In questa pagina ho riportato gli ultimi articoli che ho scritto per il quotidiano ambientalista Terra, il settimanale Carta, Manifesto, per siti come Global Project, FrontiereNews o siti di associazioni come In Comune con Bettin e altro ancora.

La laguna di d'Alpaos

A chi gli chiede da che parte sta, Luigi D’Alpaos risponde senza esitazione “Da quella della laguna”. Una laguna che non si può salvare, spiega - proprio lui che è uno dei più grandi ingegneri idraulici d’Europa – soltanto applicando tecniche ingegneristiche ma che va sempre inserita in un contesto più ampio di tutela, che tenga conto di tutta la complessa morfologia lagunare. E per ascoltare l’ingegner D’Alpaos, allievo prediletto di Augusto Ghetti, padre nobile della celebrata scuola idraulica del’università di Padova, almeno 300 persone, martedì scorso, hanno affollato palazzo Franchetti, uno dei salotti buoni di Venezia, in occasione della presentazione del suo ultimo libro “Fatti e misfatti di idraulica lagunare”, edizioni Ivsla.
E diciamo subito che i “misfatti” perpetrati nell’ultimo mezzo secolo, sono molti di più dei “fatti”. Il libro di D’Alpaos è un atto d’accusa senza scampo contro la politica del cemento e delle grandi opere che a devastato il delicato ecosistema lagunare. Uno atto di accusa tanto più spietato in quanto scritto col linguaggio tecnico dello scienziato più che con quello romantico dell’ambientalista. “Ci auguriamo che questo libro – ha spiegato Gianfranco Bettin, assessore all’ambiente del Comune di Venezia, prima di passare la parola a D’Alpaos - ci aiuti a tracciare le linee di interventi futuri per salvaguardare la laguna e si comincia a tener conto dell’ambiente lagunare nel suo complesso: Venezia non va salvata dalle sue acque ma va salvata con le sue acque”. La distruttiva apertura del canale lei petroli, i progetti approvati per stralci con la filosofia “prima fai e poi aggiusta”, le barene artificiali “che tutto sono – ha commentato D’Alpaos - ma non barene”, il Mose assolutamente inutile di fronte al previsto innalzamento del livello dell’Adriatico ma cha sta trasformando la laguna in un braccio di mare aperto, la mancata apertura delle valli da pesca. Sono solo gli esempi più eclatanti dei mali che stanno uccidendo quel fragile equilibrio che nel corso dei secoli ha fatto nascere la laguna veneziana. “La laguna ha sempre avuto tre nemici: il mare, la terra e l’uomo – ha concluso Luigi D’Alpaos citando, l’eminente ingegnere idraulico del Cinquecento Cristoforo Sabbadino -: negli ultimi anni il ruolo dell’uomo è stato preponderante. Proprio nel momento in cui i progressi scientifici offrivano la possibilità di intervenire con giudizio, la politica ha scelto di non tener conto del parere degli idraulici e degli scienziati ma di farsi portatrice di interessi particolari. Non discuto che spetti alla politica prendere le decisioni finali, ma la conoscenza del problema e non l’interesse economico privato dovrebbe stare alla base e guidare le sue scelte. Questo non è stato fatto. Oggi, di fronte ad una situazione oramai compromessa per tanti versi, mi auguro che gli interessi particolari vengano abbandonati e si cominci a difendere come un bene comune quello che ancora rimane della laguna dei dogi”.

Veneto No Nuke

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“Una battaglia che va vinta radicandola sul territorio. Qui non troveremo i nostri avversari a controbattere. Loro hanno altri canali di comunicazione. Parleranno agli industriali, ai gruppi di potere. Parleranno dalle televisioni. Noi dobbiamo parlare alla gente che incontriamo per strada. Dobbiamo far capire a tutti che anche l’energia, come l’acqua, è vita, è un bene comune da difendere e da gestire a partire dalle comunità locali”. Con queste applauditissime parole, Mario Agostinelli, ricercatore chimico e fisico all’Enea, ha aperto l’incontro preparatorio alla costituzione di un comitato veneto per il referendum sull’energia nucleare. L’assemblea cui hanno partecipato numerose associazioni, comitati e movimenti regionali, si è svolta a Mestre, al centro pace di via Sernaglia, sabato pomeriggio.

Agostinelli che è stato uno dei promotori del referendum contro il ritorno del nucleare, ha invitato a pensare e a comunicare il difficile tema dell’energia – per sua natura meno immediato rispetto ad altri beni comuni come, ad esempio, l’acqua – partendo dal fabbisogno energetico locale in contrapposizione al mito oramai sfatato ma tutt’ora dominante della crescita illimitata. “Non limitiamoci a dire solo no o a giocare sulla paura di un incidenti che nessuno si augura. Siamo noi quelli che hanno le proposte più alte e più innovative: facciamolo capire a tutti – ha spiegato-. Una centrale nucleare non è solo il prodotto di una tecnologia obsoleta, costosa, inquinante, pericolosa e oramai superata, ma è anche una ecomostro che consuma territorio, brucia le sue risorse e la cui gestione e il cui controllo sono completamente slegati dalla comunità locale”. Col nucleare, in altre parole, il famoso “paroni a casa nostra” va a farsi benedire. Lo sa bene anche il governatore del Veneto, il leghista Luca Zaia, che da ministro ha approvato la normativa che bypassava i pareri delle regioni in teme di nucleare, ma da presidente della Regione si dichiara contrario alla realizzazione di centrali nel nostro territorio. Ciò nonostante, il Veneto che pure copre il suo fabbisogno energetico, rimane una delle regioni più accreditate per la costruzione di un impianto nucleare nella aree del rodigino o nella gronda lagunare veneziana. La decisione della Corte Costituzionale del 4 febbraio scorso di cassare il provvedimento governativo e di rendere obbligatorio la richiesta del parere alle Regioni, sia pure consultivo, ha aperto la porta ad altre forme di lotta, oltre che alla consultazione referendaria. Il neonato comitato contro il nucleare valuterà la possibilità di raccogliere le 5 mila firma previste dallo statuto regionale per portare in consiglio veneto una proposta di legge di iniziativa popolare che dichiari il Veneto una regione denuclearizzata. “Paroni a casa nostra” ma sul serio, questa volta.

Niente gabbie a Campalto

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Girava di qua e girava di là. La prima ipotesi era nel veronese. Ma come si fa? Con l’amico Tosi sindaco di Verona? Poi è toccato a Rovigo. Qui andava già meglio. Il sindaco appartiene al centro sinistra, la provincia pure, ma già c’è la centrale a carbone di Porto Tolle e si ventila l’ipotesi di costruirci il primo impianto nucleare del nordest. Forse Padova? Il sindaco Flavio Zanonato è del centro sinistra ma la provincia è tutta della lega. Meglio di no. Ma che ragioniamo a fare? La soluzione era davanti agli occhi di tutti: Venezia. Città dove il Carroccio non ha mai attecchito e ci ha pure messo del suo a silurare il candidato sindaco del Pdl, Renato Brunetta, alle ultime amministrative. Non si può quindi dire che l’annuncio del ministro Roberto Maroni, dato la scorsa settimana, di costruire il primo Centro di identificazione e di espulsione del Veneto proprio a Venezia abbia stupito qualcuno. Era solo una questione di come e di quando.


“Che sia uno sgarbo a Venezia non c’è dubbio alcuno – ha commentato Beppe Caccia, consigliere della lista In Comune con Bettin -. Da un lato c’è la voglia di un governo in piena crisi di farsi auto propaganda rilanciando, come al solito, una politica che fa leva su paure ingiustificate e, dall’altro lato, la scelta strategica di colpire un Comune, come quello di Venezia, che si sforza di portare avanti politiche di integrazione e di accoglienza”. La dichiarazione di Maroni ha suscitato una immediata risposta tanto dalle istituzioni quanto dai movimenti. Il consiglio comunale, scavalcato senza neppure una consultazione preventiva da un ministro che si riempie tutti i giorni la bocca con la parola federalismo, ha espresso un parere fortemente negativo votato a grande maggioranza anche dal Pdl. Solo i consiglieri della lega,a parte un astenuto, hanno abbandonando l’aula prima della votazione adducendo pretesti originali ma comunque improrogabili. Sul fronte cittadino, associazioni e movimenti si sono riuniti in assemblea a Mestre, giovedì 17, nell’ampio salone di santa Maria delle Grazie, per organizzarsi e sottoscrivere l’appello contro il Cie che ha avuto come primo firmatario l’assessore all’ambiente Gianfranco Bettin. La prima iniziativa si è svolta sabato proprio a Campalto, il quartiere sulla sponda lagunare in cui Maroni vorrebbe realizzare la struttura. Millecinquecento persone tra cui molti residenti ma anche studenti, attivisti dei centri sociali o di associazioni antirazziste, militanti del Pd e del Pdl (questi ultimi col distinguo che a volere il Cie a Venezia non sarebbe, secondo loro, il Governo ma il centrosinistra bugiardo che governa la città), hanno dato via ad un lungo e pacifico corteo sostenendo striscioni con scritto “Il futuro è ambiente e accoglienza. No al Cie” e “No al Cie, né a Venezia né altrove”.
I Centri identificazione ed espulsione, si legge nell’appello lanciato dai manifestanti, “sono crudeli e inefficaci […]. Le pesanti e illegittime sofferenze generate da queste strutture si sono rivelate del tutto inutili nella gestione del fenomeno migratorio nel nostro Paese, con un numero irrisorio di espulsioni realmente effettuate, a fronte delle ingenti risorse pubbliche investite in un vero e proprio business della negazione dei diritti. La scelta del ministro Maroni appare, inoltre, per il suo carattere di imposizione autoritaria come un atto carico di violenza antidemocratica nei confronti della nostra Città e della sua tradizione cosmopolita, come un gesto di arroganza centralistica nei confronti della nostra comunità locale, da sempre attivamente impegnata nell’accoglienza del migrante e nella costruzione solidale di un futuro meticcio”.

Cemento e querele a Monselice

Quella inviatagli dall’Italcementi Group probabilmente non sarà l’ultima querela con la quale la multinazionale di turno cerca di colpire Francesco Miazzi e fermare con un battaglione di avvocati le sue battaglie in difesa dell’ambiente. L’azione legale nei confronti dei comitati popolari “Lasciateci Respirare”, di cui Miazzi è stato presidente, e “Noi?”, “si è resa necessaria – si legge in una nota dell’Ufficio stampa dell’Italcementi - a seguito dei loro ripetuti ed ingiustificati attacchi, contro il progetto di revamping, condotti utilizzando argomentazioni false o tendenziose”.
Miazzi di mestiere fa l’insegnate e rischia di costargli assai caro l’aver cercare di sbarrare le porte di Monselice a un tale colosso del cemento che, solo in Italia, schiera 17 cementerie, 232 impianti di calcestruzzo, 7 centri di macinazione, 52 cave di inerti e un impianto di produzione additivi. Rischia di costargli esattamente… già, questo è il primo punto controverso. Italcementi parla di 30 mila euro a titolo di risarcimento danni e di 10 mila euro a titolo di riparazione pecuniaria. Tu invece – come abbiamo riportato su Terra di martedì 1 febbraio - parli di circa 200 mila euro. Chi è che non sa fare i conti?
Italcementi ha chiesto in tutto 40 mila euro ai due presidenti dei comitati in quanto persone fisiche e in quanto rappresentanti legali quindi, per magia, due persone diventano “4 convenuti”. Non servono i contabili della multinazionale per scoprire che la somma totale è di 160.000 euro come dichiara la stessa Italcementi nell’atto di citazione. A questa somma richiesta, noi dobbiamo prevedere l’aggiunta delle spese legali per la difesa presso il Foro di Bergamo, nonché le spese per la pubblicazione della sentenza sulla stampa, ulteriore richiesta formulata da Italcementi nell’atto di citazione. A questo punto ci domandiamo se siamo davvero noi, quelli che “utilizzano argomentazioni false o tendenziose”
La querela vi impedirà di portare avanti la vostra battaglia?
Certo che no! Migliaia di cittadini, numerosi Sindaci, diverse forze politiche della zona e le principali associazioni ambientaliste ci hanno manifestato solidarietà e si sono schierati con le nostre posizioni. Insieme sapremo fare valere le nostre ragioni nonostante l’azione legale di Italcementi. Ripetiamo che gli unici obiettivi dei comitati sono il ripristino della legalità, la difesa della salute e la tutela del territorio. Noi non siamo interessati a proseguire in questa sterile polemica, ma vogliamo ribadire che questa “citazione” si configura come un pesante attacco alla libertà di espressione e di stampa. Come altro definire l’azione di un colosso multinazionale con 5 miliardi di euro di fatturato, che chiede un risarcimento a dei comitati di cittadini per il solo fatto di aver criticato il loro progetto? Per questo abbiamo depositato un ricorso al Tar del Veneto contro la Provincia di Padova, il Ministero per i Beni Culturali, l’Ente Parco dei Colli Euganei, il Comune di Monselice e Italcementi, al fine di accertare la correttezza delle procedure e delle autorizzazioni al revamping. Un analogo ricorso è stato presentato al Tar anche dai Sindaci di Este e Baone.
Il nodo della questione rimane comunque la denuncia da parte vostra della presunta pericolosità dei cementifici. Su che basi lo sostenete?
La legge sulle emissioni dei cementifici che possono smaltire legalmente rifiuti, è incredibilmente meno restrittiva rispetto a quella che regola le emissioni dei normali inceneritori. Prendiamo ad esempio due gas particolarmente tossici, gli ossidi di azoto e il biossido di zolfo. I limiti di emissione sono, per il primo, 1800 mg/mc per un cementificio e 200 per un inceneritore, per il secondo 600 mg/mc per un cementificio e 100 per un inceneritore. Per lo stesso inquinante la legge pone due pesi e due misure. Col revamping, anche se le emissioni fossero dimezzate saranno sempre molto elevate pur rimanendo nei limiti di legge. Avere un cementificio equivale ad avere parecchi inceneritori e noi, tra Este e Monselice, di cementifici ne abbiamo già tre. Per questo, querela o no, continueremo ad opporci al revamping e all’assurda convenzione che concede altri 28 anni di presenza ad un cementificio in un’area come quella del Parco Regionale dei Colli Euganei. Parallelamente intendiamo risollecitare tutti i soggetti coinvolti per istituire un tavolo programmatico, che a fianco della dismissione di questi impianti, produca una proposta occupazionale concreta e alternativa.

La laguna in un clic

Tutta la laguna in un click. Nell’auditorium di Santa Margherita, nel centro storico di Venezia, l’assessore all’ambiente Gianfranco Bettin ha presentato giovedì 3 febbraio, nella mattinata, il progetto “Atlante della Laguna”. Nato nel 2002 con lo scopo di mettere a disposizione di un pubblico quanto più vasto possibile, tutte le informazioni ambientali sul sistema lagunare, il suo bacino scolante e la zona costiera prospiciente.
Il progetto è nato da una collaborazione tra vati enti e associazioni, coordinati dall’Osservatorio Naturalistico della Laguna che fa riferimento al Comune di Venezia e dal Cnr – Ismar (istituto scienze marine). Il primo obiettivo raggiunto dai ricercatori è stata la pubblicazione nel 2006, per i tipi della Marsilio, del volume “Atlante della laguna, Venezia tra terra e mare” ma il passo fondamentale del progetto è stata la realizzazione di un sito internet di nuova concezione che ha messo in rete, non soltanto la versione digitale del libro, ma una suo versione “dinamica” che è costantemente aggiornata dai tecnici dell’Osservatorio e dell’Ismar. Il principio su cui si basa il progetto è che la laguna è un “bene comune” e in quanto tale va tutelato grazie alla trasparente cooperazione tra tutti gli enti che producono informazioni ambientali e alla massima diffusione dei dati scientifici che riguardano questo particolarissimo ecosistema creatosi nel corso dei millenni sino a raggiungere un difficile equilibrio tra intervento umano e movimenti naturali. Equilibrio sempre di più messo a rischio da opere devastanti come il Mose e le barene artificiali che avranno come unico effetto quello di trasformare sempre di più quella che un tempo era laguna dei Dogi, difesa come una “cosa viva” che regalava la vita alla città di Venezia, in un braccio di mare aperto. L’augurio espresso da tutti i relatori intervenuti alla presentazione del progetto è che la diffusione dei dati ambientali riguardanti la laguna possa sensibilizzare la cittadinanza sulle tematiche relative alla sua tutela e, soprattutto, fornire indicazioni utili e incontrovertibili a quanto hanno la facoltà di operare scelte politiche. Da sottolineare che dal portale dell’Atlante della laguna, è possibile scaricare mappe aggiornate, anche in alta definizione, e i dati sono strutturati in maniera tale da potervi accedere a vari livelli, a seconda dell’interesse specifico dell’utente che può essere un semplice curioso ma anche un ricercatore universitario o un amministratore pubblico. Una specifica sezione del sito, è dedicata alle osservazioni dei lettori che hanno la possibilità di entrare nella banca dati, segnalando aree a rischio o altre osservazioni naturalistiche. L’indirizzo del sito, realizzato interamente con programmi open source, è www.silvenezia.it. E credeteci se vi assicuriamo che vale la pena di cliccarci sopra.

Interventi di pace

“La sola risposta possibile in caso di conflitto e una soluzione concreta ai mali del nostro tempo come il nazionalismo, la xenofobia, l’individualismo e la corsa agli armamenti”. Così Alexander Langer definì i corpi civili di pace in quel documento istitutivo che, come deputato dei verdi, depositò al parlamento europeo nel 1995.

Non riuscì ad assistere all’approvazione della sua proposta di legge perché la sua vita si interruppe improvvisamente il 3 luglio di quello stesso anno. Erano i tempi della guerra dei Balcani e della crisi del movimento pacifista. Da allora molte cose sono cambiate. Il muro di Berlino che divideva il mondo in blocchi contrapposti non esiste più ma questo non ha portato alla cessazione dei conflitti e neppure ad un’epoca di pace, condivisione e democrazia. Anzi. Guerra dichiarate e, soprattutto, guerre dimenticate, ce ne sono come e più di prima. Come se non bastasse, il movimento pacifista si trova di fronte ad altre e nuove sfide come il controllo delle risorse energetiche e alimentari, le migrazioni, i cambiamenti climatici, i movimenti dal basso. Insomma, oggi più che ieri c’è bisogno di imparare ad intervenire nei conflitti mediandoli al di là del “gioco a somma zero”, peculiare dell’intervento militare, e superando la logica del “vincere o perdere” perché, rendiamocene conto, nel mondo globalizzato abbiamo tutti tutto da perdere e niente da vincere. Grazie ad una grande mobilitazione popolare, nel 2001, in Italia, è stata approvata la legge 64 che, riprendendo l’articolo 11 della Costituzione oltre a varie direttive Onu ed europee in materia, ha istituito la “difesa civile nonarmata e nonviolenta”. Una sorta di servizio civile volontario completamente autonomo dall’esercito col duplice obiettivo di intervenire pacificamente all’estero nelle zone di conflitto e rispondere al dovere costituzionale di difendere la patria con mezzi non militari. Tra gli obiettivi stabiliti dalla legge, figurano anche la promozione di solidarietà e cooperazione con particolare riguardo alla tutela dei diritti sociali, la partecipazione alla tutela del patrimonio ambientale e culturale, la protezione civile. Punto focale del progetto, rimane comunque la cooperazione internazionale in zone di guerra e la mediazione tra le parti in conflitto.
In paesi come la Germania i corpi civili di pace sono oramai una realtà consolidata. In Italia, la legge 64 e le direttive europee in materia, sono rimaste tutte sulla carta. Certo, difficile aspettarsi un qualche stimolo da parte di un governo che, quanto meno, è ben lontano dall’inserire la parola “pace” nei primi posti della sua agenda politica. Ed è per questo che le associazioni pacifiste hanno deciso di autoconvocarsi a Firenze per stilare un documento per il riconoscimento della figura professionale dell’operatore civile di pace, l’inserimento collettivo in un’organizzazione nazionale ed europea legalmente riconosciuta e stabilire luoghi e tempi per i primi interventi all’estero. Gli incontri si svolgeranno nei giorni di sabato 29 a domenica 30 gennaio nella sede dei Missionari Comboniani in via Giovanni Aldini. Scopo dell’incontro sarà anche quello di definire uno standard per gli interventi civili di pace. Un punto questo assai delicato perché l’etica dell’operatore civile tende spesso a collidere con quella del militare e del poliziotto per i quali, alla fin fine, tutto si risolve con l’obbedire agli ordini. Al contrario, si legge nel documento inviato ai partecipanti al meeting, “la nuova professione dell’operatore di pace deve essere creativa e costruttiva, incoercibile ed imprevedibile, fino ad un certo punto, anche per le stesse istituzioni”. Non c’è altro da dire. Alex ne sarebbe stato contento.

L'acqua pubblica di Venezia

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n attesa che il consiglio dei ministri fissi, in un periodo compreso tra i prossimi mesi di aprile e giugno, la data dei due referendum per la ri pubblicizzazione dell’acqua, Venezia si sta già mobilitando per raggiungere il quorum indispensabile per validare la consultazione. Alle associazioni, ai comitati e ai movimenti che in questo ultimo anno si sono battuti per raggogliere le firme e sensibilizzare l’opinione pubblica si aggiungerà da domani, lunedì, anche un partner ufficiale del calibro del Comune di Venezia. Un primo passo era già stato compiuto un anno fa in occasione di una modifica dello Statuto comunale, quando la maggioranza approvò una proposta avanzata dai due consiglieri della lista “In Comune con Bettin”, Camilla Seibezzi e Beppe Caccia, che ha inserito nel documento il principio dell'acqua come “diritto umano universale e bene comune a gestione pubblica". Un esempio di buone pratiche che in seguito fu imitato da tanti altri Comuni italiani.


Adesso che la Corte Costituzionale ha sancito la legittimità di due quesiti, la città lagunare si candida a diventare la prima realtà metropolitana ad aderire ufficialmente e con convinzione alla campagna referendaria per il Sì.
“Oggi si apre una fase nuova - ha commentato il consigliere ambientalista Beppe Caccia -. Sappiamo che è davvero possibile riuscire a bloccare il
meccanismo perverso, previsto dai decreti Ronchi del 2009, che, nel caso della nostra città, costringerebbe l’ente pubblico a quotare in borsa e a cedere forzatamente a investitori privati entro la fine del 2011 una quota significativa della azioni Veritas, la multiutility a capitale interamente pubblico che gestisce la risorsa idrica in gran parte dei Comuni della gronda lagunare. Il raggiungimento del quorum e il conseguente e prevedibile successo dei Sì, sono quindi due condizioni necessarie per difendere questo patrimonio comune rappresentato dalla gestione pubblica del servizio idrico integrato da parte di Veritas”.
Non va neppure dimenticato, hanno spiegato Caccia e Seibezzi, che Veritas offre un servizio di altissima qualità e a tariffe tra le più contenute del Paese (Venezia è, per costo al metro cubo, seconda solo a Milano). E tutto questo, anche senza voler considerare i costi suppletivi di depurazione e di diffusione legati alla particolarissima morfologia del territorio lagunare. La qualità indiscussa dell’acqua erogata inoltre, è una prova tangibile di come un servizio idrico pubblico possa funzionare egregiamente anche senza bisogno di “sostegni” privati.
“Per queste ragioni e per gli enormi interessi che sono in gioco - conclude il consigliere della lista In Comune con Bettin -, abbiamo proposto al consiglio Comunale di discutere e approvare un ordine del giorno che impegni l'amministrazione, cito letteralmente, « a promuovere e organizzare una vasta e capillare campagna di informazione e sensibilizzazione sui contenuti dei quesiti e la rilevanza delle conseguenze, finalizzata ad ottenere la massima partecipazione informata dei cittadini alla consultazione referendaria» e a raggiungere così l'obiettivo del quorum che renderà valido il voto nel referendum”.
Un esempio di buone pratiche che Caccia e Seibezzi si augurano venga presto seguito da altri Comuni italiani perché l’acqua rimanga, per l’appunto, un bene comune.

Se l'assessore alla cultura manda i libri al rogo

La cosa peggiore è che la notizia sia passata quasi inosservata. D’accordo, se ne sentono tante e che al peggio non ci sia mai fine non è più solo un luogo comune. Ma quando leggiamo che un assessore alla cultura stila la lista di proscrizione dei libri non possiamo non pensare alla Notte dei Cristalli. E’una notizia che fa paura. Viene voglia di ignorarla, di classificarla come una delle tante “sparate mediatiche” di questo sfinente e mortificante dibattito politico. Siamo tentati di riderci sopra.
Magari confezionarci qualche facile battuta. Ma sarebbe un errore gravissimo perché dalla storia dovremmo aver imparato che le dichiarazioni di chi sta al potere vanno prese sempre per oro colato e non possono mai essere liquidate come gli sproloqui del pazzoide di turno. Le persone abituate a riflettere hanno la tendenza a sottovalutare il peso degli ignoranti e degli stupidi. Eppure le tante dittature che abbiamo visto al mondo ci insegnano che essere ignoranti e stupidi, e possibilmente pure un po’ carogne, aiuta a scalare la piramide del potere. La cultura non ti è alleata se vuoi combattere la democrazia. Svuotare le biblioteche dei libri “sbagliati” è una operazione che i dittatori – nessuno escluso - hanno sempre effettuato. Pretesti, se ne trovano a iosa. C’è sempre qualche “complotto ebraico” che ti viene in aiuto. Perché il punto focale di questa storia non è il caso Battisti e l’opinione che ciascuno di noi ne ha. Leggiamo cosa ha dichiarato l’assessore alla cultura della provincia di Venezia, Raffaele Speranzon, la scorsa settimana: «Scriverò agli assessori alla Cultura dei Comuni del veneziano perché questi scrittori siano dichiarati sgraditi e chiederò loro, dato anche che le biblioteche civiche sono inserite in un sistema provinciale, che le loro opere vengano ritirate dagli scaffali: è necessario un segnale forte dalla politica per condannare il comportamento di questi intellettuali che spalleggiando un terrorista. Chiederò inoltre di non promuovere la presentazione dei libri scritti da questi autori: ogni Comune potrà agire come crede, ma dovrà assumersene le responsabilità». Le persone sgradite a Speranzon (politico di lunga data, oggi del Pdl, prima alleanza nazionale, prima ancora fascista dell’Msi) sono tutti gli scrittori che hanno firmato nel 2004 la petizione per la liberazione di Cesare Battisti. C’è gente del calibro di, ne citiamo solo alcuni, Tiziano Scarpa, Valerio Evangelisti, Massimo Carlotto, Daniel Pennac, Nanni Balestrini, Giuseppe Genna, Lello Voce, Pino Cacucci, Giorgio Agamben, Girolamo De Michele, Vauro, Sandrone Dazieri, Gianfranco Manfredi, Stefano Tassinari. Vien da chiedersi cosa intenda Speranzon quando minaccia i bibliotecari che non si allineano e che dovranno “assumersene le responsabilità”. Toglie i fondi che già non ci sono (“finanziamenti alla cultura” nel Veneto significa pagare manifestazioni come “la festa dello spritz padano” o la “sagra dei cacciatori”)? Oppure ci manda direttamente gli squadristi con olio di ricino e lanciafiamme? Come dicevamo in apertura, quello che più preoccupa è che sono stati pochissimi ad indignarsi per questo rogo di libri tutt’altro che simbolico e sarà presumibilmente esteso a tutto il Veneto per merito dell’assessore regionale Elena Donazzan. Un’altra che ha fatto lo stesso percorso politico di Speranzon - fascio Msi, An e Pdl - e che da ragazzina devastava e “svasticava” le biblioteche delle scuole vicentine. Non sappiamo quanto resisteranno (è proprio il caso di usare questo verbo) i responsabili delle nostre biblioteche, ma certo nelle sale di lettura sotto casa e negli scaffali delle scuole troveremo ancora il Mein Kampf - ed è giusto così – ma imbattersi in un titolo del mio amato Cacucci diventerà un terno al lotto. Questo, va detto chiaro, significa già regime. Trattandosi di Speranzon, ci aggiungiamo pure regime fascista. Ultima nota. A benedire il rogo ci ha subito pensato Franco Maccari, segretario del sindacato di polizia Coisp, che ha invitato a non comprare le opere degli autori sgraditi commentando: “Il nostro Paese ne esce con le ossa rotte sul caso Battisti. L’aspetto più grave è che sia stata messa in dubbio la democrazia in Italia”. Vien da chiedersi come mai.

Se questa รจ Caritas...

Sono anni difficili. Troppo difficili per “potersi permettere” di accogliere più migranti di quanto si possa accoglierne. Questo è il sunto di quanto ha dichiarato don Dino Pistolato, direttore della Caritas veneziana in una conferenza stampa per presentare la 97esima giornata del rifugiato svoltasi domenica scorsa.

Le affermazioni dell’alto prelato, comunque più puntate a chiedere un pronto riconoscimento dei migranti già sono presenti nel nostro territorio piuttosto che ad invocare muri o rimpatri coatti, hanno suscitato un vespaio di reazioni nel Veneto. Il Pdl e la lega in particolare, non hanno peso l’occasione di cogliere la palla al balzo rilanciando allarmismi e invocando muri e rimpatri coatti. “Manipolazioni facili, strumentali e irresponsabili” le ha definite in una nota la rete Tuttiidirittiumanipertutti che raggruppa tutte le realtà associative che nel veneziano lavorano per l’integrazione e l’accoglienza.
“In Italia esistono centinaia di migliaia di nuovi schiavi costretti a lavorare a nero da anni a causa di leggi ipocrite e crudeli come la Bossi-Fini – ha dichiarato Alessandra Sciurba, portavoce della rete – Gli stessi meccanismi della crisi richiedono sempre di più una forza lavoro flessibile a cui possono essere strappati anche i più elementari diritti e sulla base delle cui condizioni potere poi ricattare anche i lavoratori italiani formalmente più tutelati. Le attuali leggi sull'immigrazione non permettono alcuna regolarizzazione di chi lavora da anni. Su questo punto ha ragione chi dice che vanno riconosciuti, immediatamente e senza alcun compromesso o discriminazione, i diritti dei lavoratori migranti già presenti. Bisogna aggiungere però, che da quasi 10 anni, i decreti flussi e le quote di ingresso hanno rappresentato semplicemente delle sanatorie nascoste. Chiunque ha potuto vedere con i propri occhi gli stessi migranti che avrebbero dovuto teoricamente trovarsi nei loro paesi d'origine e lì venire raggiunti da una chiamata del datore di lavoro, fare le file davanti la posta per consegnare i propri dossier. E chi, del resto, assumerebbe mai qualcuno che non ha conosciuto prima? Si è arrivati al paradosso di persone costrette a uscire dall'Italia clandestinamente per poi rientrarvi su falsa chiamata e tornare a occupare i posti di lavoro che già avevano prima, dopo avere rischiato la vita in viaggi a ritroso pericolosissimi”.
Non si può parlare delle nuove quote di ingresso, spiega la rete, senza dire anche che esse rappresentano in gran parte la sola maniera per decine di migliaia di persone per regolarizzare la propria posizione. Una ipocrisi che è sotto gli occhi di chiunque voglia vederla. Quasi tutti i migranti che oggi hanno un permesso di soggiorno sono stati costretti ad attraversare anni di irregolarità, umiliazioni e ricatti. Conclude Alessandra Sciurba: “Il problema non è quindi, che « gli immigrati ci rubano il lavoro » o altre affermazioni grottesche, populiste e a sfondo razzista, che i dati oggettivi possono smentire in ogni momento, ma è piuttosto quello di smascherare un sistema che si regge sulla finzione e che è volto alla creazione di una categoria di popolazione da schiavizzare e sfruttare”.

Fiaccole di pace

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La Vicenza di pace, la Vicenza che non vuole la base di guerra, tornerà a sfilare per le vie del centro, sabato 16 dicembre, così come fece quel 16 dicembre di quattro anni fa, quando migliaia e migliaia di persone riempirono le strade con bandiere arcobaleno, palloncini colorati e striscioni contro il Dal Molin per difendere il loro territorio e denunciare che la costruzione di una aeroporto militare ad un tiro di schioppo dalla basilica del Palladio avrebbe messo in crisi tutto l’ecosistema urbano. Per denunciare, insomma, quello che negli anni successivi si è puntualmente verificato. “Non sarà una ricorrenza funebre, quelle vanno bene per chi non ha più niente da dire – spiega Olol Jackson, una delle più autorevoli voci del presidio permanente - Oggi dobbiamo e vogliamo rivendicare , con maggior forza di prima, verità e giustizia rispetto a quanto sta accadendo al nostro territorio. Abbiamo il diritto di sapere come mai eventi catastrofici come le inondazioni si ripetono con sempre maggior frequenza, abbiamo diritto di sapere di chi sono le responsabilità di un dissesto idrogeologico che ormai è evidente a tutti. Scusateci, ma in tutto questo abbiamo anche il diritto di sapere quali danni alla falda sta producendo la posa di migliaia di pali conficcati nel terreno del Dal Molin. Non si può far finta di niente solo perché il cantiere della base Usa avanza”.


Il presidio invita quindi tutti i cittadini ad illuminare Vicenza con una grande fiaccolata, la sera di sabato prossimo, portando in piazza la stessa dignità e la stessa indignazione di quattro anni fa e di far sentire forte la voce di un movimento tutt’altro che sconfitto ma cresciuto e maturato in anni duri ma anche straordinari. Un movimento che ha contribuito a cambiare il linguaggio della politica strutturando e riempiendo di significati concetti come “beni comuni” e democrazia dal basso”, e ottenendo anche importanti risultati. Ne sia un esempio, si legge in un comunicato del presidio, il Parco della Pace. I primi progetti della base prevedevano il passaggio dell’intero perimetro del Dal Molin all’esercito Usa. Se oggi questa prospettiva è cambiata, sottraendo spazio alla base militare per destinarlo ad un uso pubblico verde, è solo grazie alla mobilitazione dei vicentini. “Per questo – conclude Olol Jackson – in occasione della fiaccolata chiederemo che il Parco della Pace venga consegnato al più presto alla comunità vicentina. Su questo punto, come sui reali danni al territorio che la costruzione della base sta causando, dobbiamo pretendere verità e giustizia, consapevoli del fatto che nessuno ci regalerà nulla ma tutto ce lo dovremo conquistare con le nostre mobilitazioni”.
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