In questa pagina ho riportato gli ultimi articoli che ho scritto per il quotidiano ambientalista Terra, il settimanale Carta, Manifesto, per siti come Global Project, FrontiereNews o siti di associazioni come In Comune con Bettin e altro ancora.

Attivista arrestato e pestato

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Un episodio molto grave. Anche perché ricalca una dinamica che troppo spesso viene ripetuta dalle forze dell’ordine ai danni degli attivisti. Così l’avvocata Aurora d’Agostino ha commentato quanto denunciato dal suo assistito, Zeno Rocca, ventidue anni, militante del centro sociale Pedro di Padova. “Una aggressione immotivata da parte di otto agenti della celere ai danni di un ragazzo che non aveva fatto niente e che non ha nessuna colpa se non quella di essere un attivista politico” ha dichiarato la d’Agostino che sul fatto ha presentato una formale denuncia alla magistratura. L’episodio è accaduto lunedì alle 13,30 nella centrale Riviera Tito Livio, a due passi dalla sede della questura. Il giovane Zeno vi si era recato per adempiere all’obbligo di firma per i fatti accaduti durante la manifestazione del 14 novembre 2012. “Stavo aspettando il tram per rincasare - ha dichiarato in una conferenza stampa svoltasi ieri pomeriggio - quando si è fermata davanti a me una camionetta della polizia da cui sono scesi, mi pare, otto celerini che mi hanno afferrato per il bavero della felpa e per le braccia accusandomi di aver fatto un gesto offensivo nei loro confronti. Gesto che io non ho fatto. Mi hanno chiesto i documenti ma prima ancora che potessi tirare fuori il portafoglio mi hanno gettato per terra, colpito alle gambe e al torace, e ammanettato mentre alcuni poliziotti intimavano ai presenti - c’erano alcuni studenti alla fermata - di non riprendere la scena con i cellulari”.


Quindi Zeno è stato portato in Questura, trattenuto per più di sette ore, dalle 14 a oltre le 19, in una cella di sicurezza senza che nessuno lo informasse dei reati per i quali era stato fermato e che gli fosse permesso parlare con un avvocato. “E, cosa ancora più grave - commenta la d’Agostino -, senza assistenza alcuna nonostante gli fosse stata rotta una costola. Tanto è vero che in ospedale gli è stata fatta una ecografia alla addominale per paura di versamenti e lesioni interne”.
Verso sera, il giovane è stato rilasciato e, da solo, si è recato barcollante per le percosse in pronto soccorso dove gli sono state riscontrate la frattura dell’undicesima costola sinistra, trauma distorsivo, rachide cervicale e contusioni multiple.
Non possono non tornare alla mente i casi Cucchi, Aldrovandi, Uva, Bianzino e gli altri episodi in cui gente in divisa sfoga una immotivata violenza contro i fermati per poi abbandonarli alla loro sorte.
“Da sottolineare, oltre alla mancata assistenza che avrebbe potuto tradursi in un’altra tragedia - ha commentato Aurora d’Agostino - che il famoso gestaccio punibile col reato di oltraggio alla forza pubblica che avrebbe causato l’aggressione dei celerini non è stato neppure messo a verbale!” Zeno è stato denunciato per minaccia, lesioni, resistenza a Pubblico Ufficiale e rifiuto di fornire le proprie generalità. Dopo la conferenza stampa, svoltasi proprio davanti alla Questura, gli amici di Zeno e i suoi compagni degli spazi sociali padovani hanno organizzato una partecipata, oltre duecento persone, e pacifica manifestazione di protesta lungo le strade della città. Del caso si sono interessati anche i deputati Giulio Marcon, Alessandro Zan e Giorgio Airaudo che ha inoltrato una interrogazione parlamentare al ministro degli Interni per far luce sulla vicenda.

Di forconi, di insulti e di altre Commedie. Lo sfogo di un povero spalatore

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Chiedo scusa. Chiedo scusa a tutti ma mi devo sfogare. Son tre giorni che spalo letame e non ne posso più. Ve lo dico col cuore in mano. Magari il sito dell’associazione In Comune non è il luogo adatto per questi sfoghi. E nel caso qualcuno me lo facesse notare, toglierò immediatamente questo post. Ma in fondo, proprio qualche riga qui sotto, potete leggere la nota di Beppe “Nessuno spazio a Venezia per provocazioni fasciste travestite da forconi” che ha scatenato scariche diarrotiche come neanche tre boccette di Guttalax bevute tutte d’un fiato. Tutta merda che si è riversata pari pari sulla sua pagina di Facebook sotto forma di commenti e post che per definirli ci vorrebbe una nuova grammatica dell’orrore.
Fatto sta che tocca spalare. E tocca proprio a me che ho il... piacere? privilegio? onere? di essere l’amministratore della sua pagina. Per farvela breve, son tre giorni che banno, elimino, chiudo, taglio e nascondo i post insultanti di tutti gli sbalconati fascistoidi che abbiano mai avuto la cattiva idea di entrare su Facebook. E non è ancora finita.
Per dirla col Dante - ebbene sì, per ripulirmi l’anima ho ripreso in mano la Commedia - del commento di Caccia sotto riportato si potrebbe scrivere “nulla già mai sì giustamente morse; e così nulla fu di tanta ingiura”. Parafrasi: Beppe ha colpito nel segno e ha fatto incazzare tanta gente.
Ma siccome se guardi nell’abisso, anche l’abisso guarda in te (questo è quel tal Friedrich), vi assicuro che è un lavoro stomachevole. Perché per farlo devi accettare una situazione di incomunicabilità senza speranza. Non c’è dialogo che tenga di fronte a commenti totalmente sgrammaticati, avulsi dalla realtà, in qualche caso anche malati, che cercano solo l’insulto nell’effimera illusione di poter arrecare dolore all’avversario. In tutta franchezza, mi spiace per loro e mi spiace per me perché non ho potuto rispondere “Tu la pensi così? Io invece... Ragioniamo!”



Certo. Le argomentazioni non hanno mai convinto nessuno. E quelle solide ancora meno (Voltaire, se non erro). E questo è uno dei motivi per il quale faccio solo il giornalista e me ne sto ben distante dalla politica parlata, con tutto il rispetto e l’ammirazione per chi la fa. Ma il dialogo rimane comunque una cosa della quale non possiamo fare a meno, altrimenti siamo carne da psichiatra. Ma che dialogo è mai possibile sotto una tale valanga di merda? Sarò anche una Biancaneve ma, ve lo dico con sincerità, ci son rimasto male. Mi son dovuto abbruttire a scaricare giù per il cesso i peggiori mostri partoriti dal sonno della ragione (Goya, stavolta) ma per farlo mi è toccato prima guardarli sul muso feroce.
Ed è proprio qui che entrate in gioco voi. “E che caspita c’entriamo noi?” domanderete. C’entrate. C’entrate perché vi ci faccio “c’entrare” io, vi rispondo. Per esorcizzare il male, non ho trovato di meglio che condividerlo. Eccovi dunque, per la gioia dei vostri occhi, un breve sunto dei candidi fiori di prato che sono spuntati sotto il citato post di Beppe. Ve li riporto col copia e incolla. Onde per cui non imputate a me le storpiature grammaticali e le bestemmie sintattiche. (Neanche il correttore automatico di Word sanno tenere inserito...) Per quella pietà che tu per tema senti (sempre Dante), ho evitato di riportare i nomi propri.
Non fate i vigliacchi e leggete sino alla fine, eh? Seguitemi. Or discendiam qua giù nel cieco mondo (ancora lui).

“Schifoooooo , delinquenti rossi protetti da orsoni vi spzzeremo via da venezia dei doge. vergognaaaaaaa Caccia frocio e amico dei froci hai mai lavorato in vita tua?”; “Camilla, pagherai! Pagherai per il male che hai fatto ai nostri bambini! Pagherai per le tue menzogne! Per i tuoi numerosi misfatti! Pagherai per il seme della bugia che spargi su orecchie innocenti! Pagherai per la tua alleanza con il DEMONIO! Pagherai per il dolore che spargi sulle nostre famiglie!”; “Un di, presto ,la Fiamma Tricolore dell’Italia Divina si alzerà sul Morion, covo di bastardi e drogati, per purificare con il fuoco la nostra Patria violentata e uccisa” (Neanche D’Annunzio); “MERDAAAAAAAA !!!!!! SCHIFOSIIIIIII!!!! CON LE SPRAGHEEEEE VIGLIAAAACCCHHHIIII CANCELLATE MA TANTO ABBIAMO COPIATO E FACCIAMO GIRARE DAPERTUTTO!!!! AH AH AH AH AH” (la risata satanica continua per altre quindici righe); “Bastardi viglaicchi vili ci avete dato in 50 contro uno ma la prossima volta veniamo con i carri armati”; “Altro che in 50!!!! erano più di 500 contro uno, li ho contati contati io!” (Ah beh... se li hai contati tu...); “ci sono i video dei vigili del fuoco che li hanno fatti aposta per testimoniare la vile agressione dei porci dei centri sociali capitanati da caccia che è anche un consigliere della regione e che chi lo ha votato si dovrebbe tagliarli le mani cosi non vota piu”; “giusto. e’ cosi’ che fanno in arabia dai mussulmani che sono tutti amici loro”; “Quelli sono violenti e sono loro i veri fascisti che non hanno mai lavorato in vita loro e che non sanno il dolore degli imprenditori che si suicidano per le tasse. Non gliene frega niente di chi lavora”; “No ** sbagli. Quei cani del Morion non sono degni di essere chiamati fascisti” (Qui segue una interessante diatriba che vi risparmio su chi possa e chi non possa fregiarsi dell’ambito titolo); “basta basta basta con i centri sociali! Ecco di cosa sono capaci! aggredire una pacifica manifestazione autorizzata che voleva solo difendere i nostri bambini dai recchioni di merda. Tutti amici di Caccia e di quella schifosa della Seibezi. A casa vi mandiamo alle prossime elezioni. Basta con l’obbligo di avere dei gay al comune!!!! E vorrebbero anche far obbligatori a scuola dei libri che indottrinano i bambini a fare come loro? Schifosi!”; “Quelli del Morion sono tutti dei sorci che bisogna annegare nel canale della giudecca” (Ma poi le Grandi Navi ce la fanno a passare?); “A Venezia non si può più andare in giro che quei porci dei centri sociali, e ce ne sono otto in città!, ti buttano in acqua, ti stuprano e ti aggrediscono” (non necessariamente in questo ordine, spero); “Ma chi è che ha votato Orsoni che ci ha riempito la città di questi violenti? che poi dove abitano vorrei sapere”; “Io voglio chiamarmi mamma e papà e non genitori 1, 2 o anche 3! Adesso nelle scuole vogliono obbligare i bambini a studiare da gay. E poi la città è piena di froci e travestiti che rompono i cosidetti” (Ah, ma quello è il Carnevale); “Si vergogni ad usare il termine fascista! Rispetti le opinioni altrui e prenda qualche libro di storia e lo impari, esimio consigliere Caccia, visto che è pagato dagli italiani”; “Caccia ma dove abita?” (questo l’ho bannato ma forse ho fatto male. Magari voleva solo mandargli dei fiori) “E Giuseppina Gherzi che i partigiani hanno stuprato e ucciso? Dove la mettiamo?? merdeeeee rosseeee!!!!”; “Basta con i comunisti!!!”; “Se la polizia vorrebbe basterebbe che andasse a fare una retata al Morion per trovarlo pieno di droga e chiuderlo per sempre” (Se la polizia “vorrebbe”, potrebbe fare lo stesso a qualche festino con deputati e senatori e ne troverebbe certo di più, di droga); “Io sono una mamma, ha capito signor Caccia? E non una genitore 2!!!”; “Ragazzi ma perché stiamo qui a discutere? Mettiamoci in diecimila e andiamo al Morion a sfasciare tutto. Ripeto, perché stiamo qui a discutere?” (E’ quello che mi chiedo pure io)
E mi fermo qua. Ebbene? Vi ho dato una idea dello schifo che mi è toccato buttare giù per il cesso? Siate buoni e mandatemi una mail di solidarietà!

Caricati i lavoratori dell'Artoni

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Erano là sin dal 30 dicembre. Barricati dietro tende, coperte e falò, nel bel mezzo della Zona Industriale di Padova. Una quarantina di “soci lavoratori” determinata a resistere ad oltranza davanti ai cancelli del magazzino e bloccare il via vai di merci per protestare conto i licenziamenti voluta dalla Artoni Trasporti. Ieri mattina è arriva la polizia in forze e ha caricato violentemente il presidio. I lavoratori hanno resistito e hanno continuato a mettersi davanti ai camion per impedire il passaggio. Gli scontri si sono susseguiti per tutta la mattinata e alla fine due operai sono stati portati via in ambulanza. “Un bilancio gravissimo e una responsabilità pesantissima sia della Artoni che non ha nemmeno voluto ascoltare le nostre richieste sia della Prefettura che ha scelto di trasformare un problema sociale in un problema di ordine pubblico” ha commentato Gianno Boetto, responsabile dell’Adl Cobas.

La lotta dei lavoratori della Artoni si inserisce in un momento delicato per tutto il comparto del trasporto. Dopo quattro scioperi nazionali e un lungo percorso di lotta, i sindacati di base sono riusciti ad ottenere importanti concessioni da parte di aziende come la Tnt e la Dhl tra cui: l’integrazione al cento per cento per malattia e infortunio, l’erogazione degli istituti contrattuali a prescindere dalle ore lavorate, garanzie sul rispetto degli orari, inserimento di un ticket di ristorazione giornaliero. “In poche parole siamo riusciti a far equiparare i cosiddetti ‘soci lavoratori’ ai normali lavoratori, ponendo fine ad una ingiustificata differenziazione, funzionale solo alle aziende che potevano fare il bello e il cattivo tempo - ha commentato Boetto -. La Artoni però non ha voluto sentir ragioni. Ma se crede che la questione possa essere risolta con una carica della polizia si sbaglia di grosso”. In questo situazione, assume ancora più importanza la manifestazione in programma proprio a Padova sabato 1 marzo che ha tra i promotori l’Adl Cobas e che ha l’obbiettivo di rilanciare dal basso una campagna per la conquista dei diritti. Non solo quindi i lavoratori della logistica, quindi. In piazza scenderanno tutte le realtà sfruttate: dai rifugiati abbandonati dalle istituzioni, agli sfrattati che chiedono una casa, sino

Il Veneto si mobilita con i No Tav. Aperto il casello dell’autostrada di Venezia e occupata la sala del convegno sulle Orte Mestre del ministro Lupi

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Anche il Veneto risponde all’appello dei NoTav e si mobilita contro le Grandi Opere. Nel pomeriggio di ieri, gli attivisti dei centri sociali e del comitato Opzione Zero, hanno “liberalizzato” il casello autostradale di Venezia. Nella mattinata di oggi, i comitati del Polesine hanno impedito lo svolgimento del convegno sulla Orte Mestre. Una iniziativa contro le servitù militari è stata messa in atto ieri anche dal presidio di Vicenza che ha “sanzionato” con razzi e fuochi d’artificio la base di guerra Dal Molin.
L’iniziativa più spettacolare e innovativa svolta nell’ambito della “due giorni” di lotta promossa dall'assemblea dei comitati e delle associazioni ambientaliste del Veneto “30N” è stata comunque quella svoltasi al casello autostradale. Circa 150 attivisti hanno occupato tre caselli per circa un paio di ore, oscurando le fotocellule, per consentire agli automobilisti di transitare gratuitamente. “L’autostrada l’abbiamo già pagata con le nostre tasse - ha spiegato Mattia Donadel del comitato Opzione Zero -. La Concessioni Autostrade Venete dopo aver devastato mezza Regione con passanti e tangenziali con la scusa di voler risolvere il problema del traffico ha scoperto che sono inutili perché gli automobilisti per evitare di pagare pesantissimi pedaggi che non hanno uguali in Europa, preferiscono percorrere le vecchie strade. Allora ha deciso di triplicare il pedaggio, dimenticandosi che questa strada che oggi noi abbiamo liberato è stata realizzata fatta con finanziamenti pubblici”.



L’iniziativa si è svolta senza creare nessun intralcio al traffico, anzi! Moltissimi gli automobilisti che chiedeva ai ragazzi di “venire qui anche domani” e poi, transitando senza pagare, gratificavano di un eloquente “gesto dell’ombrello” gli uffici della concessionaria.
Non meno importante l’azione svoltasi questa mattina ad Adria, nel cuore del Polesine, un folto gruppo di attivisti hanno occupato pacificamente ma con determinazione, sino ad impedirne lo svolgimento, la sala dell’hotel Amolara dove era in programma un convegno sulla Orte Mestre cui avrebbero dovuto partecipare anche il ministro delle Infrastrutture, Maurizio Lupi, e l’assessore regionale alla Mobilità, Renato Chisso.
“La sirena delle Grandi Opere finanziate non incanta più nessuno - ha spiegato Tommaso Cacciari del laboratorio Morion di Venezia -. Oramai è chiaro a tutti che il Mose, il Passante, la Mestre Orte, la Tav non servono ad altro che a mercificare e devastare l’ambiente per far convergere denaro pubblico sulle tasche dei privati. Denaro che potrebbe essere usato per creare veri posti di lavoro, per mettere in sicurezza il territorio e garantire servizi pubblici efficienti. Perché l’unica vera Grande Opera che vogliamo è casa e reddito per tutti”.

Grandi Opere, Grandi Truffe. Attivisti in azione al casello: L’unica Grande Opera che vogliamo è casa e reddito per tutti

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"Potete passare anche domani verso le 15,30?" La domanda, neanche troppo disinteressata di un camionista, che ieri pomeriggio ha superato la gogna del casello Mestre senza sborsare un centesimo, è emblematica dell’entusiasmo con il quale è stata accolta l’iniziativa messa in atto venerdì dagli attivisti degli spazi sociali e del comitato Opzione Zero. Ugualmente emblematici, sia pure un tantino più prosaici, i tanti “bracci ad ombrello” con i quali alcuni automobilisti hanno omaggiato gli uffici della società di gestione mentre passavano sotto le cellule oscurate del pass e sotto i grandi cartelloni azzurri dove la scritta “Carte di credito” era stata coperta con la parola “gratis”. Se è vero che il braccio ad ombrello non è il massimo dell’eleganza è anche vero che la Concessioni Autostradale Venete non si sbatte per farsi amare dagli automobilisti. In fondo, stiamo parlando di una società partecipata che ha stipulato una convenzione con la quale si è impegnata a restituire all’Anas un miliardo nel corso di 23 anni di gestione. Siccome non ce la fanno - per il semplice motivo che, dopo aver devastato mezza provincia con passanti e tangenziali con la scusa di risolvere il problema del traffico, gli automobilisti piuttosto che pagare certe cifre che non hanno uguali in Europa preferisco il traffico e le vecchie strade - hanno pensato bene di aumentare le tariffe del 300 per cento. Salvo poi, generosamente, concedere qualche spicciolo di sconto. Come se non bastasse, si sono pure indebitati con la Cassa Depositi e Prestiti e la banca Europea degli Investimenti. Nome, quest’ultimo, che ho trovato come “generoso finanziatore” delle peggiori devastazioni ambientali e sociali, in tutti i Paesi del mondo in cui ho avuto la fortuna di viaggiare. E vi assicuro che non sono pochi!


Il braccio ad ombrello, insomma, non sarà elegante ma certo comprensibile. Come comprensibili e sono state le tante richieste di “venite anche domani, per favore?” Ma l’azione degli ambientalisti aveva solo lo scopo di far riflettere gli automobilisti e la cittadinanza per far capire che non è con le Grandi Opere che si risolvono i problemi ma, al contrario, queste sono solo strumenti per devastare e mercificare il territorio convergendo denaro pubblico nelle tasche di pochi privati.
Concetto questo ribadito anche nelle tre interviste realizzate durante l’iniziativa di ieri al casello di Mestre che vi proponiamo qui sotto.

Grandi Navi. Le Compagnie preparano la controffensiva di primavera. Chi ha a cuore Venezia ne discuta oggi per non farsi trovare impreparato domani

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La grande partecipazione all’incontro a San Leonardo “Contorta. Unica alternativa?” organizzato da Ambiente Venezia lunedì 20 gennaio, ha dimostrato, casomai ce ne fosse bisogno, che i veneziani sono ancora sensibili ai temi che riguardano la salvaguardia della loro laguna. Oggi, grazie ad una mobilitazione che non ha avuto precedenti nella storia della nostra città e ad un coraggioso tuffo in mare di un gruppo di attivisti che continuano ancora a vedersi bersagliare da multe e sanzioni, le grandi navi sono state buttate fuori dal Bacino di San Marco ma la questione è tutt’altro che risolta.
Tre consiglieri comunali, Beppe Caccia, Camilla Seibezzi e Sebastiano Bonzio, hanno appena denunciato in un incontro con la stampa, vedi il mio l’articolo su Eco Magazine, che l’assessore Ugo Bergamo ha stipulato un accordo con l’autorità portuale ben diverso da quello che era stato proposto dal consiglio e che riapre alle Grandi navi la possibilità di rioccupare la Marittima. E’ vero che in Senato, grazie ad una mozione presentata da Felice Casson, il Governo si è impegnato ad evitare la temuta scorciatoia della legge Obiettivo che avrebbe bypassato tutte le valutazioni ambientali e ha promesso di discutere sulle possibili alternative senza forzature. Ma è anche vero che, come temevamo, le compagnie di navigazione non hanno nessuna intenzione di giocarsela lealmente e stanno già battendo i media e le televisioni come cassa di risonanza per denunciare le presunte ricadute occupazionali che si riverserebbero sul porto con le porte della laguna chiuse.



Inutile nascondercelo. Siamo di fronte al grande rischio che una vittoria possa trasformarsi in una sconfitta. Tra qualche mese tutto potrebbe tornare come prima. Anzi peggio. Tutto come prima ma con una “grande opera” in più a devastare la nostra povera laguna: lo scavo del canal Contorta. Canale che permetterebbe alle Grandi Navi, gettate fuori dalla porta di rientrare dalla finestra. Col risultato che a Venezia rimarrebbe lo stesso inquinamento di prima con, in più, un’altra cementificazione di cui non se ne sentiva di sicuro la mancanza.

Ora, è chiaro come il sole che, a Venezia, lo scavo del Contorta non lo vuole nessuno. Non lo vogliono gli ambientalisti, non lo vogliono i veneziani. Non lo vuole l’amministrazione comunale. Il sindaco Giorgio Orsoni è stato chiaro in proposito. Non lo vogliono i deputati che hanno aderito alla sopracitata mozione lanciata dal senatore Felice Casson. Non lo vogliono nemmeno i portuali pro Grandi Navi che hanno osservato, non senza qualche ragione, che se gli ambientalisti non avessero sollevato tanto casino Venezia non rischierebbe di ritrovarsi tra qualche mese col problema di prima e con un scavo in più.

Ma allora chi è che vuole scavare il Contorta? Lo vuole, è presto detto, il partito delle Grandi Opere. Quel grande e trasversale partito senza tessere che continua a macinare ambiente (e diritti) per ricavare reddito per pochi, in nome di una economia che ha causato la crisi e della crisi ha fatto una giustificazione per qualsiasi scempio.
Perché, proprio sull’onda delle crisi, ci scommettiamo?, marcerà assieme ai primi tepori della primavera e al conseguente riaprirsi della stagione delle crociere, la controffensiva della compagnie di Crociere. Denunceranno la perdita di clienti, invocheranno la necessità di ridurre stipendi e personale, pregheranno il Governo di sostenere l’occupazione con misure straordinarie, piangeranno sulle famiglie ridotte in miseria, ragioneranno sul senso di colpire, in piena crisi, uno dei pochi settori in crescita, prometteranno di sistemare filtri sui loro puzzolenti camini per ridurre gli inquinanti, giureranno sulla sicurezza dei loro sistemi di navigazione.

E noi allora cosa risponderemo? Noi che ci siamo buttati in acqua, che ci siamo presi le multe, che abbiamo manifestato in tutti i modi possibili, che abbiamo organizzato assemblee, che ci siamo documentati e che abbiamo scritto decine di articoli. Noi che sappiamo che la crisi, la povertà, le devastazioni ambientali, l’inquinamento, non sono imputabile alle nostre idee ma proprio di chi ragiona come ragionano loro, sui binari di una economia di rapina. Noi, cosa risponderemo allora?

In rete sta maturando un grande dibattito a proposito. Le risposte che sono state date sono tante. C’è chi propone Marghera come terminal (ma le Grandi Navi continuerebbero a passare per la laguna, attraverso il canale dei Petroli, ed inoltre c’è il problema delle petroliere in transito), chi preferisce un porto off shore al di là delle dighe del Mose (roba da farsi togliere il saluto dagli amici ambientalisti del Cavallino). C’è chi sostiene che le Grandi Navi debbono traslocare a Trieste (ma questo comporterebbe sul serio un problema occupazionale per tanti lavoratori del porto ed inoltre nessuno ha chiesto l’opinione dei triestini) oppure chi pensa che la costruzione delle Grandi Navi, figlie di un concetto “sviluppista” dell’economia, non dovrebbe neppure essere autorizzata (ma neanche la guerra in Siria o lo Stato di Israele, se è per questo). Poi ci sono quelli che affermano che non spetta a noi trovare le soluzioni. Tutto ci va bene, purché le Grandi navi se ne stiano al largo dalla laguna (ma quante battaglie abbiamo perso per essere saliti solo sulle barricate del No a tutti i costi?)
Ed intanto che l’arcipelago, variegato e qualche volta anche astioso, degli ambientalisti discute a che santo votarsi, quelli del partito delle Grandi Opere non se ne stanno con le mani in mano. Pianificano in stanza chiuse e in uffici paralleli a quelli istituzionali. Poi brigano per velocizzare le pratiche, per bypassare i (pochi) vincoli di tutela ambientale che abbiamo. Loro non si fanno tutte le nostre paturnie. Non ragionano come noi e se ne fregano delle conseguenze a lungo termine. Hanno uno scopo solo: scavare subito, cementare, “mettere in moto l’economia”, devastare, fare reddito veloce col collaudato sistema che le spese ce le mette lo Stato e i guadagni se li pigliano loro.

Che fare, quindi? La proposta che lancio è di usare Eco Magazine come una piattaforma di confronto per schiarirci le idee. Ho pensato ad una griglia di domande da porre ad esperti, politici, intellettuali, ambientalisti... a quanti abbiano qualcosa di intelligente da dire in merito al problema. Un modo come un altro per ragionarci su e contribuire ad un dibattito serio.
Cominceremo a breve a pubblicare le prime interviste. C’è spazio per tutti (è il bello del web giornalismo!) e anche per i commenti che abiliteremo in calce all’articolo.
Perché, se non ci schiariamo le idee tra di noi adesso e ci diamo una bella svegliata, a Primavera ci sveglieranno loro. E non sarà un risveglio piacevole.

Pendolari vs Regione. Quando prendere il treno diventa una battaglia

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Una litania di disservizi, un rosario di inefficienze, una via crucis di inettitudini. I pendolari di tutto il Veneto si sono dati appuntamento ieri mattina a San Leonardo per benedire Trenitalia. E mettiamo subito in chiaro che lo spazio qui non basta per elencare tutte le denunce dei convenuti. Denunce che spaziavano da treni soppressi in orari di lavoro, linee mal servite o non servite del tutto, biglietterie inesistenti, vagoni che fanno entrare non solo il gelo ma anche la neve (chi scrive ha dovuto viaggiare qualche tempo fa dentro una carrozza con l’ombrello aperto), orari impossibili, motrici che si fermano se piove appena un po’ più del dovuto, treni stipati in una maniera tale da sfidare il principio dell’impenetrabilità dei corpi solidi...
Inutile entrare nel dettaglio di queste faccende che l’assessore regionale alla Mobilità, Renato Chisso, ha definito la “rivoluzione dei trasporti del Veneto”, perché chiunque abbia tentato la sorte di prendere un treno sa di cosa stiamo parlando.



Vediamo piuttosto di buttarla sul positivo. Perché di positivo c’è che i tanti comitati di pendolari sparpagliati in tutta la Regione si sono finalmente trovati insieme per mettere a punto una piattaforma di richieste comune. “Cerchiamo di uscire dalla logica del proprio giardino - ha spiegato in apertura Gigi Lazzaro, presidente di Legambiente Veneto - per capire che il problema non sta nel ottenere un treno in più sulla propria linea ma di ripensare in termini di servizio tutta la mobilità pubblica”. L’associazione del cigno verde si è fatta promotrice di questa iniziativa che potremmo scherzosamente chiamare “Pendolari di tutto il Veneto, unitevi”. Andrea Ragona, responsabile per il trasporto pubblico, spiega come l’incontro di questa mattina sia nato dopo un anno di lavoro con i tanti comitati regionali stufi di venire singolarmente “presi in giro dalla Regione Veneto”.
Il problema, spiega il portavoce di Legambiente, si è creato con l’istituzione dell’orario cadenzato che Chisso, come abbiamo scritto in apertura, ha definito la “rivoluzione del trasporto regionale”. Ricordiamo che per “orario cadenzato” si intende un orario in cui (come avviene per i vaporetti e i bus) le partenze avvengono sempre a minuti fissi di ogni ora. Il problema sta nel fatto che mentre di vaporetti ce n’è uno ogni dieci minuti, di treni uno ogni due ore se butta bene. In poche parole, con la scusa della “rivoluzione”, sono state fatte scomparire linee intere di treni per pendolari.
“Non si può fare la rivoluzione dei trasporti senza investire soldi - ha commentato Ragona -. La Regione Veneto cui spetta la gestione del nostro sistema di trasporto è quella che ci investe meno: lo 0,3 per cento del proprio bilancio contro l‘1,2 della Lombardia o il 2 per cento della provincia autonoma di Bolzano. Chiaro che senza investimenti il settore è penalizzato e a pagarne le spese sono gli utenti più frequenti: i pendolari”. Col risultato, come ha spiegato al microfono un incazzatissimo pendolare, che “per andare a lavorare siamo costretti a prendere l’auto”.
In conclusione dell’incontro, è stata predisposta una piattaforma comune in cui si chiede alla nostra “rivoluzionaria” Giunta regionale di facilitare l’intermodalità, aumentare il numeri di treni pendolari e, soprattutto, di investire più risorse sui trasporti pubblici, magari dirottandoci qualcuno di quei miliardi che così generosamente spende e spande per le autostrade e le Grandi Opere.
Per ultimo, segnaliamo la pagina di Facebook dedicata ai disastri di Trenitalia, “Pendolaria Veneto”. Per gente che ama il genere horror.

L’accordo “truffa” di San Basilio. Caccia: “Un inaudito ed inaccettabile regalo al Porto”

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Sulla questione delle “grandi navi” si va avanti come i gamberi: un passo avanti a Roma, un passo indietro a Venezia. Proprio nel giorno in cui il fronte ambientalista accoglie con sollievo l’approvazione a larga maggioranza in Senato della mozione presentata da Felice Casson che impegna il Governo a confrontare in tempi certi e con pari dignità tutte le ipotesi alternative al transito dei mostri del mare in Laguna, compresa la loro definitiva estromissione, smentendo clamorosamente il ministro Lupi che voleva il via libera allo scavo del canale Contorta con la scorciatoia della Legge Obiettivo, arriva la doccia fredda dell’accordo di programma per la connessione del tram a San Basilio tra il Comune e l’Autorità Portuale.
Che la rete tramviaria dovesse avere come capolinea l’area attualmente occupata dalle attività portuali, è cosa risaputa. Nel gennaio 2013 il Consiglio comunale aveva approvato in questa prospettiva una bozza di accordo che contemplava, come la città chiede da vent’anni e come da dieci anni prevede la pianificazione urbanistica del Comune di Venezia, che la zona di San Basilio fosse gradualmente restituita dal Porto, sdemanializzata e integrata nel tessuto urbano del popoloso quartiere di Santa Marta, sviluppando le attività universitarie e completando la passeggiata delle Zattere.



Il testo dell’accordo, trattato direttamente dall’assessore Ugo Bergamo (UDC) con l’Autorità Portuale e reso pubblico oggi, si rivela invece, per dirlo con le parole del consigliere della lista In Comune Beppe Caccia, come “un inaudito regalo al Porto. In pratica, si consente all’Autorità Portuale di confermare tutta l’area di San Basilio come terminal marittimo, di ampliare le strutture già esistenti, per far spazio alle grandi navi anche lungo il canale della Giudecca. Con un regalino da 8 milioni di euro.”
Caccia ha incontrato la stampa a Ca’ Farsetti assieme ai colleghi Camilla Seibezzi (lista In Comune) e Sebastiano Bonzio (Rifondazione). Tre consiglieri, come ha notato Bonzio, che sono “sufficienti a far mancare la maggioranza necessaria a far passare in Consiglio comunale un tale accordo.” Un accordo che farebbe ritornare indietro Venezia di una decina di anni, quando cominciarono le trattative per cercare di restituire alla città l’area portuale di San Basilio e la riva che corre lungo il canale della Scomenzera.
In quest’ottica, con la delibera del 14 gennaio 2013, il Consiglio comunale prevedeva, tra le altre cose, anche la costruzione di un parcheggio multipiano su uno dei moli della Marittima, con almeno il 30% dei posti auto destinato ai veneziani, nella prospettiva di definire l’uso dell’area sulla base dell’art. 35bis del PAT (Piano di assetto del territorio) che definisce l’obiettivo dell’estromissione dalla Laguna delle navi di dimensioni “incompatibili”.
All’assessore alla Mobilità Bergamo era stato dato l’incarico di trattare con l’Autorità Portuale e stabilire il testo definitivo dell’accordo di programma. Il problema sta tutto qua. L’accordo che Bergamo ha firmato a nome del Comune, hanno spiegato Bonzio, Seibezzi e Caccia carte alla mano, dice tutt’altro! Il parcheggio sarà a raso e riservato, in pratica, a forze dell’ordine, dipendenti del porto e turisti. Le stesse destinazioni d’uso degli edifici, già magazzini, che ospitano le aule didattiche delle università Ca’ Foscari Iuav vengono riclassificate come “attività portuali”. E il Porto vuole mantenere il controllo di tutte le banchine per far posto alle grandi navi, quanto queste non trovano spazio sufficiente per ormeggiare nel solo bacino della Marittima. Viene inoltre cancellato il contributo che il Porto dovrebbe versare al Comune per le opere accessorie, ma l’accordo impegna anzi proprio l’Amministrazione comunale a pagare 8 milioni di euro di canoni per il transito del tram in area portuale.
“Approvare questo accordo - conclude Beppe Caccia – significherebbe una resa alla lobby delle crociere: altro che tram, questo è un cavallo di Troia per lasciare per sempre le grandi navi tra Marittima e San Basilio. Il sindaco e gli altri consiglieri di maggioranza abbiano ben chiaro che, quando arriverà in aula per l’approvazione, noi non lo faremo passare. A qualsiasi costo.”

Una Carta dal valore sconfinato

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La Carta di Lampedusa è scritta e averlo fatto sull’isola non ha solo un valore simbolico. L’atmosfera di questo piccolo scoglio al centro del Mediterraneo ha invaso anche la sala dell’aeroporto, dove centinaia di attivisti si sono riuniti domenica mattina per l’assemblea finale che ha chiuso la tre giorni. Volevano respirarne l’aria, parlare con i suoi abitanti, toccarne con mano le contraddizioni e, anche se per poco, vivere la quotidianità di questo posto che, più di ogni altro, racconta gli effetti che i confini sono capaci di produrre sulla vita di tutti. Qui dove i diritti dei rifugiati vengono calpestati per il solo fatto di dovervi passare forzatamente, qui dove i diritti degli abitanti sono confinati ai margini dell’Europa.
La sera di sabato un lungo applauso aveva salutato la chiusura dell’ultimo paragrafo della Carta dopo dieci ore di discussioni intense, accese, ma proprio per questo vere. Così la mattina di domenica lo spazio è stato dedicato all’agenda programmatica. Hanno raggiunto la sala riunioni a drappelli, sotto la pioggia, stanchi ma soddisfatti. Ad attenderli hanno trovato le donne dell’isola, che hanno aperto l’assemblea plenaria mescolando le loro voci a quelle dei parenti delle vittime dei migranti scomparsi in mare nel 2011, a quelle degli attivisti europei, a quelle di tante e tanti che hanno preso parola. «Chi abita a Lampedusa non può esercitare il diritto alla salute e all’istruzione al pari degli altri — hanno detto le mamme lampedusane –, non ci sono diritti per noi e neppure per chi sbarca. Per questo un incontro così è per noi una manna dal cielo».



Ora che il testo definitivo è pronto, grazie a un grande sforzo collettivo, il primo punto all’ordine del giorno è diventato l’allargamento di chi ne condivide i contenuti. Chi ha scritto la Carta ha voglia di trasformarla in uno strumento per incontrare altri, ma anche e soprattutto per costruire iniziativa. Il testo è pubblicato su www .mel ting pot .org e sui molti altri portali che hanno partecipato alle giornate di Lampedusa con tutte le indicazioni per sottoscriverla, ma già nelle prossime settimane sarà pronto un blog su cui poter aderire al documento. Poi la discussione si è spostata sul terreno delle proposte. Le prime, quelle dei movimenti romani e siciliani che il 15 e 16 febbraio daranno vita a due manifestazioni al Cie di Ponte Galeria e al Mega Cara di Mineo, per chiederne l’immediata chiusura. Proprio quella dei Cie, è stato più volte ribadito, sembra essere la prima questione su cui misurare la capacità di costruire iniziativa comune. L’attualità lo rende necessario proprio ora che le tante rivolte hanno più che dimezzato il numero di centri di detenzione in attività.
Poi lo sguardo si è spostato sull’appuntamento del prossimo primo marzo, un’occasione, dicono in molti, per guardare alla costruzione di uno spazio europeo dei movimenti. L’appello è arrivato dai migranti di «Lampedusa in Hamburg» e dagli attivisti tedeschi che li sostengono. Il primo marzo saranno in piazza ancora una volta. Ma non saranno gli unici. Anche a Niscemi il movimento No Muos, nell’iniziativa contro l’installazione dell’impianto militare, porterà i temi della Carta che riconosce un nesso inscindibile tra la gestione dei confini e la loro militarizzazione.
Ma non si è discusso solo di mobilitazioni e cortei. Perché la Carta di Lampedusa nasce proprio come tentativo di costruire convergenze e intrecciare diversi linguaggi. È Progré, una rete di supporto legale attiva a Bologna, a proporre, proprio sul terreno dell’attività giuridica, di costruire un percorso comune intorno ai punti messi nero su bianco nella Carta di Lampedusa. Dalla Coalizione Ya Basta e Un Ponte Per la proposta di costruire per la prossima primavera le carovane sulle rotte dell’Euromediterraneo, in Libano, Tunisia e Turchia, per raccontare ciò che accade lì dove l’Europa esternalizza le sue frontiere e dove oggi arriva chi tenta di fuggire da guerre e conflitti.
L’orizzonte dei prossimi mesi guarda al post elezioni europee, quando il nuovo parlamento che siederà a Bruxelles dovrà fare i conti con la questione delle politiche migratorie dell’Unione. L’invito è a una mobilitazione europea prima e dopo la scadenza elettorale, per portare le battaglie dei migranti e quelle contro i confini lì dove i governi europei discuteranno di Frontex, asilo e politiche comuni.
La Carta di Lampedusa muove insomma i primi passi: non un’organizzazione, tengono a sottolineare i partecipanti, ma un patto costituente tra tanti e diversi, un modo per condividere percorsi nei territori e su scala euromediterranea.

Questi giorni a Lampedusa. L’isola dei diritti

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Sono tre giorni che non smette di piovere e anche l’ultimo calzino asciutto se ne è andato. Sabato però abbiamo concluso la discussione ed ora la Carta di Lampedusa ha una sua stesura definitiva. Un grande applauso, per certi versi anche liberatorio, ha salutato nel tardo pomeriggio l’approvazione dell’ultimo paragrafo.
In serata il collettivo Askausa - che significa “senza scarpe” - ha invitato tutti gli attivisti all’inaugurazione del loro nuovo spazio dedicato alle vittime del mare. Una lunga sala in cui i ragazzi di Lampedusa hanno raccolto tutto ciò che il mare ha restituito dopo i naufragi. Nel soffitto dell’entrata sono appese le scarpe. Grandi, piccole, da uomo e da donna da bambino, tante... Un tavolo raccoglie dei sacchetti di plastica con dentro della terra. Un modo come un altro per esorcizzare la nostalgia della casa natia. Portarsi appresso un po’ della terra sulla quale sei cresciuto. Poi quel che resta di bibbie, corani, calendari e libri di poesie divorati dall’acqua salata. Sui muri, le mensole erano riempite di piatti, scodelle, pentole... e ancora tanti oggetti personali come lamette da barba, spazzole, giocattoli, collanine e bracciali... Mi è tornato in mente un ricordo che credevo assopito: il museo dello sterminio che ho visto al campo di concentramento di Auswitch. Nel lager come nei barconi. Vite spezzate dalla violenza di un sistema delirante.



Domenica mattina, sempre sotto una pioggia battente, l’ultima assemblea. Quella programmatica. Gli attivisti prendono il microfono per spiegare come intendono mobilitarsi per far sì che la Carta di Lampedusa non rimanga solo una carta. Ciascuno a partire dai linguaggi e dalle sensibilità che gli sono propri. Voci che si mescolano a quelle dei migranti che raccontano le loro aspettative ed a quelle degli abitanti di Lampedusa che sono intervenuti numerosi per raccontare come tocca vivere sotto la cappa di una continua emergenza militare.
Chiudiamo la sera tardi appena in tempo par fare una visita al Cara, prima che tramonti il sole. Non ci sono “ospiti” forzati in questo momento. E’ solo un grande e freddo edificio di cemento armato vuoto. Eppure le forze dell’ordine e l’esercito lo presidiano come se fosse l’ultimo bastione strategico di chissà quale guerra. Gli giriamo attorno e i militari ci seguono passo dopo passo, segnalando i nostri spostamenti con le trasmittenti. Vado a vedere il famoso buco sulla recinzione sud e che fungeva da “porta secondaria”, ipocritamente tollerata dalle autorità che preferivano far finta di non vedere per non scatenare rivolte. E’ ancora là a testimoniare quanto sia assurdo, oltre che inumano, il voler pretendere di risolvere una questione sociale con criteri militari.
Non è un bel vedere il Cara di Lampedusa. Nessun Cie, nessun Cara lo è. Più volte negli incontri di stesura della Carta è stato ribadito, dagli attivisti della campagna LasciateCientrare come da tutti gli altri, che queste prigioni di cemento armato non possono essere umanizzate ma solo abbattute. Chiudere i Cie ancora attivi ed impedire che vangano riaperti quelli chiusi sarà una delle prima battaglie da fare. Perché l’avventura della Carta di Lampedusa, statene certi, è solo cominciata.
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