In questa pagina ho riportato gli ultimi articoli che ho scritto per il quotidiano ambientalista Terra, il settimanale Carta, Manifesto, per siti come Global Project, FrontiereNews o siti di associazioni come In Comune con Bettin e altro ancora.

Veneto record. Di evasori fiscali

Vi siete mai chiesti da dove tragga combustibile la decantata “locomotiva veneta”? Una risposta potrebbe essere quella che ha dato la Guardia di Finanza qualche giorno fa, quando ha celebrato il suo 236esimo anniversario: dall’evasione fiscale.
Perché, se è vero che la pressione fiscale nel nordest è più elevata che in altre regioni d’Italia (in media un veneto versa allo Stato 9 mila 500 euro all’anno contro i 5 mila e 200 della Puglia e i 4mila e 900 dei calabresi, tanto per citare due regioni in fondo alla classifica dei contribuenti), è anche vero che il record degli evasori totali è tutto nostro. Ed è pure un fenomeno in forte crescita, considerando che nei soli primi cinque mesi di quest’anno, i finanzieri ne hanno scoperto e denunciato ben 338 “furbetti”, il 42 per cento in più rispetto allo scorso anno. Ha un bel dire il neo governatore Luca Zaia che “nel Veneto l’illegalità fiscale è davvero una realtà molto piccola”. I dati lo smentiscono alla grande. La Guardia di Finanza ha documentato nel laborioso e onesto Veneto, una evasione totale all’Iva di 270 milioni di euro e una mancata dichiarazione di reddito di circa un miliardo e trecento milioni. Le frodi fiscali con fatturazioni false sono state, parliamo sempre dello scorso anno, 411. E anche questo è una percentuale in aumento: 22% in più rispetto all’anno precedente. Un dato sorprendente è quello che riguarda le contraffazioni: le indagini della Guardia di Finanza nel Veneto hanno portato al sequestro di ben 5 milioni di euro di mercanzia. Per dirla in percentuale, il 10% dei sequestri operati in Italia sono “cosa nostra”.
Insomma, evadere il fisco rimane lo sport preferito dei nostri imprenditori. E, considerato che viviamo in un mondo “globalizzato”, pure le evasioni fiscali sono state “globalizzate”: oltre 231 milioni di euro sono stati sottratti alla tassazione internazionale per finire in uno dei tanti paradisi fiscali. Un modo come un altro per esportare il “Made in Veneto” in tutto il mondo!
Ma il dato più inquietante portato allo scoperto dalle indagini della guardia di finanza, riguarda il fenomeno del lavoro nero. Lo sfruttamento, in particolare di categorie deboli e scarsamente sindacalizzate come donne e migranti, ha come conseguenza anche il mancato versamento da parte dell’imprenditore di tasse e contributi vari allo Stato (oltre che al lavoratore sfruttato). Sotto questa lente, le indagini delle Fiamme Gialle hanno portato allo denuncia di 839 casi di persone costrette a lavoratore completamente in nero e di 372 lavoratori irregolari. Un dato sicuramente sottostimato, a detta della stessa Guardia di Finanza, perché non tiene conto di tutti quei migranti che si sono macchiati del “reato di clandestinità” e sono al di là di qualsiasi controllo, oltre che tutela. Anche questa, una conseguenza della legge Bossi Fini sull’immigrazione. "Il compito della polizia economica nel nordest - ha spiegato il generale della Guardia di Finanza Pasquale Debidda - è quello di assicurare le condizioni ideali del mercato garantendo una equità fiscale”. Garantire anche una equità sociale non è compito delle Fiamme Gialle. Ma farebbe comunque bene ad un mercato che non sia solo sfruttamento del lavoro e delle risorse comuni.

Storie di sfruttamento

Non è neppure una storia originale, quella di Raffaele Turatto, “socio lavoratore” della cooperativa sociale Essegi di Padova. Storie così accadono tutti i giorni. Perché è una storia di soprusi e sfruttamento del lavoro. Ma è comunque una storia emblematica di cosa sia diventato oggi il mercato del lavoro. Socio e lavoratore, abbiamo detto. Ma non crediate che essere soci voglia dire aver voce ai piani alti. “Al contrario – commenta Raffaele – è una solenne fregatura. Essere socio vuol dire essere un lavoratore dipendente come gli altri solo con meno diritti degli altri.
Ci sono cooperative sociali nate solo con lo scopo di bypassare tutti le garanzie e i diritti con cui la legge tutela il lavoratore. Quella che mi ha licenziato, evidentemente, è una di queste“. Raffaele ha 43 anni. Da nove lavora, o meglio lavorava, come responsabile di servizio alla Essegi di Padova, una cooperativa di circa 120 soci che si occupa di “logistica e appalti”. In parole povere, presta manodopera alle aziende che ne hanno bisogno ma, vai a capire il perché, preferiscono evitare il “giogo” delle regolari assunzioni. Socio o no, il lavoro è comunque duro. Raffaele è referente del personale della Essegi impiegato in tra cartiere. Lavora dalle 8 alle 10 ore al giorno ma si porta comunque a casa ogni mese quasi 1200 euro. D’accordo. I referenti come lui, regolarmente contrattuati e senza il “vantaggio” di essere soci, guadagnano molto di più. Ma il mercato è quello che è, e tocca accontentarsi. La frustata arriva a gennaio quando il socio che conta dell’Essegi – un tempo si scriveva “il padrone” - dichiara lo stato di crisi. “Non ne vedevamo il motivo - spiega Raffale-. Il lavoro era sempre di più e la faccenda ci pareva sospetta, anche perché non avevano tenuto conto di fatture che non erano ancora state pagate. Ma noi ci siamo comunque fidati e abbiamo accettato le nuove condizioni di lavoro”. Niente 14esima, niente festività, niente una tantum, massima flessibilità, diminuzione delle ore retribuite. Alla fine dei conti, in tasca non arrivava che 800 euro o poco più al mese. La quota sociale inoltre, che ogni socio deve versare per capitalizzare la cooperativa, è stata aumentata da 25 a 2mila euro. “Una bella botta. Non c’è che dire – continua Raffaele-. Anzi, una ingiustizia bella e buona. Che diritto avevano di trattarci così? Mi sono rivolto all’associazione difesa lavoratori e assieme al suo referente Gianni Boetto, siamo andati da un avvocato. Solo per il fatto che siamo soci non possono imporci le condizioni che vogliono, tanto più che abbiamo verificato che il bilancio della cooperativa era tutt’altro che in passivo”. Raffaelle diventa così il punto di riferimento di tutti i soci lavoratori della Essegi che non vogliono chinare la testa. E che ti fa la cooperativa? “Mi hanno proposto subito un avanzamento di carriera e di diventare il referente del personale di tutte le aziende servite dalla Essegi. Là per là, ero contento, pure se ho subito avvisato i responsabili che non per questo avevo intenzione di abbandonare la lotta sindacale”. Raffale quindi parte per le ferie, programmate da tempo. E al ritorno? “Mi trovo improvvisamente declassato a magazziniere. Ho chiesto più volte un incontro con i vertici ma niente da fare. Nessuno aveva tempo per spiegarmi i motivi”. Comincia il gioco duro. Raffaele ha gli occhi puntati addosso e alla prima occasione gli arriva una raccomandata di licenziamento. Gianni Boetto, responsabile padovano dell’Adl, l’associazione difesa lavoratori che a livello nazionale si riconosce nell’Usb, unione sindacale di base, commenta: “Quello che è accaduto a Raffaele accade ogni giorno a migliaia di lavoratori che per vivere sono costretti a diventare soci di cooperative che di sociale hanno solo il nome. Si tratta di un sistema criminale usato ormai da tutti, enti privati e pubblici, che usufruiscono di una manodopera soggetta ai peggiori ricatti e ai peggio soprusi. Chi, come Raffaele, cerca di opporsi allo sfruttamento viene perseguitato sino al licenziamento. Come Adl Usb ci siamo attivati per impugnare il licenziamento e difendere i suoi diritti in qualsiasi sede legale. Così faremo con tutti i lavoratori, soci e non. Le ingiustizie sono ingiustizie per tutti”.

Svendita demaniale

Pare di essere davanti ad una di quelle lotterie parrocchiali per raccogliere soldi per le missioni, dove la gente acquista il biglietto perché non può dir di no e poi scarta il “pacco”, appunto, sperando di cavarsela col minor danno possibile. Lo hanno chiamato “federalismo demaniale” ma col federalismo vero, quello che si conquista disperdendo il potere, non è neppure imparentato. Sotto sotto il concetto che sta alla base dell’operazione è sempre lo stesso: vendere (se non addirittura svendere) il patrimonio pubblico per far cassa sonante. Un concetto tutto capitalista, o anche marxista se preferite, secondo il quale lo Stato è padre e padrone di tutto quello che si trova dentro i suoi santi confini e ne dispone secondo criteri che alla fin fine son solo economici. Siamo distanti anni luce dall’idea di un governo non padrone ma gestore del suo patrimonio artistico e ambientale, che esercita il suo mandato attraverso le autonomie locali e la partecipazione dal basso dei cittadini, secondo criteri non basati sul profitto ma sulla salvaguardia e valorizzazione. Oggi domina il mercato. Tutto si vende e tutto si compra: acqua, aria, lavoro, montagne e castelli. E lo chiamano “federalismo”. Ai Comuni altro non rimane da fare se non scartare i “pacchi” e sperare per il meglio. Dentro c’è un po’ di tutto. Per rimanere in laguna, troviamo: casse di colmata che hanno bisogno di vagonate di soldi di manutenzione, ma anche lo splendido ex monastero di Santa Croce alle Zattere e altre aree di gran pregio come l’Arsenale. A Venezia spetta la classica parte del leone: su 364 milioni di euro di beni demaniali stimati trasferibili a tutta la Provincia, al capoluogo lagunare ne spettano circa 160. Ma non pensate che sia un regalo! Il denominatore comune di tutti questi trasferimenti è uno solo: costi, costi e ancora costi. L’assessore al patrimonio di Venezia, Bruno Filippini, ha già messo le mani avanti: “Il Comune non ha soldi per acquistare e mettere in funzione tutti questi beni. Saremo costretti a fare una selezione” e sottolinea come il Governo italiano con una mano dia cinque per togliere dieci con l’altra mano. “Questa è l’ultima trovata per scaricare sui Comuni i problemi dello Stato centrale”. E questo sarebbe il federalismo! Ma facciamo attenzione: il decreto Tremonti non obbliga i Comuni a farsi carico dei beni demaniali dismessi. Le amministrazioni sono liberissimi di scartare il “pacco” o lasciarlo sui banchi. Ma che succederà in quest’ultimo caso? Prendiamo l’esempio dell’Arsenale. “L’arzanà de' Viniziani” cantato da Dante, dove bolliva la tenace pece e dove è nato il concetto di fabbrica cinque secoli prima della rivoluzione industriale. Un’area grande pressappoco come un sesto dell’intera Venezia, oggi quasi tutta abbandonata al degrado. L’Arsenale potrebbe rivelarsi uno strumento di enorme efficacia per dare respiro alla Venezia reale, asfissiata dalla mancanza di spazi e pressata dalle alternative in terraferma. Ma il Comune ha le strutture e il denaro per farsene carico? “Il ministro Tremonti è stato chiaro – ha spiegato Filippini - nei prossimi due anni i trasferimenti ai Comuni saranno decurtati di quattro miliardi di euro. Il che significa che non avremo i soldi neppure per fare la metà dei restauri che servirebbero”. Che ne sarà allora dell’antico Arsenale dove gli artigiani della Serenissima varavano cocche e galee? Anche in questo caso il decreto è chiaro. Quello che non comprano i Comuni sarà battuto all’asta ai privati. Eccolo qua il futuro di questo bene pubblico: un enorme, lussuoso albergo con un outlet di gran marca. Proprio quello che ci mancava.

Duro mestiere il pendolare

Siete pendolari? Se la risposta è sì, fareste bene a cominciare a pensare sin da subito ad un mezzo alternativo per andare a lavorare. Se fosse un condannato a morte, il trasporto pubblico su rotaia, avrebbe già la testa sul ceppo e la domanda di grazia respinta dal re. Nessuna speranza in vista. Nessun salvataggio miracoloso all’ultimo istante. E i boia che si apprestano ad infierire sul condannato sono addirittura due: Stato e Regione.
Due i boia e due le mannaie che si apprestano a tagliare i finanziamenti necessari al funzionamento delle nostre ferrovie. E parliamo delle ferrovie utili, quelle che ogni giorno trasportano migliaia di pendolari sul tragitto casa – lavoro. L’alta velocità e le altre grandi opere non perderanno un euro. Anzi. E tra le regioni italiane sarà soprattutto il Veneto, che è la sesta regione italiana per numero di viaggiatori al giorno (135 mila in media di cui oltre 50 mila abbonati) con ad essere maggiormente penalizzato. Ai tagli già annunciati in finanziaria dai ministri Tremonti e Matteoli, sotto la voce “Servizi ferroviari di interesse regionale e locale in concessione”, pari a 1.223 milioni di euro per l’anno 2011, si aggiunge la scarsa volontà della Regione ad investire in quello che oramai viene considerato il “sistema di trasporto dei poveri”: il treno locale. Consideriamo soltanto che la percentuale per il servizio pendolare ferroviario stanziata dalla Regione Veneto nel 2009 è appena lo 0,04 per cento del bilancio totale di spesa. Una autentica miseria che ci porta in fondo alle classifiche delle regioni virtuose italiane. E meglio non fare paragoni con altri Paesi d’Europa come la Francia o la Germania. Ma per restare in Italia, anche il Molise spende più di noi. Il Lazio investe lo 0,13% del bilancio, La Campania l’1,52 %, la Lombardia lo 0,54%. Se rapportiamo l’irrisoria percentuale investita dalla nostra Regione a quella dei suoi pendolari, si capisce come mai nel Veneto assistiamo ad un fiorire di comitati di utenti ferroviari che puntualmente manifestano davanti a palazzo Ferro Fini, sede del consiglio regionale, per chiedere garanzie e tavoli di concertazione che, ancor più puntualmente, vengono disattesi perché, spiega l’assessore di turno, “non ci sono soldi”. Appunto.
La punto fondamentale è che per la Giunta, e questo vale tanto per l’ex presidente Galan quanto per l’attuale Zaia, la ferrovia continua ad essere la cenerentola delle infrastrutture in un campo in cui domina incontrastato l’asfalto. Conti alla mano, dal 2003 al 2009, il vento ha investito il 93,9 % della spesa infrastrutture per le strade e il rimanente 6,1% per la rotaia. Nello stesso periodo, tanto per fare un paragone, la Puglia ha investito il 40,5 per l’asfalto e il 59,5 % per le ferrovie.
Che accadrà quando a questo panorama già desolante il Governo aggiungerà l’ennesimo giro di vite? Secondo i dati diffusi da Legambiente che ha fatto le pulci alla manovra Tremonti sul capitolo del trasporto pubblico, i trasferimenti per i contratti di servizio nel Veneto per il 2011 saranno mutilati dagli attuali 43,2 milioni di euro a solo 14 milioni. E, come ha spiegato lo stesso ministro Tremonti, tutto lascia supporre che questi tagli, già definiti con chiarezza per le singole voci per il 2011, saranno incrementati nel 2012 e nel 2013. “Ma il ministro e il Governo hanno idea dell’effetto che la manovra provocherà a partire dal prossimo anno nelle città italiane? – si chiede Michele Bertucco, presidente di Legambiente Veneto -. Dovranno spiegare ai due milioni e 700mila italiani che ogni giorno prendono i treni per motivi di lavoro o di studio, quali soluzioni alternative hanno in mente per loro. Con meno di metà delle risorse rispetto a quest’anno, come si può pensare di far funzionare il servizio? Quella che abbiamo davanti è una vera e propria ecatombe del servizio ferroviario pendolare”.

Tentazioni nucleari

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Trenta miliardi di motivi per dire di sì al nucleare. Intendiamo motivi particolarmente… tangibili. A trenta miliardi di euro infatti, ammonta la torta nucleare che il Governo intende assegnare alle imprese che concorreranno a realizzare il reattore veneto. Lo stupefacente della vicenda è che nessuno si è ancora espresso su dove, come e quando dovrebbe venir realizzato l’impianto ma già tutti sanno quanto verrà speso e già le aziende cominciano a sgomitarsi per mettere le mani sulla marmellata. Sentite come gongola il presidente degli industriali di Venezia, Luigi Brugnaro, in una intervista rilasciata in occasione dell’ultimo convegno pro nucleare di Confindustria, il 18 maggio a Marghera: “Le nostre imprese sono tra le più competitive in tutto il Paese e certamente sapranno conquistarsi almeno il 40 per cento del business". Brugnaro è fondatore e padrone di Umana, la prima azienda italiana di collocamento di personale, ed è innegabilmente uno che sa fiutare in anticipo l’aria che tira.

Il convegno di Marghera non aveva nessuna pretesa scientifica. Nessun tecnico o scienziato figurava nella lista degli invitati. Nessuna pretesa di dialogo e di riflessione. Nessuno tra i relatori ha ricordato che la Spagna di Zapatero ha recentemente investito pressappoco la stessa cifra per le energie rinnovabili seguendo un piano energetico che porterà a soddisfare in minor tempo una percentuale più grande del fabbisogno del Paese iberico rispetto al nucleare italiano. Il convegno aveva soltanto lo scopo molto… tangibile, appunto, di convincere il neo governatore Luca Zaia a non opporsi alla costruzione di una centrale in Veneto. Impresa da poco. I “nyet” che Zaia lanciava in campagna elettorale han fatto presto ad ammorbidirsi e già il governatore è passato da un “Non ne vedo la necessità. Il nostro fabbisogno energetico è già soddisfatto” a un “Non sono contrario per principio. Vedremo quali saranno le proposte del Governo e cosa faranno per convincerci”. Insomma, sul fronte regionale c’è da attendersi ben poca resistenza, a meno che il reattore non lo vogliano costruire sopra i campi di radicchio del trevisano. Ma Chioggia, propaggine meridionale di una laguna che anche nelle ultime elezioni ha voltato per il centrosinistra, non ci metterà molto a salire sull’altare della vittima sacrificale. A dir di no, ancora una volta tocca ai movimenti. Verdi, sinistra, grillini e comitati cittadini venuti apposta da Chioggia per ricordare che l’economia della cittadina si fonda su due settori come pesca e turismo che sono incompatibili con i reattori nucleari, hanno dato vita ad un affollato sit in di protesta davanti alla sede del convegno. Un primo passo della resistenza è stata l’organizzazione di una rete contro il nucleare. “L'ipotesi di Chioggia o del Polesine come sito possibile per la costruzione di una centrale nucleare in Veneto – ha commentato Cacciari, attivista delle rete - ci ha messi di fronte ad una responsabilità evidente ed ineludibile.  In quanto persone che amano il proprio territorio non possiamo rimanere indifferenti di fronte allo scempio che una tale scelta comporterebbe. I rischi per la salute, la possibile contaminazione della terra e dei fiumi con conseguenze disastrose per l'agricoltura e la pesca, l'impatto negativo sul turismo, disegnano un panorama possibile che non vogliamo per noi e non vorremmo per nessuno.
E proprio perchè non lo vorremmo per nessuno siamo consapevoli che la scelta del ritorno al nucleare in Italia non è solamente un problema dei territori che ospiteranno le centrali, ma un problema di tutti. Il governo Berlusconi ha indicato nel 2013 l’inizio dei lavori per la costruzione della prima centrale e ha contemporaneamente annunciato un'opera di convincimento dell'opinione pubblica sulle meraviglie del nucleare. E questo prima ancora di rendere note le aree scelte per ospitare i reattori. E’ importante contrastare pubblicamente ed in ogni occasione sia la propaganda governativa, sia il tentativo di chi tenta di trarre profitto a scapito dell'ambiente e della nostra salute. Una battaglia da portare avanti in comune, indipendentemente dai partiti e da qualsiasi logica di appartenenza”.

Neanche il Cnr crede al Mose

Ricordare, a disastro avvenuto, che “noi l’avevamo sempre detto”, è una soddisfazione ben misera. Eppure, tante, troppe volte, altro non rimane agli ambientalisti, che debbono assistere al verificarsi delle loro fosche previsioni per dimostrare che avevano ragione. Lo stesso destino della Cassandra omerica, condannata ad urlare una verità talmente scomoda che nessuno vuole ascoltare sino a quando non è troppo tardi. Non stupisce quindi, l’amara ironia con la quale il consigliere comunale Beppe Caccia ha commentato i risultati dello studio del Cnr Ismar sul sistema di paratie mobili Mose.
“Ci fa piacere che ora sia il Cnr a confermare le perplessità che noi abbiamo avanzato da anni. E cioè che il Mose non servirà a difendere Venezia dall’acqua alta”. A riaccendere la polemica sull’ecomostro lagunare stavolta, non sono stati i “soliti” ambientalisti del No Mose, ma gli scienziati del Cnr Ismar – l’istituto di scienze marine del consiglio nazionale della ricerca – che la scorsa settimana ha partecipato ad un convegno al Lido di Venezia, organizzato dal Ciesm, la commissione scientifica per il Mediterraneo presieduta dal principe Alberto di Monaco di cui fanno parte una ventina di Paesi. Lo stesso direttore dell’Ismar, Fabio Trincardi, ha messo in dubbio l’utilità del Mose in previsione dell'innalzamento dei livelli dei mari del livello del mare conseguente ai cambiamenti climatici. "Sappiamo che il Mose è funzionale all'interno di un determinato scenario di innalzamento del livello dell‘Adriatico. Oltre una certa misura la protezione fornita dal sistema di paratoie mobili potrebbe essere totalmente inadeguata se non od addirittura nociva". Parole pesanti per i tecnici del Consorzio Venezia Nuova che di fronte ai dati forniti dall’Ipcc, l’Intergovernmental Panel on Climate Change, hanno sempre preferito fare orecchie da mercante, scegliendo sempre gli scenari meno impattanti e più favorevoli alle previsioni già confezionate per il funzionamento delle dighe mobili o addirittura sposando le tesi dei negazionisti. Negli ultimi tempi, man mano che la comunità scientifica si spostava su previsioni non più compatibili con il sistema Mose, il Consorzio se ne è uscito addirittura con una trovata spettacolare: “Se davvero il mare si innalzerà. Venezia sarà l’unica città costiera che sopravviverà grazie alle paratoie del Mose”. Ma stavolta sono stati gli stessi scienziati del Cnr ha smentire il Consorzio. Il sistema, hanno ribadito, è stato pensato senza tener conto dei climate change. Che funzioni o no, con livelli di marea superiori a quelli previsti è, quantomeno, tutto da dimostrare. Così, come è tutto da dimostrare, il vero impatto che l’ecomostro avrà sulla laguna di Venezia. Per il direttore del Corila, Pierpaolo Campostrini, la costola per le ricerche il laguna del Consorzio, l’ecomostro “non ha avuto sino ad ora nessun impatto ambientale”. Campostrini dimentica che il Mose è un’opera irreversibile. E un’opera irreversibile, per sua natura, ha un inevitabile impatto ambientale. D’altra parte, basta fare un giro in barca per le bocche di porto per farsi una idea dell’impatto che l’ecomostro ha avuto sulla laguna. Basta anche navigare a vela o a remi per sentire come sono cambiate quelle correnti che un tempo facevano respirare la laguna secondo ritmi millenari. Quella laguna che ora è stata trasformata in un braccio di mare aperto separato dalla terra da colate di cemento.

E' nata l'associazione In Comune

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La lista In Comune con Bettin è diventata una associazione. “Un passaggio indispensabile – ha commentato l’assessore all’Ambiente, Gianfranco Bettin – per trasformare una esperienza nata per appoggiare la mia candidatura al Comune di Venezia in una struttura capace di proseguire e sviluppare un percorso condiviso, accompagnare il lavoro istituzionale e politico degli eletti e capace di muoversi a 360 gradi nella città attorno alle tematiche che abbiamo individuato prima come lista e ora come associazione”. L’associazione che si chiamerà semplicemente “In Comune”, è stata tenuta a battesimo da 44 soci fondatori mercoledì 19 maggio, al Laurentianum di Mestre. Federica di Piazza e Franco Vianello Moro sono stati eletti presidenti dall’assemblea. La nuova associazione si propone nel panorama politico e culturale della città lagunare come un punto di riferimento per quanti vogliono contribuire, per dirla con le parole di Bettin, “a colmare quel deficit di partecipazione che ora innegabilmente rallenta l'attuale macchina comunale”.


“La lista e ora l’associazione In Comune – prosegue l’ambientalista – ha avuto il merito di forzare la politica cittadina ricavando nuovi spazi in un panorama desolante come quello della sinistra italiana e veneziana, incapace di rinnovarsi al di là della stratificazione delle sigle. In Comune ha fornito le parole per dire qualcosa di nuovo ad una politica cittadina che balbettava parole vecchie, maturando le capacità per condizionare e addirittura egemonizzare il dibattito politico e culturale. Un problema come la tutela dell'ambiente, oggi non è solo una denuncia ma una linea guida del governo della città”. Una esperienza che a Venezia, al contrario di quanto accaduto in altre città italiane, ha avuto esito positivo.
La nascita dell’associazione In Comune, non significa comunque lo scioglimento dei verdi di Venezia. Casomai un punto di ripartenza per l’avvio di quella costituente ecologista lanciata dall’ultimo congresso di Fiuggi. “In Comune non è il nostro nuovo partito – ha scritto Bettin in una lettera inviata agli iscritti verdi -, ma un luogo prezioso di cooperazione tra persone diverse, e tra gruppi o anche parti di forze politiche, che hanno avuto lo scopo, raggiunto, di aprire una via al rinnovo dell’amministrazione comunale alternativa a quelle che si configuravano nello scorso autunno. I verdi veneziani sono pienamente dentro la ricerca di una nuova dimensione per l’ecologia politica, in linea con le più avanzate ricerche europee, specie quelle tedesche e francesi e ora anche britanniche, in rapporti ben avviati con la Fondazione culturale dei Verdi europei”. La lettera si conclude con l’invito ad “assumere consapevolmente e chiaramente questa collocazione, questo profilo di forza in metamorfosi, difficile ma creativa”.

Il recordman degli incarichi pubblici

Pari, pari dallo Zingarelli: Lotizzazione /lottiddzat’tsjone/ s. f. Atto, effetto del lottizzare. Lotizzare, /lottid’ dzare/ [da lotto] v. tr. Suddivisioni in lotti di un terreno. Lotto /lotto’/ s. m. Gioco d’azzardo eccetera eccetera. Per traslato, il termine lottizzazione è stato adoperato da Alberto Ronchey, per indicare la spartizione, tra gli appartenenti di determinati partiti politici, di commesse pubbliche, di cariche dirigenziali in aziende o enti pubblici direttamente controllati dagli enti pubblici stessi.
Eticamente parlando, non è una bella cosa perché antepone gli interessi di partito a quelli comuni. Il Ronchey lo additava come un malcostume politico diffuso nella cosiddetta Prima Repubblica. In terra veneta era appannaggio esclusivo della Balena Bianca ma che, grazie ad un’altra pratica politica da prima repubblica chiamata “consociativismo”, aveva comunque il buon gusto di lasciare qualcosa anche agli altri partiti. Era una questione di democrazia. Democrazia da partiti, ovviamente. Quella partecipativa e dal basso è tutta un’altra questione che in queste nostre terre selvagge non trova casa. Ma comunque le cose così funzionavano e le cariche pubbliche venivano assegnate più sulla base della tessera che dei meriti. Capitava che un geometra dovesse dettare le politiche della sanità regionale. Non come adesso che c’è un qualificatissimo ragioniere. Altri tempi. Adesso la lottizzazione non c’è come prima ma più di prima, perché il consociativismo ha lasciato il posto alla regola dell’assopigliatutto – che non caso proviene dal rubamazzetto – e del “lasciateci governare che siamo legittimati dalla maggioranza degli elettori”. E così che è nata la casta padana. Il lotto, nel senso di “azzardo”, non c’entra niente. La lottizzazione non è un caso e non è neppure una scienza. E’ prendere e portare a casa. La Lega non concede nulla neanche agli alleati e premia solo i fedelissimi. E chissenefrega, non dico delle competenze, ma anche della decenza. Si governa e si “magna” sino ad ingozzarsi. Un bell’esempio di questa “lottizzazione estrema” ce lo ha segnalato l’associazione Altra Treviso. Il personaggio è tale Nicola Cecconato. Politico di secondo o anche terzo piano nel pantheon del Carroccio ma comunque un collezionista di cariche di tutto rispetto. Prendete fiato che l’elenco è lungo: assessore al Bilancio del Comune di San Vendemiano, presidente del Collegio dei Sindaci di Asco Tls spa, presidente di Edigas Due spa, presidente di Cit; componente del Collegio dei sindaci dell’Ulss 7, di Ater Treviso spa, di Edigas Esercizio Distribuzione Gas; componente supplente del Collegio dei Sindaci di La Marca spa; revisore dei conti di Veneto Infrastrutture, Servizi Srl e di STI Servizi Trasporti Interregionali spa, componente del Collegio dei Sindaci di Veneto Acque spa. Non gli manca qualche bella poltroncina a Roma Ladrona: presidente del consiglio di amministrazione dell’Istituto Sviluppo Agroalimentare spa, componente del collegio dei sindaci di Rai Trade spa, componente supplente del Collegio dei sindaci di Coni Servizi spa. Che ne dite? Qualcuno l’ha già segnalato al Guinness dei Primati?

Il litorale di cemento

A leggere le brochure che pubblicizzano la futura “Jesolo City Beach 2012”, nessuno crederebbe mai che Jesolo sia soltanto una cittadina con poco più di 20 mila abitanti. Nessuno crederebbe neppure che nel pieno di una crisi economica che non risparmia neppure il settore turistico, qualcuno potesse essere così folle da ipotizzare un investimento di oltre 500 milioni di euro per costruire una specie di Disneyland da Emirati Arabi sul litorale adriatico. Tra le altre cose, senza rispettare nessuno di quei vincoli paesaggistici e di tutela del litorale imposti da Stato e Regione. Non che da questi governi ci sia da attendere qualche presa di posizione contraria.
Anzi, lo stesso Comune di Jesolo, incavolato perché la Soprintendenza ha chiesto di fermare le ruspe per difendere quel poco di litorale veneto non ancora mangiato dal cemento, ci si è rivolto per chiedere, non certo che facessero rispettate le vigenti leggi, ma un aiuto per “superare tutte quelle pastoie burocratiche che fermano lo sviluppo”. Sentite che ci dice il vicesindaco nonché assessore all’urbanistica, Valerio Zoggia: “Se va avanti così, ci toccherà chiedere il permesso alla Soprintendenza anche per installare un condizionatore o cambiare gli infissi di una struttura nella fascia dei 300 metri dal mare! Non è accettabile che un problema di ordine burocratico possa bloccare 500 milioni di euro in investimenti”. Valerio Zoggia chiede il “federalismo urbanistico” ed è, naturalmente, un leghista doc. Qui gli investimenti, i “schei”, girano solo sul Carroccio. Tutta Jesolo è leghista. Anche la stessa opposizione: qualche spaesato democratico che apre bocca ogni morte di papa solo per ribadire che il Comune fa bene ad investire nel cemento, solo che il suo Pd, se fosse al governo, lo farebbe “meglio”. Per il resto è silenzio assoluto. Silenzio nella politica. Silenzio nella stampa. Voglio cementare 97 chilometri quadrati di litorale tutelato per realizzare una skyline da San Francisco ad uno sputo da Venezia, e nessuno dice niente, Nessuno scrive niente. Anzi, no. Qualcuno qualcosa aveva scritto, una decina di anni fa. Un rapporto dell’antimafia in cui si profetizzava il pericolo che la mafia (sì, la mafia, avete letto bene) stesse per investire sul litorale veneto centinaia di milioni di euro nel mattone. Lo scopo è sempre lo stesso: riciclare denaro sporco. Ci spiega Walter Mescalchin di Libera: “Per la criminalità organizzata il riciclaggio del ricavato dalle attività illecite è fondamentale. Centri commerciali o direzionali, grandi alberghi, e in generale le colate di cemento, sono l’ideale perché prevedono cospicui stanziamenti. Il denaro non gli manca. La mafia non soffre la crisi. E sono gli unici imprenditori che possono permettersi di investire cento per ricavare venti. Son finiti i tempi in cui minacciavano il sindaco per avere l’appalto delle pulizie del Comune. Oggi preferiscono controllare le grandi opere e gli investimenti miliardari. Magari quelli gestiti da un unico commissario, così si bypassa meglio la democrazia ed i controlli ambientali”. A questo punto, per fare il quadro completo della situazione, manca solo un elenco di alcune delle follie da sceicco che si stanno contrabbandando a Jesolo sotto la benedizione “sviluppo economico” e del “completamento di opera già avviate”. Tenetevi saldi: 5.200 tra camping, ville, villette e villaggi turistici, 391 hotel di cui alcuni grandi come grattacieli, e poi campi da golf, parchi acquatici, centri commerciali a tema. Entriamo nei dettagli: centro congressi “fronte mare” (magari per discutere di come tutelare l’ambiente costiero); un elegante centro benessere di 1600 metri quadri senza contare l’indispensabile mega parcheggio adiacente; un’Isola Blu a 150 metri dalla spiaggia, “arcipelago di servizi” l’ha definita l’architetto, ma non è altro che il solito centro commerciale; Laguna Park, giochi e divertimento assicurato per grandi e piccini, 150 mila metri quadrati di pineta tutelata che se ne vanno; Exotic Village, una vera e propria oasi del deserto che ci si può girare un film sulla legione straniera, ci sarà pure il caravanserraglio con dromedari del Sahara e beduini ma di razza padana; Cascina del Mar, finto giardino botanico che riecheggia agli antichi borghi mediterranei, sopra il cemento “plasmeremo gli edifici con la creta per rispettare la natura”; mega darsena con campo da golf annesso; mini grattacielo Tahiti; città della musica, altra colata di cemento per farci le trasmissioni estive di Rete Quattro; Ipercity, ennesimo centro commerciale; Merville Casa, grattacielo da 22 piani ma per “rispettare la pineta” sopra la quale sorgerà, il parcheggio sarà interrato; in piazza Drago, sono previsti 71 mila metri cubi di costruito per le nuove Torri Gemelle della cristianità. Facciamo grazia di altri due torroni che chiuderanno il lungomare e del grattacielo che voglio tirar su al limite del canale navigabile. Ecco qua. E l’assessore si lamenta: “Le pastoie burocratiche frenano la nostra vocazione turistica. Non è accettabile che per cambiare un infisso della finestra ci tocchi chiedere il permesso alla Sovrintendenza”.

Venezia tra Serenissima e modernità. Intervista con Tommaso Cacciari

Alla presidente della provincia di Venezia, la leghista Francesca Zaccariotto, non è andato giù che a vincere il prestigioso premio messo in palio dall’associazione Gabriele Bortolozzo, sia stato un noto esponente dei No Mose come Tommaso Cacciari. Ancor meno digeribile, il fatto che detto premio sia stato consegnato all’interno di uno spazio gestito dalla stessa Provincia come il complesso situato nell’isola di San Servolo.
E non deve averle fatto neppure piacere che, dopo la consegna del premio, l’associazione abbia organizzato un giro in barca per far vedere ad un centinaio di attoniti spettatori un campionario dei disastri ambientali che si stanno confezionando in quella che un tempo era la laguna dei dogi. Disastri cui la Provincia mette generosamente del suo. Tutto ciò, dicevamo, non ha fatto piacere alla Zaccariotto. Tanto è vero che ha promesso un bel giro di vite sul consiglio di amministrazione in scadenza di San Servolo.
Tommaso, hai fatto arrabbiare la Zaccariotto?
E chi se ne frega?
Chiusa la polemica. Nella tesi che ti ha fruttato la laurea in storia e il premio Bortolozzo, tracci una storia ambientale di Venezia, dalla sua fondazione ad oggi. In particolare, evidenzi la modernità della Venezia Serenissima in rapporto all’arretratezza politica di oggi.
La modernità della Venezia dei dogi consisteva in quell’intreccio straordinario tra costruito, ambiente e cultura, su cui poggiava non solo la sopravvivenza ma la stessa ricchezza e prosperità della città. Se un pescatore che catturava un pesce troppo piccolo finiva ai remi per cinque anni, non era per una questione di animalismo spicciolo, ma per preservare l’equilibro indispensabile per difendere una risorsa comune come il pescato. E i pescatori stessi erano i primi ad applicare questa regola perché si consideravano i primi sorveglianti della laguna. Venezia era una città ben consapevole di vivere dentro un meccanismo globale. La laguna era considerata come un complesso organismo vivente che non poteva essere in nessun modo separato dalla città e dai suoi abitanti. Contrariamente a quanto credono in molti, nella laguna di Venezia non c’è niente di naturale. E’ un luogo dove il mare e i fiumi, l’acque dolce e l’acqua salata, si sono sfidati a braccio di ferro raggiungendo un equilibrio che non poteva durare nel tempo. La Serenissima questo lo aveva compreso e per centinaia di anni ha lavorato per mantenerlo e garantire la sopravvivenza di Venezia. Sono stati fatti continui ed innumerevoli lavori ma senza mai perdere di vista la complessità e il risultato d’insieme che era quello di mantenere viva la laguna, consapevoli che ogni intervento si sarebbe ripercosso secondo mille interazioni su tutto l'insieme. Circolazione delle acque, salubrità dell'aria, navigabilità erano i beni comuni a cui tutti dovevano non solo obbedienza, ma cooperazione consapevole. Quello che contava era l’equilibrio dell’ambiente circostante. Ma un equilibrio produttivo che donava ricchezza e prosperità. L’opposto del concetto fascista di parco naturale in cui dentro non si deve toccare nulla. E fuori però, si poteva cementare tutto.
Questo equilibrio viene spezzato nell’ottocento, con la perdita dell’indipendenza?
Le decisioni non erano più prese in loco ma prima a Vienna e poi a Roma. Sono anche gli anni dell’industralizzazione, che a Venezia ha portato più guai che altro. E’ il secolo del ferro e del carbone e la laguna viene vista come un fastidioso contrattempo. Se avessero potuto, l’avrebbero interrata tutta.
Che è quanto cercano di fare adesso, giusto?
Già. Il trend non è cambiato dall’ottocento ad oggi. Anzi, possiamo registrare una forte e preoccupante accelerazione proprio in questi ultimi anni in cui i cambiamenti climatici e le continue crisi economiche dovrebbe al contrario far riflettere sugli errori del cosiddetto sviluppo industriale. Da organismo vivente, complesso ma anche delicato, che dona la vita all’intera città, oggi la laguna viene considerata da una politica slegata sia dai saperi locali che dalla comunità scientifica, una sorta di catino pieno d’acqua che si può regolare con una valvola. Il Mose è forse l’esempio più eclatante, ma potremmo ricordare le barene sintetiche, gli interramenti, le valli da pesca con le rive in cemento, la statale romea, l’aeroporto, il Tronchetto, le casse di colmata, tutta la zona industriale, gli inceneritori come Sg31 e mi fermo qua. Manca solo la centrale nucleare, per adesso.
Venezia non ha mura. Vive nell’ambiente che la circonda e dell’ambiente che la circonda. Qui la parola “globale” ha un significato più chiaro che in qualsiasi altra grande città del mondo.
Lo ha spiegato bene Gianfranco Bettin che in suo libro quando sottolinea le ripercussioni che si sono registrate a Venezia a causa eventi di caratura mondiale apparentemente lontani. Faccio un esempio: la perestrojka. Gorbaciov pensiona il comunismo e Venezia va in tilt per l’invasione dei turisti dell’est. Ma potrei ricordare anche il bombardamento dell’iraq. Baghdad è sotto le bombe e il carnevale va in crisi. Fatti distanti nello spazio e in apparenza slegati con la nostra realtà, causano invece gravi problemi in una città globale come la nostra. Per non parlare dei cambiamenti climatici. Se il livello del mare dovesse salire, cosa credi che ne sarebbe di Venezia? E perché pensi che dal Sale siamo partiti in 25 per Copenhagen e ci siamo fatti arrestare tutti?
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