In questa pagina ho riportato gli ultimi articoli che ho scritto per il quotidiano ambientalista Terra, il settimanale Carta, Manifesto, per siti come Global Project, FrontiereNews o siti di associazioni come In Comune con Bettin e altro ancora.
Comuni a cinque stelle
10/05/2011TerraNon poteva essere che Ezio Orzes, assessore all’ambiente del Comune più “riciclone” d’Italia - Ponte delle Alpi nel bellunese - a presentare la quinta edizione del premio promosso dall’associazione Comuni Virtuosi, “Comuni a 5 Stelle”, ovvero: buone prassi per una decrescita felice. “L’obiettivo è quello di far entrare nelle amministrazioni pubbliche concetti che ora, per lo più, gli sono estranei, come la difesa dei beni comuni e il risparmio del territorio - ha spiegato Orzes -. Pratiche che non possono essere circoscritte nell’ambito della pur doverosa tutela dell’ambiente, ma che vanno allargate ai nostri ideali democrazia e di futuro desiderabile”.
Cinque stelle per cinque progetti da premiare: buona gestione del territorio come cementificazione zero e bioedilizia; raccolta differenziata; ecologia nella macchina comunale su temi come l’efficenza energetica e gli acquisti verdi; mobiltà sostenibile; nuovi stili di vita come la diffusione del commercio equo e solidale e la finanza etica. Il termine per presentare i progetti - progetti, si intende, già conclusi e i cui risultati sono quantificabili - per i Comuni che aspirano a giudicarsi una di queste stelle è il prossimo 30 giugno. La cerimonia di premiazione, che avverrà nell’ambito di una tre giorni di incontri dedicata ai temi della decrescita, si svolgerà sabato 17 settembre a Ponte delle Alpi. Per informazioni e per scaricare il bando, navigate sull’interessante sito dell’associazione: www.comunivirtuosi.org.
La presentazione dell’iniziativa che riguarda l’intero territorio azionale si è svolta a Venezia, giovedì 5 maggio, alla presenza dell’assessore all’ambiente del Comune lagunare, Gianfranco Bettin. Tra i partecipanti, anche Gianluca Fioretti, sindaco “virtuoso” di Monsano (Ancona) e presidente dell’associazione. “Fa piacere - ha commentato Bettin - trovare degli amministratori il cui obbiettivo non consiste solo nel far quadrare i conti del proprio municipio ma anche prestare attenzione alla buona modernità, che non consiste nel realizzare grandi opere ma nell’attenersi ai veri criteri che danno la misura della qualità della vita: il rinnovabile, il risparmio del territorio e l’equità sociale”.
L’associazione Comuni a 5 Stelle (che non ha niente a che vedere con il movimento lanciato da Beppe Grillo) è una rete di amministrazioni locali formatasi nel maggio del 2005 col proposito di cambiare la politica partendo dal basso tramite azioni concrete capaci di coinvolgere direttamente la comunità. “Il nostro motto – ha spiegato il presidente Gianluca Fioretti – è: investire per risparmiare in futuro. I nostri obiettivi sono sostanzialmente due: incentivare la macchina amministrativa a seguire le cosiddette buone pratiche, dal risparmio energetico alla gestione virtuosa del ciclo dei rifiuti, e, nello stesso tempo, raccogliere e mettere a disposizione degli amministratori interessati tutte le informazioni e le documentazioni utili ad avviare questi progetti, dalle delibere ai capitolati, dalle consulenze ai regolamenti. Le buone pratiche, perché siano davvero buone, debbono essere soprattutto concrete”.
Cinque stelle per cinque progetti da premiare: buona gestione del territorio come cementificazione zero e bioedilizia; raccolta differenziata; ecologia nella macchina comunale su temi come l’efficenza energetica e gli acquisti verdi; mobiltà sostenibile; nuovi stili di vita come la diffusione del commercio equo e solidale e la finanza etica. Il termine per presentare i progetti - progetti, si intende, già conclusi e i cui risultati sono quantificabili - per i Comuni che aspirano a giudicarsi una di queste stelle è il prossimo 30 giugno. La cerimonia di premiazione, che avverrà nell’ambito di una tre giorni di incontri dedicata ai temi della decrescita, si svolgerà sabato 17 settembre a Ponte delle Alpi. Per informazioni e per scaricare il bando, navigate sull’interessante sito dell’associazione: www.comunivirtuosi.org.
La presentazione dell’iniziativa che riguarda l’intero territorio azionale si è svolta a Venezia, giovedì 5 maggio, alla presenza dell’assessore all’ambiente del Comune lagunare, Gianfranco Bettin. Tra i partecipanti, anche Gianluca Fioretti, sindaco “virtuoso” di Monsano (Ancona) e presidente dell’associazione. “Fa piacere - ha commentato Bettin - trovare degli amministratori il cui obbiettivo non consiste solo nel far quadrare i conti del proprio municipio ma anche prestare attenzione alla buona modernità, che non consiste nel realizzare grandi opere ma nell’attenersi ai veri criteri che danno la misura della qualità della vita: il rinnovabile, il risparmio del territorio e l’equità sociale”.
L’associazione Comuni a 5 Stelle (che non ha niente a che vedere con il movimento lanciato da Beppe Grillo) è una rete di amministrazioni locali formatasi nel maggio del 2005 col proposito di cambiare la politica partendo dal basso tramite azioni concrete capaci di coinvolgere direttamente la comunità. “Il nostro motto – ha spiegato il presidente Gianluca Fioretti – è: investire per risparmiare in futuro. I nostri obiettivi sono sostanzialmente due: incentivare la macchina amministrativa a seguire le cosiddette buone pratiche, dal risparmio energetico alla gestione virtuosa del ciclo dei rifiuti, e, nello stesso tempo, raccogliere e mettere a disposizione degli amministratori interessati tutte le informazioni e le documentazioni utili ad avviare questi progetti, dalle delibere ai capitolati, dalle consulenze ai regolamenti. Le buone pratiche, perché siano davvero buone, debbono essere soprattutto concrete”.
La decrescita ad Este
19/04/2011TerraBuone pratiche e nuovi stili di vita per dare un futuro alla nostra terra. Un futuro “felice”, in cui l’uomo riprenda coscienza del suo ruolo affrancandosi dalle mistificazioni funzionali solo ad un mercato dove anche diritti e ambiente sono diventati merci da vendere e comprare in nome di un “dio sviluppo” la cui insostenibilità è oramai evidente a tutti. Ad Este, elegante cittadina medioevale immersa nell’incantevole cornice verde del parco dei colli Euganei, va in scena la Decrescita.
L’ospite d’onore di questo primo festival “Dal dire al fare sostenibile”, svoltosi venerdì 15 nelle sale dell’accademia dell’Artigianato, non poteva che essere Maurizio Pallante che ha aperto una serie di interventi che hanno avuto come protagonisti assessori come Ezio Orzes di Ponte delle Alpi e la stessa Beatrice Andreose di Este, organizzatrice del festival, che sulle buone pratiche e sull’Agenda 21 hanno incardinato le loro politiche ambientali. Eppure, la vera sorpresa del festival non sono stati i grandi nomi ma gli studenti delle scuole superiori estensi che hanno presentato una serie di lavori rileggendo con intelligenza e preparazione, attraverso la lente della decrescita, temi come la pace, il nucleare, gli stili di vita, il consumo del suolo, i beni comuni. Merito degli studenti certo, ma anche di quei professori che, tra tanti attacchi alla scuola pubblica, “continuano imperterriti ad inculcare idee sinistrose ai nostri figli”, come ha recentemente dichiarato il nostro presidente del consiglio.
Maurizio Pallante che ha ascoltato attentamente le relazioni dei ragazzi ha osservato: “Di solito, sono io che vado ai convegni per portare speranza, ma stavolta sono stati questi ragazzi a rincuorare me”. Dopo gli interventi di alcuni imprenditori come Pierluigi Perinello, che hanno dimostrato come si possa fare buona economia rispettando l’ambiente e i diritti dei lavoratori uscendo dalle gabbie dei marchi, il microfono è passata al fondatore del movimento per la decrescita felice. “Dire che la felicità di un Paese e dei suoi cittadini si misura col Pil e con i consumi - ha spiegato Pallante - è come dire che quando siamo malati e assumiamo tante medicine costose dobbiamo essere contenti perché mettiamo in moto l’economia”. Lo studioso ha quindi parlato di Fukushima raccontando di un elettrodomestico cui i giapponesi non sanno rinunciare: la tavoletta del water riscaldata. “Il problema dell’energia non è solo quello di passare dalle fossili alle rinnovabili ma soprattutto quello di ridurre gli sprechi. Un concetto questo, che sfugge anche a tanti ambientalisti. Dobbiamo cambiare il nostro modo di pensare all’economia e ai consumi. L’epoca storica nata con la rivoluzione industriale sta finendo. Siamo in un momento di passaggio ed a noi tocca il difficile compito di ridisegnare un paradigma culturale”. Un concetto ribadito in chiusura del convegno anche da Beatrice Andreose, assessora all’ambiente di Este. “Le fonti rinnovabili, l’efficenza energetica, il riciclo totale, la salvaguardia del territorio, uno stile di vita più sobrio e solidale costituiscono la base per costruire un futuro diverso. L’unico futuro possibile. In gioco non ci sono solo le nostre città ma il destino dell’intera umanità”.
L’ospite d’onore di questo primo festival “Dal dire al fare sostenibile”, svoltosi venerdì 15 nelle sale dell’accademia dell’Artigianato, non poteva che essere Maurizio Pallante che ha aperto una serie di interventi che hanno avuto come protagonisti assessori come Ezio Orzes di Ponte delle Alpi e la stessa Beatrice Andreose di Este, organizzatrice del festival, che sulle buone pratiche e sull’Agenda 21 hanno incardinato le loro politiche ambientali. Eppure, la vera sorpresa del festival non sono stati i grandi nomi ma gli studenti delle scuole superiori estensi che hanno presentato una serie di lavori rileggendo con intelligenza e preparazione, attraverso la lente della decrescita, temi come la pace, il nucleare, gli stili di vita, il consumo del suolo, i beni comuni. Merito degli studenti certo, ma anche di quei professori che, tra tanti attacchi alla scuola pubblica, “continuano imperterriti ad inculcare idee sinistrose ai nostri figli”, come ha recentemente dichiarato il nostro presidente del consiglio.
Maurizio Pallante che ha ascoltato attentamente le relazioni dei ragazzi ha osservato: “Di solito, sono io che vado ai convegni per portare speranza, ma stavolta sono stati questi ragazzi a rincuorare me”. Dopo gli interventi di alcuni imprenditori come Pierluigi Perinello, che hanno dimostrato come si possa fare buona economia rispettando l’ambiente e i diritti dei lavoratori uscendo dalle gabbie dei marchi, il microfono è passata al fondatore del movimento per la decrescita felice. “Dire che la felicità di un Paese e dei suoi cittadini si misura col Pil e con i consumi - ha spiegato Pallante - è come dire che quando siamo malati e assumiamo tante medicine costose dobbiamo essere contenti perché mettiamo in moto l’economia”. Lo studioso ha quindi parlato di Fukushima raccontando di un elettrodomestico cui i giapponesi non sanno rinunciare: la tavoletta del water riscaldata. “Il problema dell’energia non è solo quello di passare dalle fossili alle rinnovabili ma soprattutto quello di ridurre gli sprechi. Un concetto questo, che sfugge anche a tanti ambientalisti. Dobbiamo cambiare il nostro modo di pensare all’economia e ai consumi. L’epoca storica nata con la rivoluzione industriale sta finendo. Siamo in un momento di passaggio ed a noi tocca il difficile compito di ridisegnare un paradigma culturale”. Un concetto ribadito in chiusura del convegno anche da Beatrice Andreose, assessora all’ambiente di Este. “Le fonti rinnovabili, l’efficenza energetica, il riciclo totale, la salvaguardia del territorio, uno stile di vita più sobrio e solidale costituiscono la base per costruire un futuro diverso. L’unico futuro possibile. In gioco non ci sono solo le nostre città ma il destino dell’intera umanità”.
I danni del decreto Romani
5/04/2011Terra“Siamo incazzati neri. In azienda abbiamo dodici impiegati che si girano i pollici dalla mattina alla sera, una quindicina di tecnici che non ha niente da fare che guardare dalla finestra e, fuori delle porta, una trentina di persone che stavamo per assumere e alle quali abbiamo dovuto spiegare che non se ne faceva più niente perché il governo italiano ha deciso di stoppare un settore che qualsiasi altro paese d’Europa ritiene strategico alla crescita dell’economia del futuro.
Quindi non stupitevi se vi diciamo che siamo incazzati neri”. Il settore strategico cui parla Marco Fiorese, ingegnere e amministratore delegato della vicentina Bluenergy Control srl, è naturalmente quello del fotovoltaico. Un settore, rimarca Fiorese, florido come pochi altri e che dà (dava) lavoro in Italia a più di 120 mila lavoratori di circa 2 mila aziende. Un settore in piena crescita con 180 mila impianti installati per il 90% di piccole dimensioni, inferiori ai 20 kw, ma che nel loro insieme producono una potenza complessiva di 7 mila megawatt; pari a sette di quelle centrali atomiche che i nuclearisti vorrebbero realizzare. Un settore che il Governo ha deciso di affossare col noto decreto Romani, non per caso soprannominato “ammazza rinnovabili”. Marco Fiorese, assieme ai rappresentanti della rete Imprese Venete per il Solare, a Simone Tola dell'Agenzia Veneziana per l’Energia e all’assessore all’ambiente Gianfranco Bettin, ha partecipato ad un incontro con la stampa per denunciare le gravi condizioni in cui si troveranno tanto le aziende legate al fotovoltaico quanto i cittadini che contavano sugli incentivi statali per coprire le spese dell’impianto. “Più che un atto irresponsabile – ha commentato Bettin – questo del governo è stato un tentativo di affossare il rinnovabile per spingere il Paese verso l’avventura nucleare. Fukushima ha impedito, per adesso, che il cerchio si chiudesse, ma il decreto era stato oramai varato. Col risultato di dare un colpo, speriamo non mortale, ad un settore che non solo rappresentava l’energia del futuro ma che era esso stesso un esempio dell’industria del futuro. Non parliamo del fotovoltaico delle gradi distese coperte da pannelli, ma degli impianti diffusi e capillari. Adesso tutto è stato messo a rischio da un decreto insensato”. Nella nostra regione, sono più di 24 mila gli impianti installati. Nella sola provincia di Venezia, circa 9 mila le famiglia si sono affidate al fotovoltaico. Nel chiedere che il Governo riproponga al più presto una politica di incentivi atta a far ripartire il settore, i portavoce della rete delle aziende del fotovoltaico non hanno potuto fare a meno di notare di come, in ogni caso, un danno sicuramente inevitabile sarà il crollo di fiducia dei potenziali investitori e dei clienti. Per non parlare dell’ennesima figura barbina che il nostro Paese sta facendo in Europa dove abbiamo sottoscritto pochi mesi fa un impegno per raggiungere il 17 per cento di rinnovabile entro il 2020. “Noi importavamo i nostri pannelli dall’estero – conclude Fiorese – quando gli ho spiegato che non ne potevo più acquistare perché il nostro governo ha deciso di bloccare i fondi al fotovoltaico, non mi hanno creduto. Han pensato che volessi cambiare fornitore. Non potevano credere che un governo, neppure quello italiano, potesse davvero voler affossare l’energia del futuro”.
Quindi non stupitevi se vi diciamo che siamo incazzati neri”. Il settore strategico cui parla Marco Fiorese, ingegnere e amministratore delegato della vicentina Bluenergy Control srl, è naturalmente quello del fotovoltaico. Un settore, rimarca Fiorese, florido come pochi altri e che dà (dava) lavoro in Italia a più di 120 mila lavoratori di circa 2 mila aziende. Un settore in piena crescita con 180 mila impianti installati per il 90% di piccole dimensioni, inferiori ai 20 kw, ma che nel loro insieme producono una potenza complessiva di 7 mila megawatt; pari a sette di quelle centrali atomiche che i nuclearisti vorrebbero realizzare. Un settore che il Governo ha deciso di affossare col noto decreto Romani, non per caso soprannominato “ammazza rinnovabili”. Marco Fiorese, assieme ai rappresentanti della rete Imprese Venete per il Solare, a Simone Tola dell'Agenzia Veneziana per l’Energia e all’assessore all’ambiente Gianfranco Bettin, ha partecipato ad un incontro con la stampa per denunciare le gravi condizioni in cui si troveranno tanto le aziende legate al fotovoltaico quanto i cittadini che contavano sugli incentivi statali per coprire le spese dell’impianto. “Più che un atto irresponsabile – ha commentato Bettin – questo del governo è stato un tentativo di affossare il rinnovabile per spingere il Paese verso l’avventura nucleare. Fukushima ha impedito, per adesso, che il cerchio si chiudesse, ma il decreto era stato oramai varato. Col risultato di dare un colpo, speriamo non mortale, ad un settore che non solo rappresentava l’energia del futuro ma che era esso stesso un esempio dell’industria del futuro. Non parliamo del fotovoltaico delle gradi distese coperte da pannelli, ma degli impianti diffusi e capillari. Adesso tutto è stato messo a rischio da un decreto insensato”. Nella nostra regione, sono più di 24 mila gli impianti installati. Nella sola provincia di Venezia, circa 9 mila le famiglia si sono affidate al fotovoltaico. Nel chiedere che il Governo riproponga al più presto una politica di incentivi atta a far ripartire il settore, i portavoce della rete delle aziende del fotovoltaico non hanno potuto fare a meno di notare di come, in ogni caso, un danno sicuramente inevitabile sarà il crollo di fiducia dei potenziali investitori e dei clienti. Per non parlare dell’ennesima figura barbina che il nostro Paese sta facendo in Europa dove abbiamo sottoscritto pochi mesi fa un impegno per raggiungere il 17 per cento di rinnovabile entro il 2020. “Noi importavamo i nostri pannelli dall’estero – conclude Fiorese – quando gli ho spiegato che non ne potevo più acquistare perché il nostro governo ha deciso di bloccare i fondi al fotovoltaico, non mi hanno creduto. Han pensato che volessi cambiare fornitore. Non potevano credere che un governo, neppure quello italiano, potesse davvero voler affossare l’energia del futuro”.
Tra i senza dimora di Venezia
15/03/2011TerraL’ultimo treno della notte parte alle 12 e 47. Il primo treno è alle 4 e 24. In mezzo c’è solo freddo e disperazione. La sala d’aspetto, l’unico locale riscaldato della stazione, ha chiuso alle 9,30 e la trentina di senza dimora che vi aveva trovato rifugio si è trascinata davanti alla biglietteria. Non c’è impianto di riscaldamento qui, ma è comunque un luogo riparato. L’inverno e il gelo assassino rimangono al di là delle grandi vetrate. Ma con l’ultimo treno della notte anche quest’ultima trincea cade. Gli agenti della polfer sgomberano la sala e tocca accomodarsi fuori, sul marciapiede, con un cartone come lenzuolo. I più fortunati con una coperta lisa. Ed è a questo punto che alla stazione di Mestre arriva il furgoncino dei ragazzi della Caracol. Un nome che sventola come una bandiera. Caracol, che in castigliano significa “chiocciola”, è l’appellativo con il quale gli zapatisti del Messico indicano i loro municipi liberati. Tra i dodici ragazzi che compongono questa cooperativa cui il Comune di Venezia ha appaltato i servizi di prima linea nel campo del disagio sociale, non se ne trova uno che non abbia trascorso perlomeno un paio di estati nel Chiapas con le carovane solidali di Ya Basta.
Alla Caracol è stato affidato il compito più duro sul fronte dell’assistenza sociale del Comune lagunare. “Quando scende l’inverno il nostro lavoro è principalmente quello di contattare i senza dimora – mi spiega Vittoria Scarpa – cercandoli nei luoghi dove si rifugiano e di indirizzarli ai servizi di ospitalità e accoglienza che offre la città. Rimane comunque sempre uno zoccolo duro composto generalmente dai casi più disperati spesso vittime dell’alcolismo, della tossicodipendenza, con problemi psichici o tutto insieme. Quando arriva il grande freddo andiamo a prenderli col furgoncino e li portiamo al centro sociale Rivolta dove possiamo mettere a disposizione sei stanze da 24 posti letto. Purtroppo non sempre bastano a coprire il bisogno. E’ capitato che trovassimo in stazione anche una ottantina di persone bisognose. In questi casi diamo la precedenza alle donne o ai malati. Gli altri cerchiamo di arrangiarli con coperte e termos di tè bollente”.
Caracol fa parte del tavolo di coordinamento del progetto Senza fissa dimora del Comune di Venezia che raggruppa una dozzina di associazioni e che fu istituito una quindicina di anni fa dall’allora assessora Luana Zanella e in seguito portato avanti da altri assessori verdi come Beppe Caccia e Gianfranco Bettin. Attualmente, sommando le varie potenzialità messe a disposizione dai vari componenti del tavolo come la Caritas e i frati cappuccini, nel Comune di Venezia i posti letto per indigenti sono circa 400 e le mense popolari possono fornire almeno il doppio dei pasti. Vogliamo fare un raffronto con la leghista Treviso che ha 12 posti letto e una mensa da 30 pasti al giorno feste escluse? “E’ tutta una questione di scelte politiche – mi spiega Davide Mozzato, meglio conosciuto come Momo, responsabile della Caracol-. A Treviso la lega e la destra hanno smantellato tutto quel che c’era. Semplicemente occuparsi di questa gente non fa parte del loro programma politico. La crisi non centra. Dicono che vogliono pensare alle sicurezza. Magari spendendo denaro nelle ronde padane. Eppure, mi chiedo, questa cha facciamo noi non è forse sicurezza? Se tutti, anche i più poveri, hanno un posto letto e qualcosa da mangiare non stiamo meglio tutti? Altrimenti che deve fare un disgraziato se non rubare? Dicono che bisogna pensare al decoro, che i poveri non son belli fa vedersi per le strade. Beh, io preferisco vedere loro che tante facce di m... incravattate che si vedono nei telegiornali”.
Momo, lo avrete capito, è uno che va senza paura controcorrente. Così come controcorrente è la politica sociale del Comune di Venezia in un Veneto dove la Lega la fa da padrona a casa nostra. Crisi o non crisi, i tagli della Regione cadono tutti qua. Dai 200 mila euro stanziati nel 2007 per gli interventi sociali siamo arrivati agli attuali 54 mila euro. Non è un settore questo che cattura voti come le politiche a favore dei cacciatori. E perché poi la Regione dovrebbe aiutare una città da sempre schierata a sinistra, le cooperative dell’area dei centri sociali e una politica che è la dimostrazione pratica di come si ottengano più risultati con l’accoglienza che con la cosiddetta “tolleranza zero”?
“Il Comune sta facendo i salti mortali per mantenere gli standard – conclude Momo – ma è sempre più dura. Guarda i miei ragazzi che distribuiscono le coperte e il tè. Sono tre mesi che non ricevono i contributi e sono ancora tutti qua. Adesso per fortuna la primavera sta arrivando e chiudiamo anche noi. Per le cento notti più fredde dell’anno la Caracol ha presidiato le strade e a Venezia nessuno è morto di freddo”.
Alla Caracol è stato affidato il compito più duro sul fronte dell’assistenza sociale del Comune lagunare. “Quando scende l’inverno il nostro lavoro è principalmente quello di contattare i senza dimora – mi spiega Vittoria Scarpa – cercandoli nei luoghi dove si rifugiano e di indirizzarli ai servizi di ospitalità e accoglienza che offre la città. Rimane comunque sempre uno zoccolo duro composto generalmente dai casi più disperati spesso vittime dell’alcolismo, della tossicodipendenza, con problemi psichici o tutto insieme. Quando arriva il grande freddo andiamo a prenderli col furgoncino e li portiamo al centro sociale Rivolta dove possiamo mettere a disposizione sei stanze da 24 posti letto. Purtroppo non sempre bastano a coprire il bisogno. E’ capitato che trovassimo in stazione anche una ottantina di persone bisognose. In questi casi diamo la precedenza alle donne o ai malati. Gli altri cerchiamo di arrangiarli con coperte e termos di tè bollente”.
Caracol fa parte del tavolo di coordinamento del progetto Senza fissa dimora del Comune di Venezia che raggruppa una dozzina di associazioni e che fu istituito una quindicina di anni fa dall’allora assessora Luana Zanella e in seguito portato avanti da altri assessori verdi come Beppe Caccia e Gianfranco Bettin. Attualmente, sommando le varie potenzialità messe a disposizione dai vari componenti del tavolo come la Caritas e i frati cappuccini, nel Comune di Venezia i posti letto per indigenti sono circa 400 e le mense popolari possono fornire almeno il doppio dei pasti. Vogliamo fare un raffronto con la leghista Treviso che ha 12 posti letto e una mensa da 30 pasti al giorno feste escluse? “E’ tutta una questione di scelte politiche – mi spiega Davide Mozzato, meglio conosciuto come Momo, responsabile della Caracol-. A Treviso la lega e la destra hanno smantellato tutto quel che c’era. Semplicemente occuparsi di questa gente non fa parte del loro programma politico. La crisi non centra. Dicono che vogliono pensare alle sicurezza. Magari spendendo denaro nelle ronde padane. Eppure, mi chiedo, questa cha facciamo noi non è forse sicurezza? Se tutti, anche i più poveri, hanno un posto letto e qualcosa da mangiare non stiamo meglio tutti? Altrimenti che deve fare un disgraziato se non rubare? Dicono che bisogna pensare al decoro, che i poveri non son belli fa vedersi per le strade. Beh, io preferisco vedere loro che tante facce di m... incravattate che si vedono nei telegiornali”.
Momo, lo avrete capito, è uno che va senza paura controcorrente. Così come controcorrente è la politica sociale del Comune di Venezia in un Veneto dove la Lega la fa da padrona a casa nostra. Crisi o non crisi, i tagli della Regione cadono tutti qua. Dai 200 mila euro stanziati nel 2007 per gli interventi sociali siamo arrivati agli attuali 54 mila euro. Non è un settore questo che cattura voti come le politiche a favore dei cacciatori. E perché poi la Regione dovrebbe aiutare una città da sempre schierata a sinistra, le cooperative dell’area dei centri sociali e una politica che è la dimostrazione pratica di come si ottengano più risultati con l’accoglienza che con la cosiddetta “tolleranza zero”?
“Il Comune sta facendo i salti mortali per mantenere gli standard – conclude Momo – ma è sempre più dura. Guarda i miei ragazzi che distribuiscono le coperte e il tè. Sono tre mesi che non ricevono i contributi e sono ancora tutti qua. Adesso per fortuna la primavera sta arrivando e chiudiamo anche noi. Per le cento notti più fredde dell’anno la Caracol ha presidiato le strade e a Venezia nessuno è morto di freddo”.
Emergency apre un ambulatorio a Marghera
10/03/2011Terra
Le case di via Varè rispettano gli standard della periferia veneziana: villette mono o bifamiliari con un piccolo spazio verde che se una volta somigliava ad un giardino oggi è diventato il parcheggio dell’auto. Qua e là, sarà l’effetto della primavera, c’è anche qualche tentativo di fiore in sboccio. Tra le tante costruzioni ridipinte in grigio fumo dallo smog e incatramate da una serie di inquinanti che a fare l’elenco finiamo in fondo alla pagina, troviamo al numero 6, una quasi-palazzina dipinta di fresco.
E a colori vivaci per giunta: rosso fuoco, arancione energico e bianco splendente. In alto, nel muretto del terrazzino che sta sopra l’entrata, la scritta Emergency sventola come una bandiera. Sotto, con caratteri più minuti, leggiamo “Poliambulatorio di Marghera. Programma Italia”. Casomai qualcuno avesse qualche dubbio sugli scopi della struttura, basta che legga la scritta sulla cancellata che porta all’ingresso principale: Articolo 32 - La Repubblica tutela la salute come diritto fondamentale dell'individuo, e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti. Che bello, vien da pensare, la Costituzione! C’è qualcuno che se la ricorda (e che ci crede) ancora? Basta varcare la soglia dell’ambulatorio per respirare un’aria diversa. Più pulita. Non dal punto di vista chimico, intendiamoci, che il monossido di carbonio, il benzene e compagnia bella non praticano sconti a nessuno. Più pulita nel senso che qui ci lavora gente che ha chiaro in testa il concetto che un “otro mundo”, un altro mondo, non solo è possibile ma necessario ed inevitabile. Paure, insicurezze, razzismi, vigliaccherie e tutti quei sentimenti dettati dall’ignoranza e instillatici ad arte da una politica che ci ha trasformato in servi sempre consenzienti, sono rimasti al di là di quella cancellata con l’articolo 32 della Costituzione. Noi, si legge nel manifesto presentato da Gino Strada, fondatore dell’associazione "ripudiamo la violenza, il terrorismo e la guerra come strumenti per risolvere le contese tra gli uomini, i popoli e gli stati. Vogliamo un mondo basato sulla giustizia sociale, sulla solidarietà, sul rispetto reciproco, sul dialogo, su un'equa distribuzione delle risorse". Ecco perché qui l’aria è più pulita. Ed è un’aria che “contagia”. Quando, la scorsa estate, Emergency ha dichiarato che avrebbe aperto una nuova struttura ospedaliera per assistere i bisognosi in un’altro stato barbaro ed incivile, in cui la sanità non è garantita a tutti (l’Italia), la Lega e la destra urlarono allo scandalo, al pericolo, alla sicurezza, ai clandestini stupratori e agli extracomunitari assassini. Sciorinarono tutto il loro vocabolario di 50 parole per allertare i residenti dai delinquenti (tutti migranti) e dai migranti (tutti delinquenti) che sarebbero stati attirati dall’ambulatorio come mosche dalla merda. I fatti li hanno smentiti. Oggi, a distanza di neppure sei mesi, non soltanto non si è verificato un solo problema ma la struttura si è perfettamente integrata col quartiere ed è coccolata dai residenti che evitano pure di parcheggiarci davanti per lasciare il marciapiede a chi ci lavora (e da queste parti è una vera e propria dichiarazione d’amore). “Chi ci ha attaccato affermando che facciamo le cose solo per i migranti non ci conosce - spiega Rossella Miccio, responsabile nazionale progetti umanitari di Emergency -. Semplicemente noi non facciamo nessuna distinzione tra gli uomini. E poi, se vogliamo dirla tutta, il primo assistito dal personale dell’ambulatorio di Marghera è stato proprio un ‘indigeno’; un veneziano che non aveva i soldi per pagarsi le cure dentali. Ma ci vuol tanto per capire, dico io, che l’assistenza sanitaria, come i diritti, o è per tutti o non è per nessuno? Si fa presto, prima o poi, a passare dalla categoria di chi ha diritto a chi non ne ha”. Oggi l’ambulatorio di Emergency in questa nostra terra barbara ed incivile, conta cinque medici, una trentina di infermieri, una coordinatrice generale, tre mediatori culturali, un odontoiatra. Il responsabile sanitario è il dottor Guido Pullia. Cinque gli ambulatori specialistici: medicina generale, pediatria, odontoiatria, ginecologia e oculistica. “Negli ultimi anni sono stati capovolti concetti che prima erano chiari per tutti e ci è stata tolta una serie di diritti che davamo per acquisiti - continua Rossella Miccio - Intendo, tolti a noi indigeni come ai migranti. Inoltre è stato scientificamente scatenato un clima di paura ed è deprimente vedere come tutto questo è stato accettato senza che la società civile abbia tentato la minima reazione. Molti migranti sono terrorizzati dal rivolgersi alle strutture pubbliche anche se ne hanno diritto. Il nostro ambulatorio, il secondo in Italia dopo quello di Palermo, è diventato un punto di riferimento perché sanno che, legge o non legge, noi non denunciamo e non denunceremmo mai nessuno. Quando possiamo li accompagniamo noi stessi alla struttura pubblica, altrimenti abbiamo le strutture adatta a prestare le cure necessarie”.
Quindi dopo la Sierra Leone, l’Afganistan, l’Iraq e il Sudan, Emergency sbarca in Italia? “Cosa cambia? Tutti stati che negano il diritto alla salute. E uno stato che nega il diritto alla salute e uno Stato che fa la guerra ai suoi cittadini”.
La laguna di d'Alpaos
8/03/2011TerraA chi gli chiede da che parte sta, Luigi D’Alpaos risponde senza esitazione “Da quella della laguna”. Una laguna che non si può salvare, spiega - proprio lui che è uno dei più grandi ingegneri idraulici d’Europa – soltanto applicando tecniche ingegneristiche ma che va sempre inserita in un contesto più ampio di tutela, che tenga conto di tutta la complessa morfologia lagunare. E per ascoltare l’ingegner D’Alpaos, allievo prediletto di Augusto Ghetti, padre nobile della celebrata scuola idraulica del’università di Padova, almeno 300 persone, martedì scorso, hanno affollato palazzo Franchetti, uno dei salotti buoni di Venezia, in occasione della presentazione del suo ultimo libro “Fatti e misfatti di idraulica lagunare”, edizioni Ivsla.
E diciamo subito che i “misfatti” perpetrati nell’ultimo mezzo secolo, sono molti di più dei “fatti”. Il libro di D’Alpaos è un atto d’accusa senza scampo contro la politica del cemento e delle grandi opere che a devastato il delicato ecosistema lagunare. Uno atto di accusa tanto più spietato in quanto scritto col linguaggio tecnico dello scienziato più che con quello romantico dell’ambientalista. “Ci auguriamo che questo libro – ha spiegato Gianfranco Bettin, assessore all’ambiente del Comune di Venezia, prima di passare la parola a D’Alpaos - ci aiuti a tracciare le linee di interventi futuri per salvaguardare la laguna e si comincia a tener conto dell’ambiente lagunare nel suo complesso: Venezia non va salvata dalle sue acque ma va salvata con le sue acque”. La distruttiva apertura del canale lei petroli, i progetti approvati per stralci con la filosofia “prima fai e poi aggiusta”, le barene artificiali “che tutto sono – ha commentato D’Alpaos - ma non barene”, il Mose assolutamente inutile di fronte al previsto innalzamento del livello dell’Adriatico ma cha sta trasformando la laguna in un braccio di mare aperto, la mancata apertura delle valli da pesca. Sono solo gli esempi più eclatanti dei mali che stanno uccidendo quel fragile equilibrio che nel corso dei secoli ha fatto nascere la laguna veneziana. “La laguna ha sempre avuto tre nemici: il mare, la terra e l’uomo – ha concluso Luigi D’Alpaos citando, l’eminente ingegnere idraulico del Cinquecento Cristoforo Sabbadino -: negli ultimi anni il ruolo dell’uomo è stato preponderante. Proprio nel momento in cui i progressi scientifici offrivano la possibilità di intervenire con giudizio, la politica ha scelto di non tener conto del parere degli idraulici e degli scienziati ma di farsi portatrice di interessi particolari. Non discuto che spetti alla politica prendere le decisioni finali, ma la conoscenza del problema e non l’interesse economico privato dovrebbe stare alla base e guidare le sue scelte. Questo non è stato fatto. Oggi, di fronte ad una situazione oramai compromessa per tanti versi, mi auguro che gli interessi particolari vengano abbandonati e si cominci a difendere come un bene comune quello che ancora rimane della laguna dei dogi”.
E diciamo subito che i “misfatti” perpetrati nell’ultimo mezzo secolo, sono molti di più dei “fatti”. Il libro di D’Alpaos è un atto d’accusa senza scampo contro la politica del cemento e delle grandi opere che a devastato il delicato ecosistema lagunare. Uno atto di accusa tanto più spietato in quanto scritto col linguaggio tecnico dello scienziato più che con quello romantico dell’ambientalista. “Ci auguriamo che questo libro – ha spiegato Gianfranco Bettin, assessore all’ambiente del Comune di Venezia, prima di passare la parola a D’Alpaos - ci aiuti a tracciare le linee di interventi futuri per salvaguardare la laguna e si comincia a tener conto dell’ambiente lagunare nel suo complesso: Venezia non va salvata dalle sue acque ma va salvata con le sue acque”. La distruttiva apertura del canale lei petroli, i progetti approvati per stralci con la filosofia “prima fai e poi aggiusta”, le barene artificiali “che tutto sono – ha commentato D’Alpaos - ma non barene”, il Mose assolutamente inutile di fronte al previsto innalzamento del livello dell’Adriatico ma cha sta trasformando la laguna in un braccio di mare aperto, la mancata apertura delle valli da pesca. Sono solo gli esempi più eclatanti dei mali che stanno uccidendo quel fragile equilibrio che nel corso dei secoli ha fatto nascere la laguna veneziana. “La laguna ha sempre avuto tre nemici: il mare, la terra e l’uomo – ha concluso Luigi D’Alpaos citando, l’eminente ingegnere idraulico del Cinquecento Cristoforo Sabbadino -: negli ultimi anni il ruolo dell’uomo è stato preponderante. Proprio nel momento in cui i progressi scientifici offrivano la possibilità di intervenire con giudizio, la politica ha scelto di non tener conto del parere degli idraulici e degli scienziati ma di farsi portatrice di interessi particolari. Non discuto che spetti alla politica prendere le decisioni finali, ma la conoscenza del problema e non l’interesse economico privato dovrebbe stare alla base e guidare le sue scelte. Questo non è stato fatto. Oggi, di fronte ad una situazione oramai compromessa per tanti versi, mi auguro che gli interessi particolari vengano abbandonati e si cominci a difendere come un bene comune quello che ancora rimane della laguna dei dogi”.
Veneto No Nuke
23/02/2011Terra
“Una battaglia che va vinta radicandola sul territorio. Qui non troveremo i nostri avversari a controbattere. Loro hanno altri canali di comunicazione. Parleranno agli industriali, ai gruppi di potere. Parleranno dalle televisioni. Noi dobbiamo parlare alla gente che incontriamo per strada. Dobbiamo far capire a tutti che anche l’energia, come l’acqua, è vita, è un bene comune da difendere e da gestire a partire dalle comunità locali”. Con queste applauditissime parole, Mario Agostinelli, ricercatore chimico e fisico all’Enea, ha aperto l’incontro preparatorio alla costituzione di un comitato veneto per il referendum sull’energia nucleare. L’assemblea cui hanno partecipato numerose associazioni, comitati e movimenti regionali, si è svolta a Mestre, al centro pace di via Sernaglia, sabato pomeriggio.
Agostinelli che è stato uno dei promotori del referendum contro il ritorno del nucleare, ha invitato a pensare e a comunicare il difficile tema dell’energia – per sua natura meno immediato rispetto ad altri beni comuni come, ad esempio, l’acqua – partendo dal fabbisogno energetico locale in contrapposizione al mito oramai sfatato ma tutt’ora dominante della crescita illimitata. “Non limitiamoci a dire solo no o a giocare sulla paura di un incidenti che nessuno si augura. Siamo noi quelli che hanno le proposte più alte e più innovative: facciamolo capire a tutti – ha spiegato-. Una centrale nucleare non è solo il prodotto di una tecnologia obsoleta, costosa, inquinante, pericolosa e oramai superata, ma è anche una ecomostro che consuma territorio, brucia le sue risorse e la cui gestione e il cui controllo sono completamente slegati dalla comunità locale”. Col nucleare, in altre parole, il famoso “paroni a casa nostra” va a farsi benedire. Lo sa bene anche il governatore del Veneto, il leghista Luca Zaia, che da ministro ha approvato la normativa che bypassava i pareri delle regioni in teme di nucleare, ma da presidente della Regione si dichiara contrario alla realizzazione di centrali nel nostro territorio. Ciò nonostante, il Veneto che pure copre il suo fabbisogno energetico, rimane una delle regioni più accreditate per la costruzione di un impianto nucleare nella aree del rodigino o nella gronda lagunare veneziana. La decisione della Corte Costituzionale del 4 febbraio scorso di cassare il provvedimento governativo e di rendere obbligatorio la richiesta del parere alle Regioni, sia pure consultivo, ha aperto la porta ad altre forme di lotta, oltre che alla consultazione referendaria. Il neonato comitato contro il nucleare valuterà la possibilità di raccogliere le 5 mila firma previste dallo statuto regionale per portare in consiglio veneto una proposta di legge di iniziativa popolare che dichiari il Veneto una regione denuclearizzata. “Paroni a casa nostra” ma sul serio, questa volta.
Niente gabbie a Campalto
23/02/2011Terra
“Che sia uno sgarbo a Venezia non c’è dubbio alcuno – ha commentato Beppe Caccia, consigliere della lista In Comune con Bettin -. Da un lato c’è la voglia di un governo in piena crisi di farsi auto propaganda rilanciando, come al solito, una politica che fa leva su paure ingiustificate e, dall’altro lato, la scelta strategica di colpire un Comune, come quello di Venezia, che si sforza di portare avanti politiche di integrazione e di accoglienza”. La dichiarazione di Maroni ha suscitato una immediata risposta tanto dalle istituzioni quanto dai movimenti. Il consiglio comunale, scavalcato senza neppure una consultazione preventiva da un ministro che si riempie tutti i giorni la bocca con la parola federalismo, ha espresso un parere fortemente negativo votato a grande maggioranza anche dal Pdl. Solo i consiglieri della lega,a parte un astenuto, hanno abbandonando l’aula prima della votazione adducendo pretesti originali ma comunque improrogabili. Sul fronte cittadino, associazioni e movimenti si sono riuniti in assemblea a Mestre, giovedì 17, nell’ampio salone di santa Maria delle Grazie, per organizzarsi e sottoscrivere l’appello contro il Cie che ha avuto come primo firmatario l’assessore all’ambiente Gianfranco Bettin. La prima iniziativa si è svolta sabato proprio a Campalto, il quartiere sulla sponda lagunare in cui Maroni vorrebbe realizzare la struttura. Millecinquecento persone tra cui molti residenti ma anche studenti, attivisti dei centri sociali o di associazioni antirazziste, militanti del Pd e del Pdl (questi ultimi col distinguo che a volere il Cie a Venezia non sarebbe, secondo loro, il Governo ma il centrosinistra bugiardo che governa la città), hanno dato via ad un lungo e pacifico corteo sostenendo striscioni con scritto “Il futuro è ambiente e accoglienza. No al Cie” e “No al Cie, né a Venezia né altrove”.
I Centri identificazione ed espulsione, si legge nell’appello lanciato dai manifestanti, “sono crudeli e inefficaci […]. Le pesanti e illegittime sofferenze generate da queste strutture si sono rivelate del tutto inutili nella gestione del fenomeno migratorio nel nostro Paese, con un numero irrisorio di espulsioni realmente effettuate, a fronte delle ingenti risorse pubbliche investite in un vero e proprio business della negazione dei diritti. La scelta del ministro Maroni appare, inoltre, per il suo carattere di imposizione autoritaria come un atto carico di violenza antidemocratica nei confronti della nostra Città e della sua tradizione cosmopolita, come un gesto di arroganza centralistica nei confronti della nostra comunità locale, da sempre attivamente impegnata nell’accoglienza del migrante e nella costruzione solidale di un futuro meticcio”.
Cemento e querele a Monselice
15/02/2011TerraQuella inviatagli dall’Italcementi Group probabilmente non sarà l’ultima querela con la quale la multinazionale di turno cerca di colpire Francesco Miazzi e fermare con un battaglione di avvocati le sue battaglie in difesa dell’ambiente. L’azione legale nei confronti dei comitati popolari “Lasciateci Respirare”, di cui Miazzi è stato presidente, e “Noi?”, “si è resa necessaria – si legge in una nota dell’Ufficio stampa dell’Italcementi - a seguito dei loro ripetuti ed ingiustificati attacchi, contro il progetto di revamping, condotti utilizzando argomentazioni false o tendenziose”.
Miazzi di mestiere fa l’insegnate e rischia di costargli assai caro l’aver cercare di sbarrare le porte di Monselice a un tale colosso del cemento che, solo in Italia, schiera 17 cementerie, 232 impianti di calcestruzzo, 7 centri di macinazione, 52 cave di inerti e un impianto di produzione additivi. Rischia di costargli esattamente… già, questo è il primo punto controverso. Italcementi parla di 30 mila euro a titolo di risarcimento danni e di 10 mila euro a titolo di riparazione pecuniaria. Tu invece – come abbiamo riportato su Terra di martedì 1 febbraio - parli di circa 200 mila euro. Chi è che non sa fare i conti?
Italcementi ha chiesto in tutto 40 mila euro ai due presidenti dei comitati in quanto persone fisiche e in quanto rappresentanti legali quindi, per magia, due persone diventano “4 convenuti”. Non servono i contabili della multinazionale per scoprire che la somma totale è di 160.000 euro come dichiara la stessa Italcementi nell’atto di citazione. A questa somma richiesta, noi dobbiamo prevedere l’aggiunta delle spese legali per la difesa presso il Foro di Bergamo, nonché le spese per la pubblicazione della sentenza sulla stampa, ulteriore richiesta formulata da Italcementi nell’atto di citazione. A questo punto ci domandiamo se siamo davvero noi, quelli che “utilizzano argomentazioni false o tendenziose”
La querela vi impedirà di portare avanti la vostra battaglia?
Certo che no! Migliaia di cittadini, numerosi Sindaci, diverse forze politiche della zona e le principali associazioni ambientaliste ci hanno manifestato solidarietà e si sono schierati con le nostre posizioni. Insieme sapremo fare valere le nostre ragioni nonostante l’azione legale di Italcementi. Ripetiamo che gli unici obiettivi dei comitati sono il ripristino della legalità, la difesa della salute e la tutela del territorio. Noi non siamo interessati a proseguire in questa sterile polemica, ma vogliamo ribadire che questa “citazione” si configura come un pesante attacco alla libertà di espressione e di stampa. Come altro definire l’azione di un colosso multinazionale con 5 miliardi di euro di fatturato, che chiede un risarcimento a dei comitati di cittadini per il solo fatto di aver criticato il loro progetto? Per questo abbiamo depositato un ricorso al Tar del Veneto contro la Provincia di Padova, il Ministero per i Beni Culturali, l’Ente Parco dei Colli Euganei, il Comune di Monselice e Italcementi, al fine di accertare la correttezza delle procedure e delle autorizzazioni al revamping. Un analogo ricorso è stato presentato al Tar anche dai Sindaci di Este e Baone.
Il nodo della questione rimane comunque la denuncia da parte vostra della presunta pericolosità dei cementifici. Su che basi lo sostenete?
La legge sulle emissioni dei cementifici che possono smaltire legalmente rifiuti, è incredibilmente meno restrittiva rispetto a quella che regola le emissioni dei normali inceneritori. Prendiamo ad esempio due gas particolarmente tossici, gli ossidi di azoto e il biossido di zolfo. I limiti di emissione sono, per il primo, 1800 mg/mc per un cementificio e 200 per un inceneritore, per il secondo 600 mg/mc per un cementificio e 100 per un inceneritore. Per lo stesso inquinante la legge pone due pesi e due misure. Col revamping, anche se le emissioni fossero dimezzate saranno sempre molto elevate pur rimanendo nei limiti di legge. Avere un cementificio equivale ad avere parecchi inceneritori e noi, tra Este e Monselice, di cementifici ne abbiamo già tre. Per questo, querela o no, continueremo ad opporci al revamping e all’assurda convenzione che concede altri 28 anni di presenza ad un cementificio in un’area come quella del Parco Regionale dei Colli Euganei. Parallelamente intendiamo risollecitare tutti i soggetti coinvolti per istituire un tavolo programmatico, che a fianco della dismissione di questi impianti, produca una proposta occupazionale concreta e alternativa.
Miazzi di mestiere fa l’insegnate e rischia di costargli assai caro l’aver cercare di sbarrare le porte di Monselice a un tale colosso del cemento che, solo in Italia, schiera 17 cementerie, 232 impianti di calcestruzzo, 7 centri di macinazione, 52 cave di inerti e un impianto di produzione additivi. Rischia di costargli esattamente… già, questo è il primo punto controverso. Italcementi parla di 30 mila euro a titolo di risarcimento danni e di 10 mila euro a titolo di riparazione pecuniaria. Tu invece – come abbiamo riportato su Terra di martedì 1 febbraio - parli di circa 200 mila euro. Chi è che non sa fare i conti?
Italcementi ha chiesto in tutto 40 mila euro ai due presidenti dei comitati in quanto persone fisiche e in quanto rappresentanti legali quindi, per magia, due persone diventano “4 convenuti”. Non servono i contabili della multinazionale per scoprire che la somma totale è di 160.000 euro come dichiara la stessa Italcementi nell’atto di citazione. A questa somma richiesta, noi dobbiamo prevedere l’aggiunta delle spese legali per la difesa presso il Foro di Bergamo, nonché le spese per la pubblicazione della sentenza sulla stampa, ulteriore richiesta formulata da Italcementi nell’atto di citazione. A questo punto ci domandiamo se siamo davvero noi, quelli che “utilizzano argomentazioni false o tendenziose”
La querela vi impedirà di portare avanti la vostra battaglia?
Certo che no! Migliaia di cittadini, numerosi Sindaci, diverse forze politiche della zona e le principali associazioni ambientaliste ci hanno manifestato solidarietà e si sono schierati con le nostre posizioni. Insieme sapremo fare valere le nostre ragioni nonostante l’azione legale di Italcementi. Ripetiamo che gli unici obiettivi dei comitati sono il ripristino della legalità, la difesa della salute e la tutela del territorio. Noi non siamo interessati a proseguire in questa sterile polemica, ma vogliamo ribadire che questa “citazione” si configura come un pesante attacco alla libertà di espressione e di stampa. Come altro definire l’azione di un colosso multinazionale con 5 miliardi di euro di fatturato, che chiede un risarcimento a dei comitati di cittadini per il solo fatto di aver criticato il loro progetto? Per questo abbiamo depositato un ricorso al Tar del Veneto contro la Provincia di Padova, il Ministero per i Beni Culturali, l’Ente Parco dei Colli Euganei, il Comune di Monselice e Italcementi, al fine di accertare la correttezza delle procedure e delle autorizzazioni al revamping. Un analogo ricorso è stato presentato al Tar anche dai Sindaci di Este e Baone.
Il nodo della questione rimane comunque la denuncia da parte vostra della presunta pericolosità dei cementifici. Su che basi lo sostenete?
La legge sulle emissioni dei cementifici che possono smaltire legalmente rifiuti, è incredibilmente meno restrittiva rispetto a quella che regola le emissioni dei normali inceneritori. Prendiamo ad esempio due gas particolarmente tossici, gli ossidi di azoto e il biossido di zolfo. I limiti di emissione sono, per il primo, 1800 mg/mc per un cementificio e 200 per un inceneritore, per il secondo 600 mg/mc per un cementificio e 100 per un inceneritore. Per lo stesso inquinante la legge pone due pesi e due misure. Col revamping, anche se le emissioni fossero dimezzate saranno sempre molto elevate pur rimanendo nei limiti di legge. Avere un cementificio equivale ad avere parecchi inceneritori e noi, tra Este e Monselice, di cementifici ne abbiamo già tre. Per questo, querela o no, continueremo ad opporci al revamping e all’assurda convenzione che concede altri 28 anni di presenza ad un cementificio in un’area come quella del Parco Regionale dei Colli Euganei. Parallelamente intendiamo risollecitare tutti i soggetti coinvolti per istituire un tavolo programmatico, che a fianco della dismissione di questi impianti, produca una proposta occupazionale concreta e alternativa.
La laguna in un clic
8/02/2011TerraTutta la laguna in un click. Nell’auditorium di Santa Margherita, nel centro storico di Venezia, l’assessore all’ambiente Gianfranco Bettin ha presentato giovedì 3 febbraio, nella mattinata, il progetto “Atlante della Laguna”. Nato nel 2002 con lo scopo di mettere a disposizione di un pubblico quanto più vasto possibile, tutte le informazioni ambientali sul sistema lagunare, il suo bacino scolante e la zona costiera prospiciente.
Il progetto è nato da una collaborazione tra vati enti e associazioni, coordinati dall’Osservatorio Naturalistico della Laguna che fa riferimento al Comune di Venezia e dal Cnr – Ismar (istituto scienze marine). Il primo obiettivo raggiunto dai ricercatori è stata la pubblicazione nel 2006, per i tipi della Marsilio, del volume “Atlante della laguna, Venezia tra terra e mare” ma il passo fondamentale del progetto è stata la realizzazione di un sito internet di nuova concezione che ha messo in rete, non soltanto la versione digitale del libro, ma una suo versione “dinamica” che è costantemente aggiornata dai tecnici dell’Osservatorio e dell’Ismar. Il principio su cui si basa il progetto è che la laguna è un “bene comune” e in quanto tale va tutelato grazie alla trasparente cooperazione tra tutti gli enti che producono informazioni ambientali e alla massima diffusione dei dati scientifici che riguardano questo particolarissimo ecosistema creatosi nel corso dei millenni sino a raggiungere un difficile equilibrio tra intervento umano e movimenti naturali. Equilibrio sempre di più messo a rischio da opere devastanti come il Mose e le barene artificiali che avranno come unico effetto quello di trasformare sempre di più quella che un tempo era laguna dei Dogi, difesa come una “cosa viva” che regalava la vita alla città di Venezia, in un braccio di mare aperto. L’augurio espresso da tutti i relatori intervenuti alla presentazione del progetto è che la diffusione dei dati ambientali riguardanti la laguna possa sensibilizzare la cittadinanza sulle tematiche relative alla sua tutela e, soprattutto, fornire indicazioni utili e incontrovertibili a quanto hanno la facoltà di operare scelte politiche. Da sottolineare che dal portale dell’Atlante della laguna, è possibile scaricare mappe aggiornate, anche in alta definizione, e i dati sono strutturati in maniera tale da potervi accedere a vari livelli, a seconda dell’interesse specifico dell’utente che può essere un semplice curioso ma anche un ricercatore universitario o un amministratore pubblico. Una specifica sezione del sito, è dedicata alle osservazioni dei lettori che hanno la possibilità di entrare nella banca dati, segnalando aree a rischio o altre osservazioni naturalistiche. L’indirizzo del sito, realizzato interamente con programmi open source, è www.silvenezia.it. E credeteci se vi assicuriamo che vale la pena di cliccarci sopra.
Il progetto è nato da una collaborazione tra vati enti e associazioni, coordinati dall’Osservatorio Naturalistico della Laguna che fa riferimento al Comune di Venezia e dal Cnr – Ismar (istituto scienze marine). Il primo obiettivo raggiunto dai ricercatori è stata la pubblicazione nel 2006, per i tipi della Marsilio, del volume “Atlante della laguna, Venezia tra terra e mare” ma il passo fondamentale del progetto è stata la realizzazione di un sito internet di nuova concezione che ha messo in rete, non soltanto la versione digitale del libro, ma una suo versione “dinamica” che è costantemente aggiornata dai tecnici dell’Osservatorio e dell’Ismar. Il principio su cui si basa il progetto è che la laguna è un “bene comune” e in quanto tale va tutelato grazie alla trasparente cooperazione tra tutti gli enti che producono informazioni ambientali e alla massima diffusione dei dati scientifici che riguardano questo particolarissimo ecosistema creatosi nel corso dei millenni sino a raggiungere un difficile equilibrio tra intervento umano e movimenti naturali. Equilibrio sempre di più messo a rischio da opere devastanti come il Mose e le barene artificiali che avranno come unico effetto quello di trasformare sempre di più quella che un tempo era laguna dei Dogi, difesa come una “cosa viva” che regalava la vita alla città di Venezia, in un braccio di mare aperto. L’augurio espresso da tutti i relatori intervenuti alla presentazione del progetto è che la diffusione dei dati ambientali riguardanti la laguna possa sensibilizzare la cittadinanza sulle tematiche relative alla sua tutela e, soprattutto, fornire indicazioni utili e incontrovertibili a quanto hanno la facoltà di operare scelte politiche. Da sottolineare che dal portale dell’Atlante della laguna, è possibile scaricare mappe aggiornate, anche in alta definizione, e i dati sono strutturati in maniera tale da potervi accedere a vari livelli, a seconda dell’interesse specifico dell’utente che può essere un semplice curioso ma anche un ricercatore universitario o un amministratore pubblico. Una specifica sezione del sito, è dedicata alle osservazioni dei lettori che hanno la possibilità di entrare nella banca dati, segnalando aree a rischio o altre osservazioni naturalistiche. L’indirizzo del sito, realizzato interamente con programmi open source, è www.silvenezia.it. E credeteci se vi assicuriamo che vale la pena di cliccarci sopra.