In questa pagina ho riportato gli ultimi articoli che ho scritto per il quotidiano ambientalista Terra, il settimanale Carta, Manifesto, per siti come Global Project, FrontiereNews o siti di associazioni come In Comune con Bettin e altro ancora.

Dieci anni per salvare il pianeta. L’allarme dell’Ipcc

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Quattro futuri possibili. E il migliore è “solo” una catastrofe. C’è poco da stare allegri a leggere le anticipazioni del quinto rapporto dell’Ipcc, Intergovernmental Panel on Climate Change, il centro studi intergovernativo che si è meritato il premio Nobel studiando i cambiamenti climatici. Il malloppone di oltre 2200 pagine, frutto di sei anni di ricerche di circa 2000 scienziati, sarà ufficializzato dall’Onu solo tra un paio di giorni, il 27 settembre, ma il sunto del lavoro è presto detto: abbiamo 10 anni di tempo per salvare il salvabile del pianeta. Altrimenti... kaputt!
L’Ipcc ha individuato quattro scenari principali per la fine del secolo in corso. Nel migliore dei casi, il livello del mare si alzerà di 24 centimetri (e non posso fare a meno di osservare che a Venezia avremo da risolvere il problema del Mose, non soltanto assolutamente inutile con questa marea ma anche “a rischio Vajont”) mentre la temperatura aumenterà di “solo” un grado rispetto al periodo 1986 - 2005. Il che significa, 1,7 gradi in più rispetto all'epoca preindustriale. Andasse tutto bene, faremmo così la barba alla soglia che i governi mondiali hanno indicato come limite di sicurezza per non fare la fine dei dinosauri, che è di 2 gradi.



Nel peggiore dei casi invece, il livello dei mari a fine secolo aumenterà di 62 centimetri e la temperatura di 3,7 gradi rispetto alle medie del ventennio appena trascorso. Il limite di sicurezza in questo caso, verrebbe sfondato alla grande: 4,2 gradi in più per il nostro pianeta rispetto all’epoca preindustrale. Come dire: ciao uomo! “Sopra i 4 gradi - ha commentato Riccardo Valentini, coordinatore europeo dell’Ipcc - l'impatto sulla vita del pianeta sarebbe pesantissimo: i biologi ormai parlano di sesta estinzione di massa".
Ma senza fare dell’inutile allarmismo, e ricordando che è necessario attendere la lettura del rapporto per farsi qualche idea più precisa, viene da domandarsi quale scenario tra questi due estremi sia effettivamente quello più probabile. La risposta è che non ce n’è uno più probabile degli altri perché dipende tutto da noi.
La causa principale dei Cambiamenti Climatici è l’accumulo di anidride carbonica nell’atmosfera del nostro pianeta. Nell’epoca preindustriale, usata dall’Ipcc per fare un raffronto, la Co2 era presente in 280 parti per milione. Oggi abbiamo già oltrepassato la soglia di 400 parti per milione. Se riuscissimo a stabilizzarci, nei prossimi dieci anni, dentro le 421 parti, l’umanità avrebbe imboccato la strada per lo scenario migliore sopra descritto. E già, “migliore” è il caso di scriverlo tra virgolette perché prevede, tanto per fare un esempio, un aumento del numero e della potenza di uragani e di altri fenomeni meteorologici estremi, scomparsa di tantissime specie animali, scioglimento dei ghiacciai, desertificazione, epidemie, carestie e tutto quello che ne consegue.
Tutto questo se ci andasse bene. Tutto questo se sin da subito rinunciassimo all’uso di combustibili fossili, responsabili assieme alla produzione di cemento dell'89 per cento delle emissioni di Co2. Tutto questo se fermassimo sin da ora la deforestazione che contribuisce per il rimanente 11 per cento. Tutto questo insomma se l’umanità e chi la governa si rendesse conto che siamo seduti su un pianeta fragile che non possiamo più continuare a sfruttare come abbiamo fatto sin d’ora se non vogliamo trasformarlo in un forno per la pizza. Mai come con i Cambianti Climatici la forbice “scienza - politica” si è divaricata. E, purtroppo, quella che detta legge è ancora la politica che quasi mai riesce a “vedere” oltre la prossima scadenza elettorale.
Eppure nessuno oramai - fatto salvo qualche opinionista di Libero - nega che qualcosa sta pericolosamente cambiando attorno a noi. In questo suo quinto rapporto, l’Ipcc si prende la soddisfazione di togliersi qualche sassolino dalla scarpa e risponde ai negazionisti di ieri - grazie anche alle prove accumulate negli ultimi anni di ricerche - che “il cambiamento climatico è oggi virtualmente certo”, così come certo e irreversibile è l’aumento della temperatura del pianeta.
Nei prossimi dieci anni quindi, ci giochiamo la sopravvivenza non solo dell’umanità ma di tutto il pianeta così come lo conosciamo ora. Il conto alla rovescia è già partito e non sarà un bel traguardo quello che ci aspetta. Agendo sul risparmio energetico, la decrescita, l’uso di fonti rinnovabili e il cambiamento dei nostri stili di vita possiamo ancora contenere i danni. Ma bisogna fare presto. Tra qualche anno sarà già troppo tardi.

Venezia si ribella alle Grandi Navi

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Li aspettavano su barchini, su piccole barche a vela o sopra la tipiche barche a remi della laguna. Ed invece gli attivisti del comitato Contro Le Grandi Navi si sono presentati in costume da bagno. Tutti a mollo per protestare contro lo scempio quotidianamente perpetrato da queste specie di giganteschi villaggi turistici galleggianti.
Carabinieri, polizia, guardi di finanza e capitaneria di porto avevano mobilitato nel canale della Giudecca tutti i mezzi delle grandi occasioni: lance, motoscafi d’altura, elicotteri e scooter d’acqua. Tutto inutile contro la cinquantina di attivisti che si è tuffata in un’acqua non propriamente limpidissima per impedire col proprio corpo il passaggio delle Grandi Navi. E hanno avuto battaglia vinta.
In lontananza, verso la Stazione Marittima, abbiamo visto le navi il cui pescaggio lo consentiva deviare verso il canale dei Petroli e rassegnarsi a non offrire ai loro passeggeri il promesso brivido di sfiorare piazza San Marco e di ammirare la più bella - e la più fragile - città del mondo da una altezza paragonabile a quella del suo celebre campanile. Altre navi, i veri grattacieli del mare il cui pescaggio non consente deviazioni, sono dovute rimanere tristemente ancorate alla banchina.



“Una vittoria di Venezia e dei suoi cittadini - hanno spiegato in una nota i portavoce del comitato -. L’arroganza delle compagnie crocieristiche che, proprio in un momento in cui si sta discutendo delle possibili soluzioni al problema di questa loro presenza insostenibile per la laguna, hanno cercato di far arrivare ben 12 Grandi Navi in un solo giorno, ha avuta la risposta che si meritava. In questa giornata di lotta abbiamo chiarito tanto al Governo quanto alla capitaneria di porto, all’autorità portuale e alle Compagnie di navigazione che l’unica soluzione per noi è una sola: fuori le Grandi Navi dalla laguna. Non vogliamo altri canali, non vogliamo porti alternativi in un’altra zona di un ecosistema così delicato che vorrebbero dire altre Grandi Opere costose e devastanti”.
La giornata di lotta era cominciata la mattina presto con l’occupazione del terminal di ricevimento dei passeggeri all’aeroporto Marco Polo. Un centinaio di attivisti ha “sfrattato” l’ufficio delle Compagnie, smontandolo pezzo per pezzo per spostarlo all’esterno.
Nel pomeriggio la battaglia navale: le grosse lance e i grandi mezzi delle forze dell’ordine non hanno potuto far nulla contro il gruppo di nuotatori in mutande da bagno.
Ma l’arrivo dell’imponente flotta crocieristica che neanche ai tempi della guerra con Genova se ne ricordava l’uguale (30 mila persone a bordo. Una ogni due veneziani), aveva scatenato polemiche e prese di posizione a vari livelli. Ricordiamo solo la pagina del Corriere acquistata da Adriano Celentano per denunciare, parole sue, “l’eterno funerale della bellezza” causato dal moto ondoso e dall’inquinamento di queste torri galleggianti i cui camini nemmeno all’ancora smettono di fumare.
Proprio l’inquinamento atmosferico, al pari della distruzione dei fondali lagunari, è tra le cause che hanno scatenato la protesta dei veneziani, ai quali, ricordiamolo, non viene in tasca nessun introito da questa insostenibile presenza navale, in quanto sono turisti da “tutto compreso a bordo”. Di una Venezia che non conosceranno, si accontentano di portare a casa solo la visione fugace di un passaggio davanti a piazza San Marco.
Una Grande Nave inquina come 14
mila automobili. Se moltiplichiamo per 12 e dividiamo per il numero, ahimè sempre più esiguo di isolani, si calcola che oggi hanno circolato per Venezia tre auto per residente, bambini e neonati compresi. Davvero un bel record per la città per antonomasia “senza auto”!
Ma per la Venezia che ha saputo reagire alla provocazione delle multinazionali turistiche oggi è stata comunque una giornata di festa. Il blocco del canale della Giudecca è stata la risposta che meritava la sfrontatezza di voler far arrivare il laguna 12 Grandi Navi in un giorno, nel silenzio della Capitaneria di Porto, la complicità dell’autorità portuale e dall’inerzia del governo e dei ministeri competenti. Anche il Comune, se si esclude la ferma presa di posizione dell’assessore all’Ambiente, Gianfranco Bettin, e qualche altra svogliata presa di posizione, più vicina alla preoccupazione che alla denuncia vera e propria, preferisce adagiarsi sulle possibili soluzioni in discussione alla commissione ministeriale. Soluzioni che, va detto, in alcuni casi prevedono lo scavo di altri canali e la realizzazione di altre Grandi Opere che sarebbero un rimedio peggiore del male.
Ma per adesso, sul fronte istituzionale, solo l’assessorato all’Ambiente ha preso una netta posizione contro questo insostenibile via vai di ciminiere marine. Vista inascoltata la sua richiesta al ministro per l’ambiente, Andrea Orlando, di applicare sin da subito un numero chiuso, Bettin ha chiesto la collaborazione di Arpav per monitorare accuratamente l’eccezionale situazione che si creerà con il traffico autostradale delle 12 Grandi Navi. “Cercheremo di misurare in particolare il rumore, le polveri sottili e gli ossidi di azoto e di osservare gli spostamenti di masse d’acqua e le variazioni di marea che provocheranno queste navi - ha dichiarato l’assessore veneziano -. Si tratterà, in un certo senso, di un esperimento enorme sulla pelle viva dei veneziani, al quale, certamente, ci saremmo sottratti volentieri”.

Venezia il giorno dopo. Tutti contro le Grandi navi

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Il giorno dopo, tutti a dire che avevamo ragione noi. La manifestazione a difesa di Venezia con tanto di pentole e tuffo in canale dei piccoli Davide contro i giganti Golia, ha suscitato la simpatia del popolo del web che l’ha fatta girare nei social network e nei notiziari di mezzo mondo. Perché Venezia all’estero fa audience perlomeno quanto il raddrizzamento della Costa Concordia in Italia. Ma anche a casa nostra, la nuotata contro corrente di tante sirene e sirenetti che ha impedito il passaggio ai brutti mostri del mare si è guadagnata stima ed elogi anche da ambienti notoriamente non inclini all’impegno ecologista. Quello dello spettacolo, ad esempio, con Mara Venier, Patty Pravo, Celentano, Linus e altri ancora.


La provocazione delle multinazionali crocieristiche che hanno voluto dare una dimostrazione di forza schierando in un solo giorno una “flotta di guerra” di ben dodici Grandi Navi, ha avuto sabato la risposta che si meritava. Una sfrontatezza insostenibile nel piano politico, la loro, come le Grandi Navi sono insostenibili in quello ambientale.
E così la prova di forza alla fine si è rivoltata contro di loro, e si è trasformata in una straordinaria giornata di lotta grazie a un centinaio di attivist* dei centri sociali che in mattinata hanno “fatto visita” al terminal delle crociere all’interno dell’aeroporto internazionale di Tessera, a oltre un migliaio di veneziani inferociti che hanno affollato la riva delle Zattere e a una cinquantina di indomit* ragazz*, con il loro tuffo in acque non calmissime né limpidissime.
E grazie a tutti loro, oggi nessuno si azzarda più ad affermare che le Grandi Navi siano “normalità” e non un autentico problema per Venezia. Unica eccezione è il bilioso comunicato del
Venezia Terminal passeggeri che si ostina a contestare i dati degli arrivi e delle partenze. Comunicato cui ha risposto l’assessore all’Ambiente. “E’ inutile che i portavoce di Vtp contestino i numeri sui transiti di navi a Venezia in questo fine settimana - ha risposto Gianfranco Bettin -. Sono numeri tratti dalle fonti ufficiali. Tra sabato e domenica a Venezia sono attese dodici navi di stazza superiore alla 40mila tonnellate e 6 di stazza inferiore. Totale: 36 transiti come avevamo scritto. Vtp continua a considerare normale tutto questo, senza voler capire che, in una città come Venezia, è proprio questa 'normalità' a essere abnorme agli occhi del mondo”.  
Anche il sindaco Giorgio Orsoni è intervenuto sulla questione rilasciando questa dichiarazione all’Ansa: "Adesso è l'ora delle decisioni, ma delle decisioni immediate”. E riferendosi alla manifestazione: “Ci si renda conto che questo è lo stato d’animo dei veneziani, che io condivido.” E ancora: “Questa è la punta dell'iceberg di un malumore diffuso nella città di Venezia del quale chi è deputato a decidere le soluzioni deve ormai considerare”.
Soluzioni sì, ma quali? Il ministro dell'Ambiente, Andrea Orlando, che prima di sabato, parlava ancora di “numero chiuso”, ha sposato la tesi dell’opzione zero. "E' mia intenzione proporre nella prossima riunione di ottobre un percorso che porti all'opzione zero del passaggio delle Grandi Navi su Venezia - ha dichiarato all’Ansa - partendo da uno spostamento di quote crescenti su Marghera in attesa di soluzioni strutturali definitive".
Quali saranno queste “soluzioni strutturali definitive” è ancora tutto da scoprire. Il comitato Grandi Navi ha già fatto sapere che non accetterà soluzioni peggiori del male come lo scavo di altri canali o la realizzazione di mega porti all’interno di una laguna fin troppo cementificata.
Contro le Grandi Navi si è scoperto all’improvviso anche il governatore veneto, Luca Zaia. «È un'immonda schifezza nel senso che è un problema che va risolto. Siamo assolutamente favorevoli all'uscita delle navi dal canale della Giudecca e dal bacino di San Marco ma è fondamentale che si decida e si decida velocemente. Ci sono diverse ipotesi, noi sosteniamo che il punto di arrivo dev'essere quello di mantenere l'occupazione, che interessa quasi 5 mila lavoratori, ma anche e soprattutto di non inquinare. Per esempio, le navi quando arrivano in banchina devono spegnere i motori». Bisognerebbe spiegare a Zaia che le Grandi Navi non possono spegnere i motori neppure quando sono all’ancora perché se l’impianto di areazione non funziona in fondo alle stive o nelle cabine interne la gente morirebbe soffocata. Inoltre, riaccenderli prima della partenza inquinerebbe in pochi minuti più che mantenerli al minimo per tutta la durata della sosta. Ma, soprattutto, il governatore leghista del Veneto chiacchiera bene davanti alle telecamere, ma razzola molto male nelle occasioni e negli atti ufficiali: Zaia sostiene infatti lo scavo del canale Contorta e il mantenimento delle navi in Marittima.
Come era prevedibile, a favore dell’allontanamento delle Grandi navi dalla laguna si è schierato l’intero arcipelago ambientalista. Riportiamo solo una nota del Fondo Ambiente che recita “E’ necessario mettere fine a questo cinico abuso della città. Un consumo che dà meno di quanto riceve e distrugge il nostro futuro” e ha lanciato un appello ai ministri dell’Ambiente e dei Beni Culturali e pure al Capo Dipartimento della Protezione civile. Prevenire i disastri, riteniamo, è meglio che farci la diretta televisiva dopo.
E nella mattinata di domenica, il presidente del consiglio Letta ha annunciato per il prossimo 1° ottobre un vertice del governo “per definire le modalità dello stop alle grandi navi davanti a Venezia”. “Sarebbe ora – ha commentato il consigliere comunale veneziano Beppe Caccia - visto che il decreto Clini Passera, con il divieto al transito in bacino di San Marco e canale della Giudecca, è datato 1° marzo 2012, cioè oltre un anno e mezzo fa. Ma l’annuncio del governo è già un primo significativo risultato ottenuto dalla giornata di lotta di sabato.”

Con pentole, mestoli e coperchi: tutti alle Zattere per difendere la nostra laguna

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Quando passerà la prima nave, verso le 16, saremo tutti là, sulla riva delle Zattere, per salutarla con pentole, mestoli e coperchi. Un rumoroso comitato d’accoglienza per far capite a tutti che Venezia non rimane passiva davanti all’invasione di una “flotta di guerra” che porta solo inquinamento e devastazione ambientale. Una città come la nostra, dall’equilibrio fragilissimo, dichiarata dall’Unesco patrimonio dell’umanità, non può accettare di trasformarsi in una autostrada per consentire il transito di 12 grattacieli galleggianti. Dodici Grandi Navi che non spegneranno i loro motori neppure quando ormeggeranno nelle banchine della Marittima. Dodici grandi navi ciascuna delle quali inquina come 14 mila automobili. Basta moltiplicare questo numero per 12, e dividere poi per il numero dei residenti per accorgersi che è sabato, per le strette calli di Venezia, sarà come se circolassero tre automobili per ogni residente, bambini compresi. Una proporzione inconcepibile per una città che è per antonomasia la “città senza auto”.


Sabato sarà come se 12 elefanti entrassero in una cristalleria. Per le compagnie crocieristiche sarà una dimostrazione di forza, di arroganza e di sfrontatezza coadiuvata dal silenzio della Capitaneria di Porto, dalla complicità dell’autorità portuale e dall’inerzia del governo e dei ministeri competenti. Anche il Comune, se si esclude la ferma presa di posizione dell’assessore all’Ambiente, Gianfranco Bettin, sembra adagiarsi sulle proposte - alcune delle quali, come abbiamo già scritto, peggiori del male - in discussione nelle sedi romane e ha lanciato il programma della Settimana Europea per la Mobilità sostenibile senza spendere una riga sul transito delle grandi navi in laguna.
A tenere la trincea della difesa della laguna, il solo assessorato all’Ambiente che, in collaborazione con l’Arpav, ha installato centraline per monitorare, prima, dopo e durante il passaggio delle Grandi Navi, il rumore e la qualità dell’aria tramite
i parametri correlati alla combustione (polveri sottili, idrocarburi policiclici aromatici, anidride solforosa, ossidi di azoto e monossido di carbonio, e altro).
In attesa dei risultati della analisi, c’è poco da stare allegri. Come ha sentenziato il professor Axel Friedrich, già direttore dell'Ente nazionale tedesco di protezione ambientale: “L'inquinamento di fondo a Venezia è peggio di quello di Pechino”.
Friedrich, come abbiamo letto in un articolo su Global Project, è venuto in laguna proprio per girare un documentario per la televisione pubblica tedesca, evidentemente più sensibile a certe tematiche che la nostra Rai, proprio per monitorare la criticità del passaggio della Grandi Navi in un ambiente delicato come la nostra laguna.
Non è una novità che il futuro della nostra città desti più preoccupazione all’estero che in patria. Così come non è una novità che a difenderla si levino le voci di personaggi pubblici - non ultimo Celentano che oggi ha addirittura acquistato una pagina sul Corriere per denunciare “l'Eterno Funerale delle bellezze del mondo" - piuttosto che di ministri e politici.
Spetta a noi tutti, domani alle Zattere, a partire dalle 14,30, dimostrare che anche i veneziani sanno alzare la voce per difendere la loro città. Quella Venezia che è sì patrimonio dell’Unesco e dell’umanità intera, ma anche e soprattutto un
nostro patrimonio, la nostra casa, il nostro primo bene comune.

Come se non bastasse la flotta! Attenti alle navi ma anche alle “soluzioni”

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Un proverbio veneziano recita “pezo el tacon che el sbrego”. Come dire che qualche volta il rimedio può essere peggiore del male. Lo sanno bene gli attivisti del comitato cittadino contro le Grandi Navi che sabato prossimo, 21 settembre, a partire dalle 14,30 si troveranno alle Zattere non solo per ribadire che Venezia è incompatibile con il passaggio di questi mostruosi grattacieli galleggianti ma anche che la soluzione del problema non può essere né lo scavo di canali alternativi né lo spostamento del terminal crocieristico in un’altra zona della laguna. Anche il numero chiuso, proposto dal ministro per l'Ambiente, Andrea Orlando, non farebbe altro che lasciare le cose come stanno, salvo evitare insostenibili affollamenti come quello previsto, per l’appunto, sabato, quando ben 12 maxi navi da crociera transiteranno a pochi metri da piazza San Marco.


La questione invece non sta nel numero. Dodici grandi navi sono insostenibili per il delicato ecosistema lagunare, esattamente quando una sola grande nave. Non si tratta di quantificare il danno ambientale ma di evitare il danno ambientale. “L’unica opzione accettabile - afferma in una nota il comitato - è l’opzione zero: fuori tutte le grandi navi da crociera dalle bocche di porto”
Quelle grandi navi che a Venezia portano solo inquinamento e devastazione. Nessuno sostiene ancora che un tale incontrollato flusso turistico - sabato sbarcheranno ben 30 mila persone, una ogni due veneziani - porti ricchezza alla città, considerando che sono tutti turisti da “pacchetto offerta” tutto compreso a bordo. A Venezia altro non rimane che pagare le spese senza guadagno alcuno.
Sono cose queste, che le stesse compagnie crocieristiche non possono non sapere. E proprio per questo sabato, rilanceranno la posta in gioco facendo arrivare questa specie di flotta di guerra in uno stesso giorno. Al tavolo delle trattative potranno così, bontà loro, abbassare le pretese fingendo di accettare “per amore della città” un numero chiuso che si accorda con i loro reali interessi.
Così come sarebbero disposti ad accettare lo spostamento del terminal in un’altra zona della laguna o lo scavo di un ulteriore canale dall’altra parte della Giudecca. “Pezo el tacon che el sbrego”, per l’appunto. A troppe persone, la crisi di un intero sistema non ha insegnato niente. Si persegue con la logica delle Grandi Opere, inquinanti e costose, che divorano ambiente e creano nuovi disagi, pur di non approdare a soluzioni più economiche e concrete, rispettose dell’ecosistema, ma che danneggerebbero i santi introiti delle grandi finanziarie.
Ve lo figurate lo scavo di un mega canale di 2 chilometri a fianco della Giudecca? Qualche milionata di spesa per trovarci con un’isola in mezzo alle correnti di una laguna che oramai è diventata un braccio di mare aperto. E in caso di incidente, cosa cambia se la nave si incaglia 100 metri più in là di piazza San Marco? Vogliamo davvero vedere altro “spettacolo televisivo” come il raddrizzamento della Costa Concordia in mezzo alla laguna? Farà anche audience ma preferiamo di no!
Per quanto riguarda il rilascio di polveri e ossidi di azoto, poi, che il terminal sia di qua o di là nella laguna, non cambia niente. Casomai, più è lontano dalle bocche di porto, maggiore è la strada da percorrere per la nave e più inquina.
Ed è anche per valutare la portata dell’inquinamento regalatoci da questi mostri del mare assai più pericolosi di un kraken, che sabato sarà una giornata memorabile.
L’assessorato all’Ambiente ha già chiesto la collaborazione di Arpav per monitorare accuratamente l’eccezionale situazione che si creerà con il via vai autostradale delle 12 grandi navi. “Cercheremo di misurare in particolare il rumore, le polveri sottili e gli ossidi di azoto e di osservare gli spostamenti di masse d’acqua e le variazioni di marea che provocheranno queste navi - ha dichiarato l’assessore all’Ambiente, Gianfranco Bettin -. Si tratterà, in un certo senso, di un esperimento enorme sulla pelle viva dei veneziani, al quale, certamente, ci saremmo sottratti volentieri”.
“A questo proposito, nel ribadire che ogni verifica possibile sarà da noi compiuta quel giorno, chiediamo invece fin da ora a ogni autorità competente e in particolare alla Capitaneria di Porto e all’Autorità portuale se ritengono di poter accettare che tale situazioni si verifichi - ha concluso un preoccupato Bettin -. Se, in altre parole, certificano fin da oggi che quel giorno l’eccezionale addensamento di transatlantici a Venezia e il cumulo dei loro effetti ambientali non produrrà nessuna situazione di pericolo e di danno o se, invece, non ritengano di dover applicare fin da subito, fin da quel giorno, quel numero chiuso di cui si sta già discutendo”.

Il giorno dell’assalto

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Sabato prossimo, 21 settembre, non sarà un giorno come gli altri per Venezia. In Marittima sono attese 771.987 tonnellate di ferro galleggianti. Sarà il giorno dell’assalto, dell’inquinamento da polveri sottili e ossidi di azoto, della distruzione dei fondali, delle onde anomale (con che coraggio i vigili multeranno i barchini perché tirano a manetta in Bacino?) Sarà il giorno del “via vai” autostradale di un treno di tre chilometri di Tir alti come grattacieli a un tiro di fionda dalla Basilica. Quella Basilica per la quale la Soprintendenza vieta - e giustamente - di tenere concerti in piazza per non danneggiarne i delicati mosaici. Sarà sopratutto il giorno del “il Governo sta discutendo le alternative? Il Comune vorrebbe il numero chiuso? E noi facciamo vedere a lui e a tutti quanti che continuiamo a fare quel cazzo che vogliamo”. L’arrivo delle 12 Grandi Navi va letto sopratutto come una vergognosa provocazione delle multinazionali delle crociere.


Non è neppure un caso che tutto ciò avvenga proprio mentre la Tv - quando ci dà un attimo di tregua dalle tormentose vicende di Silvio - ci assilla con i filmati del recupero della Costa Concordia. Il tutto presentato con la massima spettacolarità, senza ricordare che con catafalchi del genere in giro per i mari gli incidenti sono sempre in agguato. Una vera e propria pubblicità gratuita per le crociere su queste specie di villaggi turistici galleggianti.
Ma l’assalto delle 12 Grandi Navi va letto anche come un rilancio della posta in gioco proprio nel momento in cui si discute di alternative e di laguna a “numero chiuso”. E’ in questa ottica che le multinazionali delle crociere stanno mettendo le mani avanti. Domani potranno dire: “Dodici son troppe? Bontà nostra, siamo disposti a scendere a sei”. Un po’ come si contratta nei mercati orientali, partendo dal doppio per arrivare a metà.
Ed è proprio per questo che sabato prossimo, alle 14,30 alle Zattere dobbiamo esserci tutti. Per far capire alle multinazionali che hanno passato il segno e per ricordare agli amministratori della città ad al Governo che l’unico “numero chiuso” che ci piace è lo zero. E che l’unica alternativa che accettiamo è che questi mostri marini, col loro carico di inquinamento e di brutture, girino al largo dalla nostra laguna.

Ztl Wake Up. Treviso in assemblea all’ex Telecom

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Il 9 giugno di quest’anno, con l’elezione di un sindaco “normale” (Giovanni Manildo avrà i suoi bravi difetti ma quanto meno non dice di voler vestire i migranti da leprotti per la gioia dei cacciatori) Treviso si è risvegliata da un incubo. Risvegliata ma non ancora rialzata in piedi. Per vent’anni la città è stata un vero e proprio laboratorio del dottor Frankenstein dove lo scienziato pazzo col suo aiutante “Gobbo“ Igor cucivano insieme cadaverici mostri maleodoranti di razzismo, xenofobia, fascismo, intolleranza, paure e vigliaccherie per poi dare vita al tutto con i fulmini che non mancano mai dell’ignoranza più abietta. Vent’anni duri da mandar giù. Vent’anni in cui i giornali di mezzo mondo riportavano periodicamente le “sparate” dei sindaci sceriffi e chi leggeva non poteva fare a meno di domandarsi che razza di persone fossero i cittadini-elettori di tali personaggi.


Ma per l’altra Treviso, quella che si vergognava pure per chi non aveva vergogna, sono stati anche vent’anni di resistenze, di iniziative e di battaglie spesso perdute ma che hanno visto sempre gli attivisti dello Ztl rialzarsi immediatamente in piedi per aprire nuovi fronti e alzare nuove barricate. La storia infinita del loro spazio sociale occupato, sgomberato, rioccupato, risgomberato e ancora rioccupato, non so più quante volte, lo sta a dimostrare.
In nomen omen, qualcuno potrebbe ironizzare, visto che Ztl sta proprio per Zona Temporaneamente Liberato. Ma come un boomerang, lo Ztl torna sempre indietro.
Sette giorni fa, come abbiamo scritto su Global, le ragazze ed i ragazzi di Treviso sono tornati per la terza volta all’ex Telecom, restituendo alla città, con l’ultimo grano di un rosario di occupazioni, un’area sociale. Uno spazio, questo dell’ex Telecom, abbandonato ad un colpevole degrado e sui cui veri interessi che ci sono sotto vi rimandiamo all’interessante reportage - un pulito esempio di giornalismo d’inchiesta - che gli attivisti trevigiani hanno pubblicato sempre su questo nostro sito. Subito, lo hanno utilizzato per organizzare iniziative culturali e politiche, mercatini contro la crisi, e il Gram Festival. Al sindaco Manildo che ha chiesto loro di avanzare qualche proposta per uno spazio, loro hanno risposto di venire qui che gliela fanno toccare con mano la loro proposta.
Questo pomeriggio nel capannone centrale dello spazio recuperato a due passi dalla stazione ferroviaria, si è svolta una affollata assemblea per discutere sul futuro dello spazio. Perlomeno duecento i partecipanti all’incontro. Tutti seduti su quelle panchine che i giovani di Ztl chiedevano anche di firmare. Perché a Treviso anche una panchina può essere pericolosa per l’ordine costituito. Come diceva lo Sceriffo, ci si potrebbe sedere sopra addirittura un migrante senza le orecchie da leprotto.
Strana città questa. Una città che dopo essersi svegliata da un incubo deve combattere anche per alzarsi in piedi. Perché una cosa è sicura. Fino a che a Treviso non ci sarà uno spazio sociale autogestito non potrà dire di essersi scrollata di dosso l’ingombrante eredità di troppi sindaci sceriffi.

Una tangenziale per la Giudecca

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A luglio, quando è stata avanzata per la prima volta, l’idea di realizzare una tangenziale d’acqua per Grandi Navi proprio a ridosso della Giudecca sembrava uno scherzo. Ed invece, la proposta avanzata dal deputato di Scelta Civica Enrico Zanetti sta prendendo corpo e sarà uno dei quattro progetti alternativi al passaggio in Bacino in discussione.
In altre parole, la tangenziale è l’ennesima Grande Opera a spese di quel che rimane della nostra disastrata laguna per risolvere un problema causato da un’altra Grande Opera (che altro non sono le Grandi Navi). E’ così marcia l’economia.
Il dossier già
consegnato al ministro per le Infrastrutture e i Trasporti a fine luglio e ripresentata in questi giorni a Ca’ Farsetti, prevede lo scavo di un ennesimo mega canale tutto intorno all’isola popolare della Giudecca per dar modo alle navi da crociera di approdare in Marittima senza fare la barba alle zone nobili della città. Il tutto, senza gravi disagi per i crocieristi che comunque si godrebbero la vista di piazza San Marco ad una “distanza di sicurezza” di circa 300 metri.



Una tangenziale, per usare le parole dello stesso Zanetti, lunga 2 chilometri, profonda dieci e larga 150 metri. Lo scavo di due milioni di metri cubi di fanghi dal costerebbe 60 milioni di euro. Milione più milione meno. E comunque erano solo 11 a luglio. “I costi sono indicativi perché il progetto è ancora in fase di studio” ha dichiarato il deputato, precisando che ritiene la tangenziale una “
proposta di buon senso e ampiamente condivisa, oltre che più vantaggiosa anche per il minor impatto ambientale”.
Va sottolineato che l’dea non è neppure originale. Già nei primi anni del ‘900 era stata avanzata l’idea di scavare dietro la Giudecca. ma erano tempi in cui la parola “ecologia” doveva ancora essere inventata e la laguna non era nelle condizioni in cui si trova ora. Alla fine prevalse il buonsenso e non se ne fece nulla. Oggi non ci scommettiamo niente.
Neanche a dirlo, la “tangenziale” con tanto di impianto luminoso e bricole in stile “Old Venice” ha immediatamente ottenuto il plauso entusiastico degli “sviluppisti” locali e di tutti coloro che continuano a ritenere che il problema dei rifiuti si risolva con più inceneritori, quello dell’energia con più centrali e quello della crisi aumentando i consumi. Confindustria, Alilaguna, esponenti politici dell’Udc e degli ancora vivi socialisti hanno in più occasioni definito il progetto “interessante” e “ambientalmente sostenibile”. Fabio Sacco,
presidente di Alilaguna, nel corso di un convegno organizzato dal gruppo Psi in Comune, ha addirittura rilanciato - già che si deve scavare, scaviamo! - proponendo un altro mega canale tra Tessera e le Fondamente Nuove per alleggerire il traffico di taxi diretti all’aeroporto.
Intanto in città spopolano le barzellette sulla tangenziale d’acqua e la gente si domanda se il progetto prevede anche un “boatgrill” al posto dell’autogrill. Io, non ci scherzerei troppo. Capacissimi di averlo previsto sul serio.

L’Area 51 esiste (i dischi volanti no)

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Dopo il continente perduto di Atlantide e il Santo Graal gelosamente nascosto da una occulta confraternita che controlla i destini del mondo, c’era solo lei: l’Area 51. Non serve pescare tanto indietro nei ricordi per farsi venire in mente perlomeno tre o quattro storie di Topolino e Indiana Pipps dedicate a questa misteriosissima base persa nella zona più remota del remoto deserto del Nevada. Per tacere di film, telefilm e di libri che ci raccontano di UFO, esperimenti top secret, portali per altre dimensioni, viaggi interstellari, dischi volanti e molto altro.
E fino a che si rimane nel campo della fantasia... come dire... tutto è lecito e divertente. Lo dice uno che di Martin Mystere ha tutta la collezione, speciali compresi, che fa bella mostra in libreria proprio sopra i libri del CICAP!


Il fatto è che alla favola della base segreta che nascondeva all’umanità resti di astronavi provenienti da altri pianeti – e in alcuni casi anche i loro occupanti - tante persone ci credevano sul serio! Basta battere “Area 51” su Google per venire impestati di siti che, senza alcuna evidenza, si sprecano in congetture che nulla hanno a che fare con la scienza o il vero giornalismo d’inchiesta. Ad onor del vero, bisogna ammettere che nessuno negava che in quella regione appartenente all’Air Force statunitense, ci fosse una base militare, più o meno, segreta. Una caserma con annesso aeroporto chiamata anche da chi ci lavorava, non senza una buone dose di sarcasmo, “Paradise Ranch”. L’Area 51 (il nome le viene dalla toponomastica dello Stato semplicemente perché è situata tra l’Area 50 e l’Area 52) infatti, è tutt’ora zona “off limits” per il traffico aereo civile ed è continuamente presidiata da guardie armate appartenenti all'agenzia di sicurezza Wackenhut. Queste pattugliano la zona sopra mimetiche Jeep Cherokee e hanno il loro bel daffare ad allontanare le comitive di ufologi che cercano di avvicinarsi a Paradise Ranch in gran segreto. A conti fatti, un cordone di sicurezza come si trova, nè più nè meno in tutte le basi militari a Stelle & Striscie ma che in quel tratto di deserto, dove le dicerie si mescolano alla fantascienza, alimenta strampalate tesi di chissà quale mysterioso mystero.
Come Loch Ness insegna, l’han capito per primi i commercianti di Rachel, la cittadina più vicina a Paradise Ranch, che hanno messo su un museo e un discreto merchandising destinato alle centinaia di appassionati di UFO e di complotti che visitano la zona armati di binocoli e di macchina fotografica,  con la speranza di immortalare contatti ravvicinati di chissà che tipo. Non manca neppure a Rachel il tour operator del mistero che organizza visite sino alle piste d’atterraggio degli UFO. Lo stesso Stato del Nevada non ha perso l’occasione di pompare sull’effetto turistico chiamando la statale 375, che corre nei pressi dell'Area 51, con il simpatico nome di "The Extraterrestrial Highway".
Da parte sua, il Governo degli Stati Uniti sin dal 14 luglio 2003 ha ammesso l'esistenza di una unità operativa nella zona, senza però fornire informazioni sui suoi scopi, col risultato di alimentare il complottismo sulla reale esistenza di veicoli extraterrestri all’interno della base.
Ma cosa c’è davvero all’interno dei capannoni di Paradise Ranch? Lo ha rivelato giovedì 15 Agosto il National Security Archive dell’Università George Washington che ha pubblicato una corposa
documentazione di oltre 400 pagine che smonta tutte le teorie cospirazioniste su atterraggi di UFO o portali per altre dimensioni. Negli Stati Uniti infatti esiste una legge denominata Freedom of Information Act, emanata nel 1966 ma entrata effettivamente in vigore dopo una serie di emendamenti applicativi nel 2009, che vincola le amministrazioni pubbliche, governo federale compreso, a consentire a chiunque l’accesso alle loro “regole, opinioni, documenti e procedure”. Il sopracitato report denominato "Central Intelligence Agency and Overhead Reconnaissance: The U-2 and Oxcart Programs" racconta una storia ben diversa. Quella di una base dell’areonautica militare che sin dal ‘55 ha ospitato il progetto di un aereo spia chiamato U-2 (la band irlandese non c’entra niente) costruito dalla Lockheed Martin che aveva lo scopo di sorvolare ad altissima quota l’allora URSS, per fotografarne i dettagli del territorio e la disposizione delle basi militari. Si capisce quindi come mai l’Area 51 fosse tenuta segreta dai militari e al riparo da occhi indiscreti. In seguito, Paradise Ranch divenne la base di altre operazioni legate alla Guerra Fredda come lo sviluppo e la sperimentazione di velivoli come il noto SR-71 Blackbird, che alimentarono la leggenda di frequenti visite da parte di astronavi extraterrestri. Val la pena di sottolineare, come osserva Paolo Attivissimo nel suo blog, che “i militari trovarono molto utile sfruttare la spiegazione ufologica come copertura per questi voli: meglio lasciar credere a visitatori alieni che far sapere ai paesi nemici le caratteristiche tecnologiche dei velivoli più avanzati”.
Ma adesso che la verità storica è venuta a galla, che ne sarà dell’alone di mistero che circonda Paradise Ranch? Non c’è rischio: nessun cospirazionista che si rispetti si è mai fatto convincere da un documento ufficiale governativo. Anzi, il fatto stesso che qualcuno si dia tanta pena a fornire una spiegazione convincente, significa che qualcosa da nascondere c’è.
Nessun timore di fallimento per gli scaltri commercianti di souvenir di Rachel. Loch Ness, dicevamo, ci ha insegnato tante cose.


La laguna dei pesci morti

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Che ci fosse qualcosa di sbagliato in laguna lo si capiva sin dal ponte della Libertà. Neppure l’impianto di condizionamento dei treni e degli autobus stracarichi che portavano a Santa Lucia il popolo del Redentore, riusciva a porre barriera all’odore nauseabondo che saliva dalle acque. Non era la consueta “spussa da freschin” cui i veneziani sono geneticamente avvezzi. E neppure quella da “scoasse” che non manca mai nelle nostre romantiche ma puzzolenti calli. Quello che ammorbava l’aria afosa di quella domenica di festa era un odore assai più stomachevole. Un tanfo pestilenziale e malato di qualcosa che era andata a male.
Cosa fosse questo qualcosa, i veneziani lo hanno scoperto la mattina dopo i Fuochi. I canali della città lagunare, in particolare quelli del sestiere di Cannaregio, erano attraversati da una lenta ed irreale processione di pesci morti. Centinaia, migliaia di “go”, “sievoli”, “passarini”, “paganelli”, persino granchi... tutti con la pancia all’aria e in avanzato stato di putrefazione. La lenta corrente di “dozana” li radunava a branchi e li trascinava a ridosso delle rive, tra le barche e le bricole d’ormeggio.



Uno spettacolo davvero angosciante che, unito alla puzza che ristagnava nell’afa estiva, ha sconvolto tanto i veneziani quanto i turisti. Bisogna anche aggiungere che né i “cocai” ne le “pantegane”, animali che nella catena alimentare coprono il premiato ruolo di spazzini dei canali, si azzardavano a nutrirsi di quelle cose morte che ciondolavano tra le onde. Un fatto questo che ha preoccupato non poco i residenti, alimentando il sospetto che la causa della moria fosse da ricondurre ad un inquinamento industriale.

Sin dalle prime segnalazioni, l’assessorato all’Ambiente di Venezia si è prontamente attivato per trovare una spiegazione e nello stesso tempo rimuovere i resti della moria di pesce. Nonostante il personale di Veritas fosse ridotto all’osso per le pulizie del dopo Redentore, le barche del centro servizi hanno raccolto nella sola giornata di lunedì, oltre 50 quintali di pesce. Una quantità davvero enorme che avrebbe potuto coprire 10 volte il mercato di Rialto. Parallelamente alla pulizia dei canali, l’assessore Gianfranco Bettin si è rivolto ai laboratori dell’Arpav e dell’Ulss, che sono gli enti proposti ai controlli sanitari in laguna. “Sino ad ora, i risultati delle analisi - ha commentato Bettin - non hanno trovato nulla che possa far pensare a una causa artificiale. In questi giorni ne ho sentite di tutti i colori: dallo sversamento di una nave cisterna all’apertura delle chiuse dei canali di scolo a porto Marghera. Ma nessuna di queste spiegazioni è confermata dai tecnici che tuttavia installeranno nuove centraline in laguna per monitorare ancora meglio la qualità delle acque. Anche la Procura ha aperto una inchiesta che ritengo opportuna e importante. Se qualcuno ha inquinato dovrà pagare, anche se, ripeto, sino ad oggi non ci sono prove che la moria sia riconducibile ad uno specifico avvelenamento. Piuttosto, dobbiamo considerare che la nostra laguna è sotto stress per ragioni globali e per fattori locali, dal global warming alle grandi opere. Quando è successo in questi giorni è solo un segnale in più della sua sofferenza ed un invito a difenderla con più vigore”.
Il comunicato diffuso dall’Arpav riconduce le cause della moria di pesce ad un fenomeno biologico chiamato afasia dovuto all’impoverimento di ossigeno delle acqua, in particolare nelle zone basse di barena, causato dal “proliferare di alghe in fioritura tardiva dei generi lva, Gracilariopsis, Gracilaria ed Agardhiella”, come si legge nel comunicato Arpav. Tale eccezionale proliferazione sarebbe dovuta, sempre secondo l’agenzia regionale ambiente, alle particolari condizioni climatiche che si sono verificate in questi ultimi giorni: caldo asfissiante, assenza di vento e conseguente scarso ricambio di acqua. In parole povere, le alghe poste in condizioni ottimali per le loro proliferazione, avrebbero rubato l’ossigeno ai pesci che sarebbero morti soffocati. La moria è avvenuta nelle acque basse della laguna nord (anche perché la laguna sud oramai non esiste più, trasformata come è stata in un braccio di mare aperto), i resti dei pesci sarebbero venuti a galla successivamente - e quindi schifati dai gabbiani, abituati a cibarsi di pesce vivo - e trasportati lungo i canali della città dalle correnti. Un fenomeno, secondo l’Arpav, perfettamente naturale.
Vero è anche che 50 quintali di pesce putrefatto che se ne va a spasso per i canali come una gondola ha ben poco di “normale” anche per Venezia. La spiegazione fornita dall’Arpav non ha convinto tanti residenti, alcuni dei quali hanno infilato un pesce morto in una borsa di plastica per portarlo in qualche laboratorio privato. Che è come dire: “di quelli dell’Arpav non mi fido per niente”. Pur se comprendiamo la preoccupazione ed elogiamo il senso civico di questi concittadini. Non possiamo fare a meno di rilevare che una siffatta analisi non ha niente di scientifico per i semplice motivo che non rispetta i protocolli sulla raccolta del campione. In altre parole, anche se il pesce fosse stato avvelenato non è in questo modo che ce ne potremmo accorgere. Tanto varrebbe fargli fare i tarocchi da una maga.
Purtroppo i guai della laguna sono più profondi che un “semplice” sversamento abusivo di prodotti inquinanti e risalgono ad una mala politica di cementificazione e di sfruttamento, non di rado riconducibile ad interessi mafiosi e criminali, di cui la moria di pesce non è che un campanello di allarme che sta a noi saper cogliere per invertire la rotta. “
Preoccupa lo stato generale della laguna la cui situazione deve tornare al centro dell’attenzione delle istituzioni e della stessa opinione pubblica - conclude in una nota l’assessore Gianfranco Bettin -. C’è un’evidente sproporzione tra il peso economico e l’impatto ambientale delle grandi opere attualmente in esecuzione e gli interventi di tutela diffusa, compresi gli interventi compensativi di quelle opere, dagli importi infinitamente minori, dai tempi più lunghi, pochissimo o per nulla noti, pensati ed eseguiti senza vero coinvolgimento della città e delle sue rappresentanze. Serve una nuova, costante cura dell’ecosistema, un potenziamento della sua capacità di rigenerazione e la messa al bando di ogni nuova offesa ad esso recata”.
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