In questa pagina ho riportato gli ultimi articoli che ho scritto per il quotidiano ambientalista Terra, il settimanale Carta, Manifesto, per siti come Global Project, FrontiereNews o siti di associazioni come In Comune con Bettin e altro ancora.
Questi giorni a Lampedusa. L’isola dei diritti
3/02/2014Global Project
In serata il collettivo Askausa - che significa “senza scarpe” - ha invitato tutti gli attivisti all’inaugurazione del loro nuovo spazio dedicato alle vittime del mare. Una lunga sala in cui i ragazzi di Lampedusa hanno raccolto tutto ciò che il mare ha restituito dopo i naufragi. Nel soffitto dell’entrata sono appese le scarpe. Grandi, piccole, da uomo e da donna da bambino, tante... Un tavolo raccoglie dei sacchetti di plastica con dentro della terra. Un modo come un altro per esorcizzare la nostalgia della casa natia. Portarsi appresso un po’ della terra sulla quale sei cresciuto. Poi quel che resta di bibbie, corani, calendari e libri di poesie divorati dall’acqua salata. Sui muri, le mensole erano riempite di piatti, scodelle, pentole... e ancora tanti oggetti personali come lamette da barba, spazzole, giocattoli, collanine e bracciali... Mi è tornato in mente un ricordo che credevo assopito: il museo dello sterminio che ho visto al campo di concentramento di Auswitch. Nel lager come nei barconi. Vite spezzate dalla violenza di un sistema delirante.
Domenica mattina, sempre sotto una pioggia battente, l’ultima assemblea. Quella programmatica. Gli attivisti prendono il microfono per spiegare come intendono mobilitarsi per far sì che la Carta di Lampedusa non rimanga solo una carta. Ciascuno a partire dai linguaggi e dalle sensibilità che gli sono propri. Voci che si mescolano a quelle dei migranti che raccontano le loro aspettative ed a quelle degli abitanti di Lampedusa che sono intervenuti numerosi per raccontare come tocca vivere sotto la cappa di una continua emergenza militare.
Chiudiamo la sera tardi appena in tempo par fare una visita al Cara, prima che tramonti il sole. Non ci sono “ospiti” forzati in questo momento. E’ solo un grande e freddo edificio di cemento armato vuoto. Eppure le forze dell’ordine e l’esercito lo presidiano come se fosse l’ultimo bastione strategico di chissà quale guerra. Gli giriamo attorno e i militari ci seguono passo dopo passo, segnalando i nostri spostamenti con le trasmittenti. Vado a vedere il famoso buco sulla recinzione sud e che fungeva da “porta secondaria”, ipocritamente tollerata dalle autorità che preferivano far finta di non vedere per non scatenare rivolte. E’ ancora là a testimoniare quanto sia assurdo, oltre che inumano, il voler pretendere di risolvere una questione sociale con criteri militari.
Non è un bel vedere il Cara di Lampedusa. Nessun Cie, nessun Cara lo è. Più volte negli incontri di stesura della Carta è stato ribadito, dagli attivisti della campagna LasciateCientrare come da tutti gli altri, che queste prigioni di cemento armato non possono essere umanizzate ma solo abbattute. Chiudere i Cie ancora attivi ed impedire che vangano riaperti quelli chiusi sarà una delle prima battaglie da fare. Perché l’avventura della Carta di Lampedusa, statene certi, è solo cominciata.
“Libertà di movimento e chiusura dei Cie”, approvata la Carta di Lampedusa
3/02/2014Frontiere News
Sono tanti però. Almeno trecento, forse trecento e cinquanta. E ognuno di loro è un’isola nel variegato (e qualche volta pure rissoso) arcipelago associativo che spazia dall’antirazzismo all’accoglienza passando per i diritti umani. Sono arrivati a Lampedusa dopo viaggi con tre o anche quattro scali aerei. Alcuni vengono dall’Olanda, dall’Inghilterra o dalla Germania, come gli attivisti di “Lampedusa in Hamburg”. Altri anche dal nordafrica. La maggior parte però, per una questione di vicinanza, sono italiani.
Tutti hanno accolto l’appello lanciato dal Progetto Melting Pot appena dopo la tragedia del 3 ottobre di ritrovarsi a Lampedusa da venerdì 31 gennaio a domenica 2 febbraio per disegnare assieme le “frontiere” di una Europa senza frontiere. Una Europa che garantisca il diritto d’asilo ai profughi e il diritto di tutti alla libera circolazione.
Perché proprio a Lampedusa? Lo ha spiegato bene Giusi Nicolini. Lampedusa, ha commentato la sindaca intervenendo all’assemblea, è un perfetto paradigma di come l’attuale politica sulle migrazione violi non solo i diritti dei richiedenti asilo ma anche delle popolazione costrette a vivere l’eterna emergenza delle aree di confine. “Non c’è una sola Lampedusa in Europa e neanche nel mondo. Sono tante le Lampeduse nel mare Mediterraneo, così come tra l’Australia e le Filippine. Tutte queste Lampeduse vogliono che il diritto di asilo diventi effettivo, che la tratta venga combattuta da un modo diverso di affrontare le politiche migratorie. Tulle le lampeduse del mondo chiedono di rovesciare un linguaggio politico che continua ad essere imprigionato dentro le gabbie sicurtarie. Non ci sarebbe bisogno di Mare Nostrum se ci fossero forme diverse e più agili per concedere il diritto di asilo”.
Nelle sala dell’aeroporto di Lampedusa, la sola in tutta l’isola abbastanza ampia per provare a contenere tutti i partecipanti, le assemblee si sono susseguite dalla mattina presto a notte fonda. Sono stati, diciamocelo pure, tre giorni duri anche perché non è stato affatto facile tenere insieme realtà vicine nei principi ma lontane per provenienza, non solo geografica.
Sabato sera però, la Carta di Lampedusa è diventata una realtà. La sua versione definitiva, frutto di un percorso partecipato lungo circa tre mesi e costruito via web attorno ad un documento wiki di scrittura condivisa, la potete scaricare dal sito meltingpot.it.
“E’ importante sottolineare che la stesura della Carta non esaurisce il nostro cammino, anzi - ha concluso Nicola Grigion di Melting Pot, appena dopo la chiusura definitiva del documento - E’ stato un lavoro collettivo ma eccezionale. Un testo che è un vero e proprio patto tra tanti e diversi, ma allo stesso tempo una dichiarazione programmatica. Il frutto di uno sforzo di condivisione che è già di per sé un fatto politico importantissimo. Ora ci aspettano mesi di lotte e campagne da condurre in tanti e diversi, a partire da quelle per l’immediata chiusura dei pochi centri di detenzione ancora attivi in Italia. Ma anche un periodo in cui affrontare l’Europa e le politiche che ha costruito nel Mediterraneo. Per rovesciarle. Una sfida che non possiamo permetterci di perdere”.
"L'accoglienza che vogliamo non è una utopia"
2/02/2014Il Manifesto
La grande partecipazione, sostiene la sindaca, dimostra che la Carta di Lampedusa ha già raggiunto il suo primo obiettivo e si è rivelata un utile strumento per aggregare “un mondo di persone che su temi come le migrazioni, la lotta alle mafie e le battaglie per i diritti umani ha fatto una ragione di vita”.
L’unicità dell’isola, continua Giusi Nicolini, non sta solo nella sua geografia ma anche e soprattutto nel coraggio con cui ha affrontato situazioni difficili. “Anche il papa, quando è venuto a trovarci, non ha cessato di stupirsi nel constatare cosa ha saputo donare in termini di accoglienza questa piccola comunità. Credete che non è retorica o vanagloria affermare che la nostra isola, così piccola e così sola, ha saputo affrontare flussi per noi enormi di migrazioni. Lampedusa ha dimostrato quando sia cinico, ipocrita e pure falso sostenere che la grande Europa non possa accogliere le persone che sono passate di qua. Lampedusa ha saputa far cadere il velo della menzogna di politiche sicurtarie che alimentano e allo stesso tempo si nutrono di paure ingiustificate. Quelle stesse politiche che hanno fatto scempio dell’immagine che aveva la mia bella isola. Lampedusa ha saputo accogliere e come lo ha fatto in passato, lo saprà fare anche in futuro. Ma deve essere chiaro che anche l’Europa lo può e lo deve fare”.
Chiudersi in una fortezza, avverte la sindaca, non servirà a difendere e a far sopravvivere una economia in profonda crisi. “Così come non servirà negare il diritto all’accoglienza a coloro che prima di tutto sono naufraghi delle politiche di sviluppo che l’Europa ha scelto per il loro Paese”.
Le frontiere, continua Giusi Nicolini, non possono limitare il diritto ad una vita degna. “Non c’è una sola Lampedusa, in Europa e nel mondo. Sono tante le Lampedusa nel mare Mediterraneo così come tra l’Australia e le Filippine. Tutte queste Lampedusa vogliono che il diritto di asilo diventi effettivo, che la tratta venga combattuta e resa inutile da un modo diverso di affrontare le politiche migratorie. Non ci sarebbe bisogno di Mare Nostrum se ci fossero forme diverse e più agili per concedere il diritto di asilo”.
Lampedusa quindi come perfetto paradigma per rovesciare un linguaggio politico che continua ad imprigionarsi dentro gabbie sicurtarie. “Lampedusa deve trasformarsi in quel modello che in nuce già è. Non più una frontiera militarizzata, sostenuta da navi cisterna e sotto il giogo di una continua emergenza, ma un luogo che possa dimostrare a tutte le Lampeduse del mondo come potrebbero essere: la porta di ingresso per un accoglienza dignitosa in cui anche i diritti degli abitanti siano rispettati. Se solo imparassimo a guardare al fenomeno della migrazione in modo diverso, basandosi più sui dati che sulle nostre paure...”
La Carta di Lampedusa, afferma la sindaca, ha tutte le potenzialità per dare le ali a questa che non è solo una utopia. “Noi che viviamo in questo piccolo scoglio perso in mezzo al mare - conclude tra gli applausi sia degli attivisti che dei residenti - sappiamo bene che non ci sono sogni impossibili. E se siete venuti sino a qua, lo sapete bene anche voi. Per questo, sono sicura che ci sorprenderete”.
Il patto solidale di Lampedusa
2/02/2014Il Manifesto
Solo venerdì, durante la riunione introduttiva dei lavori, i partecipanti registrati erano oltre trecento. Questo primo incontro ha fornito una importante occasione di confronto con gli abitanti desiderosi di raccontare la vita di chi è costretto a vivere una vita in cui tutto si trasforma in emergenza. L’intervento della sindaca, Giusi Nicolini, di cui raccontiamo a lato, è stato seguito da quelli dei rappresentanti degli imprenditori e di alcune associazioni locali.
“La gente di Lampedusa non ne può più di tutti quei politici che vengono qui a far passerella: promette mari e monti e poi se ne va, abbandonandoci in un mare di problemi - confessa Angelo Mandracchia, portavoce degli imprenditori -. Il vostro approccio però è diverso. Non pretendete di insegnarci come fare accoglienza. Non promettete niente. Criticate queste politiche migratorie che scaricano tutto il problema sulle piccole comunità di frontiera. E noi di Lampedusa siamo i primi a poter dire, come dite voi e proprio perché lo abbiamo constatato sulla nostra pelle, che queste sciagurate politiche migratorie sono inutili, costose e sconfitte in partenza. Non possiamo fare a meno di domandarci ogni giorno, cosa potremmo realizzare con tutti i milioni di euro che spendono per militarizzare l’isola, se fossero invece investiti per una vera accoglienza e per migliorare le condizioni di vita degli abitanti. Lo sa lei che basta qualche settimana di maltempo per lasciarci tutti senza frutta, senza verdura e anche senza gas?”
La straordinaria partecipazione con la quale i lampedusani hanno accolto gli attivisti sbarcati nella loro isola da tutta Italia oltre che da tanti altri Paesi d’Europa e del Nordafrica, è proprio la prima nota da sottolineare. Le iniziali diffidenze sono state superate in tanti incontri nelle scuole, nella sede del Comune e, non da ultimo, ai tavolini dei bar e delle pasticcerie. Un confronto utile per capire come Lampedusa stia vivendo questa sua altalenante e schizofrenica condizione di isola caserma e di isola dell’accoglienza allo stesso tempo.
Perché la bella Lampedusa è prima di tutto una caserma a cielo aperto e la presenza militare in città è a dir poco asfissiante. Le strada principale che attraversa il paese, la pedonale via Roma, è continuamente attraversata in senso perpendicolare da camionette e da blindati dei carabinieri. Sui muri, si contano a decine e decine i cartelloni con la scritta “Zona militare. Vietato l’accesso”. E poi elicotteri, militari in assetto da guerra, guardie di finanza, polizia di frontiera. Impossibile anche fotografare il “cimitero” dei relitti, quanto resta cioè dei barconi che trasportavano i profughi, che ha subito qualche giorno fa un tentativo di incendio da parte di ignoti. L’area è presidiata da militari che allontanano immediatamente i curiosi. E se spieghi che sei un giornalista ti rispondono: “Proprio per questo”.
Sabato invece è stato il giorno della scrittura della Carta, iniziata in una sala sempre più stretta che non ha smesso di riempirsi per tutta la mattinata e che faticava a contenere tutti. Punto su punto, sono stati discussi e redatti nella loro forma definitiva tutti i capitoli che costituiranno la Carta di Lampedusa e sui quali, vale la pena ricordarlo, è stato svolto nei mesi precedenti un grande lavoro di scrittura collettiva sul web. Una lunga e faticosa giornata di discussioni e di aggiustamenti, tanto per chi forniva il suo contributo alla stesura del documento che dei tanti attivisti impegnati sul fronte della comunicazione per aggiornare blog, siti e social network.
Anche perché, le realtà presenti erano davvero tante. Ed è proprio questo il secondo punto da evidenziare. La grande mobilitazione creatasi attorno all’appello lanciato dal Progetto Melting Pot Europa. Associazioni, italiane ma anche europee e nordafricane, laiche e cattoliche, movimenti, sindacati, media indipendenti, singoli cittadini ma anche inviati di amministrazioni comunali sensibili al tema... praticamente l’intero arcipelago antirazzista che ruota intorno ad un Euromediterraneo disegnato sulle “frontiere” della libera circolazione.
“E’ importante sottolineare che la stesura della Carta non esaurisce il nostro cammino, anzi - ha concluso Nicola Grigion di Melting Pot, appena dopo la chiusura definitiva del documento - E’ stato un lavoro collettivo ma eccezionale. Un testo che è un vero e proprio patto tra tanti e diversi, ma allo stesso tempo una dichiarazione programmatica. Il frutto di uno sforzo di condivisione che è già di per sé un fatto politico importantissimo. Ora ci aspettano mesi di lotte e campagne da condurre in tanti e diversi, a partire da quelle per l’immediata chiusura dei pochi centri di detenzione ancora attivi in Italia. Ma anche un periodo in cui affrontare l’Europa e le politiche che ha costruito nel Mediterraneo. Per rovesciarle. Una sfida che non possiamo permetterci di perdere”.
Questi giorni a Lampedusa. L’isola dell’accoglienza
1/02/2014Global Project
All’aeroporto di Lampedusa, ci hanno dato la più grande che avevano a disposizione ma ancora non basta. Solo ieri, giornata introduttiva dedicata alla presentazione delle tantissime associazioni presenti e al saluto della sindaca, si sono registrate oltre 250 persone. Altre se ne stanno aggiungendo ora, altre ancora arriveranno sugli aerei del pomeriggio per l’incontro conclusivo sulla Carta e partecipare l’assemblea programmatica che si svolgerà domani mattina.
La prima nota da sottolineare quindi, è la grande mobilitazione che si è creata attorno all’appello di Melting Pot, cui va dato il merito di aver saputo interpretare e dare voce al diffuso disagio provocato dal fallimento delle attuali politiche migratorie.
Il secondo punto che vogliamo evidenziare è la straordinaria accoglienza riservataci degli abitanti di Lampedusa inizialmente, diciamocelo pure, quantomeno scettici di fronte all’ennesima “invasione” della loro bella isola. Niente battaglioni di giornalisti al seguito di politici non richiesti, ma decine e decine di “strani” personaggi, attivisti giovani e meno giovani, provenienti da tutta Europa per lo più con un sacco a pelo sulle spalle.
E’ bastato qualche volantinaggio la diffusione della lettera ai residenti e, più di tutto, le chiacchierate che in questi ultimi giorni abbiamo fatto ai tavolini dei bar e delle pasticcerie, per far capire a tutti chi eravamo e cosa volevamo.
“Eravamo pronti a contestarvi perché non ne possiamo più di gente che viene qui a far passerella, promette mari e monti e poi se ne va, abbandonandoci in un mare di problemi - confessa un rappresentante degli imprenditori dl Lampedusa - Ora invece siamo pronti a collaborare alla stesura della Carta e anche a metterci la firma. Siamo i primi a poter dire, proprio perché lo abbiamo constatato sulla nostra pelle, che queste sciagurate politiche migratoria sono sconfitte in partenza, scaricano tutto il problema su pochi posti di confine come la nostra Lampedusa ed inoltra sono costosissime. Non possiamo fare a meno di domandarci ogni giorno, cosa potremmo fare con tutti i milioni di euro che spendono per militarizzare l’isola, non solo nell’accoglienza ma anche per migliorare le condizioni di vita degli abitanti. Lo sa lei che basta qualche settimana di maltempo per lasciarci tutti senza frutta, senza verdura e anche senza gas?”
Sulla stessa lunghezza d’onda anche l’intervento della sindaca Giusi Nicolini che ha aperto l’assemblea ringraziando i presenti. “Questa piccola isola così piccola e così sola ha saputo affrontare emergenze indescrivibili. Noi, più di tutti, possiamo affermare quando sia ipocrita e falso dire che l’Europa, così grande, non possa accogliere degnamente queste persone costrette a scappare da Paesi in guerra. Lampedusa l’ha fatto e lo farà. L’Europa lo può e lo deve fare”.
Adesso, mentre scrivo, al tavolino delle registrazioni continuano ad arrivare persone. Dentro procede la discussione e gli attivisti di Melting hanno approntato un servizio di traduzione simultaneo in francese e uno in tedesco, mentre sul muro viene proiettato il testo in inglese.
Entro sera bisogna arrivare alla stesura finale della Carta e alla sua ratifica.
Questi giorni a Lampedusa. L’isola delle caserme
30/01/2014Global Project
Oramai nessuno nasce e nessuno muore più a Lampedusa (migranti a parte). Il piccolo poliambulatorio non è neppure dotato di un servizio ostetrico. Per partorire le gestanti raggiungono gli ospedali palermitani. E debbono imbarcarsi perlomeno un mese prima. Gli aerei di collegamento sono dei piccoli bimotori ad elica. Non sono mezzi consigliabili a chi ha paura. Con tutti quegli scossoni che ti regalano emozioni e attaccamento alla vita, se la gravidanza è molto avanti, c’è il rischio di scodellare il pupo tra le mani della hostess.
In bassa stagione poi, i voli sono limitati anche a prescindere dalle condizioni del tempo e dagli scioperi dei controllori dei voli. Sui pochi posti a disposizione, inoltre, i residenti hanno giustamente il diritto di precedenza. Questo è il motivo per cui molti attivisti che hanno tentato di raggiungere l’isola hanno dovuto desistere dai loro propositi e rassegnarsi a partecipare agli incontri seguendo lo streaming su Melting Pot.
Io sono stato tra i primi ad arrivare. Mi ha accolto un mare in burrasca e una cittadina fredda, molto lontana da quegli arcobaleni di colore con cui dipingiamo la Sicilia.
Il centro sta tutto in un’unica strada, via Roma. Lunga, larga, diritta, ben curata, costellata di ristoranti stile Bella Napoli e di negozi “Totò o’mericano” che vendono piastrelle “Una vipera ha morso mia suocera...” Per la maggior parte sono chiusi. “Chi ha i soldi va a svernare a Palermo dove ha la seconda casa e può mandare i figli a scuola - mi ha spiegato la gentile signora che ci ha affittato le camere -. Qui non c’è niente per i bambini. La scuola dell’obbligo non ha aule per tutti e mio figlio è costretto ad andare a lezione al pomeriggio. E dopo l’obbligo, abbiamo solo un liceo scientifico. Fosse almeno un istituto alberghiero”.
Gironzolando per le strade di Lampedusa, salta subito all’occhio che l’intera isola è stata trasformata in una caserma. Le strade perpendicolari a via Roma sono continuamente attraversate da camionette e blindati dei carabinieri. Dappertutto trovi cartelli con scritto “Zona militare. Vietato l’accesso” . Seduti ai tavolini dei bar, rigorosamente riservati agli uomini, ci sono più soldati in libera uscita e poliziotti in borghese che lampedusani. E poi guardi di finanza, polizia di frontiera, capitanerie di porto... mancano solo gli alpini per completare l’elenco dei corpi dello Stato. Sono sceso al porto per fotografare il “cimitero” dei relitti dei barconi cui, qualche giorno fa, qualcuno ha appiccicato il fuoco. Due militari armati mi hanno ordinato subito di allontanarmi. Ho spiegato che ero un giornalista con regolare iscrizione all’Albo. “Proprio per questo” mi hanno risposto.
Ancora più raccapricciante è la bandiera con il “sole padano” che sventola sopra il porto del naufragio, appena sotto la grande statua della madonna protettrice dei marinai dall’aureola che si illumina di notte. Proprio qui, al sud del sud, la Lega Nord è riuscita ad eleggere una rappresentanza in consiglio comunale. Votarli sotto queste cielo meridionale, viene da pensare, deve essere come per un leprotto iscriversi all’Arci Caccia.
Pasteggiano con la paura delle gente. Girano per le strade dell’isola su un’auto di “rappresentanza” con bandierona al vento, lo stemma sul cofano e la scritta “No all’abrogazione della Bossi Fini”. Domani incontreremo la sindaca Giusi Nicolini e ci auguriamo che sappia dipingerci un’altra Lampedusa.
Intanto, ora dopo ora, gli attivisti dei tantissimi movimenti che hanno aderito all’appello di Melting Pot per scrivere assieme la Carta di Lampedusa scendono dagli aerei. Vengono da tutta Italia, dalla Francia, dall’Olanda, da tanti altri Paesi europei e nordafricani. Basta un’occhiata per capire che non sono i soliti turisti. Accanto al tavolino da cui scrivo queste note si siedono un paio di tedeschi e un profugo. Sono di “Lampedusa in Amburg” e sono venuti a proporre un gemellaggio con il quartiere S. Pauli.
Grazie a tutti loro, anche la grigia Via Roma sta cominciando a riempirsi di colori.
Ps - col vento che c'era... la bandiera ha sventolato per poco!
Satellite comunicazione
30/01/2014Il Manifesto
Sono partiti lunedì da Padova per raggiungere Napoli ed imbarcarsi per la Sicilia. Poi in auto da Palermo a Porto Empedocle per prendere un'altra nave fino all'isola.
I nuovi strumenti di comunicazione hanno avuto fin dall'inizio un ruolo fondamentale per la Carta di Lampedusa. Ma le assemblee on-line ed il documento scritto collettivamente attraverso il docuwiki pubblico sono stati solo il preludio. E' intorno alla tre giorni sull'isola che la comunicazione indipendente cercherà di spingersi oltre, con una connessione satellitare messa a disposizione da Sherwood.it.
La diretta delle assemblee potrà essere seguita in streaming su www.meltingpot.org, mentre sabato 1 e domenica 2 febbraio, alle 21.30, andranno in onda due trasmissioni dedicate all'isola di Lampedusa ed ai confini dell'Europa. Due grandi co-produzioni lanciate da Sherwood che raccoglieranno i contributi e le immagini messe a disposizione da ZaLab e moltissimi artisti, seguite dallo visione gratuita di “Mare Chiuso” di Andrea Segre e Stefano Liberti e del film/documentario “I nostri anni migliori” di Matteo Calore e Stefano Collizzolli.
Chi poi vorrà seguire approfondimenti, interviste e commenti potrà farlo attraverso i tanti media indipendenti e non che saranno sull'isola. Globalproject, Dinamopress, Amisnet, Qcode Magazine, Radio Onda D'Urto, Radio Roarr, Left Avvenimenti, Corriere delle Migrazioni, solo per citarne alcuni. Ed ovviamente dalle pagine di questo giornale. Tutti impegnati a dare voce a questa sfida lanciata contro i confini dell'Europa. Insomma, chi non è riuscito a raggiungere l’isola può stare tranquillo. “Stay tuned”, resti connesso e non si perderà una parola.
Cie. La mappa del fallimento
30/01/2014Il Manifesto
Il Cie di Modena è stato definitivamente cancellato, mentre la struttura di Lamezia Terme (Cz) non è operativa perché i locali non risultano idonei alla destinazione d'uso. A questi si aggiunge la recente chiusura temporanea del centro di Gradisca d'Isonzo (Go) e lo svuotamento, nei fatti, del Cie di via Corelli, a Milano, dove i posti disponibili sono ormai ridotti all'osso. Quelli costruiti nel 2011 a Santa Maria Capua Vetere e Palazzo San Gervaso, pur attivi, sono in attesa del completamento dei lavori di adeguamento, mentre per il Cie di Milo si prospetta la chiusura definitiva. Tutti gli altri operano invece con capienza ridotta a seguito dei danneggiamenti prodotti dalle rivolte. La prima scommessa per i movimenti che si ritrovano a Lampedusa si gioca proprio intorno a questa mappa, che rappresenta il fallimento delle politiche europee in materia di immigrazione. Le occasioni non mancheranno già nelle prossime settimane. I fronti caldi saranno Ponte Galeria e via Mattei a Bologna, dove si riaprirà la partita per la chiusura del primo e per la dismissione definitiva del secondo. E poi ancora al Mega Cara di Mineo, simbolo di un sistema di accoglienza disastroso e speculativo che, su tutto il territorio nazionale, dopo i nuovi arrivi dalla Siria e dal Corno d'Africa, rischia di gonfiare nuovamente le tasche di speculatori ed affaristi sulla pelle dei migranti.
A Lampedusa per cambiare l'Europa
30/01/2014Il Manifesto
Tra i promotori della Carta di Lampedusa c'è Melting Pot. Incontriamo Nicola Grigion che da qualche giorno è sull'isola. “Questa è una grande occasione per ripartire insieme – ci dice. La Carta nasce dopo una tragedia, ma è frutto di un decennio di battaglie antirazziste, un patrimonio costruito dalle lotte dei migranti e da chi si è opposto all'uso del diritto come uno strumento da imporre con arbitrio. E può diventare un vero e proprio patto costituente, un orizzonte comune dentro cui muoversi in molti e diversi.” I temi scottanti ci sono tutti. La bozza di documento che verrà discussa non lascia spazio ad ambiguità e combina spinte utopiche ad una giusta dose di concretezza. Non è però una proposta di legge. Apre dei campi di tensione che nei prossimi mesi saranno al centro dell'agenda dei movimenti e probabilmente anche della politica. Ci sono le elezioni europee e per forza di cose tutti dovranno fare i conti con la questione migrazioni. “Il periodo elettorale rischia di regalarci una sequenza di annunci e retoriche – continua Grigion. “Ma può essere anche una grande occasione per i movimenti di aprire varchi. Le forze che governano l'Unione non possono cedere su questi temi. Al massimo cercano di trovare nuovi modi per rilegittimarne la gestione dei confini. Perché per l'Europa, così come l'abbiamo conosciuta finora, i confini sono un punto cardine. Ma noi non possiamo più accettare uno spazio europeo in cui esiste una gerarchia della cittadinanza, perché in questa vicenda vengono meno i diritti di tutti”.
L'appuntamento sull'isola raccoglie un ampio spaccato del variegato arcipelago dei movimenti e dell'antirazzismo. Una composizione meticcia, fatta di piccole e grandi associazioni, di centri sociali ed altre realtà auto-organizzate, di movimenti per la casa e sindacati, di Ong e centri culturali, di media indipendenti e collettivi studenteschi. Ci sono i rifugiati che da mesi sono accampati in piazza ad Amburgo ed i parenti delle vittime dei naufragi del 2011, c'è il mondo laico e quello cattolico, ci sono docenti e giuristi. Sono tanti, diversi, ma anche in questi giorni in cui la politica italiana discute l'ipotesi di cancellazione del reato di clandestinità, non sembrano aver voglia di accontentarsi delle briciole. Vogliono andare fino in fondo. Come Pamela Marelli, dell’Associazione Diritti per Tutti. In questi anni, a Brescia, è stata al fianco dei migranti che hanno lottato contro la sanatoria truffa e per il diritto alla casa. Trova che l'evento sia un fatto inedito. “Ricordo che, dopo la strage, tutti i politici giuravano che la Bossi Fini sarebbe affondata assieme a quel barcone. Ed invece siamo ancora qui ad aspettare qualcosa di concreto. Ora tocca a noi dare un segnale forte. Un segnale dal basso e allargato. “Finalmente, Lampedusa non sarà più solo l’isola delle emergenze ma un vero e proprio trampolino per una nuova Europa”. Anche il processo che ha portato alla costruzione dell'incontro ha avuto risvolti innovativi. Nulla a che vedere con la democrazia della rete tanto cara al M5S. Le assemblee si sono svolte on-line grazie ad un sistema di web-conference messo a disposizione da Global Project. E da oltre settanta città italiane centinaia di persone, in carne ed ossa, hanno partecipato a discussioni accese per preparare l'evento. La stessa bozza della Carta è stata redatta da un'infinità di mani attraverso una piattaforma di scrittura condivisa. La tre giorni si aprirà venerdì pomeriggio con Giusi Nicolini che insieme agli studenti, alle associazioni ed agli abitanti dell'isola, racconterà la vita quotidiana di un luogo dimenticato da tutti, dove in pochi giorni può nascere una struttura miliare ma non c'è modo di sistemare la scuola o di costruire un vero ospedale. Sabato invece l'intera giornata sarà dedicata alla stesura definitiva della Carta, mentre per domenica mattina è prevista l'assemblea plenaria in cui si discuterà una possibile agenda comune per i mesi futuri. Ed è proprio la ricerca di un orizzonte unitario ad essere il vero punto centrale della Carta di Lampedusa. Perché se la tragedia del 3 ottobre ha reso evidente il fallimento e la violenza delle politiche in materia di immigrazione, ha anche imposto un nuovo inizio ai movimenti che contro quelle politiche si sono battuti. “Da vecchio comboniano - dice Alberto Biondo dei Laici Missionari di Palermo - lasciatemi dire che trovo questo progetto sacro. Se la politica si permette di fare le porcherie che fa, e prendere in giro i cittadini, è perché siamo disgregati. Uniti invece facciamo paura”. Ed anche Edda Pando di Arci Todo Cambia e Prendiamo la Parola è sulla stessa lunghezza d'onda. “Dobbiamo uscire da questo eterno essere minoranza e costruire un pensiero che diventi maggioranza. Il problema è quello di trovare delle convergenze. Il che non significa giocare al ribasso. Ma sono vent’anni che non vinciamo niente e, anche al di là delle tragedie che si susseguono, le condizioni dei migranti peggiorano di giorno in giorno”. Ma come accoglierà la gente dell’isola l’invasione di questa moltitudine di persone che non ha timore di dire che vuole cambiare l'Europa? “Nel 2006 arrivammo a Lampedusa in 600 e gli isolani non volevano farci sbarcare – racconta Alfonso Di Stefano della Rete antirazzista catanese - “dopo dieci giorni di lavoro e confronto si unirono a noi nel corteo contro il CIE. Capirono che i loro diritti e quelli dei migranti non sono contrapposti, anzi”. Tra i temi caldi c'è quello della militarizzazione dei territori che, a Lampedusa come nel resto della Sicilia, è all'ordine del giorno. “Credo sia importante dire questo: accogliamo i migranti ed espelliamo le basi” - aggiunge l'attivista di Catania.
Ognuno con il suo punto di vista, ognuno con la sua ambizione, tutti con un' incredibile voglia di rimettersi in gioco in quello che si candida ad essere un nuovo possibile spazio pubblico per la sinistra. Ma se qualcuno pensa a questo documento come una tra le tante dichiarazioni dei diritti scritte nel secolo scorso e poi rimaste sulla carta, si sbaglia di grosso. La sfida più importante è proprio quella che si giocherà nei prossimi mesi, quando la Carta di Lampedusa dovrà misurarsi con la sua possibilità di essere realizzata. “Nessuno ci regalerà nulla – conclude Grigion. La Carta di Lampedusa non è una sintesi, ma un motore. Il nostro futuro è fatto di battaglie concrete contro i confini, quelli che uccidono, come a Lampedusa, ma anche quelli che costringono tutti noi a vivere in un' Europa fatti di ricatti, austerity ed esclusione. Si apre un terreno di ricerca vero e collettivo. Tutti dicono di volere un'altra Europa ma non ci sono scorciatoie. Per costruirla dobbiamo essere in tanti e noi iniziamo a farlo da Lampedusa.
Condannato attivista. Aveva pulito una discarica in un parco naturale “patrimoniio dell’umanità”
18/01/2014EcoMagazine
Eppure, nonnostante la sentenza della cassazione che dà ragione agli ambientalisti, l’area non è ancora stata bonificata: la spazzatura rimane abbandonato lungo le aree del cantiere in balia degli agenti atmosferici col rischio che il materiale possa disperdersi nell’ambiente.
L’iniziativa degli attivisti aveva proprio lo scopo di sollecitare le autorità ad accelerare la procedura di ripristino dei luoghi. Teniano anche presente che esiste il rischio che dalla commissione ambiente del Senato arrivi qualche Legge in deroga” (escamotage per la quale il nostro Paese è tristemete famoso in tutta Europa) che modifichi la legge quadro sulle Aree Protette, mercificandole e consentendo, se non addiruttura incentivando, la realizzazione di centrali idroelettriche. E ci va bene che il nucleare lo abbiamo respinto con un referendum altrimenti…
Fatto sta l’operazione di bonifica non è piaciuta alla magistratura che, notizia recente, ha provveduto ad incriminare un attivista.
Immediata la solidarietà del comitato Bene Comune di Belluno che ha ribadito la corresponsabilità collettiva. Come dire: se ne incrimitate uno, dovete incriminarci tutti.
“Paradossalmente, - leggiamo in una nota diffusa dal comitato - i primi a pagare rispetto a questa vicenda non sono coloro che hanno contribuito, con violenza, a deturpare irrimediabilmente una parte di quella valle unica al mondo, ma coloro che hanno e stanno lottando per difenderla. Ma continueremo questa battaglia contro gli speculatori dell’acqua e tutte le sue forme di privatizzazione con sempre maggiore determinazione, consapevoli delle nostre ragioni e forti di un ampio consenso che accompagna il nostro percorso”.
L’Europa intanto non sta a guardare. La Commissione Europea, a seguito del ricorso degli ambientalisti che hanno denunciato l’iper-sfruttamento idroelettrico delle valli bellunesi, ha ufficialmente richiesto chiarimenti alle autorità italiane sui loro iter procedurali quantomeno “originali”.