In questa pagina ho riportato gli ultimi articoli che ho scritto per il quotidiano ambientalista Terra, il settimanale Carta, Manifesto, per siti come Global Project, FrontiereNews o siti di associazioni come In Comune con Bettin e altro ancora.
Tentazioni nucleari
25/05/2010Terra
Trenta miliardi di motivi per dire di sì al nucleare. Intendiamo motivi particolarmente… tangibili. A trenta miliardi di euro infatti, ammonta la torta nucleare che il Governo intende assegnare alle imprese che concorreranno a realizzare il reattore veneto. Lo stupefacente della vicenda è che nessuno si è ancora espresso su dove, come e quando dovrebbe venir realizzato l’impianto ma già tutti sanno quanto verrà speso e già le aziende cominciano a sgomitarsi per mettere le mani sulla marmellata. Sentite come gongola il presidente degli industriali di Venezia, Luigi Brugnaro, in una intervista rilasciata in occasione dell’ultimo convegno pro nucleare di Confindustria, il 18 maggio a Marghera: “Le nostre imprese sono tra le più competitive in tutto il Paese e certamente sapranno conquistarsi almeno il 40 per cento del business". Brugnaro è fondatore e padrone di Umana, la prima azienda italiana di collocamento di personale, ed è innegabilmente uno che sa fiutare in anticipo l’aria che tira.
Il convegno di Marghera non aveva nessuna pretesa scientifica. Nessun tecnico o scienziato figurava nella lista degli invitati. Nessuna pretesa di dialogo e di riflessione. Nessuno tra i relatori ha ricordato che la Spagna di Zapatero ha recentemente investito pressappoco la stessa cifra per le energie rinnovabili seguendo un piano energetico che porterà a soddisfare in minor tempo una percentuale più grande del fabbisogno del Paese iberico rispetto al nucleare italiano. Il convegno aveva soltanto lo scopo molto… tangibile, appunto, di convincere il neo governatore Luca Zaia a non opporsi alla costruzione di una centrale in Veneto. Impresa da poco. I “nyet” che Zaia lanciava in campagna elettorale han fatto presto ad ammorbidirsi e già il governatore è passato da un “Non ne vedo la necessità. Il nostro fabbisogno energetico è già soddisfatto” a un “Non sono contrario per principio. Vedremo quali saranno le proposte del Governo e cosa faranno per convincerci”. Insomma, sul fronte regionale c’è da attendersi ben poca resistenza, a meno che il reattore non lo vogliano costruire sopra i campi di radicchio del trevisano. Ma Chioggia, propaggine meridionale di una laguna che anche nelle ultime elezioni ha voltato per il centrosinistra, non ci metterà molto a salire sull’altare della vittima sacrificale. A dir di no, ancora una volta tocca ai movimenti. Verdi, sinistra, grillini e comitati cittadini venuti apposta da Chioggia per ricordare che l’economia della cittadina si fonda su due settori come pesca e turismo che sono incompatibili con i reattori nucleari, hanno dato vita ad un affollato sit in di protesta davanti alla sede del convegno. Un primo passo della resistenza è stata l’organizzazione di una rete contro il nucleare. “L'ipotesi di Chioggia o del Polesine come sito possibile per la costruzione di una centrale nucleare in Veneto – ha commentato Cacciari, attivista delle rete - ci ha messi di fronte ad una responsabilità evidente ed ineludibile. In quanto persone che amano il proprio territorio non possiamo rimanere indifferenti di fronte allo scempio che una tale scelta comporterebbe. I rischi per la salute, la possibile contaminazione della terra e dei fiumi con conseguenze disastrose per l'agricoltura e la pesca, l'impatto negativo sul turismo, disegnano un panorama possibile che non vogliamo per noi e non vorremmo per nessuno.
E proprio perchè non lo vorremmo per nessuno siamo consapevoli che la scelta del ritorno al nucleare in Italia non è solamente un problema dei territori che ospiteranno le centrali, ma un problema di tutti. Il governo Berlusconi ha indicato nel 2013 l’inizio dei lavori per la costruzione della prima centrale e ha contemporaneamente annunciato un'opera di convincimento dell'opinione pubblica sulle meraviglie del nucleare. E questo prima ancora di rendere note le aree scelte per ospitare i reattori. E’ importante contrastare pubblicamente ed in ogni occasione sia la propaganda governativa, sia il tentativo di chi tenta di trarre profitto a scapito dell'ambiente e della nostra salute. Una battaglia da portare avanti in comune, indipendentemente dai partiti e da qualsiasi logica di appartenenza”.
Neanche il Cnr crede al Mose
25/05/2010TerraRicordare, a disastro avvenuto, che “noi l’avevamo sempre detto”, è una soddisfazione ben misera. Eppure, tante, troppe volte, altro non rimane agli ambientalisti, che debbono assistere al verificarsi delle loro fosche previsioni per dimostrare che avevano ragione. Lo stesso destino della Cassandra omerica, condannata ad urlare una verità talmente scomoda che nessuno vuole ascoltare sino a quando non è troppo tardi. Non stupisce quindi, l’amara ironia con la quale il consigliere comunale Beppe Caccia ha commentato i risultati dello studio del Cnr Ismar sul sistema di paratie mobili Mose.
“Ci fa piacere che ora sia il Cnr a confermare le perplessità che noi abbiamo avanzato da anni. E cioè che il Mose non servirà a difendere Venezia dall’acqua alta”. A riaccendere la polemica sull’ecomostro lagunare stavolta, non sono stati i “soliti” ambientalisti del No Mose, ma gli scienziati del Cnr Ismar – l’istituto di scienze marine del consiglio nazionale della ricerca – che la scorsa settimana ha partecipato ad un convegno al Lido di Venezia, organizzato dal Ciesm, la commissione scientifica per il Mediterraneo presieduta dal principe Alberto di Monaco di cui fanno parte una ventina di Paesi. Lo stesso direttore dell’Ismar, Fabio Trincardi, ha messo in dubbio l’utilità del Mose in previsione dell'innalzamento dei livelli dei mari del livello del mare conseguente ai cambiamenti climatici. "Sappiamo che il Mose è funzionale all'interno di un determinato scenario di innalzamento del livello dell‘Adriatico. Oltre una certa misura la protezione fornita dal sistema di paratoie mobili potrebbe essere totalmente inadeguata se non od addirittura nociva". Parole pesanti per i tecnici del Consorzio Venezia Nuova che di fronte ai dati forniti dall’Ipcc, l’Intergovernmental Panel on Climate Change, hanno sempre preferito fare orecchie da mercante, scegliendo sempre gli scenari meno impattanti e più favorevoli alle previsioni già confezionate per il funzionamento delle dighe mobili o addirittura sposando le tesi dei negazionisti. Negli ultimi tempi, man mano che la comunità scientifica si spostava su previsioni non più compatibili con il sistema Mose, il Consorzio se ne è uscito addirittura con una trovata spettacolare: “Se davvero il mare si innalzerà. Venezia sarà l’unica città costiera che sopravviverà grazie alle paratoie del Mose”. Ma stavolta sono stati gli stessi scienziati del Cnr ha smentire il Consorzio. Il sistema, hanno ribadito, è stato pensato senza tener conto dei climate change. Che funzioni o no, con livelli di marea superiori a quelli previsti è, quantomeno, tutto da dimostrare. Così, come è tutto da dimostrare, il vero impatto che l’ecomostro avrà sulla laguna di Venezia. Per il direttore del Corila, Pierpaolo Campostrini, la costola per le ricerche il laguna del Consorzio, l’ecomostro “non ha avuto sino ad ora nessun impatto ambientale”. Campostrini dimentica che il Mose è un’opera irreversibile. E un’opera irreversibile, per sua natura, ha un inevitabile impatto ambientale. D’altra parte, basta fare un giro in barca per le bocche di porto per farsi una idea dell’impatto che l’ecomostro ha avuto sulla laguna. Basta anche navigare a vela o a remi per sentire come sono cambiate quelle correnti che un tempo facevano respirare la laguna secondo ritmi millenari. Quella laguna che ora è stata trasformata in un braccio di mare aperto separato dalla terra da colate di cemento.
“Ci fa piacere che ora sia il Cnr a confermare le perplessità che noi abbiamo avanzato da anni. E cioè che il Mose non servirà a difendere Venezia dall’acqua alta”. A riaccendere la polemica sull’ecomostro lagunare stavolta, non sono stati i “soliti” ambientalisti del No Mose, ma gli scienziati del Cnr Ismar – l’istituto di scienze marine del consiglio nazionale della ricerca – che la scorsa settimana ha partecipato ad un convegno al Lido di Venezia, organizzato dal Ciesm, la commissione scientifica per il Mediterraneo presieduta dal principe Alberto di Monaco di cui fanno parte una ventina di Paesi. Lo stesso direttore dell’Ismar, Fabio Trincardi, ha messo in dubbio l’utilità del Mose in previsione dell'innalzamento dei livelli dei mari del livello del mare conseguente ai cambiamenti climatici. "Sappiamo che il Mose è funzionale all'interno di un determinato scenario di innalzamento del livello dell‘Adriatico. Oltre una certa misura la protezione fornita dal sistema di paratoie mobili potrebbe essere totalmente inadeguata se non od addirittura nociva". Parole pesanti per i tecnici del Consorzio Venezia Nuova che di fronte ai dati forniti dall’Ipcc, l’Intergovernmental Panel on Climate Change, hanno sempre preferito fare orecchie da mercante, scegliendo sempre gli scenari meno impattanti e più favorevoli alle previsioni già confezionate per il funzionamento delle dighe mobili o addirittura sposando le tesi dei negazionisti. Negli ultimi tempi, man mano che la comunità scientifica si spostava su previsioni non più compatibili con il sistema Mose, il Consorzio se ne è uscito addirittura con una trovata spettacolare: “Se davvero il mare si innalzerà. Venezia sarà l’unica città costiera che sopravviverà grazie alle paratoie del Mose”. Ma stavolta sono stati gli stessi scienziati del Cnr ha smentire il Consorzio. Il sistema, hanno ribadito, è stato pensato senza tener conto dei climate change. Che funzioni o no, con livelli di marea superiori a quelli previsti è, quantomeno, tutto da dimostrare. Così, come è tutto da dimostrare, il vero impatto che l’ecomostro avrà sulla laguna di Venezia. Per il direttore del Corila, Pierpaolo Campostrini, la costola per le ricerche il laguna del Consorzio, l’ecomostro “non ha avuto sino ad ora nessun impatto ambientale”. Campostrini dimentica che il Mose è un’opera irreversibile. E un’opera irreversibile, per sua natura, ha un inevitabile impatto ambientale. D’altra parte, basta fare un giro in barca per le bocche di porto per farsi una idea dell’impatto che l’ecomostro ha avuto sulla laguna. Basta anche navigare a vela o a remi per sentire come sono cambiate quelle correnti che un tempo facevano respirare la laguna secondo ritmi millenari. Quella laguna che ora è stata trasformata in un braccio di mare aperto separato dalla terra da colate di cemento.
E' nata l'associazione In Comune
25/05/2010Terra
“La lista e ora l’associazione In Comune – prosegue l’ambientalista – ha avuto il merito di forzare la politica cittadina ricavando nuovi spazi in un panorama desolante come quello della sinistra italiana e veneziana, incapace di rinnovarsi al di là della stratificazione delle sigle. In Comune ha fornito le parole per dire qualcosa di nuovo ad una politica cittadina che balbettava parole vecchie, maturando le capacità per condizionare e addirittura egemonizzare il dibattito politico e culturale. Un problema come la tutela dell'ambiente, oggi non è solo una denuncia ma una linea guida del governo della città”. Una esperienza che a Venezia, al contrario di quanto accaduto in altre città italiane, ha avuto esito positivo.
La nascita dell’associazione In Comune, non significa comunque lo scioglimento dei verdi di Venezia. Casomai un punto di ripartenza per l’avvio di quella costituente ecologista lanciata dall’ultimo congresso di Fiuggi. “In Comune non è il nostro nuovo partito – ha scritto Bettin in una lettera inviata agli iscritti verdi -, ma un luogo prezioso di cooperazione tra persone diverse, e tra gruppi o anche parti di forze politiche, che hanno avuto lo scopo, raggiunto, di aprire una via al rinnovo dell’amministrazione comunale alternativa a quelle che si configuravano nello scorso autunno. I verdi veneziani sono pienamente dentro la ricerca di una nuova dimensione per l’ecologia politica, in linea con le più avanzate ricerche europee, specie quelle tedesche e francesi e ora anche britanniche, in rapporti ben avviati con la Fondazione culturale dei Verdi europei”. La lettera si conclude con l’invito ad “assumere consapevolmente e chiaramente questa collocazione, questo profilo di forza in metamorfosi, difficile ma creativa”.
Il recordman degli incarichi pubblici
4/05/2010TerraPari, pari dallo Zingarelli: Lotizzazione /lottiddzat’tsjone/ s. f. Atto, effetto del lottizzare. Lotizzare, /lottid’ dzare/ [da lotto] v. tr. Suddivisioni in lotti di un terreno. Lotto /lotto’/ s. m. Gioco d’azzardo eccetera eccetera. Per traslato, il termine lottizzazione è stato adoperato da Alberto Ronchey, per indicare la spartizione, tra gli appartenenti di determinati partiti politici, di commesse pubbliche, di cariche dirigenziali in aziende o enti pubblici direttamente controllati dagli enti pubblici stessi.
Eticamente parlando, non è una bella cosa perché antepone gli interessi di partito a quelli comuni. Il Ronchey lo additava come un malcostume politico diffuso nella cosiddetta Prima Repubblica. In terra veneta era appannaggio esclusivo della Balena Bianca ma che, grazie ad un’altra pratica politica da prima repubblica chiamata “consociativismo”, aveva comunque il buon gusto di lasciare qualcosa anche agli altri partiti. Era una questione di democrazia. Democrazia da partiti, ovviamente. Quella partecipativa e dal basso è tutta un’altra questione che in queste nostre terre selvagge non trova casa. Ma comunque le cose così funzionavano e le cariche pubbliche venivano assegnate più sulla base della tessera che dei meriti. Capitava che un geometra dovesse dettare le politiche della sanità regionale. Non come adesso che c’è un qualificatissimo ragioniere. Altri tempi. Adesso la lottizzazione non c’è come prima ma più di prima, perché il consociativismo ha lasciato il posto alla regola dell’assopigliatutto – che non caso proviene dal rubamazzetto – e del “lasciateci governare che siamo legittimati dalla maggioranza degli elettori”. E così che è nata la casta padana. Il lotto, nel senso di “azzardo”, non c’entra niente. La lottizzazione non è un caso e non è neppure una scienza. E’ prendere e portare a casa. La Lega non concede nulla neanche agli alleati e premia solo i fedelissimi. E chissenefrega, non dico delle competenze, ma anche della decenza. Si governa e si “magna” sino ad ingozzarsi. Un bell’esempio di questa “lottizzazione estrema” ce lo ha segnalato l’associazione Altra Treviso. Il personaggio è tale Nicola Cecconato. Politico di secondo o anche terzo piano nel pantheon del Carroccio ma comunque un collezionista di cariche di tutto rispetto. Prendete fiato che l’elenco è lungo: assessore al Bilancio del Comune di San Vendemiano, presidente del Collegio dei Sindaci di Asco Tls spa, presidente di Edigas Due spa, presidente di Cit; componente del Collegio dei sindaci dell’Ulss 7, di Ater Treviso spa, di Edigas Esercizio Distribuzione Gas; componente supplente del Collegio dei Sindaci di La Marca spa; revisore dei conti di Veneto Infrastrutture, Servizi Srl e di STI Servizi Trasporti Interregionali spa, componente del Collegio dei Sindaci di Veneto Acque spa. Non gli manca qualche bella poltroncina a Roma Ladrona: presidente del consiglio di amministrazione dell’Istituto Sviluppo Agroalimentare spa, componente del collegio dei sindaci di Rai Trade spa, componente supplente del Collegio dei sindaci di Coni Servizi spa. Che ne dite? Qualcuno l’ha già segnalato al Guinness dei Primati?
Eticamente parlando, non è una bella cosa perché antepone gli interessi di partito a quelli comuni. Il Ronchey lo additava come un malcostume politico diffuso nella cosiddetta Prima Repubblica. In terra veneta era appannaggio esclusivo della Balena Bianca ma che, grazie ad un’altra pratica politica da prima repubblica chiamata “consociativismo”, aveva comunque il buon gusto di lasciare qualcosa anche agli altri partiti. Era una questione di democrazia. Democrazia da partiti, ovviamente. Quella partecipativa e dal basso è tutta un’altra questione che in queste nostre terre selvagge non trova casa. Ma comunque le cose così funzionavano e le cariche pubbliche venivano assegnate più sulla base della tessera che dei meriti. Capitava che un geometra dovesse dettare le politiche della sanità regionale. Non come adesso che c’è un qualificatissimo ragioniere. Altri tempi. Adesso la lottizzazione non c’è come prima ma più di prima, perché il consociativismo ha lasciato il posto alla regola dell’assopigliatutto – che non caso proviene dal rubamazzetto – e del “lasciateci governare che siamo legittimati dalla maggioranza degli elettori”. E così che è nata la casta padana. Il lotto, nel senso di “azzardo”, non c’entra niente. La lottizzazione non è un caso e non è neppure una scienza. E’ prendere e portare a casa. La Lega non concede nulla neanche agli alleati e premia solo i fedelissimi. E chissenefrega, non dico delle competenze, ma anche della decenza. Si governa e si “magna” sino ad ingozzarsi. Un bell’esempio di questa “lottizzazione estrema” ce lo ha segnalato l’associazione Altra Treviso. Il personaggio è tale Nicola Cecconato. Politico di secondo o anche terzo piano nel pantheon del Carroccio ma comunque un collezionista di cariche di tutto rispetto. Prendete fiato che l’elenco è lungo: assessore al Bilancio del Comune di San Vendemiano, presidente del Collegio dei Sindaci di Asco Tls spa, presidente di Edigas Due spa, presidente di Cit; componente del Collegio dei sindaci dell’Ulss 7, di Ater Treviso spa, di Edigas Esercizio Distribuzione Gas; componente supplente del Collegio dei Sindaci di La Marca spa; revisore dei conti di Veneto Infrastrutture, Servizi Srl e di STI Servizi Trasporti Interregionali spa, componente del Collegio dei Sindaci di Veneto Acque spa. Non gli manca qualche bella poltroncina a Roma Ladrona: presidente del consiglio di amministrazione dell’Istituto Sviluppo Agroalimentare spa, componente del collegio dei sindaci di Rai Trade spa, componente supplente del Collegio dei sindaci di Coni Servizi spa. Che ne dite? Qualcuno l’ha già segnalato al Guinness dei Primati?
Il litorale di cemento
4/05/2010TerraA leggere le brochure che pubblicizzano la futura “Jesolo City Beach 2012”, nessuno crederebbe mai che Jesolo sia soltanto una cittadina con poco più di 20 mila abitanti. Nessuno crederebbe neppure che nel pieno di una crisi economica che non risparmia neppure il settore turistico, qualcuno potesse essere così folle da ipotizzare un investimento di oltre 500 milioni di euro per costruire una specie di Disneyland da Emirati Arabi sul litorale adriatico. Tra le altre cose, senza rispettare nessuno di quei vincoli paesaggistici e di tutela del litorale imposti da Stato e Regione. Non che da questi governi ci sia da attendere qualche presa di posizione contraria.
Anzi, lo stesso Comune di Jesolo, incavolato perché la Soprintendenza ha chiesto di fermare le ruspe per difendere quel poco di litorale veneto non ancora mangiato dal cemento, ci si è rivolto per chiedere, non certo che facessero rispettate le vigenti leggi, ma un aiuto per “superare tutte quelle pastoie burocratiche che fermano lo sviluppo”. Sentite che ci dice il vicesindaco nonché assessore all’urbanistica, Valerio Zoggia: “Se va avanti così, ci toccherà chiedere il permesso alla Soprintendenza anche per installare un condizionatore o cambiare gli infissi di una struttura nella fascia dei 300 metri dal mare! Non è accettabile che un problema di ordine burocratico possa bloccare 500 milioni di euro in investimenti”. Valerio Zoggia chiede il “federalismo urbanistico” ed è, naturalmente, un leghista doc. Qui gli investimenti, i “schei”, girano solo sul Carroccio. Tutta Jesolo è leghista. Anche la stessa opposizione: qualche spaesato democratico che apre bocca ogni morte di papa solo per ribadire che il Comune fa bene ad investire nel cemento, solo che il suo Pd, se fosse al governo, lo farebbe “meglio”. Per il resto è silenzio assoluto. Silenzio nella politica. Silenzio nella stampa. Voglio cementare 97 chilometri quadrati di litorale tutelato per realizzare una skyline da San Francisco ad uno sputo da Venezia, e nessuno dice niente, Nessuno scrive niente. Anzi, no. Qualcuno qualcosa aveva scritto, una decina di anni fa. Un rapporto dell’antimafia in cui si profetizzava il pericolo che la mafia (sì, la mafia, avete letto bene) stesse per investire sul litorale veneto centinaia di milioni di euro nel mattone. Lo scopo è sempre lo stesso: riciclare denaro sporco. Ci spiega Walter Mescalchin di Libera: “Per la criminalità organizzata il riciclaggio del ricavato dalle attività illecite è fondamentale. Centri commerciali o direzionali, grandi alberghi, e in generale le colate di cemento, sono l’ideale perché prevedono cospicui stanziamenti. Il denaro non gli manca. La mafia non soffre la crisi. E sono gli unici imprenditori che possono permettersi di investire cento per ricavare venti. Son finiti i tempi in cui minacciavano il sindaco per avere l’appalto delle pulizie del Comune. Oggi preferiscono controllare le grandi opere e gli investimenti miliardari. Magari quelli gestiti da un unico commissario, così si bypassa meglio la democrazia ed i controlli ambientali”. A questo punto, per fare il quadro completo della situazione, manca solo un elenco di alcune delle follie da sceicco che si stanno contrabbandando a Jesolo sotto la benedizione “sviluppo economico” e del “completamento di opera già avviate”. Tenetevi saldi: 5.200 tra camping, ville, villette e villaggi turistici, 391 hotel di cui alcuni grandi come grattacieli, e poi campi da golf, parchi acquatici, centri commerciali a tema. Entriamo nei dettagli: centro congressi “fronte mare” (magari per discutere di come tutelare l’ambiente costiero); un elegante centro benessere di 1600 metri quadri senza contare l’indispensabile mega parcheggio adiacente; un’Isola Blu a 150 metri dalla spiaggia, “arcipelago di servizi” l’ha definita l’architetto, ma non è altro che il solito centro commerciale; Laguna Park, giochi e divertimento assicurato per grandi e piccini, 150 mila metri quadrati di pineta tutelata che se ne vanno; Exotic Village, una vera e propria oasi del deserto che ci si può girare un film sulla legione straniera, ci sarà pure il caravanserraglio con dromedari del Sahara e beduini ma di razza padana; Cascina del Mar, finto giardino botanico che riecheggia agli antichi borghi mediterranei, sopra il cemento “plasmeremo gli edifici con la creta per rispettare la natura”; mega darsena con campo da golf annesso; mini grattacielo Tahiti; città della musica, altra colata di cemento per farci le trasmissioni estive di Rete Quattro; Ipercity, ennesimo centro commerciale; Merville Casa, grattacielo da 22 piani ma per “rispettare la pineta” sopra la quale sorgerà, il parcheggio sarà interrato; in piazza Drago, sono previsti 71 mila metri cubi di costruito per le nuove Torri Gemelle della cristianità. Facciamo grazia di altri due torroni che chiuderanno il lungomare e del grattacielo che voglio tirar su al limite del canale navigabile. Ecco qua. E l’assessore si lamenta: “Le pastoie burocratiche frenano la nostra vocazione turistica. Non è accettabile che per cambiare un infisso della finestra ci tocchi chiedere il permesso alla Sovrintendenza”.
Anzi, lo stesso Comune di Jesolo, incavolato perché la Soprintendenza ha chiesto di fermare le ruspe per difendere quel poco di litorale veneto non ancora mangiato dal cemento, ci si è rivolto per chiedere, non certo che facessero rispettate le vigenti leggi, ma un aiuto per “superare tutte quelle pastoie burocratiche che fermano lo sviluppo”. Sentite che ci dice il vicesindaco nonché assessore all’urbanistica, Valerio Zoggia: “Se va avanti così, ci toccherà chiedere il permesso alla Soprintendenza anche per installare un condizionatore o cambiare gli infissi di una struttura nella fascia dei 300 metri dal mare! Non è accettabile che un problema di ordine burocratico possa bloccare 500 milioni di euro in investimenti”. Valerio Zoggia chiede il “federalismo urbanistico” ed è, naturalmente, un leghista doc. Qui gli investimenti, i “schei”, girano solo sul Carroccio. Tutta Jesolo è leghista. Anche la stessa opposizione: qualche spaesato democratico che apre bocca ogni morte di papa solo per ribadire che il Comune fa bene ad investire nel cemento, solo che il suo Pd, se fosse al governo, lo farebbe “meglio”. Per il resto è silenzio assoluto. Silenzio nella politica. Silenzio nella stampa. Voglio cementare 97 chilometri quadrati di litorale tutelato per realizzare una skyline da San Francisco ad uno sputo da Venezia, e nessuno dice niente, Nessuno scrive niente. Anzi, no. Qualcuno qualcosa aveva scritto, una decina di anni fa. Un rapporto dell’antimafia in cui si profetizzava il pericolo che la mafia (sì, la mafia, avete letto bene) stesse per investire sul litorale veneto centinaia di milioni di euro nel mattone. Lo scopo è sempre lo stesso: riciclare denaro sporco. Ci spiega Walter Mescalchin di Libera: “Per la criminalità organizzata il riciclaggio del ricavato dalle attività illecite è fondamentale. Centri commerciali o direzionali, grandi alberghi, e in generale le colate di cemento, sono l’ideale perché prevedono cospicui stanziamenti. Il denaro non gli manca. La mafia non soffre la crisi. E sono gli unici imprenditori che possono permettersi di investire cento per ricavare venti. Son finiti i tempi in cui minacciavano il sindaco per avere l’appalto delle pulizie del Comune. Oggi preferiscono controllare le grandi opere e gli investimenti miliardari. Magari quelli gestiti da un unico commissario, così si bypassa meglio la democrazia ed i controlli ambientali”. A questo punto, per fare il quadro completo della situazione, manca solo un elenco di alcune delle follie da sceicco che si stanno contrabbandando a Jesolo sotto la benedizione “sviluppo economico” e del “completamento di opera già avviate”. Tenetevi saldi: 5.200 tra camping, ville, villette e villaggi turistici, 391 hotel di cui alcuni grandi come grattacieli, e poi campi da golf, parchi acquatici, centri commerciali a tema. Entriamo nei dettagli: centro congressi “fronte mare” (magari per discutere di come tutelare l’ambiente costiero); un elegante centro benessere di 1600 metri quadri senza contare l’indispensabile mega parcheggio adiacente; un’Isola Blu a 150 metri dalla spiaggia, “arcipelago di servizi” l’ha definita l’architetto, ma non è altro che il solito centro commerciale; Laguna Park, giochi e divertimento assicurato per grandi e piccini, 150 mila metri quadrati di pineta tutelata che se ne vanno; Exotic Village, una vera e propria oasi del deserto che ci si può girare un film sulla legione straniera, ci sarà pure il caravanserraglio con dromedari del Sahara e beduini ma di razza padana; Cascina del Mar, finto giardino botanico che riecheggia agli antichi borghi mediterranei, sopra il cemento “plasmeremo gli edifici con la creta per rispettare la natura”; mega darsena con campo da golf annesso; mini grattacielo Tahiti; città della musica, altra colata di cemento per farci le trasmissioni estive di Rete Quattro; Ipercity, ennesimo centro commerciale; Merville Casa, grattacielo da 22 piani ma per “rispettare la pineta” sopra la quale sorgerà, il parcheggio sarà interrato; in piazza Drago, sono previsti 71 mila metri cubi di costruito per le nuove Torri Gemelle della cristianità. Facciamo grazia di altri due torroni che chiuderanno il lungomare e del grattacielo che voglio tirar su al limite del canale navigabile. Ecco qua. E l’assessore si lamenta: “Le pastoie burocratiche frenano la nostra vocazione turistica. Non è accettabile che per cambiare un infisso della finestra ci tocchi chiedere il permesso alla Sovrintendenza”.
Venezia tra Serenissima e modernità. Intervista con Tommaso Cacciari
4/05/2010TerraAlla presidente della provincia di Venezia, la leghista Francesca Zaccariotto, non è andato giù che a vincere il prestigioso premio messo in palio dall’associazione Gabriele Bortolozzo, sia stato un noto esponente dei No Mose come Tommaso Cacciari. Ancor meno digeribile, il fatto che detto premio sia stato consegnato all’interno di uno spazio gestito dalla stessa Provincia come il complesso situato nell’isola di San Servolo.
E non deve averle fatto neppure piacere che, dopo la consegna del premio, l’associazione abbia organizzato un giro in barca per far vedere ad un centinaio di attoniti spettatori un campionario dei disastri ambientali che si stanno confezionando in quella che un tempo era la laguna dei dogi. Disastri cui la Provincia mette generosamente del suo. Tutto ciò, dicevamo, non ha fatto piacere alla Zaccariotto. Tanto è vero che ha promesso un bel giro di vite sul consiglio di amministrazione in scadenza di San Servolo.
Tommaso, hai fatto arrabbiare la Zaccariotto?
E chi se ne frega?
Chiusa la polemica. Nella tesi che ti ha fruttato la laurea in storia e il premio Bortolozzo, tracci una storia ambientale di Venezia, dalla sua fondazione ad oggi. In particolare, evidenzi la modernità della Venezia Serenissima in rapporto all’arretratezza politica di oggi.
La modernità della Venezia dei dogi consisteva in quell’intreccio straordinario tra costruito, ambiente e cultura, su cui poggiava non solo la sopravvivenza ma la stessa ricchezza e prosperità della città. Se un pescatore che catturava un pesce troppo piccolo finiva ai remi per cinque anni, non era per una questione di animalismo spicciolo, ma per preservare l’equilibro indispensabile per difendere una risorsa comune come il pescato. E i pescatori stessi erano i primi ad applicare questa regola perché si consideravano i primi sorveglianti della laguna. Venezia era una città ben consapevole di vivere dentro un meccanismo globale. La laguna era considerata come un complesso organismo vivente che non poteva essere in nessun modo separato dalla città e dai suoi abitanti. Contrariamente a quanto credono in molti, nella laguna di Venezia non c’è niente di naturale. E’ un luogo dove il mare e i fiumi, l’acque dolce e l’acqua salata, si sono sfidati a braccio di ferro raggiungendo un equilibrio che non poteva durare nel tempo. La Serenissima questo lo aveva compreso e per centinaia di anni ha lavorato per mantenerlo e garantire la sopravvivenza di Venezia. Sono stati fatti continui ed innumerevoli lavori ma senza mai perdere di vista la complessità e il risultato d’insieme che era quello di mantenere viva la laguna, consapevoli che ogni intervento si sarebbe ripercosso secondo mille interazioni su tutto l'insieme. Circolazione delle acque, salubrità dell'aria, navigabilità erano i beni comuni a cui tutti dovevano non solo obbedienza, ma cooperazione consapevole. Quello che contava era l’equilibrio dell’ambiente circostante. Ma un equilibrio produttivo che donava ricchezza e prosperità. L’opposto del concetto fascista di parco naturale in cui dentro non si deve toccare nulla. E fuori però, si poteva cementare tutto.
Questo equilibrio viene spezzato nell’ottocento, con la perdita dell’indipendenza?
Le decisioni non erano più prese in loco ma prima a Vienna e poi a Roma. Sono anche gli anni dell’industralizzazione, che a Venezia ha portato più guai che altro. E’ il secolo del ferro e del carbone e la laguna viene vista come un fastidioso contrattempo. Se avessero potuto, l’avrebbero interrata tutta.
Che è quanto cercano di fare adesso, giusto?
Già. Il trend non è cambiato dall’ottocento ad oggi. Anzi, possiamo registrare una forte e preoccupante accelerazione proprio in questi ultimi anni in cui i cambiamenti climatici e le continue crisi economiche dovrebbe al contrario far riflettere sugli errori del cosiddetto sviluppo industriale. Da organismo vivente, complesso ma anche delicato, che dona la vita all’intera città, oggi la laguna viene considerata da una politica slegata sia dai saperi locali che dalla comunità scientifica, una sorta di catino pieno d’acqua che si può regolare con una valvola. Il Mose è forse l’esempio più eclatante, ma potremmo ricordare le barene sintetiche, gli interramenti, le valli da pesca con le rive in cemento, la statale romea, l’aeroporto, il Tronchetto, le casse di colmata, tutta la zona industriale, gli inceneritori come Sg31 e mi fermo qua. Manca solo la centrale nucleare, per adesso.
Venezia non ha mura. Vive nell’ambiente che la circonda e dell’ambiente che la circonda. Qui la parola “globale” ha un significato più chiaro che in qualsiasi altra grande città del mondo.
Lo ha spiegato bene Gianfranco Bettin che in suo libro quando sottolinea le ripercussioni che si sono registrate a Venezia a causa eventi di caratura mondiale apparentemente lontani. Faccio un esempio: la perestrojka. Gorbaciov pensiona il comunismo e Venezia va in tilt per l’invasione dei turisti dell’est. Ma potrei ricordare anche il bombardamento dell’iraq. Baghdad è sotto le bombe e il carnevale va in crisi. Fatti distanti nello spazio e in apparenza slegati con la nostra realtà, causano invece gravi problemi in una città globale come la nostra. Per non parlare dei cambiamenti climatici. Se il livello del mare dovesse salire, cosa credi che ne sarebbe di Venezia? E perché pensi che dal Sale siamo partiti in 25 per Copenhagen e ci siamo fatti arrestare tutti?
E non deve averle fatto neppure piacere che, dopo la consegna del premio, l’associazione abbia organizzato un giro in barca per far vedere ad un centinaio di attoniti spettatori un campionario dei disastri ambientali che si stanno confezionando in quella che un tempo era la laguna dei dogi. Disastri cui la Provincia mette generosamente del suo. Tutto ciò, dicevamo, non ha fatto piacere alla Zaccariotto. Tanto è vero che ha promesso un bel giro di vite sul consiglio di amministrazione in scadenza di San Servolo.
Tommaso, hai fatto arrabbiare la Zaccariotto?
E chi se ne frega?
Chiusa la polemica. Nella tesi che ti ha fruttato la laurea in storia e il premio Bortolozzo, tracci una storia ambientale di Venezia, dalla sua fondazione ad oggi. In particolare, evidenzi la modernità della Venezia Serenissima in rapporto all’arretratezza politica di oggi.
La modernità della Venezia dei dogi consisteva in quell’intreccio straordinario tra costruito, ambiente e cultura, su cui poggiava non solo la sopravvivenza ma la stessa ricchezza e prosperità della città. Se un pescatore che catturava un pesce troppo piccolo finiva ai remi per cinque anni, non era per una questione di animalismo spicciolo, ma per preservare l’equilibro indispensabile per difendere una risorsa comune come il pescato. E i pescatori stessi erano i primi ad applicare questa regola perché si consideravano i primi sorveglianti della laguna. Venezia era una città ben consapevole di vivere dentro un meccanismo globale. La laguna era considerata come un complesso organismo vivente che non poteva essere in nessun modo separato dalla città e dai suoi abitanti. Contrariamente a quanto credono in molti, nella laguna di Venezia non c’è niente di naturale. E’ un luogo dove il mare e i fiumi, l’acque dolce e l’acqua salata, si sono sfidati a braccio di ferro raggiungendo un equilibrio che non poteva durare nel tempo. La Serenissima questo lo aveva compreso e per centinaia di anni ha lavorato per mantenerlo e garantire la sopravvivenza di Venezia. Sono stati fatti continui ed innumerevoli lavori ma senza mai perdere di vista la complessità e il risultato d’insieme che era quello di mantenere viva la laguna, consapevoli che ogni intervento si sarebbe ripercosso secondo mille interazioni su tutto l'insieme. Circolazione delle acque, salubrità dell'aria, navigabilità erano i beni comuni a cui tutti dovevano non solo obbedienza, ma cooperazione consapevole. Quello che contava era l’equilibrio dell’ambiente circostante. Ma un equilibrio produttivo che donava ricchezza e prosperità. L’opposto del concetto fascista di parco naturale in cui dentro non si deve toccare nulla. E fuori però, si poteva cementare tutto.
Questo equilibrio viene spezzato nell’ottocento, con la perdita dell’indipendenza?
Le decisioni non erano più prese in loco ma prima a Vienna e poi a Roma. Sono anche gli anni dell’industralizzazione, che a Venezia ha portato più guai che altro. E’ il secolo del ferro e del carbone e la laguna viene vista come un fastidioso contrattempo. Se avessero potuto, l’avrebbero interrata tutta.
Che è quanto cercano di fare adesso, giusto?
Già. Il trend non è cambiato dall’ottocento ad oggi. Anzi, possiamo registrare una forte e preoccupante accelerazione proprio in questi ultimi anni in cui i cambiamenti climatici e le continue crisi economiche dovrebbe al contrario far riflettere sugli errori del cosiddetto sviluppo industriale. Da organismo vivente, complesso ma anche delicato, che dona la vita all’intera città, oggi la laguna viene considerata da una politica slegata sia dai saperi locali che dalla comunità scientifica, una sorta di catino pieno d’acqua che si può regolare con una valvola. Il Mose è forse l’esempio più eclatante, ma potremmo ricordare le barene sintetiche, gli interramenti, le valli da pesca con le rive in cemento, la statale romea, l’aeroporto, il Tronchetto, le casse di colmata, tutta la zona industriale, gli inceneritori come Sg31 e mi fermo qua. Manca solo la centrale nucleare, per adesso.
Venezia non ha mura. Vive nell’ambiente che la circonda e dell’ambiente che la circonda. Qui la parola “globale” ha un significato più chiaro che in qualsiasi altra grande città del mondo.
Lo ha spiegato bene Gianfranco Bettin che in suo libro quando sottolinea le ripercussioni che si sono registrate a Venezia a causa eventi di caratura mondiale apparentemente lontani. Faccio un esempio: la perestrojka. Gorbaciov pensiona il comunismo e Venezia va in tilt per l’invasione dei turisti dell’est. Ma potrei ricordare anche il bombardamento dell’iraq. Baghdad è sotto le bombe e il carnevale va in crisi. Fatti distanti nello spazio e in apparenza slegati con la nostra realtà, causano invece gravi problemi in una città globale come la nostra. Per non parlare dei cambiamenti climatici. Se il livello del mare dovesse salire, cosa credi che ne sarebbe di Venezia? E perché pensi che dal Sale siamo partiti in 25 per Copenhagen e ci siamo fatti arrestare tutti?
Il Trentino alle urne
4/05/2010TerraDomenica 16 maggio, 205 comuni del trentino andranno al voto per eleggere sindaco e consiglieri comunali. Un test elettorale che, diciamocelo francamente, non fa perdere il sonno ai palazzi romani, che ancora devono digerirsi l’ultima indigestione elettorale. Un test che non appassiona neppure troppi cittadini trentini, a voler scrivere la verità, considerato che in ben 42 Comuni (quasi un quarto dei totali) è stata presentata una lista sola e di conseguenza l’unica curiosità rimane quella dell’affluenza. In quanti si prenderanno il disturbo ad uscir di casa per mettere una croce su una scheda con un nome solo?
Addirittura, in quel di Cis, piccolo (poco più di trecento anime) ma incantevole paesino situato proprio nel cuore della val di Non, non ne è stata presentata nessuna, di lista! Il sindaco uscente, per raggiunti limiti di mandato, non ha più potuto ricandidarsi. E così il paese è stato commissariato, in attesa che qualcuno non si decida a sedersi sulla poltrona di sindaco. La lontananza dai riflettori della politica che conta, e che di solito è più spettacolo che politica, ha comunque avuto il pregio di riportare i temi ambientali al centro del dibattito e di tenere alla larga, per quanto possibile, l’invadenza dei partiti. Ciò si è verificato in particolare nei Comuni più piccoli, dove gli equilibri di coalizione, tanto di destra che di sinistra, hanno lasciato il posto a coalizioni civiche con solidi programmi, non di rado, basati sulla difesa dei beni comuni come l’acqua e il territorio. Nei Comuni più grandi invece, le sfide sono ancora soggette alle logiche di schieramento. Parliamo di Arco, Riva del Garda e in particolare di Rovereto. La recente batosta elettorale maturata in tutto il Paese, non ha favorito l’intesa tra i partiti del centro sinistra che guidano tuttora la Provincia: in poche realtà lo schieramento è riuscito a compattarsi dietro un unico candidato. La spaccatura più pesante è stata ad Arco, dove i democratici e la lista verde “Arco ambiente ecologia e società” appoggeranno il sindaco Paolo Mattei, mentre Patt, partito autonomista trentino e tirolese, e l’Upt, unione per il Trentino (praticamente la vecchia Margherita), sosterranno il candidato dell’Udc Mario Morandini. A Rovereto, sia pure all’ultimo minuto e non senza gli inevitabili tiramolla, democratici, margherita e autonomisti del Patt hanno scaricato il sindaco uscente Guglielmo Valduga (che comunque si ricandiderà alla testa di un civica) per spingere Andrea Miorandi, l’imprenditore noto per aver convinto i produttori del Grande Fratello a mettere i contenitori differenziati nella casa. Dall’altra parte dello schieramento, lega e pdl propongono Barbare Lorenzi, mentre i verdi si presentano, come già in altri Comuni come Arco, Riva del Garda, Mori e Lavis, con il simbolo del Sole che ride e la scritta “Verdi, società e ambiente”, per sostenere un candidato “fuori del coro”: quel Mauro Previdi recentemente silurato dalla carica di presidente della commissione comunale politiche sociali dopo un lavoro di indagine sulla Casa di Soggiorno per Anziani di Rovereto. Previdi aveva accusato pesantemente la maggioranza di cui faceva parte di “pensare più alla gestione del potere che alla difesa dei più deboli" e era saltato nella barricata ambientalista. Il che gli è costato la poltrona di presidente ma gli è valso la candidatura a sindaco dei verdi. Qui a Rovereto, la partita per il ballottaggio è quanto mai incerta perché i candidati sindaci sono in tutto otto. Oltre ai quattro già citati, ricordiamo i candidati messi in campo da Rifondazione, dall’Italia dei valori, dalla Fiamma tricolore e da un’altra civica. Centrosinistra compatto invece a Riva del Garda. Nella bella cittadina situata sulle sponde più a nord dell’omonimo lago, i verdi “ecologia e società” appoggeranno il sindaco uscente, Adalberto Mosaner, sostenuto da tutto lo schieramento unitario. Un caso, come abbiamo visto, più unico che raro in tutto il trentino.
Addirittura, in quel di Cis, piccolo (poco più di trecento anime) ma incantevole paesino situato proprio nel cuore della val di Non, non ne è stata presentata nessuna, di lista! Il sindaco uscente, per raggiunti limiti di mandato, non ha più potuto ricandidarsi. E così il paese è stato commissariato, in attesa che qualcuno non si decida a sedersi sulla poltrona di sindaco. La lontananza dai riflettori della politica che conta, e che di solito è più spettacolo che politica, ha comunque avuto il pregio di riportare i temi ambientali al centro del dibattito e di tenere alla larga, per quanto possibile, l’invadenza dei partiti. Ciò si è verificato in particolare nei Comuni più piccoli, dove gli equilibri di coalizione, tanto di destra che di sinistra, hanno lasciato il posto a coalizioni civiche con solidi programmi, non di rado, basati sulla difesa dei beni comuni come l’acqua e il territorio. Nei Comuni più grandi invece, le sfide sono ancora soggette alle logiche di schieramento. Parliamo di Arco, Riva del Garda e in particolare di Rovereto. La recente batosta elettorale maturata in tutto il Paese, non ha favorito l’intesa tra i partiti del centro sinistra che guidano tuttora la Provincia: in poche realtà lo schieramento è riuscito a compattarsi dietro un unico candidato. La spaccatura più pesante è stata ad Arco, dove i democratici e la lista verde “Arco ambiente ecologia e società” appoggeranno il sindaco Paolo Mattei, mentre Patt, partito autonomista trentino e tirolese, e l’Upt, unione per il Trentino (praticamente la vecchia Margherita), sosterranno il candidato dell’Udc Mario Morandini. A Rovereto, sia pure all’ultimo minuto e non senza gli inevitabili tiramolla, democratici, margherita e autonomisti del Patt hanno scaricato il sindaco uscente Guglielmo Valduga (che comunque si ricandiderà alla testa di un civica) per spingere Andrea Miorandi, l’imprenditore noto per aver convinto i produttori del Grande Fratello a mettere i contenitori differenziati nella casa. Dall’altra parte dello schieramento, lega e pdl propongono Barbare Lorenzi, mentre i verdi si presentano, come già in altri Comuni come Arco, Riva del Garda, Mori e Lavis, con il simbolo del Sole che ride e la scritta “Verdi, società e ambiente”, per sostenere un candidato “fuori del coro”: quel Mauro Previdi recentemente silurato dalla carica di presidente della commissione comunale politiche sociali dopo un lavoro di indagine sulla Casa di Soggiorno per Anziani di Rovereto. Previdi aveva accusato pesantemente la maggioranza di cui faceva parte di “pensare più alla gestione del potere che alla difesa dei più deboli" e era saltato nella barricata ambientalista. Il che gli è costato la poltrona di presidente ma gli è valso la candidatura a sindaco dei verdi. Qui a Rovereto, la partita per il ballottaggio è quanto mai incerta perché i candidati sindaci sono in tutto otto. Oltre ai quattro già citati, ricordiamo i candidati messi in campo da Rifondazione, dall’Italia dei valori, dalla Fiamma tricolore e da un’altra civica. Centrosinistra compatto invece a Riva del Garda. Nella bella cittadina situata sulle sponde più a nord dell’omonimo lago, i verdi “ecologia e società” appoggeranno il sindaco uscente, Adalberto Mosaner, sostenuto da tutto lo schieramento unitario. Un caso, come abbiamo visto, più unico che raro in tutto il trentino.
Vietato riposare in pace (se sei islamico)
27/04/2010TerraAd Udine, la Lega sta raccogliendo firme. Raccoglie firme per chiedere che venga immediatamente riesumato il corpo di una bambina islamica seppellita da pochi giorni e che venga proibito a tutti mussulmani inumare i propri defunti con la testa rivolta verso la Mecca. Il tutto, per dirla con le parole del capogruppo del carroccio in consiglio comunale, Luca Dordolo, perché ciò sarebbe “irrispettoso dei sentimenti più intimi della maggioranza della popolazione”.
La vicenda comincia il 28 settembre dello scorso anno, quando il Comune di Udine concesse una parte del cimitero di Paderno alla comunità islamica per seppellire i loro defunti secondo riti e tradizioni mussulmani. Il Pdl e la Lega in particolare, urlarono immediatamente all’onta e alla profanazione dei valori cristiani, senza considerare che lo stesso arcivescovo di Udine, in più occasioni, si è sempre detto favorevole all’istituzione di un cimitero dedicato ai credenti islamici. “I loro defunti possono riposare accanto ai nostri? Noi diciamo no!” si leggeva in un manifesto con il quale il Carroccio friulano aveva tappezzato i muri del capoluogo. Il tutto non per una questione di razzismo. Anzi. E’ tutta una questione di favorire l’integrazione. “Sono loro a non voler essere messi in mezzo a noi! A voler essere seppelliti da un’altra parte. Sono loro i razzisti – spiega Dordolo -. Noi invece non siamo tutti razzisti, noi siamo per l’integrazione. Dei regolari, sia chiaro”. La polemica si era assopita ma solo per risvegliarsi alla prima inumazione. Una neonata di pochi mesi, figlia di una coppia di lavoratori (regolari, Dordolo si tranquillizzi) è deceduta nell’ospedale di Pordenone e genitori hanno deciso di seppellirla a Paderno, seguendo il rito islamico. Il fatto che la defunta sia solo una bambina non ha fatto desistere i due partiti di destra dal riprendere la battaglia annunciata contro la pretesa “invasione islamica”. E lo hanno fatto ciascuno a modo suo: la lega con banchetti, raccolta firme e volantinaggi in piazza per chiedere che i cimiteri rionali siano riservati ai residenti, il Pdl con la carta bollata: “Faremo verificare se nella sepoltura siano state commesse delle irregolarità, come il lavaggio in un luogo improprio di alcune parti della salma – ha spiegato il capogruppo in consiglio comunale del popolo delle libertà in Comune, Loris Michelini -. Ma certamente, dal punto di vista cristiano, ci sconvolge questo modo di iniziare un’epoca all’insegna dell’integrazione”.
Totalmente assenti dal dibattito i democratici che in una nota si limitano a ricordare che il Comune non ha speso un soldo per il cimitero islamico e si è limitato ad assegnare un’area. Invece “rimandare un defunto al suo Paese costa quasi 8 mila euro, e a pagare sono i cittadini udinesi”. E certi temi poi, in casa democratica, meno si affrontano e meglio è per tutti. Questioni di marketing.
A farci caso, le motivazioni di chi è contro il cimitero islamico non sono poi così diverse da coloro che lo difendono. Sia in campo leghista che in quello della sinistra che ha organizzato alcuni iniziative a sostegno del cimitero, si parla di “integrazione” e di “apertura nei confronti delle altra culture”, si accusano gli avversari di “razzismo” e di “approfittare di un luttuoso evento come la morte di una bambina per farsi propaganda politica”. Perlomeno questo è quanto si sostiene davanti ai taccuini dei giornalisti. Chi sono i veri razzisti, allora? Per schiarirci le idee, basta fare un giro nei vari blog della Lega o nelle pagine dei social network. Ne trovate a bizzeffe. Basta battere nel motore di ricerca “cimitero islamico Udine”. Riportiamo per una questione di spazio e di stomaco, solo le prime due condivisioni trovate in testa alla pagina Facebook dedicata al tema del cimitero friulano. FS: ”Stanno entrando con un’arroganza assurda... hanno iniziato col crocefisso e tra poco dovremmo seppellire i nostri morti in giardino perché non ci sarà più posto per noi... ma loro l'idea di un inceneritore non va, eh...? tipo biomassa...?” GB: “Per impedire ciò basta che qualcuno porti un maiale su quel pezzo di terra e per loro diverrà impuro e di inadatto a qualsiasi rito religioso. Combattete i musulmani a colpi di maiale!” Son frasi riportate col copia e incolla. Mi sono solo permesso di sistemare la grammatica perché “qualch'uno” degli scriventi non è stato troppo attento ai tempi della scuola. E ci domandiamo ancora chi sono i razzisti? Eppure i leghisti sostengono di non esserlo. E lo dimostrerebbe il forte consenso elettorale ottenuto anche nelle ultime elezioni. Bastasse questo…
La vicenda comincia il 28 settembre dello scorso anno, quando il Comune di Udine concesse una parte del cimitero di Paderno alla comunità islamica per seppellire i loro defunti secondo riti e tradizioni mussulmani. Il Pdl e la Lega in particolare, urlarono immediatamente all’onta e alla profanazione dei valori cristiani, senza considerare che lo stesso arcivescovo di Udine, in più occasioni, si è sempre detto favorevole all’istituzione di un cimitero dedicato ai credenti islamici. “I loro defunti possono riposare accanto ai nostri? Noi diciamo no!” si leggeva in un manifesto con il quale il Carroccio friulano aveva tappezzato i muri del capoluogo. Il tutto non per una questione di razzismo. Anzi. E’ tutta una questione di favorire l’integrazione. “Sono loro a non voler essere messi in mezzo a noi! A voler essere seppelliti da un’altra parte. Sono loro i razzisti – spiega Dordolo -. Noi invece non siamo tutti razzisti, noi siamo per l’integrazione. Dei regolari, sia chiaro”. La polemica si era assopita ma solo per risvegliarsi alla prima inumazione. Una neonata di pochi mesi, figlia di una coppia di lavoratori (regolari, Dordolo si tranquillizzi) è deceduta nell’ospedale di Pordenone e genitori hanno deciso di seppellirla a Paderno, seguendo il rito islamico. Il fatto che la defunta sia solo una bambina non ha fatto desistere i due partiti di destra dal riprendere la battaglia annunciata contro la pretesa “invasione islamica”. E lo hanno fatto ciascuno a modo suo: la lega con banchetti, raccolta firme e volantinaggi in piazza per chiedere che i cimiteri rionali siano riservati ai residenti, il Pdl con la carta bollata: “Faremo verificare se nella sepoltura siano state commesse delle irregolarità, come il lavaggio in un luogo improprio di alcune parti della salma – ha spiegato il capogruppo in consiglio comunale del popolo delle libertà in Comune, Loris Michelini -. Ma certamente, dal punto di vista cristiano, ci sconvolge questo modo di iniziare un’epoca all’insegna dell’integrazione”.
Totalmente assenti dal dibattito i democratici che in una nota si limitano a ricordare che il Comune non ha speso un soldo per il cimitero islamico e si è limitato ad assegnare un’area. Invece “rimandare un defunto al suo Paese costa quasi 8 mila euro, e a pagare sono i cittadini udinesi”. E certi temi poi, in casa democratica, meno si affrontano e meglio è per tutti. Questioni di marketing.
A farci caso, le motivazioni di chi è contro il cimitero islamico non sono poi così diverse da coloro che lo difendono. Sia in campo leghista che in quello della sinistra che ha organizzato alcuni iniziative a sostegno del cimitero, si parla di “integrazione” e di “apertura nei confronti delle altra culture”, si accusano gli avversari di “razzismo” e di “approfittare di un luttuoso evento come la morte di una bambina per farsi propaganda politica”. Perlomeno questo è quanto si sostiene davanti ai taccuini dei giornalisti. Chi sono i veri razzisti, allora? Per schiarirci le idee, basta fare un giro nei vari blog della Lega o nelle pagine dei social network. Ne trovate a bizzeffe. Basta battere nel motore di ricerca “cimitero islamico Udine”. Riportiamo per una questione di spazio e di stomaco, solo le prime due condivisioni trovate in testa alla pagina Facebook dedicata al tema del cimitero friulano. FS: ”Stanno entrando con un’arroganza assurda... hanno iniziato col crocefisso e tra poco dovremmo seppellire i nostri morti in giardino perché non ci sarà più posto per noi... ma loro l'idea di un inceneritore non va, eh...? tipo biomassa...?” GB: “Per impedire ciò basta che qualcuno porti un maiale su quel pezzo di terra e per loro diverrà impuro e di inadatto a qualsiasi rito religioso. Combattete i musulmani a colpi di maiale!” Son frasi riportate col copia e incolla. Mi sono solo permesso di sistemare la grammatica perché “qualch'uno” degli scriventi non è stato troppo attento ai tempi della scuola. E ci domandiamo ancora chi sono i razzisti? Eppure i leghisti sostengono di non esserlo. E lo dimostrerebbe il forte consenso elettorale ottenuto anche nelle ultime elezioni. Bastasse questo…
Padova, asili vietati ai figli degli irregolari
27/04/2010TerraAsili vietati ai figli degli irregolari. Il che significa che i bambini di Padova non hanno tutti gli stessi diritti. Chi ha il papà con le carte bollate in regola può frequentare l’asilo comunale. Chi ha il papà povero, migrante, senza lavoro o magari sfruttato in nero dal papà di quell’altro bambino (quello che può andare in asilo) se ne deve rimanere a casa. Questo accade in una città padana amministrata da un centro sinistra convinto che per vincere bisogna seguire la stessa politica della Lega. Padova, la città del Santo e dello “sceriffo rosso” Flavio Zanonato.
Uno che si è fatto tutta la scuola politica del partito comunista: da segretario della Fgci, l’allora federazione giovanile comunisti italiani, a leader regionale del partito democratico. Zanonato che si è già distinto in soluzioni “di forza” su questioni come la prostituzione e la tossicodipendenza, ha cercato di dare un giro di vite anche negli asili. “Il Comune verificherà la presenza e la validità dei documenti di soggiorno degli stranieri non comunitari (art. 6 comma 2 del D.Lgs. 286/98, modificato dalla legge 94 del 15 luglio 2009)” si legge, e in carattere neretto, nella pagina web del Comune patavino dedicata alle iscrizioni agli asili nido comunali per il 2010. Non volontà di escludere qualcuno, ha precisato l’amministrazione della città patavina, ma per una mera disposizione di legge varata col cosiddetto “pacchetto sicurezza”. Una giustificazione bocciata da Nicola Grigion, responsabile del progetto Melting Pot Europa: “Il regolamento di attuazione del Testo Unico sull’immigrazione sancisce senza ombra di dubbio che l’iscrizione dei minori stranieri nelle scuole italiane di ogni ordine e grado avviene nei modi e alle condizioni previsti per i minori italiani”. La garanzia anche per gli irregolari di iscrivere i propri figli agli asili, spiega Grigion, è inoltre rafforzata da tutte le convenzioni internazionali e da alcune sentenze della Corte Costituzionale. Proprio in forza di queste sentenze, altre amministrazioni comunali, come quella di Torino, hanno ribadito che i loro asili sono aperti a tutti i bambini, permesso di soggiorno o no, rifiutandosi nei fatti di seguire pedissequamente la linea politica di Bossi e Maroni, volta a penalizzare i settori più disagiati della società. Melting Pot ha quindi chiesto ufficialmente al Comune di non trincerarsi dietro la banale scusa di una “disposizione di legge” ma ad assumere responsabilmente una forte posizione contro qualsiasi discriminazione negli asili. “La risposta di Zanonato è stata per certi versi positiva – conclude Grigion -. Il sindaco ha preso atto delle sentenze in cui si ribadisce che al momento dell’iscrizione dei propri figli all’asilo non deve essere mostrato nessun documento di soggiorno, ma ha voluto precisare che, sino ad oggi, nessun irregolare ha chiesto l’iscrizione dei suoi bambini in un asilo comunale. E comunque per dei ‘motivi tecnici’ che non riusciamo a giustificare, nel sito del Comune continua a comparire in neretto l’obbligo del permesso di soggiorno. Ci viene il sospetto che qualcuno giochi intenzionalmente con la strategia della paura, così com’è già accaduto con gli ospedali dove i medici non hanno mai denunciato nessuno ma i migranti hanno comunque paura ad andarci”.
Uno che si è fatto tutta la scuola politica del partito comunista: da segretario della Fgci, l’allora federazione giovanile comunisti italiani, a leader regionale del partito democratico. Zanonato che si è già distinto in soluzioni “di forza” su questioni come la prostituzione e la tossicodipendenza, ha cercato di dare un giro di vite anche negli asili. “Il Comune verificherà la presenza e la validità dei documenti di soggiorno degli stranieri non comunitari (art. 6 comma 2 del D.Lgs. 286/98, modificato dalla legge 94 del 15 luglio 2009)” si legge, e in carattere neretto, nella pagina web del Comune patavino dedicata alle iscrizioni agli asili nido comunali per il 2010. Non volontà di escludere qualcuno, ha precisato l’amministrazione della città patavina, ma per una mera disposizione di legge varata col cosiddetto “pacchetto sicurezza”. Una giustificazione bocciata da Nicola Grigion, responsabile del progetto Melting Pot Europa: “Il regolamento di attuazione del Testo Unico sull’immigrazione sancisce senza ombra di dubbio che l’iscrizione dei minori stranieri nelle scuole italiane di ogni ordine e grado avviene nei modi e alle condizioni previsti per i minori italiani”. La garanzia anche per gli irregolari di iscrivere i propri figli agli asili, spiega Grigion, è inoltre rafforzata da tutte le convenzioni internazionali e da alcune sentenze della Corte Costituzionale. Proprio in forza di queste sentenze, altre amministrazioni comunali, come quella di Torino, hanno ribadito che i loro asili sono aperti a tutti i bambini, permesso di soggiorno o no, rifiutandosi nei fatti di seguire pedissequamente la linea politica di Bossi e Maroni, volta a penalizzare i settori più disagiati della società. Melting Pot ha quindi chiesto ufficialmente al Comune di non trincerarsi dietro la banale scusa di una “disposizione di legge” ma ad assumere responsabilmente una forte posizione contro qualsiasi discriminazione negli asili. “La risposta di Zanonato è stata per certi versi positiva – conclude Grigion -. Il sindaco ha preso atto delle sentenze in cui si ribadisce che al momento dell’iscrizione dei propri figli all’asilo non deve essere mostrato nessun documento di soggiorno, ma ha voluto precisare che, sino ad oggi, nessun irregolare ha chiesto l’iscrizione dei suoi bambini in un asilo comunale. E comunque per dei ‘motivi tecnici’ che non riusciamo a giustificare, nel sito del Comune continua a comparire in neretto l’obbligo del permesso di soggiorno. Ci viene il sospetto che qualcuno giochi intenzionalmente con la strategia della paura, così com’è già accaduto con gli ospedali dove i medici non hanno mai denunciato nessuno ma i migranti hanno comunque paura ad andarci”.
Ripartiamo dal Congo
27/04/2010TerraDura la vita per i bambini della “Padania”! Intendiamo quelli poveri: i figli dei migranti, dei senza lavoro “padani” o no, o di chi il lavoro ce l’ha ma solo per portare a casa quattro soldi che andare al sindacato si ottiene solo di restare a casa e finire per perdere pure il permesso di soggiorno. Un tempo si parlava di sfruttamento e si gridava all’ingiustizia sociale. Ma un tempo si diceva anche che i bambini sono tutti uguali, che tutti hanno diritto all’istruzione e alla salute.
E ora eccoci qua, in un nordest dove sindaci eletti da maggioranze bulgare pretendono che non si canti Bella Ciao ma la canzone del Piave per festeggiare il 25 aprile. Eccoci qua a scrivere di bambini che non possono iscriversi all’asilo perché se il padre è clandestino son clandestini pure loro o di cadaveri di neonati che devono essere riesumati perché i oro genitori li hanno seppelliti con la testa rivolta verso la Mecca, offendendo l’anima cattolica di qualcuno. E sono solo alcuni casi. Potremmo anche parlare dei 16 scolari elementari di Verona, la città di Romeo, Giulietta e Tosi, fatti scendere dal bus scolastico da un integerrimo assessore perché i loro genitori non avevano “schei” per pagare gli abbonamenti. Di bimbi rimasti a digiuno in terra padana, nella leghistissima Adro (Brescia), ne abbiamo già parlato nello scorso numero del nostro supplemento Nordest. E neanche quello era un caso isolato: lo stesso è accaduto a Padova dove il Comune – che, per quel che vale, sarebbe anche amministrato da una sorta di centrosinistra - ha rifiutato la proposta di rateizzazione del debito di una mamma e ha chiuso la refezione dell’asilo al figlioletto rispedendolo a casa con un foglietto in mano in cui si chiedeva alla donna di provvedere immediatamente a saldare il dovuto. E gli è andata anche meglio del suo coetaneo di Montecchio messo direttamente a pane e acqua dal sindaco del Carroccio. E potremmo anche raccontare del capogruppo leghista della Lombardia che ha invitato i tifosi a fischiare i venti bambini rom che il presidente dell’Inter Massimo Moratti ha fatto sfilare allo stadio prima della partita come segnale contro la violenza. Ecco. Tutte queste situazioni in terra padana non indignano più. Ma per fortuna non è così in tutto il mondo. Veniamo a leggere che a Bunyatenge, nel Congo, i bambini della scuola locale hanno raccolto 600 euro per aiutare i loro coetanei di Adro rimasti a stomaco vuoto. E allora grazie, bambini di Bunyatenge. Grazie perché ci avete ricordato che c’è ancora gente che certe cose gli fanno schifo.
E ora eccoci qua, in un nordest dove sindaci eletti da maggioranze bulgare pretendono che non si canti Bella Ciao ma la canzone del Piave per festeggiare il 25 aprile. Eccoci qua a scrivere di bambini che non possono iscriversi all’asilo perché se il padre è clandestino son clandestini pure loro o di cadaveri di neonati che devono essere riesumati perché i oro genitori li hanno seppelliti con la testa rivolta verso la Mecca, offendendo l’anima cattolica di qualcuno. E sono solo alcuni casi. Potremmo anche parlare dei 16 scolari elementari di Verona, la città di Romeo, Giulietta e Tosi, fatti scendere dal bus scolastico da un integerrimo assessore perché i loro genitori non avevano “schei” per pagare gli abbonamenti. Di bimbi rimasti a digiuno in terra padana, nella leghistissima Adro (Brescia), ne abbiamo già parlato nello scorso numero del nostro supplemento Nordest. E neanche quello era un caso isolato: lo stesso è accaduto a Padova dove il Comune – che, per quel che vale, sarebbe anche amministrato da una sorta di centrosinistra - ha rifiutato la proposta di rateizzazione del debito di una mamma e ha chiuso la refezione dell’asilo al figlioletto rispedendolo a casa con un foglietto in mano in cui si chiedeva alla donna di provvedere immediatamente a saldare il dovuto. E gli è andata anche meglio del suo coetaneo di Montecchio messo direttamente a pane e acqua dal sindaco del Carroccio. E potremmo anche raccontare del capogruppo leghista della Lombardia che ha invitato i tifosi a fischiare i venti bambini rom che il presidente dell’Inter Massimo Moratti ha fatto sfilare allo stadio prima della partita come segnale contro la violenza. Ecco. Tutte queste situazioni in terra padana non indignano più. Ma per fortuna non è così in tutto il mondo. Veniamo a leggere che a Bunyatenge, nel Congo, i bambini della scuola locale hanno raccolto 600 euro per aiutare i loro coetanei di Adro rimasti a stomaco vuoto. E allora grazie, bambini di Bunyatenge. Grazie perché ci avete ricordato che c’è ancora gente che certe cose gli fanno schifo.