Studenti in campo per dire no all'omofobia

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In piazza per una scuola laica. Almeno un centinaio di giovani ha accolto l’appello lanciato dal coordinamento studenti medi di Venezia e Mestre e ha partecipato al sit in svoltosi ieri pomeriggio in campo San Geremia davanti alla sede regionale della Rai. “Non è una manifestazione contro qualcuno ma per ribadire tre questioni che ci paiono basilari per costruire una scuola davvero laica e moderna - ha spiegato Nicolò, portavoce degli studenti del Foscarini -: la prima è che in Italia si continua ad insegnare educazione cattolica e non storia delle religioni come sarebbe più utile in una società che si sta definendo come interetnica, la seconda è che la scuola deve cominciare affrontare temi come l’omosessualità che tutt’oggi sono considerati tabù, la terza che va introdotta come materia di studio l’educazione alla sessualità, come già si fa nel resto dell’Europa”.


La mobilitazione degli studenti medi di Venezia nasce in risposta al caso sollevato dal professore di religione del liceo marco Foscarini Enrico Pavanello che in una sua lezione tenuta in una classe di studenti di seconda superiore ha equiparato l’omosessualità alla pedofilia, sostenendo inoltre che essere gay è una scelta malata che un preparato psicologo può risolvere. Il docente in questione non è nuovo a queste prese di posizioni. Lo scorso anno infatti era riuscito ad ottenere dal preside il permesso di organizzare all’interno dell’istituto (e stiamo parlando di una scuola pubblica) una mostra contro l’aborto.
La lezione sul tema “gay = pedofilo” del Pavanello è comunque finita dritta nei media locali, sollevando il proverbiale vespaio di polemiche cui lo stesso Pavanello ha cercato di smorzare sostenendo che altro non si trattava che di uno “spunto di riflessione”. Inevitabile, spunto o no, la dura presa di posizione delle associazione per i diritti dei gay e, di contrasto, la pronta difesa del patriarcato di Venezia che ha ribadito piena fiducia nel suo docente, considerato “una ottima persona”.
Al di la della facile ironia sul fatto che le alte gerarchie della chiesa non perdano mai l’occasione di evidenziare il pericolo della pedofilia ma sempre in casa d’altri, resta il fatto che il vero problema non sta tanto nella presa di posizione omofoba di uno sconosciuto professore di religione, sia pure sostenuta nell’ambito di una lezione svolta in una scuola pubblica, quanto nel fatto che questi, alla fin fine, non fa che ribadire quando ogni giorno affermi il papa Ratzinger, che è tutt’altro che uno sconosciuto professore di religione.

Tra i senza dimora con la cooperativa Caracol

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C’è un momento, verso le dieci di sera, in cui la temperatura scende repentinamente di 4 o 5 gradi. Dei deboli raggi del sole invernale non rimane neppure il ricordo in fondo a quella strada senza uscita e senza luminarie, sotto quel porticato disfatto che, se non ti cade in testa, forse ti risparmierà da un po’ di pioggia o di neve, o in quell’angolo di piazza dove ti sei costruito un rifugio di cartone con gli avanzi dei mercatini natalizi. Sono tutte cose che già sai e che hai già imparato negli altri inverni passati su una strada. Sai già che questa è l’ora delle luci che si spengono, l’ora del freddo assassino. Sai già che la carta di giornale sopra il quale ti prepari a passare la notte non ti difenderà dall’umidità che traspira dall’asfalto bagnato. Sai già che i quattro stracci luridi che indossi e che non ti hanno risparmiato dal freddo neppure in pieno giorno, non ti salveranno adesso dal gelo che ti ammala e ti ammazza. Per te si prepara un’altra notte come tante altre. Con la sola differenza che ogni notte è sempre peggio. L’inverno avanza e con lui il buio, il gelo, la solitudine, la fame. Perché, nelle nostre città dove non manca mai un albero di natale illuminato nelle piazze centrali, per le strade delle periferie si continua a morire di freddo.


E’ proprio nel momento in cui il gelo ti stringe le carni sino ad ammazzarti che alla stazione di Mestre arrivano i compagni della cooperativa Caracol. Sono in tutto una decina, scendono da una scassato pulmino portando scorte di coperte, termos con bevande calde, merendine e altri generi di conforto. Indossano una specie di giubbotto arancione da stradino (non ci sono certo soldi per una vera divisa) ma che per i senza dimora di Venezia è diventato un segno di riconoscimento che fa la differenza tra la vita e la morte. “Oramai abbiamo il nostro giro consolidato col pulmino che ripetiamo tre o quattro volte per notte - spiega Momo, portavoce della cooperativa che ha sede all’interno del centro sociale Rivolta di Marghera -. Alla stazione troviamo di solito una sessantina di persone che ci attende. Non abbiamo posti per tutti, al ricovero. Diamo la precedenza ai malati, alle donne, ai bambini...” Bambini? Sulla strada?
“Dove vivi? Certo che ci sono bambini sulla strada. Tanti minori che si autogestiscono ma soprattutto sotto natale troviamo sempre delle madri con figli di due o tre anni. Anche infanti mi è capitato. A loro diamo sempre la precedenza e li portiamo al caldo. Ovviamente, il giorno dopo mi attacco al telefono e spacco le palle anche alle pietre sino a che l’assessorato, il Comune, il sindaco, il patriarca, o San Pietro in persona non gli trova una sistemazione decente”. Conosco Momo da un bel po’ di tempo e vi assicuro che come rompe le palle lui su questioni come queste, non le rompe nessuno. Ogni inverno mi faccio un dovere di trascorrere qualche notte con la cooperativa Caracol - che per inciso ha assunto questo nome dai liberi municipi organizzati dal sub comandante Marcos (praticamente ogni attivista della Caracol ha trascorso due o tre estati in Chiapas a sostenere la rebeldia zapatista). Trovo l’esperienza estremamente educativa per capire quale siano i veri problemi della città e che, guarda caso, non sono mai quelli dentro le agende politiche dei nostri onorevoli e non finiscono mai in prima pagina nei giornali che contano. La domanda che faccio sempre a Momo è: quale è la new entry di questo inverno? Ci sono stati i cassaintegrati, gli sfrattati che dormivano in auto, i rovinati dalla slot machine... E quest’anno? “Le donne. Soprattutto donne dell’est, ex badanti che hanno perso il lavoro perché l’anziano che accudivano è morto o perché le famiglia non poteva più permettersi di pagarle. Sono loro le ‘nuove facce‘ della povertà“. Il clochard tradizionale, mi spiega, oramai non esiste più da qualche anno. Sono sempre meno. Gli alcolizzati, magari con problemi psichici alle spalle, hanno vita breve sula strada.
”Il ricambio viene da persone che fino a poco tempo fa facevano una vita normale. Li vedi subito, alla stazione. Si avvicinano a noi timidamente. Vestono in maniera decente o quasi e cercano di darsi un contegno. Ci tengono a giustificarsi e raccontano che la loro è una situazione di bisogno temporanea. Quasi sempre si illudono, purtroppo”.
“Noi cerchiamo di fare quello che possiamo per tutti - prosegue Momo -. Soprattutto non obblighiamo nessuno. Chi vuole viene con noi e chi vuole prende la sua coperta e rimane là”. Perché qualcuno dovrebbe rifiutare la vostra assistenza? “Nelle strade c’è tutto un mondo che è difficile, se non impossibile, comprendere appieno. C’è chi ha teme che se lascia libero il suo giaciglio non lo recupera più. C’è chi è alcolizzato e ha bisogno di stare vicino ad un supermercato perché mezz’ora prima l’orario di apertura vuole già essere là, davanti all’entrata, per procurarsi il suo cartoccio di vino. C’è chi ha problemi mentali, chi ha paura e non si fida, chi con parla l’italiano e non capisce chi siamo, chi occupa spazi abusivi e teme che la polizia lo sgomberi...” E aggiunge ridendo: “Anche se, avremmo tanti difetti noi della Caracol, ma non certo quello di avvisare gli sbirri! Al massimo, quando il freddo è eccessivo e non possiamo portare tutti al ricovero, avvisiamo l’assessore Sandro Simionato che, va detto a suo onore, si fa in quattro per chiamare le Ferrovie e far aprire la sala riscaldata della stazione”. Momo non lo dice, ma qualche anno fa, di fronte ad un rifiuto delle Ferrovie dello Stato, i ragazzi del Rivolta hanno aperto la porta della sala d’aspetto riscaldata col piede di porco! Da quella volta comunque non ci sono più stati incomprensioni con le Ferrovie. La lotta paga. Soprattutto quando si fa dura.
Va sottolineato comunque che il Comune di Venezia gioca un ruolo importante e cosciente di fronte all’emergenza freddo. Al contrario della Regione Veneto di marca leghista che ha tagliato qualsiasi fondo per l’assistenza ai senza casa, dirottandoli a quel genere di “feste culturali” tanto amate dai padani tipo la “sagra dei osei” dove si celebra la caccia agli uccelli con le reti da richiamo, vietata dall’unione Europea che non manca mai di affibbiare al veneto qualche multa meritata e salata. La Caracol si mantiene grazie ai finanziamenti del Comune di Venezia ma soprattutto grazie all’attivismo e al volontariato dei suoi sostenitori. In un Veneto dove i sindaci leghisti anche quando danno il panettone ai poveri si accertano se questi siano di razza padana, la città lagunare è rimasta l’unica ad offrire assistenza a chi ne ha bisogno senza distinzione di razza o di colore. Qui i vigili non bastonano i mendicanti accucciati in stazione come ho personalmente visto fare due anni fa nella Verona di Tosi (il che mi è costato una litigata furiosa con i due prodi “tutori dell’ordine” con conseguente invito a “mostrare miei i documenti” e domanda del “ma lei perché non si fa i cazzi suoi?”)
Il risultato è che la stazione di Mestre è diventata un ricovero per tutti i senza dimora del Veneto e se ci prendi un treno di sera non ti manca mai di sentire l’imbecille di turno che ti commenta di quanto questo luogo sia sporco e mal frequentato “al contrario della stazione di Verona”. Al che vi lascio solo immaginare la mia risposta.
“Così vanno le cose. Ma che ti devo dire? - mi fa Momo - Io preferisco mille volte avere a che fare con queste persone, molte dei quali posso chiamare amici, che con tutti quei pezzi di m... posso dire pezzi di merda in una intervista?” Diciamo di cacca. “Va bene. Preferisco stare con questa povera gente che con tutti quei pezzi di cacca che comandano in Regione e vanno in Tv a fare la voce grossa su questioni di sicurezza, pericolo clandestini, xenofobie varie e altre fesserie. Cioè... mi domando: sono particolare io o anche tu la pensi così?” Sta tranquillo che sono le persone “particolari” come te quelle che rendono il mondo un posto degno di essere vissuto e non certo quei pezzi di me... voglio dire, di cacca che mi toccava vedere nel teleschermo, prima che buttassi via la Tv.
“fatto sta che per noi è sempre più dura. Le risorse sono poche e le spese come la benzina, il riscaldamento, i generi di prima necessità aumentano”. Già ma voi siete tipi tosti, giusto? “Più ce le danno e più teniamo duro! La Regione non ci da più un soldo? tanto peggio. Gli abbiamo risposto di andare...” Sì, ho capito dove... “e ci stiamo attrezzando per aumentare il numero di posti letto da 24 a 30, e offrire altri servizi come pasti caldi, corsi di lingua con la scuola Liberalaparola, medicine, docce due volte alla settimana, anche se non siamo gente che obbliga gli altri a lavarsi. E oggi, tanto per continuare in gloria, abbiamo organizzato un bel festone natalizio con tanto di panettone e spumante, grazie ai ragazzi dell’Osteria del Rivolta che hanno cucinato gratis”.
Ci sono andato ed è stata davvero una bella festa. Oltre agli attivisti del Rivolta e della Caracol c’era una sessantina di senza dimora. “Vedi come stanno cambiando le cose - mi ha detto preoccupato il consigliere Beppe Caccia intervenuto come rappresentante del comune assieme a Flavio del Corso presidente della municipalità di Marghera - Di clochard vecchio stile ce ne sono due o tre. Gli altri sono tutte persone che stanno conoscendo solo ora la miseria e la vita di strada. Operai che hanno perso il lavoro, cassa integrati, ex badanti dell’est che non hanno neppure i soldi per tornare in patria. Ascolta qualche loro storia che hanno tanto da insegnare”. Così ho fatto. Ho parlato con Andrej, studente dell’est con una media da capogiro all’università di Venezia ma che vive in strada perché, pur essendo iscritto ad architettura, non ha i documenti in regola e non può fare domanda per la casa dello studente. Poi c’è Paolo, italianissimo, che vendeva protese dentarie e aveva rapporti con tutti gli studi dentistici del veneziano. Dopo il divorzio è arrivato lo sfratto e la crisi gli ha tolto il lavoro. Vive in un’auto parcheggiata in via Fratelli Bandiera che non può muoversi perché non ha più un soldo per pagare il bollo di circolazione. Per curarsi le carie, va a mettersi in fila all’ambulatorio che Emergency ha messo in piedi a Marghera. Sergej invece è russo. Lavorava in una piattaforma in mezzo al mar Baltico e guadagnava una vagonata di rubli. La caduta dell’unione sovietica lo ha riportato a terra solo per scoprire che i suoi rubli non valevano più niente e che sua moglie che viveva con un altro uomo e gli aveva cambiato la serratura di casa. Allora è partito per la Spagna a cercare lavoro. Qui a Venezia, mi spiega è solo di passaggio, perché un tecnico del suo valore lo stanno aspettando a braccia aperte. La stessa storia che mi aveva raccontato tre anni fa, mentre aspettava la sua coperta alla stazione di Mestre. Mentre faccio finta di credergli ripenso a quello che mi ha appena detto il saggio (che non sa di essere saggio) Momo. Meglio questa gente a tutti quei musi di cac... ma no, diciamo pure di merda che contrabbandano idee vili, razziste e fasciste davanti alle servili telecamere dei nostri telegiornali.

Delinquenti, tossici ed extracomunitari. Il razzismo nei media

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Cominciamo con qualche perla di saggezza. “Arrestato un 34enne nomade residente a Bolzano” (da La Nuova del 24 novembre). Il giornalista mi dovrebbe spiegare come fa un nomade a essere anche residente. Vien da pensare che sia lo stesso articolista che, qualche mesa fa, sempre nelle nuova, ha scritto “l’uomo, di etnia nomade...” Come dire che se ti sfrattano e ti tocca vivere per strada cambi improvvisamente etnia e diventi “nomade”. Ma ci sono perle ancora più lucenti, nei nostri quotidiani. Titolone sul Gazzettino del 16 novembre: “Controllano sei stranieri e trovano sei bici rubate”. A voi che viene da pensare? Che ne hanno rubate una a testa? Invece no. L’articolo mescola due episodi diversi avvenuti in zone diverse della città, pur se in occasione dello stesso giro di controllo da parte delle forze dell’ordine. Per inciso, i sei stranieri sono risultati tutti regolari ed estranei al furto delle bici. Sempre dal Gazzettino, 25 novembre. Titolo: “Pochi soldi per l’assistenza: è allarme immigrati”. Che relazione c’è tra le due cose, chiederete? Nessuna, ovviamente. Nel testo si legge che i tagli alla sanità mettono a rischio tanti servizi e alla fine si puntualizza che questo nuocerà anche ai migranti che usufruiscono del servizio sanitario.


Poi ci sono tutta una lunga serie di “si dice”, “pare che”, “secondo alcuni”... tutte affermazione che alla scuola di giornalismo ti spiegano che non vanno mai usate ma che, evidentemente, se riferite a nomadi, extracomunitari e clandestini si può fare una eccezione. Ecco qualche esempio. Dalla Nuova del 25 novembre: “Al servizio mensa di Marcon si sono presentate delle persone, pare zingari...”. Dal Gazzettino del 4 novembre: “la donna ha raccontato di essere stata aggredita da tre individui, forse extracomunitari”. Dal Gazzettino del 22 novembre: “L’uomo aveva i tratti somatici dell’etnia sinti”. Mi spiegate per cortesia quali sono i tratti somatici dei sinti? Prendiamo un esempio: il calciatore Andrea Pirlo che non ha mai nascosto di provenire da questa, chiamiamola, anche noi, etnia, che tratti somatici distintivi dagli “italiani doc” possiede?
Per non parlare, tanto per testimoniare la suprema ignoranza di tanti miei colleghi giornalisti, di tutta la serie di “extracomunitari rumeni” che infestano gli articoli di cronaca nera. Qualcuno glielo dovrebbe spiegare, prima o poi, che la Romania è parte integrante della Comunità Europea! Un canadese può essere definito extracomunitario, ma un rumeno proprio no!
Ultima nota per le lettere al direttore. Certo, queste non le scrivono i giornalisti, ma vi assicuro che sono un indicatore precisissimo della linea politica del giornale perché tra le centinaia che arrivano quotidianamente in una redazione vengono pubblicate solo quelle che, in qualche modo, testimoniano la correttezza dell’approccio politico del quotidiano ai problemi della città. Alle voci discordanti che servono a testimoniare la pluralità, casomai, si lascia spazio nelle colonnina riservata all’opinionista (che non legge mai nessuno). Quella delle lettere invece è, dopo lo sport, la pagina più letta dei nostri giornali. Ebbene, la lettera pubblicata dal Gazzetino il 27 novembre è stupendamente emblematica: “Sovente leggiamo i ben noti e soliti problemi che affliggono Venezia: l’acqua alta e il Mose, il turismo maleducato, il moto ondoso, le grandi navi, Santa margherita, via Piave, i sinti, i cassa integrati di Marghera, i vu cumprà, il tram, la sporcizia dilagante nel centro storico”. Che dire di questo bell’elenco di disgrazie? Qualsiasi commento è superfluo!

Questo che abbiamo sopra riportato è un sunto del lavoro effettuato dal gruppo stampa del l’Osservatorio contro le discriminazioni Unar del Comune di Venezia e presentato in un incontro svoltosi lunedì 10 dicembre al liceo scientifico Giordano Bruno di Mestre. Davide Carnemolla dell’Osservatorio veneziano ha presentato i dati complessivi del monitoraggio sui termini e sui pregiudizi razzisti veicolati dai nostri giornali locali, compreso le “perle” che abbiamo già riportato. Il rapporto è scaricabile dal sito dell’osservatorio all’indirizzo
http://antidiscriminazionivenezia.wordpress.com.
Ospiti d’onore dell’incontro sono stati due giornalisti del calibro di Carlo Berini di Articolo 3 e Giulietto Chiesa presidente di Alternativa. Berini che nella sua città, Mantova, ha organizzato un osservatorio antidiscriminazione che è stato uno dei punti di riferimento per la struttura veneziana, ha messo in guardia gli studenti sul fatto che la discriminazione non riguarda solo categorie come i rom o i migranti ma “è una questione che vi troverete ad affrontare per tutta la vostra vita e che vi colpirà personalmente quando al lavoro sceglieranno un raccomandato al posto vostro o qualcuno vi passerà davanti in una graduatoria senza averne i requisiti. Allora sarà importante imparare a riconoscere l’ingiustizia, affrontarla e superarla così che nessuno che viene dopo di voi ne venga fatto oggetto”. Applauditissimo l’intervento di Giulietto Chiesa che ha parlato dell’informazione nel nostro Paese. Anzi, dell’informazione che non c’è nel nostro Paese. “I telegiornali sono composti per il 5% da notizie false al 95%, per il 45% da pubblicità che come tutta la pubblicità è falsa al 100% e per il restante 50% da intrattenimento che, quando non è inutile, è comunque falso all’80%”. E ha concluso: “L’informazione è controllata da un gruppo ristretto di potenti che possono decidere cosa dire e come. E’ un sistema che non accetta e che non lascia trapelare la realtà dei fatti. Ci mettono davanti agli occhi una realtà virtuale che è totalmente diversa dal mondo reale in cui dobbiamo vivere”.
“Proprio come il film Matrix?” ha osservato uno studente dalla platea.
“Già, proprio come Matrix - ha risposto Chiesa - solo che questo non è un film e non ci sarà nessun Eletto a salvarci. Dobbiamo farlo noi”.

Venezia in campo per il suo Arsenale

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Una bella domenica di festa e di partecipazione, a Venezia. La città si è ritrovata davanti al suo arsenale per manifestare tutto il suo sdegno di fonte allo “scippo” a firma del ministro delle Sviluppo Economico Corrado Passera. Poche righe inserite di frodo in un testo che tratta di tutta un’altra questione - l’agenda italiana sul digitale - me che nei fatti annulla il passaggio dell’arsenale alla città di Venezia sancito dal governo Monti con un apposito emendamento al cosiddetto decreto legge sulla “spending review”. Un’operazione tutta giocata sulle famose “righe piccole” e sulla speranza che gli interessati se ne accorgano solo quando è troppo tardi per rimediare. Stavolta l’operazione gli è andata buca. La città lo ha saputo ed ha reagito con prontezza. Ma quello che più ha fatto urlare allo scandalo è che lo “scippo” sarebbe manovrato dal Magistrato alle Acque, dal Consorzio Venezia Nuova e dalle imprese a lei legate che vogliono impedire il trasferimento al Comune dell’area dei Bacini e delle Tese dell’Arsenale, già destinate ai costosissimi lavori di manutenzione di quella disgrazia per Venezia e per la sua laguna che è il Mose.

In altre parole, il Consorzio e il Magistrato, braccio operativo del ministero a Venezia, avrebbero fatto pressione sul ministro Passere - più propenso a far andare avanti i lavori del Mose che a favorire Venezia - per inserire questo contestato codicillo che consente al demanio di mantenere il possesso di circa il 70% dell’area dell’Arsenale, lasciando alla città solo un’elemosina.
Il che ha improvvisamente fatto tabula rasa di circa trent’anni di discorsi, sogni e progetti che tra calli e campielli si sono sempre fatti a tutti i livelli - dalle stanze di Ca’ farsetti ai tavoli di osteria tra uno spritz e l’altro - su “cosa faremo quando finalmente torneremo in possesso del nostro Arsenale?”



Si capisce che la faccenda sia andata di traverso ai veneziani che, per l’appunto, hanno accolto in gran numero l’invito lanciato da una ventina di associazioni a partecipare a questa prima giornata di mobilitazione per chiedere che l’arsenale dei veneziani venga dato ai veneziani. La partecipazione all’iniziativa infatti, è stata numerosa e pittoresca con le remiere e le associazioni di vela ad occupare pacificamente il canale con caorline e bragozzi dalle vele coloratissime, sandoli e gondolini da regata e persino una “bissona” da parata sulla quale lo stesso sindaco Giorgio Orsoni ha preso la parola per denunciare questa sorta di furto con destrezza. “La nostra mobilitazione è la prova concreta di quanto la città abbia a cuore una parte importante della sua storia come l’arsenale” ha dichiarato il primo cittadino che ha poi lanciato un appello al presidente della Repubblica perché non firmi il decreto “truccato”.
Una partecipazione, dicevamo, a 360 gradi che ha coinvolto oltre al sindaco anche altri esponenti del consiglio comunale come il capogruppo della lista in Comune, Beppe Caccia, uno dei primi a denunciare la vergogna del “codicillo fraudolento”. Caccia ha chiesto al sindaco Orsoni la convocazione di un consiglio comunale straordinario dedicato all’Arsenale ed inoltre ha depositato una interrogazione urgente in cui chiede che siano avviate le procedure per rimuovere dal suo incarico il presidente del Magistrato alle Acque di Venezia, Ciriaco D'Alessio. Personaggio già noto alle cronache di Tangentopoli e ora protagonista di questo tentativo di strappare alla città di Venezia un pezzo della sua tradizione per consegnarlo alla lobby del Consorzio Venezia Nuova. "Considerato che i gravi precedenti penali, la discutibile gestione dell’intera vicenda legislativa relativa al passaggio del compendio dell’Arsenale e l’inaccettabile atteggiamento tenuto nei confronti delle Istituzioni locali dimostrano una complessiva inadeguatezza di Ciriaco D’Alessio a ricoprire l’importante e delicato incarico di Magistrato alle Acque per Venezia, - spiega l’ambientalista -e inoltre configurano una condizione di vera e propria ’incompatibilità ambientale’ di tale indegno funzionario dello Stato con la nostra città, chiediamo al sindaco di intervenire presso il presidente del Consiglio dei ministri per rimuoverlo dal suo incarico”.
“Questo colpo di mano fatto dal ministro Passera su ordine del Consorzio e con l’arma meno democratiche che esiste, che è quella del decreto, è assolutamente inqualificabile ed inaccettabile - ha concluso Tommaso Cacciari del laboratorio Morion -. Il ministro ci ha letteralmente scippato l’Arsenale per girarlo al Consorzio Venezia Nuova che, ricordiamolo, è un cumulo di imprese private di emeriti cementificatori che dagli anni ’80 hanno il monopolio delle grandi opere di salvaguardia della città, spesso inutile e dannose come il Mose, e per questo hanno dragato tutto i fondi della legge speciale. Adesso vorrebbero mettere le mani anche sull’Arsenale, anche in vista del business della manutenzione del Mose stimata sulla ventina di milioni all’anno. E per far questo hanno bisogno degli spazi dell’Arsenale che stanno cercando di sottrarre alla città”. Il tutto, al di là di qualsiasi percorso partecipativo dei cittadini su scelte che coinvolgono la loro città.
Ancora, come per l’acqua e per le grandi opere, si scrive Arsenale ma si legge democrazia.

Di seguito, intervista con Beppe Caccia




Intervista con Tommaso Cacciari



Fiaccolata per l’ambiente e la salute a Monselice

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Una grande fiaccolata ha illuminato ieri sera, venerdì 28 settembre, le strade di Monselice. Una grande fiaccolata per dire no al cemento, no ad una economia tumorale che macina ambiente e salute per garantire il profitto di pochi sui diritti di tutti. Perlomeno settecento persone hanno accolto l'appello "Per non morire di cemento" lanciato dai comitati della Bassa Padovana "Lasciateci respirare" ed "E noi?", e si sono date appuntamento in piazza Mazzini per dare vita ad un pacifico corteo notturno. All'iniziativa ha aderito pressoché l'intero arcipelago associazionista del Veneto. Una bella serata di festa per Monselice, con tanto di banchetto informativo che, oltre a raccogliere firme, distribuiva torte, pizze e bicchieri di vino. "Il mercato del cemento è in crisi - ha spiegato Francesco Miazzi, portavoce del comitato Lasciateci Respirare - Il business per gli industriali si è spostato sullo smaltimento dei rifiuti da usare come impastante della materia prima. A pagare le spese di questa economia malata sono ancora i cittadini. Il tutto nell'indifferenza, se non addirittura nella complicità, delle istituzioni che dovrebbero invece tutelare la salute della gente. Particolarmente grave mi sembra l'atteggiamento dell'ente Parco dei Colli che ha abdicato alle sue funzioni di salvaguardia, considerando che sin dalla sua istituzione i cementifici sono sempre stati considerati incompatibili con la tutela dell'ambiente dei colli Eugane e si è sempre rifiutato di portare avanti l'accordo di programma che prevedeva la delocalizzazione degli impianti se non la loro dismissione. Ed invece, tra Monselice ed Este, continuano ad operare ben tre di queste industrie dichiarate insalubri di prima classe. Un record europeo di cui non andiamo fieri".


Questi tre impianti, spiegano gli organizzatori della manifestazione sono autorizzati a produrre cemento utilizzando rifiuti. Una lavorazione riconosciuta come altamente pericolosa per la salute. In totale, ogni anno sono smaltite nel territorio del parco dalle cementerie Zillo di Este e Italcementi di Monselice ben 343.500 tonnellate di rifiuti. Ora, la nuova proprietà della Cementeria di Monselice ha chiesto l'autorizzazione di smaltire altre 225.000 tonnellate di rifiuti speciali. "Chi concede le autorizzazioni non considera che questi impianti ormai si trovano all'interno dei centri abitati - spiega Silvia Mazzetto del comitato "E noi?" - e che i limiti di legge delle emissioni inquinanti vanno calcolati globalmente e non separatamente per ciascun impianto. Il risultato è che, da anni, noi e i nostri figli, unici in Europa, respiriamo incredibili quantità di sostanze pericolose per la nostra salute".
"Dobbiamo disinnescare questa bomba ecologica - conclude Francesco Miazzi - . Dobbiamo difendere la salute e le giuste aspettative di quanti qui vivono e lavorano. E' urgente cercare soluzioni che consentano finalmente l'equilibrato sviluppo di questo territorio, tutelando il lavoro ma anche il futuro nostro e dei nostri figli. La Bassa Padovana non può diventare la discarica del Veneto".

Rapimento di Abu Omar. La Cassazione conferma le condanne agli agenti della Cia e riapre il processo agli ex vertici del Sismi

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La Cassazione ha confermato le condanne ai 23 agenti della Cia che hanno rapito Abu Omar e ha imposto la riapertura del processo per i due vertici del Sismi Nicolò Pollari e Marco Mancini, sollevando forti dubbi sul segreto di Stato in virtù del quale la Corte d‘Appello di Milano aveva dichiarato i due non processabili.
Sempre la quinta sezione penale della Corte di Cassazione presieduta da Gaetanino Zecca, ha disposto un nuovo processo d'appello anche per i tre agenti segreti italiani - Giuseppe Ciorra, Luciano Di Gregori e Raffaele Di Troia - considerati corresponsabili del rapimento.

Ricordiamo che Abu Omar, all’epoca imam di Milano, sospettato (solo sospettato!) di contatti con cellule terroristiche era stato rapito il 17 febbraio 2003 in territorio italiano da un gruppo di agenti della Cia con l’evidente complicità dei servizi segreti nostrani e portato in una base Usa in Egitto, su un aereo decollato dall’aeroporto militare di Aviano, dove, secondo le denuncia dello stesso rapito, avrebbe subito prigionia, violenze e torture.


Il tutto sulla base di semplici sospetti e senza nessun procedimento giudiziario. Una azione assolutamente illegale che ha costretto la magistratura ad istruire un processo per rapimento. Il 15 dicembre 2010, la Corte d’Appello di Milano aveva così condannato i 22 agenti della Cia ritenuti responsabili del fatto a sette anni di carcere e a nove anni il capo-area, Robert Lady. Condanne ovviamente in contumacia. Sempre la Corte d’Appello milanese aveva inferto la pena di 2 anni e 8 mesi all'ex responsabile dell'archivio del Sismi, Pio Pompa, e il suo funzionario Luciano Seno. Non processabili infine, in virtù del discutibilissimo vincolo del “segreto di Stato”, imposto tanto dal Governo Prodi di centrosinistra che successivamente da quello Berlusconi di centrodestra, i due allora capi del Sismi Nicolò Pollari e Marco Mancini, e i tre agenti sopracitati.
Il ricorso alla corte di Cassazione portato avanti da Abu Omar, attualmente residente in Egitto dove non sono emerse prove sul suo coinvolgimento con gruppi integralisti, ha ottenuto una nuova sentenza che sposa, in pratica, la sua tesi. Non soltanto il tribunale supremo ha confermato con l’ultimo grado di giudizio le condanne ai 007 americani ed italiani, ma ha anche ha chiesto alla Corte d’Appello di riprocessare i vertici Sismi Pollari e Mancini, oltre ai funzionari Ciorra, Di Gregori e Di Troia, sostenendo che, anche al di là del Segreto di Stato, ci sono sufficienti elementi per ipotizzare un loro coinvolgimento nel rapimento.

Tutela l’ambiente, sfrutta i lavoratori. Il caso del centro riciclo di Vedelago di Treviso

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Quindici lavoratori buttati sulla strada è una notizia che, di questi tempi, otterrebbe a malapena una colonnina bassa in cronaca locale. Ma in questo caso la storia è diversa perché è diversa l’azienda che ha spedito le lettere di licenziamento. Si tratta infatti del centro di riciclo di Vedelago (Treviso), una delle strutture atte al recupero e allo smaltimento dei rifiuti più avanzate e più attente all’ambiente di tutto il nostro Paese. Un’azienda più volte citata come esempio di buone pratiche per la sua attenta gestione del ciclo dei rifiuti e che, non a caso, è tra gli sponsor di alcune iniziative che si stanno svolgendo alla conferenza mondiale sulla decrescita, attualmente in svolgimento a Venezia. Peccato che tanta attenzione all’ecologia non venga supportata da una altrettanto attento rispetto per i diritto dei lavoratori! Questo pomeriggio, venerdì 21 settembre, i quindici lavoratori licenziati dall’azienda sono intervenuti all’incontro sulla decrescita e hanno preso la parola sul palco, e tra gli applausi della platea, hanno raccontato le ragioni della loro vertenza.


“Dal suo lato pubblico l’azienda presenta un aspetto positivo e ambientalista - ha spiegato Sergio Zulian dell’Adl Cobas - dal lato privato abbiamo riscontrato situazioni di totale mancanza di rispetto dei diritti dei lavoratori. Così, abbiamo iniziato una vertenza sindacale chiedendo puntualità nel versamento degli stipendi, servizi igienici puliti, una mensa decente e il riconoscimento dei delegati sindacali dei lavoratori. Ci siamo subito scontrati con la chiusura e l’indisponibilità al dialogo della titolare che non ha riconosciuto nessuna delle nostre richieste e che ci ha risposto solo con le lettere di licenziamento inviate a 15 dei 31 lavoratori del reparto smistamento. Licenziamenti che non esitiamo a definire di rappresaglia perché sostenuti da motivazioni generiche come la solita crisi economica e senza nessun tentativo di ricorrere agli ammortizzatori sociali”.
I lavoratori hanno proclamato lo stato di agitazione e chiedono la sospensione dei licenziamenti e l’immediata apertura di un tavolo di trattativa. Particolarmente significativo il loro volantinaggio ai partecipanti al convegno sulla decrescita. “Un pubblico attento e sensibile - hanno detto - che merita di essere informato su cosa si nasconde dietro uno degli sponsor della conferenza”.
Decrescita e tutela dell’ambiente non possono essere costruiti a scapito dei fondamentali diritti del lavoro e della cittadinanza. “Altrimenti - ha concluso Sergio Zulian - finiremo per applaudire quel coltivatore biologico perché non usa concimi chimici e rispetta la natura. E pazienza se usa gli schiavi per ammortizzare i costi!”



Il Rivolta guarda al futuro: fotovoltaico, palestra e ostello sociale

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Un centro sociale ad energia solare. Il cso Rivolta di via Fratelli Bandiera si è dotato di un grande impianto fotovoltaico capace di garantire una costante produzione di energia pulita per sé e per la città. Un impianto che è, tra quelli realizzati sui tetti, il più ampio e il più potente di tutta la provincia. La centralina e i circa mille metri quadri di pannelli, sistemati sul tetto del capannone dove si tengono i concerti, sono stati presentati oggi ai giornalisti alla presenza di una nutrita rappresentanza istituzionale tra cui il vice sindaco Sandro Simionato, gli assessori, Gianfranco Bettin all’ambiente e Bruno Filippini al Patrimonio, il presidente della municipalità Flavio Del Corso. L’incontro ha fornito l’occasione per presentare gli altri progetti appena realizzato o in corso di realizzazione al Rivolta di Marghera. Progetti realizzati grazie all’impegno gratuito ed entusiasta di centinaia di giovani e meno giovani, e coperti economicamente da iniziative di autofinanziamento.


La palestra popolare, innanzitutto. Uno spazio, per dirla con le parole di Michele “Ace” Valentini, libero e aperto a tutta la cittadinanza dove vengono organizzati corsi che spaziano dal kick boxing al tango. “Uno spazio dove praticare lo sport così come lo intendiamo noi: come attività salutare e di benessere fisico ma anche psicologico, solidale, popolare e antirazzista”.
Un’altra attività che sarà ampliata, ha spiegato Vittoria Scarpa, è quella svolta dalla cooperativa Caracol che d’inverno si impegna per offrire un riparo e una sistemazione temporanea ai senza fissa dimora, salvandoli dal gelo mortale. “Purtroppo abbiamo dovuto constatare che il numero dei senza casa è in costante aumento - ha spiegato la portavoce del Rivolta -. Questo inverno, gli attuali 24 posti letto che abbiamo a disposizione potrebbero non essere sufficienti e stiamo lavorando per raddoppiare la nostra offerta realizzando altre unità abitative ispirandoci a criteri di bioedilizia ed ecocompatibilità”. Una novità riguarda anche l’uso di questi moduli abitativi che, se d’inverno saranno destinati a situazioni d’emergenza e al riparo dei senza fissa dimora, d’estate saranno usati come “ostello sociale” per offrire accoglienza a basso costo a studenti, viaggiatori o partecipanti a seminari ed incontri. Già oggi, ha sottolineato Ace, i moduli ospitano una ventina di giovani venuti ad assistere alle conferenze della settimana della Decrescita.
Ma la novità principale del nuovo Rivolta riguarda il passaggio all’energia pulita. Grazie ad un mutuo decennale acceso con Banca Etica (“L’unica banca che non è responsabile dell’attuale disastro finanziario” ha sottolineato Ace) di 200 mila euro, i tetti del centro sociale sono stati ricoperti di pannelli e trasformati in un impianto fotovoltaico capace di raggiungere una produzione di 115 mila kwh all’anno dei quali 70 mila ad uso interno e gli altri messi a disposizione della città come energia pulita ricavata dalla fonte rinnovabile per eccellenza come è la nostra stella. L’impianto è stato realizzato dalla ditta EA Energia Alternativa di Vicenza, grazie anche alla consulenza di Agire, l’agenzia veneziana per l’energia. In termini di riduzione delle emissioni inquinanti, l’impianto garantisce un mancato rilascio nell’atmosfera di 62 mila e 400 chili di anidride carbonica all’anno e un risparmio di 810 tonnellate equivalenti di petrolio.
“Grandi progetti pensati dentro la città e realizzati per la città - ha commentato soddisfatto Simionato -, proprio come il Rivolta ci ha abituato in questi anni di proficua collaborazione con l’amministrazione”.
Parole di apprezzamento per il lavoro svolto sono state spese anche dall’assessore Filippini che ha sottolineato la gestione trasparente dell’operazione e citato il cso come un esempio importante di buon utilizzo degli spazi comunali. Dal canto, suo Gianfranco Bettin ha invitato a paragonare l’area del Rivolta con quella degradata dell’ex cral Gavioli, situata immediatamente a ridosso del cso, ed ha concluso, riferendosi al ventilato progetto del palazzone di Pietro Cardin, “Per ora, il Rivolta rimane l’unico Palais Lumière di Marghera”.

No Grandi Navi, No Grandi Opere per un futuro di pace e di sostenibilità

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Una volta, questa domenica di settembre, era il giorno della Lega e di Roma ladrona. Arrivavano con le bandiere del sole padano e la “sacra ampolla” d’acqua del Po. Se andava bene, raggiungevano Riva degli Schiavoni senza incidenti per ascoltare il Bossi urlare contro meridionali e migranti. Se andava male, si fermavano per strada a menare qualche disgraziato cameriere con la pelle di un colore, a sentir loro, poco “padano”.
Ma oggi invece, è stata una bellissima domenica di festa. Festa vera. Una Venezia più incantevole del consueto, un cielo terso, un tiepido sole settembrino... anche l’acqua del canale della Giudecca sembrava incredibilmente più azzurra del solito! E poi tanta, tanta gente, tante bandiere e tante barche. Donne, uomini e bambini venuti da tutto il Veneto non per vomitare insulti e minacce secessionistiche, ma per chiedere un futuro senza Tav, senza basi militari, senza quelle grandi navi che ad ogni passaggio inquinano come 14 mila auto. Un futuro di pace e di sostenibilità. Una manifestazione pacifica cui hanno aderito pressoché tutti i comitati contro le grandi opere che minacciano di cementificare quel poco che ancora rimane della nostra Regione. Molti sono arrivati a Venezia in bicicletta sciroppandosi un bel po’ di chilometri, senza contare i tanti ponti e le tanti calli da percorrere con la bici a mano, della città lagunare.

Purtroppo la manifestazione ha suscitato una reazione assolutamente spropositata da parte dell’autorità portuale che, dopo aver ritardato la partenza di tre grandi navi (accampando la scusa di una esercitazione antincendio per non ‘turbare’ l’animo dei crocieristi), ha chiesto l’intervento in forze della polizia che ha fatto cordone per impedire alle barche - almeno un centinaio - di chiudere il canale della Giudecca ai mostri del mare. Addirittura, un elicottero della polizia si è calato più volte quasi a pelo d’acqua nel tentativo di spaventare la gente sui natanti. Tentativo del tutto inutile, che non ha fatto cedere il passo a nessuno.



E’ stata dunque una grande domenica di festa e di lotta che ha lanciato un segnale non ignorabile a chi, come il ministro dell’ambiente Corrado Clini, ha dichiarato che è “impossibile” togliere le grandi navi dalla laguna di Venezia. Impossibile difendere la città più fragile del mondo dagli appetiti delle compagnie di crociera. Impossibile difendere quello che rimane dell’antica laguna dei dogi da una economia tumorale che oramai, dopo aver fagocitato e cacato tutto quello che riusciva a trasformare in merce, sta mercificando come ultima frontiera diritti e ambiente.
Le centinaia di persone che si sono trovate alla Punta della salute hanno dimostrato che non solo non è impossibile difendere l’ambiente ma è anche l’unica strada da percorrere per uscire da una crisi che non è mai stata nostra.

Non è solo un treno!

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Grandi navi e non solo. Progetti di revamping di rifiuti speciali, di tracciati in gronda lagunare contro puntuali promesse di riconversioni industriali che vengono puntualmente disattese. Anche Venezia ha le sue Tav, ha ricordato Beppe Caccia in apertura dell’incontro organizzato dall’associazione In Comune per presentare il libro “Non solo un treno .. la democrazia alla prova della Val di Susa” curato da Marco Revelli e Livio Pepino edito da Edizioni Gruppo Abele. L’iniziativa si è svolta giovedì 13 settembre, nel municipio di Mestre. Presenti in sala i due autori circondati da una ricca cornice di pubblico.
Livio Pepino, già presidente di Magistratura Democratica, ha spiegato così il titolo del libro: “Certa politica liquida la questione della Val di Susa raccontando che alla fin fine si tratta solo di un treno. Mica di un bombardiere! La verità è un’altra. La vicenda della Tav non può essere ridotta alla linea ferroviaria ma investe tutta una serie di temi non ultimi quelli della legalità e della democrazia”. Pepino fa un sunto di come il progetto dell’alta velocità sia nato da un convegno in casa Fiat più di trent’anni or sono e di come sia mutato nel tempo da linea veloce per il trasporto di passeggeri a trasporto merci, mantenendo però la costante della devastazione ambientale. L’ex magistrato affronta la questione Tav dal punto di vista della legalità discorrendo, in particolare sul diritto alla salute. “Un diritto che la Costituzione sancisce come assoluto - spiega -. Al contrario, per fare un esempio, del diritto alla proprietà privata che può essere subordinato al principio dell’interesse generale”. Nel caso del diritto alla salute invece non ci sono ‘se’ o ‘ma’. Va salvaguardato a tutti i costi. La presenza di amianto nelle montagne destinate allo scavo risulta quindi un elemento del quale non si può - anche da un punto di vista legale - non tenere conto. “Bisogna accertare oggi con metodi scientifici la pericolosità dei lavori per non dover affrontare domani un processo di risarcimento delle vittime. Non bastano le assicurazioni dei sostenitori del progetto”.



Un altro principio di legalità messo in discussione dall’opera è quello del governo della maggioranza. “Chi vuole la Tav afferma: ‘in fondo l’opera è stata voluta dai maggiori partiti che sono stati eletti democraticamente. Non ha senso e non è corretto contestare quello che ha deciso la maggioranza del Paese’. Ma chi dice così ha un concetto di democrazia alquanto rustico. La democrazia infatti non si esaurisce in una sorta di tirannia della maggioranza, per citare Toqueville. La maggioranza decide chi governa ma non con che criteri o con che limiti”. Senza scomodare Toqueville, ricordiamo Platone che scriveva di come i probi cittadini ateniesi avessero votato “a grande maggioranza” di conquistare l’isola di Samo e massacrarne tutti gli abitanti. Se questa è la democrazia che vi piace...
“Al contrario - ha concluso Livio Pepino - sulla questione della Tav, proprio la nostra democrazia ha abdicato. Un problema che era davvero di democrazia è stato trasformato in un problema di ordine pubblico e dato il gestione alle forza di polizia che hanno militarizzato il territorio sino a far diventare reato dei comportamenti e delle manifestazioni di protesta che, al di fuori della val di Susa, non sono reato”.
Dal canto suo, Marco Revelli, esamina la questione Tav sotto la lente del politologo. “La vicenda della val di Susa è stata in questi anni il mio buco della serratura attraverso il quale leggere i cambiamenti in atto, dalla crisi dei partiti al baratro in cui è precipitata l’economia”.
L’Alta Velocità, spiega, è un progetto concepito in un’altra epoca e in un altro mondo, quando si faceva un gran parlare di crescita infinita e le merci e la loro circolazione erano dei dogmi che nessuno poteva contestare. “Un modello nichilista e retorico che ha mostrato presto i propri limiti”. Revelli snocciola qualche dato sulle previsioni fatte dai sostenitori della Tav sul traffico di merci che avrebbe dovuto viaggiare sulla linea ferroviaria. Numeri spropositati legati ad una idea infinita di crescita. “Non solo le previsioni non si sono avverate neppure lontanamente, ma il traffico è regredito, sia per la rotaia che per la gomma”.
Una storia che oramai abbiamo imparato a conoscere. Solo due categorie di persone, è stato scritto, sono convinte che un mondo finito possa supportare uno “sviluppo” infinito: i pazzi e gli economisti.
Revelli, con la vivacità di spirito che lo contraddistingue, incanta la platea tracciando audaci parallelismi tra il Marinetti futurista e politici come Fassino “che ripete le stesse retoriche ma senza avere né il genio né l’intelligenza del poeta”. Soprattutto, lo fa quasi cento anni dopo.
Nella sua analisi, Revelli individua alcuni elementi portanti nella questione della Val di Susa. Il primo è la commistione tra le grandi costellazioni di interessi economici e la politica. le stesse costellazioni che in questi anni hanno depredato l’Italia. “Lo stesso Pd, o come si chiamava allora, sino al 2004 era molto cauto sulla Tav. Si trasforma improvvisamente un pasdaran dell’Alta Velocità quando entra in gioco la cooperativa rossa Cmc (la stessa che sta ristrutturando la stazione di Venezia.nrd). Solo a questo punto arriva a chiedere che i cantieri diventino un sito strategico militare”. Nessuno vuole nascondere che i soldi servono alla politica - sospira Revelli - ma sono sempre stati un mezzo per un fine. La Tav ha rovesciato il concetto: la politica è il mezzo e i soldi il fine.
Un altro punto focale della questione, commenta ancora Revelli, è l’informazione. Gli stessi gruppi economici impegnati nell’opera sono proprietari dei maggiori quotidiani italiani. Il che spiega come mai l’informazione segua sempre una sola direzione, quella della Torino Lione. Mai come nella Tav i giornali hanno raccontato tante balle e per tanto tempo. Quali sono i limiti alla manipolazione della realtà? si chiede Revelli, sostenendo che la Val di Susa ha comunque dimostrato di essere impermeabile e di essere sempre riuscita a non farsi condizionare dai media.
“Ma la Tav ha segnato soprattutto la crisi del rapporto tra i cittadini e le istituzioni. E’ una crisi di democrazia e di rappresentanza. La questione che c’è sotto è grossa. I valsusini difendono non solo il loro diritto alla salute ma un sistema relazionale. Difendono il loro territorio e un modo di vivere in questo loro territorio. Se vogliamo vederla così, difendono un bene comune”. Revelli parla del referendum su acqua e nucleare e di come questo abbia stabilito un principio fondamentale: c’è uno spazio pubblico che non può essere invaso da uno spazio politico. Il parlamento può legiferare quello che gli pare, ma i beni comuni non li può toccare.
Revelli conclude parlando del movimento No Tav. Movimento che forse sarebbe più esatto definire una resistenza di popolo trasversale alle generazioni e alle precedenti convinzioni politiche. Ma comunque la si chiami, la resistenza della gente della val di Susa ad una economia e ad una politica in profonda e irreversibile smarrimento, sta tracciando il futuro dell’Italia che vogliamo. “In Val di Susa - conclude Revelli - è in gioco sì la nostra democrazia in crisi, ma anche una sua auspicabile metamorfosi salvifica”.
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