In questa pagina ho riportato gli ultimi articoli che ho scritto per il quotidiano ambientalista Terra, il settimanale Carta, Manifesto, per siti come Global Project, FrontiereNews o siti di associazioni come In Comune con Bettin e altro ancora.

Sulla gru per un permesso negato

Sono saliti sopra una gru. Su, in alto. Proprio sopra il tetto della prefettura di Padova. Eugene, John e Khalid. L’ultimo, disperato, tentativo di farsi riconoscere i loro diritti. Prima di arrampicarsi sopra la gru, Eugene, John e Khalid, hanno tentato tutte le altre strade. Quelle per così dire “istituzionali”. Hanno bussato alle porte del prefetto, del sindaco e persino del vescovo.

Tanta solidarietà, qualche mozione di sostegno in consiglio comunale ma nessun fatto concreto. Assieme ad altri migranti truffati dalla sanatoria, allora hanno organizzato un presidio ad oltranza, accampandosi mercoledì davanti a palazzo santo Stefano, sede della prefetture e della Provincia di Padova. “Nonostante la vittoria al Consiglio di Stato e le centinaia di denunce nei confronti dei truffatori – ha spiegato un portavoce dei migranti - il nostro permesso di soggiorno è ancora lontano. Nessuno ci sa dire neppure se e quando arriverà. Il ministro Roberto Maroni, come se non bastasse, ha diramato una circolare che sospende il rilascio dei documenti. In questo modo le stesse procure faticano a rilasciare i permessi di soggiorno che permetterebbero la protezione delle vittime e darebbero credito alle nostre testimonianze sulle truffe. Truffe che nella nostra regione sono state organizzate da una vera e propria associazione a delinquere legata alla camorra di cui ancora nessuno conosce i veri contorni e su cui forse qualcuno che sta in alto non vuole andare fino in fondo”. In alto allora hanno deciso di andarci i tre migranti che alle 15 di giovedì si sono arrampicati sopra una gru, replicando l’impresa di Brescia. Una iniziativa piuttosto pericolosa in quanto la gru in questione non era dotata di cabina di comando. I migranti quindi sono stati costretti a rimanere appesi alla struttura. Lassù, hanno resistito tutta la notte, grazie anche al sostegno dei tanti ragazzi che in quel momento erano impegnati a montare lo Sherwood Festival ma che hanno immediatamente smesso il lavoro per accorrere sotto la gru. Sostegno concreto quello delle Sherwood festival: coperte, cibi pronti, termos di bevande calde e un presidio di sostegno lungo tutta la nottata. La situazione si è sbloccata verso la mattina, quando prefettura e questura hanno deciso di accogliere le loro richiesto sbloccando circa 40 permessi di soggiorno per coloro che erano stati colpiti dalla doppia espulsione (così Maroni potrà dire un’altra volta che la “colpa è tutta dei giudici e non del ministero”) e aprendo un tavolo di trattativa con le vittime della truffa. “Nel Veneto ha operato una associazione di stampo camorristico e noi invece di aiutare le vittime e di valorizzare le loro testimonianze per ottenere giustizia, le perseguitiamo! – commenta amaramente Luca Bertolino dell’associazione Razzismo Stop. – Ma la cosa ancora più incredibile è che in Italia oramai tocca salire sopra una gru, mettendo a repentaglio la propria vita, non per sostenere una piattaforma sindacale o per ottenere più garanzie lavorative, ma per far rispettare una legge dello Stato e per chiedere che la polizia indaghi su un raggiro e smetta di perseguire il raggirato”.

Welcome per una accoglienza degna

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Questa è la storiaccia brutta di una emergenza creata ad arte, delle risposte sbagliate che gli sono state date, delle risposte giuste che tutti hanno fatto finta di non sentire e di una risposta che non è ancora arrivata. La vicenda è quella dei profughi in fuga dalla guerra libica. Emergenza creata ad arte. “Siamo stati a Lampedusa con la rete di accoglienza Welcome – spiega Nicola Grigion, portavoce di Melting Pot – e abbiamo constatato di persona che è stato appositamente organizzato un bel teatrino solo per poter gridare all’emergenza. Quelle poche migliaia di persone arrivate in Italia avrebbero potuto essere gestite dalla normale rete di accoglienza senza bisogno di ricorrere alle solite misure straordinarie con le quali si finisce per giustificare tutto”.

La prima risposta sbagliata è quella del governatore veneto, Luca Zaia, che, due giorni dopo aver assicurato che avrebbe gestito di persona l’afflusso dei profughi per trovare loro una dignitosa sistemazione, ha gettato la spugna scaricando il problema sulla prefettura di Venezia e saltando sulle barricate contro l’invasione islamica alzate a gare da tutti i sindaci del Carroccio.


Sindaci che – a proposito di risposte sbagliate – sono arrivati anche a giustificare come “logica conseguenza della cattiva gestione romana dell’emergenza” atti come la finta bomba che qualche demente ha pensato di piazzare davanti alla porta del centro di ospitalità di Asiago. La cosa ha suscitato la pronta reazione del sindaco del paese che si è detto enormemente preoccupato. Preoccupato per le possibili ripercussioni nella stagione turistica. Altra risposta sbagliata. Eppure un altro Veneto capace di tirare fuori la risposta giusta c’è. Un Veneto che non è razzista e crede ancora in valori come la solidarietà e in principi universali come i diritti umani. Il Veneto di Emergency, delle cooperative come la Caracol, di Amnesty International, dei centri sociali, delle scuole di italiano per stranieri, gratuite e aperte a tutti, di Comuni come quello di Venezia, di cittadini ancora capaci di indignarsi e di tantissime associazioni chi si sono raccolte in una rete chiamata dell’accoglienza degna. “Non si tratta solo di trovare una branda per queste persone, magari in un campo circondato dal filo spinato – spiega Vittoria Scarpa del cso Rivolta -, ma di costruire un percorso che preveda anche, per chi vuole, l’insegnamento della lingua italiana, l’assistenza sanitaria e quant’altro è funzionale all’inserimento sociale”. Con una formale lettera alla Prefettura di Venezia, l’intero arcipelago associazionista veneziano si è messo a disposizione di questo percorso, offrendo ognuno le specifiche competenze della propria associazione, dall’assistenza sanitaria di Emergency, ai 24 posti letto della cooperativa Caracol. La risposta che non è ancora stata data invece, è quella della prefettura. Solo informalmente, su un giornale locale, è apparsa una dichiarazione della prefetta, Luciana Lamorgese, che spiegava come “non fosse proprio il caso” di affidare dei profughi ad una cooperativa così vicina al Rivolta. Di fronte ad una chiusura ritenuta ingiustificata, le associazioni si sono riunite in assemblea a Marghera, mercoledì 8, e hanno deciso di mobilitarsi martedì 21 con una manifestazione in campo S. Tomà, a due passi da palazzo Balbi, sede della Giunta regionale, a Venezia. A sostegno dell’iniziativa, la rete Welcome ha promosso l’appello “Per un Veneto accogliente e degno” che ha avuto come primi firmatari Gianfranco Bettin e Gino Strada. L’arrivo dei profughi, si legge nel documento, è stato trattato solo “con il linguaggio dell'allarme e della paura. Sta prendendo forma un sistema parallelo di accoglienza in cui gli standard minimi previsti normalmente non vengono garantiti”. La nostra Regione, si legge, è stata l’unica a registrare e il rifiuto di alcuni amministratori di dare ospitalità, “la demagogia prende il sopravvento sulla dignità, ancora una volta l'abito del razzismo e della chiusura viene cucito addosso a questa terra”.
Ma c'è un Veneto che ha voglia di cambiare. Un Veneto che porta sulle spalle il peso di una crisi economica senza precedenti, senza per questo cercare di scaricarlo sui più deboli, sugli ultimi, sugli ‘altri’. Un Veneto che non ha paura di dire Welcome”.

Referendum, anche Venezia fa festa

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«Ho capito che avremmo vinto quando il mio benzinaio, che notoriamente non si è mai interessato di politica, mi ha dato un volantino e ha cercato di convincermi ad andare a votare sì senza sapere che sono il responsabile del comitato provinciale veneziano per il referendum sul nucleare”. Gigi Lazzaro, segretario per Venezia di Legambiente era raggiante. Ma chi non lo era, ieri pomeriggio al municipio di Mestre, presso la sede dell’assessorato all’ambiente di Gianfranco Bettin, intanto che scorrevano sul maxi schermo i dati dell’affluenza alle urne? Un’atmosfera del genere non c’era neppure ai mondiali. Tutti col fiato sospeso in attesa dell’ultimo rigore. Alle 15:30 del pomeriggio è oramai certo che ce l’abbiamo fatta.


E Venezia ci fa la sua figura con una affluenza superiore alla media nazionale e che, per ora, si aggira sul 60 per cento. Merito anche del Comune che soprattutto nella difesa dell’acqua pubblica si è speso in prima persona, promuovendo una rete di ammini- stratori per la difesa dei beni comuni. Adesso bisognerà attendere la conta dei sì. Ma la vera battaglia, nessuno lo nega, è stata quella per il raggiungimento del quorum. Una battaglia vinta. «Ci speravo ma non ci credevo - commenta Francesco Penzo, responsabile del comitato veneziano per l’acqua pubblica - prima di venire qui in municipio a vedere l’andamento dell’affluenza, ho spedito l’ultima mail alla nostra nutritissima mailing list ricordando le parole di Salvador Allende: la storia appartiene al popolo. Quello era un momento critico per la democrazia cilena. Ma non sono sicuro che la situazione ora sia così differente. Questo referendum, con questi risultati sarà una svolta per tutti». Una grande vittoria dei movimenti, del silenzio di tanta stampa e delle tv - commenta Tommaso Cacciari del laboratorio Morion di Venezia - che sia chiaro per tutti che non sono stati i risultati delle ultime amministrative a far da traino al referendum, ma il movimento referendario che ha trainato anche i candidati più sensibili ai nostri temi nelle elezioni. Insomma, non ha vinto il Pd, che fino a una settimana fa era per la privatizzazione! Hanno vinto i comitato che da soli hanno sostenuto tutta la battaglia, nonostante tanti partiti abbiano cercato all’ultimo momento di salire sul nostro carro». Gli straordinari risultati di questo referendum e il modo in cui sono stati costruiti, dal basso e coinvolgendo la società civile che sta fuori dai palazzi - conclude Michele Valentini del cso Rivolta - segnano una nuova stagione per questo nostro Paese. Queste percentuali sono uno schiaffo alle scellerate politiche del governo Berlusconi. Ma non solo. Sono anche un chiaro segnale a tutti coloro che, all’interno del centro sinistra pensa che si possano privatizzare e mercificare beni comuni come l’acqua e i diritti». Intanto, i dati scorrono sul mega schermo e le bandiere per l’acqua pubblica e contro il ritorno del nucleare sventolano sempre più in alto.

Referendum, ci siamo quasi

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Ci siamo quasi. Domenica si vota. Per i comitati del Sì, per le associazioni ambientaliste e per i tantissimi cittadini che sin dalla raccolta firme si sono spesi in prima persona con generosità e dedizione in difesa dell’acqua pubblica e per una energia pulita, questi sono gli ultimi sforzi. Venerdì sera, a piazza Ferretto, Mestre, è in programma una grande festa di chiusura regionale, in attesa di replicarla, magari domenica sera stessa, dopo il raggiungimento del quorum. Ma in questa settimana, il nordest è tutto un fiorire di iniziative di sensibilizzazione. Sabato si è conclusa la lunga marcia organizzata da associazioni come Mountain Wilderness e Cipra, cui hanno partecipato anche rappresentanti dei popoli indigeni della Colombia. Gli attivisti hanno marciato lungo i principali corsi d’acqua del Trentino, seguendo il corso del fiume Noce in val di Non e in val di Sole, dalla foce fino alla confluenza con il fiume Adige.


Altri marciatori partiti dalla valle di Rabbi, si sono uniti al gruppo seguendo il Rabbies e altri ancora camminando lungo le sponde del Novella, supportati dalle associazioni di rafting e di canoa.
Gli attivisti di Primiero hanno seguito il Vanoi e il comitato Abc delle Giudicarie ha percorso in bicicletta la val Rendena. Partiti chi il mercoledì e chi il giovedì, sono tutti confluiti sabato 5 a Trento per festeggiare in piazza Duomo.
A Venezia, come abbiamo già scritto su Terra, la notte prima della decisione della Corte di Cassazione di validare il quesito sul nucleare, una cinquantina di attivisti ha campeggiato con tanto di tende e sacchi a pelo in piazza San Marco. A Marghera, sabato scorso, i graffitari hanno colorato i grigi muri di piazza del Mercato per celebrare il Godzilla Day. Il fantascientifico mostro giapponese, ricordiamocelo, era proprio un prodotto delle radiazioni nucleari. Neanche la Biennale è rimasta fuori. Il giorno del vernissage, sabato, una barca a vela che batteva l’insegna di Emergency ha percorso il bacino di San Marco sventolando bandiere contro il nucleare e gridando slogan dai megafoni. Un altro gruppo di attivisti si è dato battaglia ai Giardini, davanti ai padiglioni, con pistole d’acqua.
Tra le tante prese di posizione, val la pena citare le monache del convento delle Carmelitane Scalze. Sì, proprio le suore di clausura che, crediamo, dal tempo dei dogi e anche prima, non avevano mai preso posizione su una qualsiasi faccenda terrena. Proprio loro, hanno scritto una lettera a tutti i preti della Diocesi di Venezia, invitandoli a pubblicizzare il referendum tra i fedeli. Le vie del Signore, ha osservato qualcuno, sono davvero infinite. La stessa rete interdiocesana, d’altra parte, si è formalmente schierata a tutela di un bene comune che è anche un dono di dio. “Può un credente – hanno scritto – accettare una economia che pretende di mercificare anche l’acqua del battesimo?”
Tra le tantissime iniziative che proprio non ci stanno in un solo articolo di giornale, scegliamo di chiudere con la storia di Francesca, giovanissima mamma che sale sui vaporetti di Venezia col piccolo ancora in fasce per distribuire volantini tra la gente. “Lo faccio per il futuro di mio figlio – mi spiega-. Tanti non sanno ancora che ci sarà un referendum. Molti mi ringraziano e mi dicono di risparmiare il volantino che già voteranno sì. Allora io gliene allungo 2 o 3 per aiutarmi nella distribuzione e loro accettano sempre volentieri. Capita che qualcuno mi dica che non vuole saperne di politica. Io apro un dialogo e tutto il vaporetto ascolta o partecipa. Alla fine tutti mi sorridono, si crea un legame, forse passa un po' di energia, cadono dei muri, non siamo più dei singoli viaggiatori in un vaporetto ma parte di una stessa comunità con obbiettivi comuni. Quando scendono mi salutano sorridendo e con una faccia meno spenta rispetto a quando sono saliti. Alle volte basta poco, vero?"

Camping No Nuke in piazza San Marco

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C’è da dire subito che in un posto così di lusso non ci aveva mai campeggiato nessuno. Di fronte l’isola di San Giorgio chiude l’orizzonte della laguna con la sua elegante chiesa del Palladio, a sinistra gli arabeschi di palazzo Ducale, a destra l’imponente struttura delle procuratie nuove e della biblioteca Marciana, dietro i dorati mosaici della basilica bizantina. Tutto intorno, gli sguardi stupiti delle migliaia di turisti che non si aspettavano di trovare un “camping anti nucleare” in mezzo a piazza San Marco.
“Abbiamo deciso di intraprendere una azione così spettacolare - spiega Beppe Caccia, consigliere comunale della lista In Comune con Bettin - per chiedere alla Corte di Cassazione di non defraudare gli italiani un loro diritto costituzionale come quello di potersi esprimere in un referendum. Ricordiamoci che il decreto Omnibus non comporta una vera rinuncia alla costruzione di centrali nucleari ma un semplice rinvio in attesa che l’opinione pubblica dimentichi il disastro di Fukushima. Come d’altra parte, ha ammesso lo stesso Silvio Berlusconi”.



Gli attivisti, una cinquantina circa, hanno cominciato a montare le tende all’ombra del campanile verso le 18 di martedì, srotolando lunghi striscioni e ricoprendo di bandiere gialle “Mai + Nucleare” le antiche colonne di Marco e Todaro. Il campeggio è continuato sino al mezzogiorno del giorno dopo, nonostante la sera si sia alzata un po’ di marea (ricordiamo che San marco è il punto più basso della città) e la mattina Venezia si sia svegliata sotto una fastidiosa pioggia.
Da rimarcare come il presidio anti nucleare sia stato accolto con favore e simpatia da tutti i turisti che hanno affollato la piazza. E che non sono mai pochi. E’ pur vero che per la grande maggioranza si tratta di cittadini stranieri e che di conseguenza non potranno influire sul raggiungimento del quorum ma rimane comunque un dato positivo le numerose dimostrazioni di solidarietà dimostrate agli attivisti da tanti giapponesi, inglesi e tedeschi in particolare. Menzione a parte per un gruppo di spagnoli “indignati” che si sono addirittura uniti all’iniziativa.
“Perché piazza San Marco? - risponde Beppe Caccia - perché questa piazza è il salotto buono d’Europa e, soprattutto in questi giorni in cui si aprono i padiglioni della Biennale d’Arte, è sotto i riflettori di tutto il mondo. Per squarciare quella cappa di silenzio mediatico con la quale le televisioni e la maggior parte dei mezzi di stampa stanno cercando di mettere a tacere tutto quello che riguarda i referendum, abbiamo scelto di occupare simbolicamente questa piazza per ricordare a tutti gli italiani e anche a tutto il resto del mondo che noi il referendum lo vogliamo. Vogliamo votare, vogliamo raggiungere il quorum e poi vogliamo anche vincere. Perché Chernobyl, Three Mile Island e Fukushima bastano e avanzano per farci capire che nel nucleare, l’unica cosa sicura sono i rischi”. Ultima nota per il Comune di Venezia che si sta impegnando in prima persona nella battaglia referendaria e si è speso per far ottenere agli attivisti tutti i permessi necessari per piantare le tende in piazza ed inoltre, tramite l’assessore all’ambiente Gianfranco Bettin, si è costituito capofila di una rete di Comuni veneti in difesa dell’acqua pubblica ed ha tappezzato le via della città con manifesti “Il 12 e il 13 giugno si vota”. E quel “si” non avrà l’accento ma è comunque scritto più in grande.

Emergency, attacco all'ambulatorio

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Un bel siluro, quello che Antonio Padoan, direttore generale dell’Ulss, ha tirato ad Emergency colpevole, secondo lui, di aver aperto a Marghera “un ambulatorio senza nessun accordo né consenso con le autorità sanitarie, senza programmazione dei servizi, senza autorizzazioni e senza gli indispensabili requisiti di legge”. Tutto qua? No. Il direttore dell’Ulss veneziana – uomo politicamente vicino alla Lega Nord – ha aggiunto: “mi stupisco che uno come Gino Strada che si dice convinto assertore della sanità pubblica, di fatto, apra l’ennesima struttura privata! Non è chiaro per fare cosa”. Una scomunica vera e propria, quella di Padoan, che non è rimasta solo nelle dichiarazioni. Ad alcuni dei cinquanta volontari – tra medici ed infermieri – che, dopo il loro orario di lavoro nella struttura pubblica, si recano come volontari nell’ambulatorio di Emergengy, è stata recapitata una diffida a continuare la collaborazione gratuita. Diffida formale, con i timbri dell’Ulss, firmata e controfirmata dal direttore delle risorse umane Michele Bacchin. Nella lettera si argomenta che la struttura di Emergency risulta essere “un sistema alternativo e configgente rispetto a quello offerto dall’Ulss” e che, di conseguenza, da parte vostra, “la prosecuzione dell’attività non è più opportuna”.


Ricordiamo che l’ambulatorio situato in via Varè 6 è la seconda struttura che l’associazione ha aperto, per dirla con le parole di Gino Strada “in un Paese incivile in cui il diritto alle cure mediche non è accessibile a tutti: l’Italia”. Quello di Marghera infatti, è il secondo ambulatorio dopo Palermo.
Da quando ha iniziato la sua attività, il 2 dicembre scorso, il poliambulatorio che Padoan definisce “una delle tante strutture private” ha curato, gratuitamente e senza chiedere i documenti, quasi un migliaio di pazienti, elargendo circa 1800 prestazioni a persone indigenti, occupandosi soltanto della patologia e non del colore della pelle, del portafoglio o della regolarità del permesso di soggiorno. Il che, secondo Padoan, sarebbe una caratteristica di tutte le strutture di sanità private.
Ha dell’incredibile anche la motivazione adottata dal manager dell’Ulss 12, secondo il quale la struttura di Emergency è in “conflitto di interessi” con il pronto soccorso e farebbe da concorrenza alla sanità pubblica sottraendogli potenziali “clienti”. A parte il fatto che, se una “struttura privata” cura gratuitamente un indigente, per il pubblico questo può comportare solo un risparmio, in questa motivazione si legge chiaro l’idea privata che il direttore generale ha della sanità pubblica. “Proprio Padoan che gestisce un ospedale pubblico come quello dell’Angelo in modo privato, accusa noi che non ci guadagniamo un centesimo, di aver messo su una struttura privata? – si stupisce Gino Strada. – Il nostro ambulatorio è perfettamente in regola. L’Ulss ha già portato a termine tutte le ispezioni tecniche per verificare l’adeguatezza dei locali, ma evidentemente a Padoan non glielo hanno detto. Da parte nostra, non solo continueremo senza alcun dubbio a lavorare a Marghera, facendo quello che la sanità pubblica dovrebbe fare ma non fa, ma anzi, aumenteremo i servizi che la nostra struttura fornisce. E sottolineo, a tutti e in maniera assolutamente gratuita”. Tra le numerose voci che si sono levate in difesa di Emergency, c’è quella del sindaco di Venezia, Giorgio Orsoni: “Emergency ha tutte le autorizzazioni necessarie. Trovo scandaloso il comportamento della Regione che, invece di facilitare una iniziativa del genere, fa di tutto per ostacolarla”.

Chioggia contro l'atomo

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“Chi resta passivo, diventa radioattivo”. Uno slogan tanto provocatorio quanto efficace, se pensate che a scandirlo davanti ad una spiaggia piena di bagnanti spaparanzati al sole, è una catena umana lunga oltre un paio di chilometri. Una provocazione che colpito nel segno, considerato che in tanti hanno alzato il popò da sdraio e materassino per prendere per mano gli attivisti e allungare una catena che è riuscita a coprire tutto il lungomare di Sottomarina. Un successo che supera anche le più ottimistiche previsioni degli organizzatori, quello ottenuto dalla manifestazione contro il nucleare svoltasi sabato nella spiaggia vicino a Chioggia. Tra le sette e le ottocento persone hanno sfilato dalla piazza centrale di Sottomarina sino alla spiaggia con cartelli, striscioni, palloncini gialli e bandiere No Nuke per abbracciare simbolicamente con una lunga catena umana un’area che è tra le più “papabili” per una futura realizzazione di un impianto nucleare.


Una iniziativa pittoresca e di forte impatto che, tanto per cambiare, è stata quasi completamente ignorata dai media locali, tanto la stampa quanto le televisioni. Eppure, la stessa reazione positiva dei bagnanti che, non soltanto non hanno mostrato insofferenza ma hanno applaudito gli attivisti e in molti casi si sono aggiunti alla catena, dimostra che il pericolo di una deriva nucleare è fortemente sentito e il ricordo di Fukushima ancora vivo. “Io abito vicino a Costanza – mi ha spiegato un giovane studente rumeno in Italia per motivi di studio. Uno dei tanti bagnanti che si sono aggiunti alla manifestazione col costume addosso -. Il comunismo ci ha lasciato in eredità una centrale nucleare che non ha mai smesso di darci problemi e continua ancora oggi ad inquinare il Danubio e a devastare l’ecosistema del bel parco naturale realizzato nel delta. Cinque anni fa facevo il servizio militare, e per due settimane siamo stati tutti messi in allarme per un problema al reattore. Tutta la caserma con la tuta antiradiazione e fuori nessuno ne ha saputo mai niente. Neppure telefonare alle famiglie per avvertirle di allontanarsi, ci hanno lasciato. Alla fine ci è pure andata bene e i danni sono stati contenuti. Ma la prossima volta?”
“Un risultato straordinario” per Oscar Mancini, coordinatore veneto della campagna contro il nucleare, la manifestazione, “che fa ben sperare per il raggiungimento del quorum”. Soddisfatti anche i comitati “Due sì per l’acqua” che hanno partecipato alla manifestazione perché, come spiega Tommaso Cacciari, coordinatore per Venezia “acqua e nucleare due facce della stessa battaglia per l’ambiente, per un futuro desiderabile e per la stessa democrazia”. Insomma, una bella giornata di mare, di spiaggia, di attivismo e di alternativa politica. Lo stesso bel sole quasi estivo che ha accompagnato tutta la mobilitazione che si è conclusa la sera con un applaudito concerto di Caparezza al Rivolta, è stato la dimostrazione che sabato 12 e domenica 13 giugno si può tranquillamente programmare una gita al mare e passare prima per il seggio a mettere tre sì per ipotecare un futuro pulito.

Welcome, l'accoglienza degna

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Tanti. Tanti da non poter fare un elenco completo. C’erano gli amici di Emergengy che si sono impegnati ad aprire il loro ambulatorio anche al di fuori del consueto orario settimanale, quelli della camera del lavoro che mettono a disposizione la vicina mensa della Cgil. E ancora gli attivisti della casa dei beni comuni Morion di Venezia pronti a far da punto di riferimento per la raccolta di generi di prima necessità, gli insegnanti della scuola di italiano Liberalaparola con i loro corsi di lingua intensivi, Razzismo Stop e Melting Pot con lo sportello informativo e l’orientamento legale.
Chi, come Mani Tese e la cooperativa Il Villaggio, dispone di mezzi più limitati, si impegna nella raccolta di fondi. L’Agesci e gli scout si offrono per accompagnamento e assistenza. Anche gli ultras del Gate 22 sono scesi in campo per organizzare momenti di socialità allo stadio. Ognuno offre quello che ha. Come la cooperativa Il Fontego che mette a disposizione il suo collegamento internet, o il Magis che apre le porte per corsi formativi e condivisioni.


Tanti, dicevamo, da non poter fare un elenco completo. Anche perché all’appello per una “accoglienza degna” dei profughi provenienti dal nord africa, lanciato dalla Rete Tuttiidirittiumanipertutti si stanno aggiungendo una dopo l’altra tutte le isole del variegato arcipelago associazionista veneziano. Per non parlare dei singoli cittadini. Cito solo una delle tante mail arrivate alla Rete: “Sono una signora veneziana che vive sola. Ho una stanza vuota e la metto volentieri a disposizione per una donna o una ragazza. Non mi interessano i 40 euro al giorno. Li lascio a chi ha più bisogno di me”.

Una menzione a parte in questa gara di solidarietà, se la merita la cooperativa Caracol che a messo a disposizione della Prefettura il suo intero centro di accoglienza, all’interno del centro sociale Rivolta di Marghera, dove ogni inverno accoglie i senza fissa dimora della stazione: 24 posti letto divisi in camere da 4 posti. “E’ la nostra risposta a questa escalation di allarmi per l’arrivo dei profughi – spiega Vittoria Scarpa della Caracol -, una risposta a quanti creano emergenze ad arte col solo scopo di diffondere paure insensate, una risposta di civiltà ai tanti Muraro che parlano di respingere a mare quelle stesse persone che fuggono da una guerra e da un dittatore che sino a pochi mesi fa era armato dal nostro Paese”. Leonardo Muraro è il presidente leghista della provincia di Treviso che ha più volte dichiarato (in campagna elettorale) di essere “pronto a disobbedire allo stesso ministro Maroni pur di mantenersi fedele ai principi della lega e respingere i profughi”.
“Venezia non è Treviso e qui non si respinge nessuno. – ha commentato Alessandra Sciurba della Rete-. Non ci interessa se i profughi sono arrivati prima o dopo il 5 aprile. La solidarietà e i diritti non hanno scadenza. Noi vogliamo solo fare accoglienza. E vogliamo una accoglienza che sia degna. Non un tendone su un campo circondato di filo spinato. Una accoglienza che parta dal basso e capace di offrire futuro. Non possiamo lasciare che siano la Lega e la paura a dettar legge sul tema dei diritti fondamentali. C’è anche una società diversa che vuole costruire un altro mondo. Un mondo diverso. Un mondo migliore”.

La Costituente ecologista a Venezia

Legambiente, Wwf, comitati referendari per l’acqua e contro il nucleare, associazioni di respiro nazionale come il Vas e il Cai e associazioni meno note al grande pubblico come i Pediatri per un mondo possibile, reti civiche, amministratori di Comuni virtuosi come il sindaco di Cassinnetta, Domenico Finiguerra, e l’assessore di ponte delle Alpi Ezio Orzes, e ancora rappresentanti del presidio permanente contro la base Dal Molin di Vicenza come Cinzia Bottene, e di tante altre realtà si impegnano su temi che spaziano dai diritti alla difesa del territorio e dei beni comuni.
Tutti hanno risposto con entusiasmo all’appello per avviare il percorso di una costituente ecologista nella nostra regione. L’incontro si è svolto nel pomeriggio di sabato 14 al municipio di Mestre. Sul tavolo dei relatori, oltre al già citato Domenico Finiguerra intervenuto come promotore dell’appello Stop al consumo del territorio, Luana Zanella, portavoce dei verdi del Veneto per la costituente, Guido Pollice, presidente nazionale Vas, Giannandrea Mencini per l’appello “Abbiamo un sogno”. A far gli onori di casa, l’assessore all’ambiente del Comune di Venezia, Gianfranco Bettin. Nel complesso, l’incontro ha fornito una utile occasione per scambiarsi idee operative su come procedere nel percorso costitutivo in un panorama come quello politico italiano dove l’anomalia è la norma. “La crisi del nostro sistema – ha sottolineato Luana Zanella – non è solo economica ma investe oramai tutti i settori della vita civile. L’unica strada per uscirne è la nascita di un forte movimento ambientalista che vada ben oltre quello che era il partitino dei verdi italiani, e che, come già avviene in Europa, possa incidere nella scelte politiche”. Il sindaco di Cassinnetta dal canto suo, ha applaudito “la scelta coraggiosa dei verdi che hanno buttato il cuore oltre l’ostacolo, si sono sciolti e si sono lanciati in un salto senza rete come è questa avventura della costituente”. “Avventura che – dice – avrà senza dubbio buon fine perché, se c’è una cosa che mi hanno convinto i numerosi incontri che faccio in tutta l’Italia, è che lo spazio per creare una forza ambientalista anche nel nostro Paese, c’è”.
Applauditissimo anche l’intervento di Guido Pollice, uno che – pur se, sorridendo, giura di non crederci - non ha smesso di correre dietro ai sogni un solo istante della sua vita. “L’errore dei verdi è quello stato quello di essere un partito come tutti gli altri. La costituente invece deve essere capace di individuare temi sui quali morire. Deve uscire dalla logica staliniana di partito che fa da cinghia di trasmissione ai movimenti. Dovranno essere invece i movimenti stessi a fare da cinghia di trasmissione alla nuova costituente. Abbiamo davanti una opportunità meravigliosa: non facciamola diventare l’ennesimo partito di questo tristissimo panorama politico italiano”.
Panorama, dicevamo, dove le anormalità sono talmente tante da passare quasi inosservate. “Non mi riferisco solo a Berlusconi – ha dichiarato Gianfranco Bettin – o alla Lega, o a forze stravaganti come Grillo. L’anomalia italiana sta anche nella difficoltà di coagulare lo schieramento ambientalista e di farne una forza capace di condizionare la politica del Paese, anche dall’opposizione”. Un esempio, spiega Bettin, sono le recenti dichiarazioni del ministro Giulio Tremonti che dichiara che a lui delle spiagge non gliene frega niente perché pensa solo alla ripresa economica. In Europa nessun ministro potrebbe sparare una fesseria del genere perché gli ambientalisti lo farebbero subito tacere. E senza bisogno di essere al governo. “In Italia tutto ciò manca, ed è per questo che ci troviamo continuamente a combattere battaglie di retroguardia nel tentativo di limitare i danni e senza mai avere la forza per essere propositivi. – conclude Gianfranco Bettin - Oggi non c’è nessun partito che ponga l’ambiente al centro del suo programma eppure i movimenti ambientalisti non mancano e sono ricchi di combattività. Lo vediamo nella battaglia referendaria per l’acqua e contro il nucleare. Adesso, dobbiamo tradurre tutto questo in forza politica. Dobbiamo fare un salto in avanti e dobbiamo farlo ora perché non abbiamo più tempo. Ogni giorno che passa consuma luoghi e modi”.

Comuni a cinque stelle

Non poteva essere che Ezio Orzes, assessore all’ambiente del Comune più “riciclone” d’Italia - Ponte delle Alpi nel bellunese - a presentare la quinta edizione del premio promosso dall’associazione Comuni Virtuosi, “Comuni a 5 Stelle”, ovvero: buone prassi per una decrescita felice. “L’obiettivo è quello di far entrare nelle amministrazioni pubbliche concetti che ora, per lo più, gli sono estranei, come la difesa dei beni comuni e il risparmio del territorio - ha spiegato Orzes -. Pratiche che non possono essere circoscritte nell’ambito della pur doverosa tutela dell’ambiente, ma che vanno allargate ai nostri ideali democrazia e di futuro desiderabile”.
Cinque stelle per cinque progetti da premiare: buona gestione del territorio come cementificazione zero e bioedilizia; raccolta differenziata; ecologia nella macchina comunale su temi come l’efficenza energetica e gli acquisti verdi; mobiltà sostenibile; nuovi stili di vita come la diffusione del commercio equo e solidale e la finanza etica. Il termine per presentare i progetti - progetti, si intende, già conclusi e i cui risultati sono quantificabili - per i Comuni che aspirano a giudicarsi una di queste stelle è il prossimo 30 giugno. La cerimonia di premiazione, che avverrà nell’ambito di una tre giorni di incontri dedicata ai temi della decrescita, si svolgerà sabato 17 settembre a Ponte delle Alpi. Per informazioni e per scaricare il bando, navigate sull’interessante sito dell’associazione: www.comunivirtuosi.org.
La presentazione dell’iniziativa che riguarda l’intero territorio azionale si è svolta a Venezia, giovedì 5 maggio, alla presenza dell’assessore all’ambiente del Comune lagunare, Gianfranco Bettin. Tra i partecipanti, anche Gianluca Fioretti, sindaco “virtuoso” di Monsano (Ancona) e presidente dell’associazione. “Fa piacere - ha commentato Bettin - trovare degli amministratori il cui obbiettivo non consiste solo nel far quadrare i conti del proprio municipio ma anche prestare attenzione alla buona modernità, che non consiste nel realizzare grandi opere ma nell’attenersi ai veri criteri che danno la misura della qualità della vita: il rinnovabile, il risparmio del territorio e l’equità sociale”.
L’associazione Comuni a 5 Stelle (che non ha niente a che vedere con il movimento lanciato da Beppe Grillo) è una rete di amministrazioni locali formatasi nel maggio del 2005 col proposito di cambiare la politica partendo dal basso tramite azioni concrete capaci di coinvolgere direttamente la comunità. “Il nostro motto – ha spiegato il presidente Gianluca Fioretti – è: investire per risparmiare in futuro. I nostri obiettivi sono sostanzialmente due: incentivare la macchina amministrativa a seguire le cosiddette buone pratiche, dal risparmio energetico alla gestione virtuosa del ciclo dei rifiuti, e, nello stesso tempo, raccogliere e mettere a disposizione degli amministratori interessati tutte le informazioni e le documentazioni utili ad avviare questi progetti, dalle delibere ai capitolati, dalle consulenze ai regolamenti. Le buone pratiche, perché siano davvero buone, debbono essere soprattutto concrete”.
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