale, e debbano adempiere puntualmente alla volontà espressa all’unanimità dal Senato della Repubblica". Niente paura, vi faccio subito la traduzione: “Che la famosa ordinanza fosse fatta da cani (e vien da chiedersi se apposta o no) lo sapevo pure che che non per niente sono avvocato. Quale sia la volontà del Governo a proposito di questa faccenda non sono riuscito a intuirlo neppure alla lontana però sappiamo tutti che Venezia è sotto gli occhi del mondo e di figure barbine sulla sua salvaguardia ne abbiamo già fatte pure troppe. Onde per cui, prima di combinare altri pasticci per favorire le grandi  compagnie, sarebbe opportuno che chi comanda ascoltasse pure me e il Comune di Venezia che è l’organo più vicino ai cittadini. Che poi, anche al di là della mia personale opinione sulla questione,  sono i soli davvero interessati al futuro di Venezia e che, se non lo avete ancora capito, non vogliono vedersi devastare quel che resta della loro città che quei grattacieli galleggianti”.
Non ha bisogno di traduzioni ma anzi si piglia il primo premio per il comunicato più chiaro e conciso dell’anno, il “cinguettio” su twitter del comitato No Grandi Navi: “Tutti pronti alla mobilitazione?”
E va bene. Vado in soffitta a tirar giù le pinne!

Attivista arrestato e pestato

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Un episodio molto grave. Anche perché ricalca una dinamica che troppo spesso viene ripetuta dalle forze dell’ordine ai danni degli attivisti. Così l’avvocata Aurora d’Agostino ha commentato quanto denunciato dal suo assistito, Zeno Rocca, ventidue anni, militante del centro sociale Pedro di Padova. “Una aggressione immotivata da parte di otto agenti della celere ai danni di un ragazzo che non aveva fatto niente e che non ha nessuna colpa se non quella di essere un attivista politico” ha dichiarato la d’Agostino che sul fatto ha presentato una formale denuncia alla magistratura. L’episodio è accaduto lunedì alle 13,30 nella centrale Riviera Tito Livio, a due passi dalla sede della questura. Il giovane Zeno vi si era recato per adempiere all’obbligo di firma per i fatti accaduti durante la manifestazione del 14 novembre 2012. “Stavo aspettando il tram per rincasare - ha dichiarato in una conferenza stampa svoltasi ieri pomeriggio - quando si è fermata davanti a me una camionetta della polizia da cui sono scesi, mi pare, otto celerini che mi hanno afferrato per il bavero della felpa e per le braccia accusandomi di aver fatto un gesto offensivo nei loro confronti. Gesto che io non ho fatto. Mi hanno chiesto i documenti ma prima ancora che potessi tirare fuori il portafoglio mi hanno gettato per terra, colpito alle gambe e al torace, e ammanettato mentre alcuni poliziotti intimavano ai presenti - c’erano alcuni studenti alla fermata - di non riprendere la scena con i cellulari”.


Quindi Zeno è stato portato in Questura, trattenuto per più di sette ore, dalle 14 a oltre le 19, in una cella di sicurezza senza che nessuno lo informasse dei reati per i quali era stato fermato e che gli fosse permesso parlare con un avvocato. “E, cosa ancora più grave - commenta la d’Agostino -, senza assistenza alcuna nonostante gli fosse stata rotta una costola. Tanto è vero che in ospedale gli è stata fatta una ecografia alla addominale per paura di versamenti e lesioni interne”.
Verso sera, il giovane è stato rilasciato e, da solo, si è recato barcollante per le percosse in pronto soccorso dove gli sono state riscontrate la frattura dell’undicesima costola sinistra, trauma distorsivo, rachide cervicale e contusioni multiple.
Non possono non tornare alla mente i casi Cucchi, Aldrovandi, Uva, Bianzino e gli altri episodi in cui gente in divisa sfoga una immotivata violenza contro i fermati per poi abbandonarli alla loro sorte.
“Da sottolineare, oltre alla mancata assistenza che avrebbe potuto tradursi in un’altra tragedia - ha commentato Aurora d’Agostino - che il famoso gestaccio punibile col reato di oltraggio alla forza pubblica che avrebbe causato l’aggressione dei celerini non è stato neppure messo a verbale!” Zeno è stato denunciato per minaccia, lesioni, resistenza a Pubblico Ufficiale e rifiuto di fornire le proprie generalità. Dopo la conferenza stampa, svoltasi proprio davanti alla Questura, gli amici di Zeno e i suoi compagni degli spazi sociali padovani hanno organizzato una partecipata, oltre duecento persone, e pacifica manifestazione di protesta lungo le strade della città. Del caso si sono interessati anche i deputati Giulio Marcon, Alessandro Zan e Giorgio Airaudo che ha inoltrato una interrogazione parlamentare al ministro degli Interni per far luce sulla vicenda.
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