In questa pagina ho riportato gli ultimi articoli che ho scritto per il quotidiano ambientalista Terra, il settimanale Carta, Manifesto, per siti come Global Project, FrontiereNews o siti di associazioni come In Comune con Bettin e altro ancora.
Cytotec, per disperazione
13/04/2010TerraSi chiama Cytotec. E se il nome vi suona nuovo significa che nella vita siete state fortunate. Le enciclopedie mediche spiegano che è un farmaco usato per curare gastriti e prevenire ulcere gastriche. Ma di notte, in quella specie di mercato nero in cui si trasformano le nostre stazioni ferroviarie, lo potete acquistare senza ricetta medica a circa il doppio del prezzo stampato sulla scatola. Perché? Perché l’assunzione in forti dosi di questo medicinale provoca forti contrazioni dell’utero e conseguentemente pericolose e violente emorragie sino all’espulsione del feto. Il Cytotec è l’aborto delle disgraziate.
E’ la soluzione chimica – rischiosa ma comunque una soluzione – che permette l’interruzione della gravidanza ad una donna che non può rivolgersi ai consultori. Non può perché i medici dell’Usl sono tutti obiettori e la lista d’attesa infinita. Non può perché è clandestina e ha paura. Oppure non è clandestina ma ha comunque paura di perdere il lavoro. “Volete un esempio? Prendiamo una delle tanti badanti che lavorano in Italia. Se resta incinta è matematico che perde il lavoro. Se perde il lavoro, perde il permesso di soggiorno. E se perde il permesso di soggiorno sarà costretta a rientrare in patria, povera come era partita e con un figlio in più da provvedere. In un altro paese europeo, questa donna potrebbe essere aiutata con la Ru486. In Italia è costretta a ricorrere al Cytotec”, ci spiega Jeny Villa. Jeny è colombiana di origine e lavora come mediatrice culturale per l’associazione Migramentes convenzionata col Comune di Venezia. “Quando sento le dichiarazioni di Zaia sulla Ru486 mi vengono i brividi. Mi chiedo se sappia di cosa sta parlando. E mi chiedo anche come facciamo le donne italiane ad accettare che un uomo parli di cose che solo una donna può capire. Ma non si rende conto che se una donna arriva al punto di voler abortire il problema della legalità non la sfiora nemmeno? Se una donna decide di interrompere una gravidanza, il suo problema è soltanto sui metodi. Che la cosa sia legale o meno, non ha nessuna importanza per lei. Quello che lo Stato può fare è solo decidere se starle vicino e aiutarla o complicarle ulteriormente la vita. Tutto qua. Il resto sono solo discorsi di uomini che non vogliono neppure provare a considerare il problema da un punto di vista femminile”. L’uso improprio del Cytotec è oramai ampiamente dimostrato dall’aumento esponenziale di casi di “aborto spontaneo” dovuto ad emorragie che si registrano nei ricoveri d’urgenza al pronto soccorso. Il farmaco è praticamente libero: oltre che nelle stazioni, può essere acquistato per internet, fatto arrivare dall’estero o direttamente prescritto da un medico di casa compiacente. Per tacita ipocrisia, il Cytotec non attira tutti gli strali e gli anatemi con i quali cercano di colpire la Ru486, anche se dubitiamo che qualcuno in Italia lo abbia mai utilizzato per curarsi la gastrite. E’ un farmaco che provoca forti dolori, richiede l’ospedalizzazione – pure se spesso si fa “tutto in casa”, specie se la paziente è irregolare - e mette a rischio la vita stessa della donna. Si chiede Jeny: “Non basterebbe guardare questa realtà per mettere subito in circolazione la Ru486?”
E’ la soluzione chimica – rischiosa ma comunque una soluzione – che permette l’interruzione della gravidanza ad una donna che non può rivolgersi ai consultori. Non può perché i medici dell’Usl sono tutti obiettori e la lista d’attesa infinita. Non può perché è clandestina e ha paura. Oppure non è clandestina ma ha comunque paura di perdere il lavoro. “Volete un esempio? Prendiamo una delle tanti badanti che lavorano in Italia. Se resta incinta è matematico che perde il lavoro. Se perde il lavoro, perde il permesso di soggiorno. E se perde il permesso di soggiorno sarà costretta a rientrare in patria, povera come era partita e con un figlio in più da provvedere. In un altro paese europeo, questa donna potrebbe essere aiutata con la Ru486. In Italia è costretta a ricorrere al Cytotec”, ci spiega Jeny Villa. Jeny è colombiana di origine e lavora come mediatrice culturale per l’associazione Migramentes convenzionata col Comune di Venezia. “Quando sento le dichiarazioni di Zaia sulla Ru486 mi vengono i brividi. Mi chiedo se sappia di cosa sta parlando. E mi chiedo anche come facciamo le donne italiane ad accettare che un uomo parli di cose che solo una donna può capire. Ma non si rende conto che se una donna arriva al punto di voler abortire il problema della legalità non la sfiora nemmeno? Se una donna decide di interrompere una gravidanza, il suo problema è soltanto sui metodi. Che la cosa sia legale o meno, non ha nessuna importanza per lei. Quello che lo Stato può fare è solo decidere se starle vicino e aiutarla o complicarle ulteriormente la vita. Tutto qua. Il resto sono solo discorsi di uomini che non vogliono neppure provare a considerare il problema da un punto di vista femminile”. L’uso improprio del Cytotec è oramai ampiamente dimostrato dall’aumento esponenziale di casi di “aborto spontaneo” dovuto ad emorragie che si registrano nei ricoveri d’urgenza al pronto soccorso. Il farmaco è praticamente libero: oltre che nelle stazioni, può essere acquistato per internet, fatto arrivare dall’estero o direttamente prescritto da un medico di casa compiacente. Per tacita ipocrisia, il Cytotec non attira tutti gli strali e gli anatemi con i quali cercano di colpire la Ru486, anche se dubitiamo che qualcuno in Italia lo abbia mai utilizzato per curarsi la gastrite. E’ un farmaco che provoca forti dolori, richiede l’ospedalizzazione – pure se spesso si fa “tutto in casa”, specie se la paziente è irregolare - e mette a rischio la vita stessa della donna. Si chiede Jeny: “Non basterebbe guardare questa realtà per mettere subito in circolazione la Ru486?”
L'aborto è tornato clandestino
13/04/2010TerraAltro che RU481! Ce lo diciamo o no, che l’aborto è praticamente ritornato nella clandestinità? Basta dare un’occhiata alle percentuali di obiettori presenti nei reparti di ginecologia del Veneto, per rendercene conto. Vediamo qualche numero. Usl 1 Belluno: 8 ginecologi, tutti obiettori. Usl 3 Bassano: 11 obiettori su 14 ginecologi. Usl 9 Treviso: 14 su 15. Azienda ospedaliera di Padova 15 obiettori su 18. A Venezia, Usl 12, troviamo la percentuale più favorevole: solo 6 su 8. A Verona, Usl 20, sono tutti obiettori. A Legnano, Usl 21, pure. Chioggia, Usl 14, Adria, Usl 19, Vicenza, Usl 6, stessa musica: tutti obiettori.
Come può in queste strutture una donna interrompere la gravidanza? E’ costretta ad attendere che arrivi un medico esterno. Una volta alle settimana se va bene, una volta ogni 15 giorni se va male. In ogni caso, le liste d’attesa sono chilometriche, i tempi si allungano, ed il rischio di sforare i termini prescritti dalla legge sempre più concreto. Perché c’è una percentuale così alta di obiettori? “Perché per un ginecologo assunto in una struttura ospedaliera pubblica dichiararsi obiettore significa soprattutto due cose: risparmiare lavoro e non compromettersi la carriera” commenta la dottoressa Pervinca Rizzo. “Facciamoci caso: le percentuali più alte sono nelle Usl dove la Lega è più forte e le nomine, anche negli ospedali, sono tutte politiche. Dichiararsi abortista significa, per un ginecologo fresco di laurea, rinunciare a diventare un domani, primario e, quasi sicuramente finire tra quegli, diciamocelo pure, sfigati costretti a girare come trottole da un ospedale all’altro per fare il lavoro che gli anti abortisti si rifiutano di fare”. Pervinca Rizzo esercita nell’entroterra veneziano ed è quelle che potremmo definire una dottoressa da “combattimento”: ogni anno guida le “brigate mediche” dell’associazione Ya Basta in Chiapas, per portare aiuti e solidarietà nei pueblos zapatisti. Pervinca ha formato decine e decine di “promotoras de salud” (promotrici di salute), specie di infermiere volontarie indigene che si incaricano di diffondere pratiche contraccettive e nozioni sulla tutela della salute femminile nei villaggi più sperduti della selva Lacandona. Ma torniamo in Italia. Cosa può fare una donna costretta ad interrompere la gravidanza, di fronte a tutte quelle difficoltà che le frappone proprio quella struttura pubblica che, al contrario, dovrebbe aiutarla? Se la donna in questione è di “razza caucasica” e ben provvista di soldi, si rivolge a qualche struttura privata, dove magari ritrova – ma in veste di paziente pagante – quel medico che nel pubblico si era dichiarato antiabortista. Ma se la donna ha i soldi contati o, peggio del peggio, è una migrante? “Semplicemente al consultorio non ci va – spiega Pervinca -. Con tutto lo straparlare di denunciare i clandestini che si è fatto, i migranti, pure quelli regolari hanno paura a rivolgersi alle strutture sanitarie pubbliche. Pure se i medici non possono denunciare nessuno per una evidente questione di segreto professionale, la paura rimane. Il risultato è che ogni etnia si è organizzata per conto suo. La clandestinità, la paura ha riportato in auge le mammane e i ferri da calza. Oramai d’aborto si ritorna a morire”.
Come può in queste strutture una donna interrompere la gravidanza? E’ costretta ad attendere che arrivi un medico esterno. Una volta alle settimana se va bene, una volta ogni 15 giorni se va male. In ogni caso, le liste d’attesa sono chilometriche, i tempi si allungano, ed il rischio di sforare i termini prescritti dalla legge sempre più concreto. Perché c’è una percentuale così alta di obiettori? “Perché per un ginecologo assunto in una struttura ospedaliera pubblica dichiararsi obiettore significa soprattutto due cose: risparmiare lavoro e non compromettersi la carriera” commenta la dottoressa Pervinca Rizzo. “Facciamoci caso: le percentuali più alte sono nelle Usl dove la Lega è più forte e le nomine, anche negli ospedali, sono tutte politiche. Dichiararsi abortista significa, per un ginecologo fresco di laurea, rinunciare a diventare un domani, primario e, quasi sicuramente finire tra quegli, diciamocelo pure, sfigati costretti a girare come trottole da un ospedale all’altro per fare il lavoro che gli anti abortisti si rifiutano di fare”. Pervinca Rizzo esercita nell’entroterra veneziano ed è quelle che potremmo definire una dottoressa da “combattimento”: ogni anno guida le “brigate mediche” dell’associazione Ya Basta in Chiapas, per portare aiuti e solidarietà nei pueblos zapatisti. Pervinca ha formato decine e decine di “promotoras de salud” (promotrici di salute), specie di infermiere volontarie indigene che si incaricano di diffondere pratiche contraccettive e nozioni sulla tutela della salute femminile nei villaggi più sperduti della selva Lacandona. Ma torniamo in Italia. Cosa può fare una donna costretta ad interrompere la gravidanza, di fronte a tutte quelle difficoltà che le frappone proprio quella struttura pubblica che, al contrario, dovrebbe aiutarla? Se la donna in questione è di “razza caucasica” e ben provvista di soldi, si rivolge a qualche struttura privata, dove magari ritrova – ma in veste di paziente pagante – quel medico che nel pubblico si era dichiarato antiabortista. Ma se la donna ha i soldi contati o, peggio del peggio, è una migrante? “Semplicemente al consultorio non ci va – spiega Pervinca -. Con tutto lo straparlare di denunciare i clandestini che si è fatto, i migranti, pure quelli regolari hanno paura a rivolgersi alle strutture sanitarie pubbliche. Pure se i medici non possono denunciare nessuno per una evidente questione di segreto professionale, la paura rimane. Il risultato è che ogni etnia si è organizzata per conto suo. La clandestinità, la paura ha riportato in auge le mammane e i ferri da calza. Oramai d’aborto si ritorna a morire”.
Casta padana
6/04/2010TerraNon sempre si impara dalle proprie sconfitte. Chi si chiede come sia potuto succedere che i lumbard abbiano sbancato il settentrione e continua ad analizzare il fenomeno leghista come una “anomalia” nel panorama della politica italiana, farebbe bene a riflettere sui fatti. Di anomalo la Lega oramai ha solo il linguaggio che continua ad essere allo stesso tempo di lotta e governo. Così non stupisce che Luca Zaia, neo governatore veneto, nella sua seconda uscita pubblica (la prima l’ha dedicata a ribattere che la RU 486 non troverà spazio nelle strutture pubbliche venete perché non vuole “banalizzare l’aborto”) tuoni contro quello stesso governo di cui è ministro, chiedendo riforme e federalismo.
Ma per il resto la Lega è un partito come un altro, con la sola eccezione che, mantenendo una struttura stalinista nelle gerarchie interne e nella gestione tutt’altro che democratica del dissenso interno, ed essendo per sua natura poco portato per la democrazia, risulta, tra tutti i partiti italiani, quello meno toccata dalla crisi che ha colpito il sistema democratico basato sui partiti. Tutto qua. Per il resto, la Lega ha saputo cogliere l’eredità dei due grandi partiti ottocenteschi che hanno impostato il modello economico veneto. Ha occupato il territorio – sagre paesane, centri culturali, feste tradizionali, sezioni stile case del popolo – come faceva il vecchio partito comunista, e nello stesso tempo ha saputo occupare anche i consigli di amministrazione di enti e municipalizzate come, prima di Tangentopoli, solo la vecchia balena bianca, la Democrazia Cristiana, sapeva fare.
Oramai, per seguire le ramificazioni della Casta Padana, da Milano a Roma, ci vuole un geografo. Doppi incarichi, conflitti di interesse, confusioni tra politica, appartenenza ad uno schieramento e gestione del servizio, sono all’ordine del giorno. Il tutto si traduce – quando va bene - in sprechi, inefficienze, e aumenti dei costi a carico dei cittadini.
Luigi Calesso, portavoce di Un’Altra Treviso, ha disegnato nel blog dell’associazione (http://unaltratreviso.splinder.com) una precisa mappa dell’occupazione “militare” del Carroccio nel territorio della marca trevigiana. “Un caso emblematico è quello dell’Actt, l’azienda di trasporto di Treviso, e delle sue partecipate – spiega Calesso –. Actt fa parte della cordata di aziende aggiudicataria del project financing per la realizzazione e la gestione del park interrato di piazza Vittoria. Ma questa società presieduta da Erich Zanata è proprietaria anche di Park Dal Negro Srl e Miani Park Srl che gestiscono gli omonimi e fallimentari parcheggi multipiano. ACTT, inoltre, fa parte di Trevisosta Srl, la società che ha in gestione il nuovo sistema di parcheggi “a sensori”. Questa pluralità di partecipazioni e la dipendenza dal Comune la pongono al centro di un groviglio di conflitti di interesse. Il primo si manifesterà quando inizieranno i lavori per il park interrato. Il cantiere della Parcheggio Piazza della Vittoria renderà inutilizzabili un centinaio di stalli nella piazza sottraendo per almeno due anni profitti a Trevisosta, ugualmente partecipata da ACTT. Inoltre, quando sarà realizzato, il park interrato inevitabilmente sottrarrà utenti al Dal Negro e al Miani che già versano in una situazione tutt’altro che florida.Nel caso in cui il Comune decidesse di bloccare la realizzazione del park interrato Actt che l’amministrazione controlla al 70%, si troverebbe nella scomoda posizione di avere un ‘proprietario’ che non vuole il parcheggio e di essere a sua volta comproprietaria di una società nata per realizzarlo”.
Ma per il resto la Lega è un partito come un altro, con la sola eccezione che, mantenendo una struttura stalinista nelle gerarchie interne e nella gestione tutt’altro che democratica del dissenso interno, ed essendo per sua natura poco portato per la democrazia, risulta, tra tutti i partiti italiani, quello meno toccata dalla crisi che ha colpito il sistema democratico basato sui partiti. Tutto qua. Per il resto, la Lega ha saputo cogliere l’eredità dei due grandi partiti ottocenteschi che hanno impostato il modello economico veneto. Ha occupato il territorio – sagre paesane, centri culturali, feste tradizionali, sezioni stile case del popolo – come faceva il vecchio partito comunista, e nello stesso tempo ha saputo occupare anche i consigli di amministrazione di enti e municipalizzate come, prima di Tangentopoli, solo la vecchia balena bianca, la Democrazia Cristiana, sapeva fare.
Oramai, per seguire le ramificazioni della Casta Padana, da Milano a Roma, ci vuole un geografo. Doppi incarichi, conflitti di interesse, confusioni tra politica, appartenenza ad uno schieramento e gestione del servizio, sono all’ordine del giorno. Il tutto si traduce – quando va bene - in sprechi, inefficienze, e aumenti dei costi a carico dei cittadini.
Luigi Calesso, portavoce di Un’Altra Treviso, ha disegnato nel blog dell’associazione (http://unaltratreviso.splinder.com) una precisa mappa dell’occupazione “militare” del Carroccio nel territorio della marca trevigiana. “Un caso emblematico è quello dell’Actt, l’azienda di trasporto di Treviso, e delle sue partecipate – spiega Calesso –. Actt fa parte della cordata di aziende aggiudicataria del project financing per la realizzazione e la gestione del park interrato di piazza Vittoria. Ma questa società presieduta da Erich Zanata è proprietaria anche di Park Dal Negro Srl e Miani Park Srl che gestiscono gli omonimi e fallimentari parcheggi multipiano. ACTT, inoltre, fa parte di Trevisosta Srl, la società che ha in gestione il nuovo sistema di parcheggi “a sensori”. Questa pluralità di partecipazioni e la dipendenza dal Comune la pongono al centro di un groviglio di conflitti di interesse. Il primo si manifesterà quando inizieranno i lavori per il park interrato. Il cantiere della Parcheggio Piazza della Vittoria renderà inutilizzabili un centinaio di stalli nella piazza sottraendo per almeno due anni profitti a Trevisosta, ugualmente partecipata da ACTT. Inoltre, quando sarà realizzato, il park interrato inevitabilmente sottrarrà utenti al Dal Negro e al Miani che già versano in una situazione tutt’altro che florida.Nel caso in cui il Comune decidesse di bloccare la realizzazione del park interrato Actt che l’amministrazione controlla al 70%, si troverebbe nella scomoda posizione di avere un ‘proprietario’ che non vuole il parcheggio e di essere a sua volta comproprietaria di una società nata per realizzarlo”.
Al Brunetta, l'è andata proprio male!
6/04/2010TerraNon è la Lega che lo ha tradito, Renato Brunetta, ma i sondaggi. Il primo, quello che lo ha spinto a candidarsi alla carica di Sindaco di Venezia, commissionato ancora al tempo delle primarie e che, a sentir lui, lo vedeva in vantaggio di quasi 10 punti sul candidato del centro sinistra. Il secondo, quello che girava per le redazioni a due settimane dal voto (e che, per i limiti di legge, non poteva essere pubblicato) che lo dava sopra il 51 per cento, con Giorgio Orsoni sotto il 45.
Va de sé che, con queste cifre, la sconfitta gli deve bruciare ancor di più. Se poi si considera che, leggendo dentro le cifre del sondaggio, i dati erano quasi tutti giusti se si esclude quello, sovrastimato, della Lega (16 contro l’effettivo 11,2 per cento) si inquadra meglio tutto il fiele che il ministro, giorno dopo giorno, non smette di riversare sul Carroccio lumbard. A voler essere pignoli, con un minimo di matematica si potrebbe dimostrare che, anche senza quei diecimila voti disgiunti (di elettori che hanno votato per lui ma per partiti fuori dalla coalizione che lo sosteneva), Giorgio Orsoni avrebbe vinto lo stesso. Certo che un candidato come lui, che ha riempiva gli schermi televisivi anche quando si parlava di cucina o di cronaca rosa, qualcosa di più se lo aspettava. Ed invece è arrivata la sconfitta. Dura, cruda, inaspettata e senza attenuanti. La terza consecutiva dopo il ballottaggio con Costa e la corsa per il senato. E maturata a casa propria, e in un contesto che ha visto trionfare la destra in tutto il Veneto. Di più, in tutto il nord Italia. Insomma, lo sfogo di Brunetta contro la Lega ha una sua motivazione, se pur non è quella dei numeri o del “voto pilotato”. Ogni giorno il ministro si inventa un epitteto nuovo per meglio definire gli alleati del carroccio che, a sentir lui, avrebbero fatto un accordo sotto banco con Orsoni: traditori, inaffidabili, miopi, egoisti… “Chi poteva immaginare che questi personaggi arrivassero a tanto?” E avverte, per bocca del consigliere Antonio Cavaliere, : «In questi cinque anni di amministrazione comunale non faremo nessuno sconto!” All’amministrazione? “Macché! Alla Lega! Giorgio Orsoni ha gioco facile ad ironizzare, con chi gli chiede se si aspetta dall’opposizione uno scontro e un dissenso duro, “Sì. Tra di loro”. Va da sé che la Lega, da partito di lotta e di governo qual è, gliele rimanda a dire tutte quante col tono di “Lui che ha perso cosa vuole insegnare a noi che abbiamo vinto?” Gian Paolo Gobbo parla senza mezzi termini di “candidato sbagliato” e di “personaggio antipatico”. Francesca Zaccariotto, presidente della provincia di Venezia, ricorda al ministro fantuttone che “un generale non addossa la colpa alle truppe se perde”. Lei che, aveva minacciato un rimpasto di Giunta nel caso il sindaco Brunetta non avesse dato la sedia di vicesindaco ad un leghista, torna ora a minacciare un altro rimpasto di Giunta per conformarsi ai nuovi equilibri. E la Lega pigliatutto si prepara ad incassare altre cariche. Intanto, a consolare il povero ministro Renato Brunetta, ci ha pensato Marco Marturano, presidente della Gm&p, che di mestiere fa lo stratega di campagne elettorali. Destra o sinistra, non importa. “Brunetta – dice – ha perso perché è troppo bravo. Gli elettori lo vedono bene ad occupare posti prestigiosi e non limitato a semplici incarichi amministrativi locali”. Insomma, fare il sindaco a Venezia sarebbe troppo poco per un personaggio di tale astronomica levatura. Ma tra quattro anni ci saranno le presidenziali Usa. Quell’extracomunitario di Obama è dato in calo. Quasi quasi, un pensierino…
Va de sé che, con queste cifre, la sconfitta gli deve bruciare ancor di più. Se poi si considera che, leggendo dentro le cifre del sondaggio, i dati erano quasi tutti giusti se si esclude quello, sovrastimato, della Lega (16 contro l’effettivo 11,2 per cento) si inquadra meglio tutto il fiele che il ministro, giorno dopo giorno, non smette di riversare sul Carroccio lumbard. A voler essere pignoli, con un minimo di matematica si potrebbe dimostrare che, anche senza quei diecimila voti disgiunti (di elettori che hanno votato per lui ma per partiti fuori dalla coalizione che lo sosteneva), Giorgio Orsoni avrebbe vinto lo stesso. Certo che un candidato come lui, che ha riempiva gli schermi televisivi anche quando si parlava di cucina o di cronaca rosa, qualcosa di più se lo aspettava. Ed invece è arrivata la sconfitta. Dura, cruda, inaspettata e senza attenuanti. La terza consecutiva dopo il ballottaggio con Costa e la corsa per il senato. E maturata a casa propria, e in un contesto che ha visto trionfare la destra in tutto il Veneto. Di più, in tutto il nord Italia. Insomma, lo sfogo di Brunetta contro la Lega ha una sua motivazione, se pur non è quella dei numeri o del “voto pilotato”. Ogni giorno il ministro si inventa un epitteto nuovo per meglio definire gli alleati del carroccio che, a sentir lui, avrebbero fatto un accordo sotto banco con Orsoni: traditori, inaffidabili, miopi, egoisti… “Chi poteva immaginare che questi personaggi arrivassero a tanto?” E avverte, per bocca del consigliere Antonio Cavaliere, : «In questi cinque anni di amministrazione comunale non faremo nessuno sconto!” All’amministrazione? “Macché! Alla Lega! Giorgio Orsoni ha gioco facile ad ironizzare, con chi gli chiede se si aspetta dall’opposizione uno scontro e un dissenso duro, “Sì. Tra di loro”. Va da sé che la Lega, da partito di lotta e di governo qual è, gliele rimanda a dire tutte quante col tono di “Lui che ha perso cosa vuole insegnare a noi che abbiamo vinto?” Gian Paolo Gobbo parla senza mezzi termini di “candidato sbagliato” e di “personaggio antipatico”. Francesca Zaccariotto, presidente della provincia di Venezia, ricorda al ministro fantuttone che “un generale non addossa la colpa alle truppe se perde”. Lei che, aveva minacciato un rimpasto di Giunta nel caso il sindaco Brunetta non avesse dato la sedia di vicesindaco ad un leghista, torna ora a minacciare un altro rimpasto di Giunta per conformarsi ai nuovi equilibri. E la Lega pigliatutto si prepara ad incassare altre cariche. Intanto, a consolare il povero ministro Renato Brunetta, ci ha pensato Marco Marturano, presidente della Gm&p, che di mestiere fa lo stratega di campagne elettorali. Destra o sinistra, non importa. “Brunetta – dice – ha perso perché è troppo bravo. Gli elettori lo vedono bene ad occupare posti prestigiosi e non limitato a semplici incarichi amministrativi locali”. Insomma, fare il sindaco a Venezia sarebbe troppo poco per un personaggio di tale astronomica levatura. Ma tra quattro anni ci saranno le presidenziali Usa. Quell’extracomunitario di Obama è dato in calo. Quasi quasi, un pensierino…
Giorgio Orsoni sindaco di Venezia
30/03/2010TerraGiorgio Orsoni è il nuovo sindaco di Venezia. Il tranquillo avvocato, procuratore di San Marco, ben visto dalla curia patriarcale e con l’hobby della vela, guiderà per i prossimi cinque anni la Stalingrado del nord Italia. Solo qui, in laguna, il centro sinistra ha portato a casa l’unico risultato vincente di questa tornata elettorale che ha visto la Lega recitare il ruolo dell’asso pigliatutto a rubamazzetto.
E proprio qui, nella laguna dei Dogi, dove i lombardi scendono ogni settembre per ripetere il teatrino del versamento dell’acqua del Po nei canali di questa che, a dir loro, dovrebbe essere la capitale della loro patria padana, il Carrocio non ha superato il tetto del 11 per cento. Il ministro - candidato, Renato Brunetta, ha perso e perso male proprio perché gli son mancate le percentuali che la lega ha ottenuto nelle altre provincie del Veneto. Fuori al primo turno con un misero 42,7 per cento (mentre scriviamo le sezioni scrutinate sono 286 su 303. I dati quindi possono variare solo nei decimali). Giorgio Orsoni vola col 52 per cento portatogli dal Pd (28,8 per cento), dall’Italia dei Valori (6,7), dall’Udc (4,6). La lista dei Verdi, In Comune con Bettin, ha recuperato un 3,8 per cento, appena sopra la federazione della Sinistra (Pdci e Rifondazione che in questa loro prima uscita elettorale totalizzano insieme il 3,3 per cento). Da segnalare, per completare il quadro delle liste che hanno sostenuto il neo eletto sindaco, il 3,8 dei socialisti che comunque va spiegato col fatto che il loro logo era l’unico con la scritta Orsoni e si trovava esattamente a fianco del nome del candidato. Completa il quadro veneziano la lista Brunetta (6,6) e il Pdl che col suo 22,8 si conferma il secondo partito della città con una percentuale di poco inferiore a quella incassata a livello regionale (24,7). Insomma, a Venezia è mancata solo la lega. E se vogliamo, è mancato anche un candidato capace di riscuotere le simpatie degli elettori come invece, a livello regionale, ha saputo fare l’altro ministro candidato: Luca Zaia. Faccia pulita, capelli brillantinati, discorsi neppure tanto razzisti e addirittura quasi sempre contenuti nel binario della buona educazione e della grammatica italiana. Il che non è poco per un leghista in campagna elettorale. Idee poche le sue, e spesso incoerenti (nuclearista a Roma e anti nuclearista a Venezia) ma comunque tutte centrate sul “fare”. Ad un Veneto squassato dalla crisi di un modello che aveva portato ricchezza e benessere, questo “fare” di un ministro che non ha avuto remore di farsi fotografare vestito da cuoco da Mac Italy, deve essere sembrato l’ultima ancora di salvezza. E così il Veneto dice addio a Galan, che si è fatto licenziare dal padrone, e non dagli elettori, come un qualsiasi dipendente di Publitalia con solo qualche mugugno di protesta, e addio anche a Brunetta, che comunque ha sempre un buon posto da ministro sotto il sedere e si risparmierà la faticaccia di venire nei fine settimana a sgobbare anche come sindaco di Venezia. Pur se lui non è un fannullone come noialtri.
E proprio qui, nella laguna dei Dogi, dove i lombardi scendono ogni settembre per ripetere il teatrino del versamento dell’acqua del Po nei canali di questa che, a dir loro, dovrebbe essere la capitale della loro patria padana, il Carrocio non ha superato il tetto del 11 per cento. Il ministro - candidato, Renato Brunetta, ha perso e perso male proprio perché gli son mancate le percentuali che la lega ha ottenuto nelle altre provincie del Veneto. Fuori al primo turno con un misero 42,7 per cento (mentre scriviamo le sezioni scrutinate sono 286 su 303. I dati quindi possono variare solo nei decimali). Giorgio Orsoni vola col 52 per cento portatogli dal Pd (28,8 per cento), dall’Italia dei Valori (6,7), dall’Udc (4,6). La lista dei Verdi, In Comune con Bettin, ha recuperato un 3,8 per cento, appena sopra la federazione della Sinistra (Pdci e Rifondazione che in questa loro prima uscita elettorale totalizzano insieme il 3,3 per cento). Da segnalare, per completare il quadro delle liste che hanno sostenuto il neo eletto sindaco, il 3,8 dei socialisti che comunque va spiegato col fatto che il loro logo era l’unico con la scritta Orsoni e si trovava esattamente a fianco del nome del candidato. Completa il quadro veneziano la lista Brunetta (6,6) e il Pdl che col suo 22,8 si conferma il secondo partito della città con una percentuale di poco inferiore a quella incassata a livello regionale (24,7). Insomma, a Venezia è mancata solo la lega. E se vogliamo, è mancato anche un candidato capace di riscuotere le simpatie degli elettori come invece, a livello regionale, ha saputo fare l’altro ministro candidato: Luca Zaia. Faccia pulita, capelli brillantinati, discorsi neppure tanto razzisti e addirittura quasi sempre contenuti nel binario della buona educazione e della grammatica italiana. Il che non è poco per un leghista in campagna elettorale. Idee poche le sue, e spesso incoerenti (nuclearista a Roma e anti nuclearista a Venezia) ma comunque tutte centrate sul “fare”. Ad un Veneto squassato dalla crisi di un modello che aveva portato ricchezza e benessere, questo “fare” di un ministro che non ha avuto remore di farsi fotografare vestito da cuoco da Mac Italy, deve essere sembrato l’ultima ancora di salvezza. E così il Veneto dice addio a Galan, che si è fatto licenziare dal padrone, e non dagli elettori, come un qualsiasi dipendente di Publitalia con solo qualche mugugno di protesta, e addio anche a Brunetta, che comunque ha sempre un buon posto da ministro sotto il sedere e si risparmierà la faticaccia di venire nei fine settimana a sgobbare anche come sindaco di Venezia. Pur se lui non è un fannullone come noialtri.
Kairos, l'appello
30/03/2010Terra“Noi, i Patriarchi e i Capi delle Chiese di Gerusalemme, abbiamo ascoltato il grido di speranza che i nostri figli hanno lanciato in questi tempi difficili che stiamo vivendo in questa Terra Santa”. Comincia così lo storico documento sulla Palestina che, per la prima volta, vede riunite tutte e tredici le chiese cristiane presenti in Israele: da quella cattolica romana a quella ortodossa, dall’anglicana alla luterana. L’appello dal significativo nome Kairos Palestina rievoca il documento Kairos Sudafrica sottoscritto nel 1985 in cui si denunciarono le ingiustizie dell’apartheid e che costituì, sia in chiave internazionale che interna, un valido strumento contro l’oppressione. Ricordiamo che la parola greca Kairos, tuttora adoperata nelle liturgie per definire il momento in cui Dio agisce, significa “tempo” ma inteso come “occasione giusta per fare qualcosa”.
Kairos Palestina chiede “alla comunità internazionale di sostenere il popolo Palestinese, che ha affrontato oppressione, spostamenti forzati, sofferenza e l'apartheid chiara per oltre sei decenni. La sofferenza continua, mentre la comunità internazionale guarda in silenzio lo Stato occupante, Israele. La nostra parola è un grido di speranza, con amore, la preghiera e la fede in Dio. Ci rivolgiamo prima di tutto a noi stessi e poi a tutte le Chiese ed i cristiani nel mondo, chiedendo loro di prendere posizione contro l'ingiustizia e l'apartheid, spingendoli a lavorare per una pace giusta nella nostra regione, chiedendo loro di rivedere teologie che giustificano i crimini perpetrati contro la nostra gente e l'espropriazione della terra”.
“Noi Cristiani Palestinesi dichiariamo che l'occupazione militare della nostra terra è un peccato contro Dio e contro l'umanità, e che ogni teologia che legittima l'occupazione è ben lungi dagli insegnamenti cristiani, perché la vera teologia cristiana è una teologia di amore e di solidarietà con gli oppressi, un appello per la giustizia e l'uguaglianza tra i popoli.” “Come Cristiani Palestinesi ci auguriamo che questo documento possa rappresentare il punto di svolta per concentrare gli sforzi di tutti i popoli amanti della pace nel mondo”. Kairos si chiude con un forte appello ad impegnarsi contro “l'oppressione e l'occupazione. Noi crediamo che la liberazione dall'occupazione sia nell'interesse di tutti i popoli della regione, perché il problema non è solo politico, in questo caso vengono distrutti i diritti di esseri umani”.
Kairos sarà presentato ufficialmente in Italia il 12 aprile, al teatro dell’istituto Montanari di Verona, da padre Raed Abushalia, del patriarcato di Gerusalemme. Nel sito web www.kairospalestine.ps potete scaricare l’appello nelle principali lingue del mondo e leggere il lungo elenco dei firmatari.
Kairos Palestina chiede “alla comunità internazionale di sostenere il popolo Palestinese, che ha affrontato oppressione, spostamenti forzati, sofferenza e l'apartheid chiara per oltre sei decenni. La sofferenza continua, mentre la comunità internazionale guarda in silenzio lo Stato occupante, Israele. La nostra parola è un grido di speranza, con amore, la preghiera e la fede in Dio. Ci rivolgiamo prima di tutto a noi stessi e poi a tutte le Chiese ed i cristiani nel mondo, chiedendo loro di prendere posizione contro l'ingiustizia e l'apartheid, spingendoli a lavorare per una pace giusta nella nostra regione, chiedendo loro di rivedere teologie che giustificano i crimini perpetrati contro la nostra gente e l'espropriazione della terra”.
“Noi Cristiani Palestinesi dichiariamo che l'occupazione militare della nostra terra è un peccato contro Dio e contro l'umanità, e che ogni teologia che legittima l'occupazione è ben lungi dagli insegnamenti cristiani, perché la vera teologia cristiana è una teologia di amore e di solidarietà con gli oppressi, un appello per la giustizia e l'uguaglianza tra i popoli.” “Come Cristiani Palestinesi ci auguriamo che questo documento possa rappresentare il punto di svolta per concentrare gli sforzi di tutti i popoli amanti della pace nel mondo”. Kairos si chiude con un forte appello ad impegnarsi contro “l'oppressione e l'occupazione. Noi crediamo che la liberazione dall'occupazione sia nell'interesse di tutti i popoli della regione, perché il problema non è solo politico, in questo caso vengono distrutti i diritti di esseri umani”.
Kairos sarà presentato ufficialmente in Italia il 12 aprile, al teatro dell’istituto Montanari di Verona, da padre Raed Abushalia, del patriarcato di Gerusalemme. Nel sito web www.kairospalestine.ps potete scaricare l’appello nelle principali lingue del mondo e leggere il lungo elenco dei firmatari.
Orsoni e Brunetta. Venezia sceglie il sindaco
23/03/2010TerraGli studenti lo hanno aspettato pazientemente per oltre due ore. Tutti con il ciuccio in bocca, un baby bavaglino attorno al collo e un enorme striscione con scritto “Brunetta bamboccione, vogliam la tua pensione”. Niente da fare. Del ministro - candidato neppure l’ombra. Inutile tutto l’imponente schieramento di celere e carabinieri attorno e dentro l’auditorium universitario di S. Margherita, nel cuore della città lagunare. “Qualcuno gli ha fatto la soffiata – ha commentato un portavoce degli studenti di Ca Foscari - e se c’è una cosa in cui Renato Brunetta eccelle è quella di schivare i confronti in cui non ha la possibilità di ripiegare sugli insulti e sulle provocazioni che caratterizzano la sua politica”.
Questo accaduto martedì 16, è solo uno dei tanti esempi di “non confronto” sui problemi della città che hanno caratterizzato la campagna per le amministrative di Venezia. Certo. Brunetta è un ministro ed ha gli impegni di un ministro. La campagna elettorale pare farla nel suo tempo libero. Così come farà – nel caso fosse eletto – il sindaco di Venezia nel suo tempo libero. “Due giorni alla settimana, sabato e domenica, sono sufficienti”. Ha detto. Mica è un fannullone, lui. Resta il fatto che in una Venezia da “climate change” – acqua alta e neve a fine marzo non se la ricordava nessuno, in laguna – le imminenti elezioni non sembrano appassionare nessuno. A tener banco sui giornali locali sono, più che altro, le critiche e gli attacchi all’interno degli stessi schieramenti. Inevitabile, in mancanza di confronti con gli avversari. Così, a chiudere l’era Cacciari è lo stesso Orsoni, che marca le distanze da sindaco e assessori oggi al governo in città, e propone di “voltare pagina”. E si dimentica che è tutto merito del sindaco uscente se ora lui è là, a giocarsela con Brunetta. Nello schieramento opposto, specularmente a quanto avviene per le elezioni regionali, Lega e Pdl si accoltellano un giorno sì e l’altro pure. Brunetta dichiara che sarà lui, e non certo il Carroccio, a scegliere assessori e vice sindaco. La presidente “lumbard” della provincia, Francesca Zaccariotto, gliele manda a dire avvertendolo che il posto spetta ad un leghista altrimenti “ci saranno ripercussioni nel governo della provincia”. Tutte questioni di alta etica politica, come vedete. C’è da dire su Brunetta che perlomeno non manca di riaccendere di tanto in tanto il tristo panorama politico con qualche sparata delle sue, solitamente pescando a casaccio dalla storia veneziana, della quale non è quel che si dice un gran conoscitore. Ma gli basta aprire un libro sui dogi in una pagina a caso e riesce a farne un comunicato stampa. Anche questo è un gran talento. “Riattiveremo le tradizioni dei fondaci”. Per far che? Importare spezie dall’oriente misterioso? “Riapriremo l’Arsenale”. C’è richiesta di cocche e galee? “Riporteremo il sede del Comune a palazzo Ducale”. E il sindaco avrà pure il corno dogale in testa? Man mano che si avvicina il voto attendiamo che ne esca con un “Riprendiamoci Famagosta”. Giorgio Orsoni, diciamocelo francamente, non è uno che fa innamorare le folle, ma bisogna dargli atto che non deve essere facile ribattere a trovate del genere. Ma, tra le calli, lo spettacolo di una politica che è solo spettacolo è davvero deprimente. “I temi ambientali, che pure sono centrali per il futuro di Venezia e della sua terraferma – ha commentato Gianfranco Bettin candidato ed ispiratore delle lista In Comune -, sono passati in secondo piano. Per questo è importante non soltanto scegliere la coalizione che sostiene Orsoni e respingere l’attacco di una destra senza idee e senza proposte che non sia quella di svendere beni e patrimoni comuni, ma anche scegliere una formazione di chiara ispirazione ambientale come la nostra. L’unica capace di fare la differenza, riavvicinando alla politica persone che se ne erano allontanate e rilanciare In Comune, per l’appunto, una nuova idea democratica, etica e ambientalista”.
E’ sui temi ambientali infatti che si svela il vero volto di Brunetta. Venerdì scorso, all’Ateneo Veneto, durante il solo confronto a due di tutta la campagna elettorale, intervistati dai direttori delle tre testate locali, i candidati sindaci hanno risposto ad una domanda sull’inceneritore Sg31 di Marghera, destinato a rifiuti tossici e pericolosi. Un impianto fortemente voluto dalla Regione Veneto. “Un problema reale – ha dichiarato un preoccupato Orsoni - Porto Marghera rischia davvero di diventare la pattumiera d’Europa, disincentivando così, anche psicologicamente, chi in quelle aree vuole investire in attività pulite”. E la risposta del “fantuttone”? Incazzatissimo, il ministro - candidato ha tagliato corto: “E’ immorale che simili questioni complicate vengano affrontate in campagna elettorale, bisognerebbe tenerle fuori!” Qualcuno si è alzato dalla platea gridando: “Ministro, è la nostra vita, questa!”
Questo accaduto martedì 16, è solo uno dei tanti esempi di “non confronto” sui problemi della città che hanno caratterizzato la campagna per le amministrative di Venezia. Certo. Brunetta è un ministro ed ha gli impegni di un ministro. La campagna elettorale pare farla nel suo tempo libero. Così come farà – nel caso fosse eletto – il sindaco di Venezia nel suo tempo libero. “Due giorni alla settimana, sabato e domenica, sono sufficienti”. Ha detto. Mica è un fannullone, lui. Resta il fatto che in una Venezia da “climate change” – acqua alta e neve a fine marzo non se la ricordava nessuno, in laguna – le imminenti elezioni non sembrano appassionare nessuno. A tener banco sui giornali locali sono, più che altro, le critiche e gli attacchi all’interno degli stessi schieramenti. Inevitabile, in mancanza di confronti con gli avversari. Così, a chiudere l’era Cacciari è lo stesso Orsoni, che marca le distanze da sindaco e assessori oggi al governo in città, e propone di “voltare pagina”. E si dimentica che è tutto merito del sindaco uscente se ora lui è là, a giocarsela con Brunetta. Nello schieramento opposto, specularmente a quanto avviene per le elezioni regionali, Lega e Pdl si accoltellano un giorno sì e l’altro pure. Brunetta dichiara che sarà lui, e non certo il Carroccio, a scegliere assessori e vice sindaco. La presidente “lumbard” della provincia, Francesca Zaccariotto, gliele manda a dire avvertendolo che il posto spetta ad un leghista altrimenti “ci saranno ripercussioni nel governo della provincia”. Tutte questioni di alta etica politica, come vedete. C’è da dire su Brunetta che perlomeno non manca di riaccendere di tanto in tanto il tristo panorama politico con qualche sparata delle sue, solitamente pescando a casaccio dalla storia veneziana, della quale non è quel che si dice un gran conoscitore. Ma gli basta aprire un libro sui dogi in una pagina a caso e riesce a farne un comunicato stampa. Anche questo è un gran talento. “Riattiveremo le tradizioni dei fondaci”. Per far che? Importare spezie dall’oriente misterioso? “Riapriremo l’Arsenale”. C’è richiesta di cocche e galee? “Riporteremo il sede del Comune a palazzo Ducale”. E il sindaco avrà pure il corno dogale in testa? Man mano che si avvicina il voto attendiamo che ne esca con un “Riprendiamoci Famagosta”. Giorgio Orsoni, diciamocelo francamente, non è uno che fa innamorare le folle, ma bisogna dargli atto che non deve essere facile ribattere a trovate del genere. Ma, tra le calli, lo spettacolo di una politica che è solo spettacolo è davvero deprimente. “I temi ambientali, che pure sono centrali per il futuro di Venezia e della sua terraferma – ha commentato Gianfranco Bettin candidato ed ispiratore delle lista In Comune -, sono passati in secondo piano. Per questo è importante non soltanto scegliere la coalizione che sostiene Orsoni e respingere l’attacco di una destra senza idee e senza proposte che non sia quella di svendere beni e patrimoni comuni, ma anche scegliere una formazione di chiara ispirazione ambientale come la nostra. L’unica capace di fare la differenza, riavvicinando alla politica persone che se ne erano allontanate e rilanciare In Comune, per l’appunto, una nuova idea democratica, etica e ambientalista”.
E’ sui temi ambientali infatti che si svela il vero volto di Brunetta. Venerdì scorso, all’Ateneo Veneto, durante il solo confronto a due di tutta la campagna elettorale, intervistati dai direttori delle tre testate locali, i candidati sindaci hanno risposto ad una domanda sull’inceneritore Sg31 di Marghera, destinato a rifiuti tossici e pericolosi. Un impianto fortemente voluto dalla Regione Veneto. “Un problema reale – ha dichiarato un preoccupato Orsoni - Porto Marghera rischia davvero di diventare la pattumiera d’Europa, disincentivando così, anche psicologicamente, chi in quelle aree vuole investire in attività pulite”. E la risposta del “fantuttone”? Incazzatissimo, il ministro - candidato ha tagliato corto: “E’ immorale che simili questioni complicate vengano affrontate in campagna elettorale, bisognerebbe tenerle fuori!” Qualcuno si è alzato dalla platea gridando: “Ministro, è la nostra vita, questa!”
Mara Venier assessora?
16/03/2010TerraSulla campagna elettorale per il Comune di Venezia non c’è proprio niente da scrivere. Ma non perché manchino i temi. Così, su due piedi, me ne vengono in mente tanti da riempire il foglio: dalle ancora attese bonifiche di Porto Marghera al rilancio regionale delle politiche di inquinamento con la riapertura dell’inceneritore Sg231 da 100 mila tonnellate annue di rifiuti tossici. E ancora: un turismo sempre più di massa che porta soldi per pochi e problemi per tutti, l’alberghizzazione feroce che scaccia i residenti dalla città insulare con la perdita di tradizioni e culture millenarie, il problema della casa a Venezia e del traffico a Mestre, la necessità di una strategia a 360 gradi per difendere il delicato ecosistema lagunare che sta crollando sotto il peso di opere impattanti come il Mose... e ci fermiamo qua.
Insomma, i temi, in una realtà complessa e differenziata e che comprende Venezia, le isole, il polo industriale e la terraferma mestrina, non mancano. Quelli che mancano sono gli interlocutori. Impossibile non ripensare ai “bei tempi andati” quando i candidati, e prima di loro i partiti, sistemavano una sedia in una qualche fondamenta, esponevano un programma che non era fatto solo di slogan confezionati da qualche pubblicitario, parlavano con la gente, ascoltavano gli interventi, e rispondevano – addirittura! – alle domande dei giornalisti, i quali avevano un solo obiettivo: mettere in difficoltà l’aspirante sindaco, qualsiasi fosse il suo schieramento. Bei tempi. Andati, soprattutto. Adesso, se escludiamo quei sei o sette candidati che si sono presentati solo per far “colore locale”, tra i due più accreditati – Orsoni e Brunetta - pare di assistere ad un dialogo con interposte persone. Se le mandano a dire sui giornali, quando va bene. E d’altra parte come si fa a dialogare con un ministro di Roma che preferisce andare ad “Affari tuoi” che nelle calli di Venezia? Se poi quel ministro si chiama anche Brunetta, possiamo pure tirarci una riga sopra, al confronto democratico. Impossibile fargli domande. Il signor ministro è impegnato. Impossibile intervistarlo a meno che tu non sia un giornalista di “suo gusto”. Il signor ministro non parla con tutti. Impossibile un confronto con gli altri candidati. Il signor ministro è a Roma. Impossibile un confronto con sindacati e categorie. Il signor ministro fa il suo comizio ma poi scappa perché c’è l’aereo (quello del ministero) che lo attende. E così si marcia a sparate. Cosa che il nostro candidato sa fare alla grande. “Regalerò le case dell’ater agli inquilini”. Tanto, non c’è nessuno che gli possa chiedere: ma son tue o della Regione. “Mara Venier assessora” E a far che? “Porterò a Venezia otto ministri” Ci mancherebbe solo questo! In compenso, le cassette postali dei veneziani sono stipate ogni mattina dalle sue lettere d’amore in carta non riciclabile che per smaltirle tutte servirà sul serio l’Sg31. Amore? Proprio così. “Vi voglio bene” è l’inevitabile conclusione del ministro - candidato dopo che ci ha spiegato, con una mano sul cuore, perché sta facendo tutto questo per noi. Ci ama. E’ per questo che promette di venire perlomeno uno o forse anche due giorni alla settimana in laguna a fare il sindaco. Ci ama. Ed è per questo che ha speso per noi oltre un milione di euro tra gadget, pubblicità nei giornali e manifesti elettorali. Ci ama. Ma non al punto da dirci dove ha preso questi soldi. Ci ama ma si dimentica di indicare il committente nei suoi depliant. Nella mia ignoranza, credevo fosse un obbligo di legge per una questione di trasparenza dei finanziamenti. Ci dev’essere qualche decreto interpretativo che glielo consente. Però devi essere ministro e avere il cognome che comincia con B.
Insomma, i temi, in una realtà complessa e differenziata e che comprende Venezia, le isole, il polo industriale e la terraferma mestrina, non mancano. Quelli che mancano sono gli interlocutori. Impossibile non ripensare ai “bei tempi andati” quando i candidati, e prima di loro i partiti, sistemavano una sedia in una qualche fondamenta, esponevano un programma che non era fatto solo di slogan confezionati da qualche pubblicitario, parlavano con la gente, ascoltavano gli interventi, e rispondevano – addirittura! – alle domande dei giornalisti, i quali avevano un solo obiettivo: mettere in difficoltà l’aspirante sindaco, qualsiasi fosse il suo schieramento. Bei tempi. Andati, soprattutto. Adesso, se escludiamo quei sei o sette candidati che si sono presentati solo per far “colore locale”, tra i due più accreditati – Orsoni e Brunetta - pare di assistere ad un dialogo con interposte persone. Se le mandano a dire sui giornali, quando va bene. E d’altra parte come si fa a dialogare con un ministro di Roma che preferisce andare ad “Affari tuoi” che nelle calli di Venezia? Se poi quel ministro si chiama anche Brunetta, possiamo pure tirarci una riga sopra, al confronto democratico. Impossibile fargli domande. Il signor ministro è impegnato. Impossibile intervistarlo a meno che tu non sia un giornalista di “suo gusto”. Il signor ministro non parla con tutti. Impossibile un confronto con gli altri candidati. Il signor ministro è a Roma. Impossibile un confronto con sindacati e categorie. Il signor ministro fa il suo comizio ma poi scappa perché c’è l’aereo (quello del ministero) che lo attende. E così si marcia a sparate. Cosa che il nostro candidato sa fare alla grande. “Regalerò le case dell’ater agli inquilini”. Tanto, non c’è nessuno che gli possa chiedere: ma son tue o della Regione. “Mara Venier assessora” E a far che? “Porterò a Venezia otto ministri” Ci mancherebbe solo questo! In compenso, le cassette postali dei veneziani sono stipate ogni mattina dalle sue lettere d’amore in carta non riciclabile che per smaltirle tutte servirà sul serio l’Sg31. Amore? Proprio così. “Vi voglio bene” è l’inevitabile conclusione del ministro - candidato dopo che ci ha spiegato, con una mano sul cuore, perché sta facendo tutto questo per noi. Ci ama. E’ per questo che promette di venire perlomeno uno o forse anche due giorni alla settimana in laguna a fare il sindaco. Ci ama. Ed è per questo che ha speso per noi oltre un milione di euro tra gadget, pubblicità nei giornali e manifesti elettorali. Ci ama. Ma non al punto da dirci dove ha preso questi soldi. Ci ama ma si dimentica di indicare il committente nei suoi depliant. Nella mia ignoranza, credevo fosse un obbligo di legge per una questione di trasparenza dei finanziamenti. Ci dev’essere qualche decreto interpretativo che glielo consente. Però devi essere ministro e avere il cognome che comincia con B.
Sile e cemento
16/03/2010TerraChe gli speculatori speculino, e che i cementificatori cementifichino, farà anche tristezza ma rimane comunque nell’ordine naturale delle cose. Se a voler costruire centri dirigenziali, parcheggi e villini di lusso all’interno di un parco naturale, è lo stesso Ente Parco, la faccenda si fa quanto meno paradossale. Eppure è quanto sta per succedere nella marca trevigiana. Il parco in questione è quello realizzato sulle sponde del fiume Sile. Un fiume storico per il Veneto. La dolcezza e la ricchezza delle sue acque ne hanno fatto sin dagli albori della storia, un sito di attrazione per le popolazioni nomadi e le sue sponde hanno fatto da culla per la civiltà degli antichi Veneti.
E’ anche il fiume di risorgiva più lungo d’Italia, il nostro Sile. Nasce nel confine tra il trevigiano e il padovano, tra Casacorba di Vedelago (Treviso) e Torreselle di Piombino Dese (Padova). Settanta chilometri più a valle, a Portegrandi, arriva in quella laguna che aveva contribuito a creare. Un tempo vi si gettava, ma nel 1683 la Serenissima lo fece deviare lungo il cosiddetto “taglio del Sile”. Nel 1991, la Regione Veneto istituì sulle sue sponde un parco regionale di 4 mila e 152 ettari. Lo scopo, dichiarato nella legge istitutiva, era quello di “proteggere, salvaguardare, valorizzare, mantenere e tutelare il suolo e il sottosuolo, la flora, la fauna del Sile”. A tal proposito, ogni cinque anni Regione e Provincie nominano un presidente, un consiglio, un comitato esecutivo, varie commissioni, revisori dei conti, eccetera eccetera. Spreco solo due righe per ricordare che, nel’ottica di spartizione regionale popolo delle libertà - lega, gli organi dell’ente parco sono tutti di nomina padana. Ebbene: che ti fa l’ente parco invece di tutelare, preservare, eccetera eccetera? Per “valorizzare l’ambiente” di sua competenza avvia “progetti di recupero” che altro non sono che piani di edificazione veri e propri. Un esempio è il progetto di “recupero” degli ex-mulini Mandelli che prevede la realizzazione di nuovi edifici residenziali (condomini e villette) nell’area verde che si estende alle spalle degli ex-mulini e che verrebbe ridotta a giardino più o meno privato per i nuovi residenti. “Non ci stupisce che l’edificazione lungo le rive del Sile possa essere un obiettivo ambito per i costruttori – spiega Gigi Calesso, portavoce dell’associazione Un’altra Treviso – belle abitazioni lungo il fiume, immerse nel verde, con un tocco di rustico… sono senz’altro un buon affare in un territorio cementificato e inquinato come il nostro. Quello che ci risulta invece di difficile comprensione è che a promuovere questo tipo di iniziative sia l’Ente Parco del Sile la cui funzione dovrebbe essere, al contrario, quella di tutelare e difendere le bellezze naturali del fiume”. L’associazione Un’altra Treviso – che da anni si batte per ricordare a tutti che Treviso non è solo Lega&Gentilini – ha raccolto circa un migliaio di firme per chiedere all’Ente Parco di fermare questo scempio ambientale. “Siamo indignati nel constatare che ad avviare l’iter per la cementificazione delle rive del Sile non siano state le richieste dei costruttori ma lo stesso Ente Parco attraverso lo strumento della variante al Piano Ambientale che a tutto dovrebbe servire meno che a portare a nuove edificazioni lungo le sponde del fiume”. Nella faccenda non mancano neppure aspetti curiosi: doppi incarichi, conflitti di interesse e delibere con la data di Ferragosto. Quattro anni fa, quando i proprietari dei Mulini, tentarono un’altra strada per il “progetto di recupero”, nella richiesta avanzata dall’Ente Parco alla Regione si scriveva che il percorso tecnico-amministrativo era stato “individuato di concerto con il Comune di Treviso”. Ma l’assessore all’Urbanistica Sergio Marton e il presidente della Commissione Urbanistica Sandro Zampese (serve scrivere di che partito sono?) hanno sostenuto che il Comune non sapeva nulla del progetto. Eppure, in quella vicenda, il Comune di Treviso dimostrò zelo e solerzia degni di miglior causa: la richiesta da parte dell’Ente Parco, infatti, venne protocollata in municipio il 10 agosto 2006 e dopo solo pochi giorni (il 17 agosto) venne inoltrata in Regione. E poi dicono che a Ferragosto in Comuni son tutti in ferie! E che dire dei doppi e tripli incarichi? Zampese, presidente della commissione urbanistica, nel 2001 ha predisposto la variante al Prg di Treviso in cui si evidenziavano elementi di conflittualità con il Piano Ambientale del Parco del Sile. Nel 2004 lo stesso Zampese era uno dei professionisti incaricati dall’Ente Parco a predisporre una variante al suo Piano Ambientale. Controllore e controllato, esaminatore ed esaminato allo stesso tempo. E che dire di Vittorio Domenichelli? Un noto professionista che offre un parere ‘pro veritate’ alla Mandelli Srl a sostegno dell’iter tecnico-amministrativo utilizzato a suo tempo per presentare il progetto (in alternativa all’inserimento nella variante) e che era già intervenuto nella vicenda dei Mulini difendendo un privato cittadino contro le previsioni urbanistiche che l’amministrazione di Treviso stava predisponendo sull’area in oggetto. Inoltre, Domenichelli è anche consulente della Regione Veneto per individuare iter tecnico-amministrativi che permettano il project-financing di opere pubbliche anche su aree che rimangano di proprietà privata. “Non sono incompatibilità giuridiche, sia chiaro - conclude amaramente Gigi Calesso – al massimo le possiamo definire acrobazie tecnico amministrative. Ma di sicuro la trasparenza sta tutta da un’altra parte. E a noi non resta che stupirci nel constatare come in questa vicenda, gira e rigira, compaiono sempre le stesse persone. Ora in un ruolo, ora in un altro”.
E’ anche il fiume di risorgiva più lungo d’Italia, il nostro Sile. Nasce nel confine tra il trevigiano e il padovano, tra Casacorba di Vedelago (Treviso) e Torreselle di Piombino Dese (Padova). Settanta chilometri più a valle, a Portegrandi, arriva in quella laguna che aveva contribuito a creare. Un tempo vi si gettava, ma nel 1683 la Serenissima lo fece deviare lungo il cosiddetto “taglio del Sile”. Nel 1991, la Regione Veneto istituì sulle sue sponde un parco regionale di 4 mila e 152 ettari. Lo scopo, dichiarato nella legge istitutiva, era quello di “proteggere, salvaguardare, valorizzare, mantenere e tutelare il suolo e il sottosuolo, la flora, la fauna del Sile”. A tal proposito, ogni cinque anni Regione e Provincie nominano un presidente, un consiglio, un comitato esecutivo, varie commissioni, revisori dei conti, eccetera eccetera. Spreco solo due righe per ricordare che, nel’ottica di spartizione regionale popolo delle libertà - lega, gli organi dell’ente parco sono tutti di nomina padana. Ebbene: che ti fa l’ente parco invece di tutelare, preservare, eccetera eccetera? Per “valorizzare l’ambiente” di sua competenza avvia “progetti di recupero” che altro non sono che piani di edificazione veri e propri. Un esempio è il progetto di “recupero” degli ex-mulini Mandelli che prevede la realizzazione di nuovi edifici residenziali (condomini e villette) nell’area verde che si estende alle spalle degli ex-mulini e che verrebbe ridotta a giardino più o meno privato per i nuovi residenti. “Non ci stupisce che l’edificazione lungo le rive del Sile possa essere un obiettivo ambito per i costruttori – spiega Gigi Calesso, portavoce dell’associazione Un’altra Treviso – belle abitazioni lungo il fiume, immerse nel verde, con un tocco di rustico… sono senz’altro un buon affare in un territorio cementificato e inquinato come il nostro. Quello che ci risulta invece di difficile comprensione è che a promuovere questo tipo di iniziative sia l’Ente Parco del Sile la cui funzione dovrebbe essere, al contrario, quella di tutelare e difendere le bellezze naturali del fiume”. L’associazione Un’altra Treviso – che da anni si batte per ricordare a tutti che Treviso non è solo Lega&Gentilini – ha raccolto circa un migliaio di firme per chiedere all’Ente Parco di fermare questo scempio ambientale. “Siamo indignati nel constatare che ad avviare l’iter per la cementificazione delle rive del Sile non siano state le richieste dei costruttori ma lo stesso Ente Parco attraverso lo strumento della variante al Piano Ambientale che a tutto dovrebbe servire meno che a portare a nuove edificazioni lungo le sponde del fiume”. Nella faccenda non mancano neppure aspetti curiosi: doppi incarichi, conflitti di interesse e delibere con la data di Ferragosto. Quattro anni fa, quando i proprietari dei Mulini, tentarono un’altra strada per il “progetto di recupero”, nella richiesta avanzata dall’Ente Parco alla Regione si scriveva che il percorso tecnico-amministrativo era stato “individuato di concerto con il Comune di Treviso”. Ma l’assessore all’Urbanistica Sergio Marton e il presidente della Commissione Urbanistica Sandro Zampese (serve scrivere di che partito sono?) hanno sostenuto che il Comune non sapeva nulla del progetto. Eppure, in quella vicenda, il Comune di Treviso dimostrò zelo e solerzia degni di miglior causa: la richiesta da parte dell’Ente Parco, infatti, venne protocollata in municipio il 10 agosto 2006 e dopo solo pochi giorni (il 17 agosto) venne inoltrata in Regione. E poi dicono che a Ferragosto in Comuni son tutti in ferie! E che dire dei doppi e tripli incarichi? Zampese, presidente della commissione urbanistica, nel 2001 ha predisposto la variante al Prg di Treviso in cui si evidenziavano elementi di conflittualità con il Piano Ambientale del Parco del Sile. Nel 2004 lo stesso Zampese era uno dei professionisti incaricati dall’Ente Parco a predisporre una variante al suo Piano Ambientale. Controllore e controllato, esaminatore ed esaminato allo stesso tempo. E che dire di Vittorio Domenichelli? Un noto professionista che offre un parere ‘pro veritate’ alla Mandelli Srl a sostegno dell’iter tecnico-amministrativo utilizzato a suo tempo per presentare il progetto (in alternativa all’inserimento nella variante) e che era già intervenuto nella vicenda dei Mulini difendendo un privato cittadino contro le previsioni urbanistiche che l’amministrazione di Treviso stava predisponendo sull’area in oggetto. Inoltre, Domenichelli è anche consulente della Regione Veneto per individuare iter tecnico-amministrativi che permettano il project-financing di opere pubbliche anche su aree che rimangano di proprietà privata. “Non sono incompatibilità giuridiche, sia chiaro - conclude amaramente Gigi Calesso – al massimo le possiamo definire acrobazie tecnico amministrative. Ma di sicuro la trasparenza sta tutta da un’altra parte. E a noi non resta che stupirci nel constatare come in questa vicenda, gira e rigira, compaiono sempre le stesse persone. Ora in un ruolo, ora in un altro”.
Caro Zaia, gli inceneritori fatteli a casa tua!
9/03/2010TerraSui volantini elettorali che gli ambientalisti distribuiscono nelle piazze di Marghera si legge: “Caro Zaia, le scoasse e gli inceneritori, tienteli a casa tua”. In laguna, l’inceneritore è un tema che scotta e l’approvazione, la scorsa settimana, da parte della Giunta di due delibere presentate dagli assessori Renzo Marangon e Giancarlo Conta, pur se avvenuta in sordina, non è ugualmente passata sotto silenzio. Fiutando l’aria che tirava, l’assemblea permanente contro il rischio chimico e altre associazioni ambientaliste hanno organizzato un lungo e pittoresco corteo acqueo da piazzale Roma sino a palazzo Balbi per depositare nelle mani del governatore oltre 15 mila firme a sostegno di una petizione popolare in cui si chiedeva di non trasformare Marghera nella pattumiera del Veneto.
Le rassicurazioni del capo di Gabinetto di Galan sul rinvio della contestata delibera a dopo le elezioni, evidentemente, valevano per la Giunta regionale quanto la carta con cui sono state raccolte le firme: scoasse da incenerire. Tanto è vero che qualche giorno dopo, sono state approvate le due delibere contestate. Giancarlo Galan, l’uomo del “basta fare”, scende dallo scranno di presidente della Regione lasciandoci in eredità un riavvio (e potenziato!) del forno inceneritore di rifiuti pericolosi SG31 da 100 mila tonnellate gradualmente aumentabile a 125 mila. Inceneritore gestito da una società privata, la Simagest tramite la concessionaria regionale Sifa, che sarà l’unica a guadagnarci da tutta la vicenda. E’ appena il caso di ricordare che “società privata” equivale a scrivere “meno controlli”. A Marghera arriveranno quindi rifiuti tossici provenienti da tutta Italia e la memoria fa male, perché torna a ripensare ad una stagione che credevamo, speravamo, di esserci lasciati alle spalle per sempre: quella delle navi dei veleni come la Jolly Rosso, dei traffici controllati dalla mafia, delle emissioni inquinanti e degli allarmi chimici. Allora, l’Sg31 era in funzione pur se bruciava “solo” 40 mila tonnellate annue contro le 100 mila previste oggi. Insomma, sono tornati. E sono tornati più affamati di prima. Proprio vero che “resistere” è un verbo da coniugare sempre al presente. “Bloccheremo le entrate dell’inceneritore, bloccheremo i mezzi che portano le decine di migliaia di tonnellate di rifiuti tossici da bruciare nell’aria e da riversare, in cenere, nei nostri polmoni e nell’ambiente – annuncia il consigliere regionale dei Verdi Idea, Gianfranco Bettin -.
La Regione, Zaia, troveranno la risposta che si meritano. Questa operazione non passerà: la fermeremo, visto che la democrazia è stata calpestata dalla giunta regionale, con il ricorso alla magistratura e con la disobbedienza civile”.
“La decisione della giunta regionale del Veneto - continua Bettin - rappresenta un colpo violento all’ambiente e alla salute della popolazione e un colpo altrettanto duro all’evoluzione economica e industriale dell’intero polo di Porto Marghera e di Venezia perché ne riporta indietro la storia di decenni.
La Giunta attuale, con il sostegno diretto di Luca Zaia, che più volte si è detto d’accordo, si schiera così contro la vita della popolazione e contro l’ambiente e contro il futuro eco-compatibile della città. Ma si schiera anche contro la democrazia, eludendo ogni percorso partecipativo e ogni confronto con la popolazione e i suoi organismi rappresentativi che, infatti, si sono schierati tutti contro questa operazione”. Sullo stesso tono di Bettin, il candidatio sindaco del centrosinistra, Giorgio Orsoni, e lo sfidante alla carica di Governatore Veneto, Giuseppe Bortolussi. “Ritengo inammissibile che una Giunta regionale, che non ha mai saputo approvare un piano regionale per la gestione dei rifiuti speciali – ha dichiarato Bortolussi - decida di riattivare un impianto così impattante e pericoloso su un’area come quella della terraferma veneziana, già ampiamente compromessa dal punto di vista ambientale”. A difendere a spada tratta l’impianto Sg31, ci pensano i due ministri – candidati, Luca Zaia e Renato Brunetta, che parlano di strumentalizzazioni elettorali dei “soliti rosso verdi” e di “normale evoluzione di un progetto già in vigore, approvato da tutti e che risolverà tanti problemi ambientali”. Brunetta fa finta di non sapere che un conto è un inceneritore fermo, come è oggi l’Sg31, un altro conto un inceneritore che brucerà 100 mila tonnellate di rifiuti tossici portati in laguna da tante altre Jolly Rosso.
Le rassicurazioni del capo di Gabinetto di Galan sul rinvio della contestata delibera a dopo le elezioni, evidentemente, valevano per la Giunta regionale quanto la carta con cui sono state raccolte le firme: scoasse da incenerire. Tanto è vero che qualche giorno dopo, sono state approvate le due delibere contestate. Giancarlo Galan, l’uomo del “basta fare”, scende dallo scranno di presidente della Regione lasciandoci in eredità un riavvio (e potenziato!) del forno inceneritore di rifiuti pericolosi SG31 da 100 mila tonnellate gradualmente aumentabile a 125 mila. Inceneritore gestito da una società privata, la Simagest tramite la concessionaria regionale Sifa, che sarà l’unica a guadagnarci da tutta la vicenda. E’ appena il caso di ricordare che “società privata” equivale a scrivere “meno controlli”. A Marghera arriveranno quindi rifiuti tossici provenienti da tutta Italia e la memoria fa male, perché torna a ripensare ad una stagione che credevamo, speravamo, di esserci lasciati alle spalle per sempre: quella delle navi dei veleni come la Jolly Rosso, dei traffici controllati dalla mafia, delle emissioni inquinanti e degli allarmi chimici. Allora, l’Sg31 era in funzione pur se bruciava “solo” 40 mila tonnellate annue contro le 100 mila previste oggi. Insomma, sono tornati. E sono tornati più affamati di prima. Proprio vero che “resistere” è un verbo da coniugare sempre al presente. “Bloccheremo le entrate dell’inceneritore, bloccheremo i mezzi che portano le decine di migliaia di tonnellate di rifiuti tossici da bruciare nell’aria e da riversare, in cenere, nei nostri polmoni e nell’ambiente – annuncia il consigliere regionale dei Verdi Idea, Gianfranco Bettin -.
La Regione, Zaia, troveranno la risposta che si meritano. Questa operazione non passerà: la fermeremo, visto che la democrazia è stata calpestata dalla giunta regionale, con il ricorso alla magistratura e con la disobbedienza civile”.
“La decisione della giunta regionale del Veneto - continua Bettin - rappresenta un colpo violento all’ambiente e alla salute della popolazione e un colpo altrettanto duro all’evoluzione economica e industriale dell’intero polo di Porto Marghera e di Venezia perché ne riporta indietro la storia di decenni.
La Giunta attuale, con il sostegno diretto di Luca Zaia, che più volte si è detto d’accordo, si schiera così contro la vita della popolazione e contro l’ambiente e contro il futuro eco-compatibile della città. Ma si schiera anche contro la democrazia, eludendo ogni percorso partecipativo e ogni confronto con la popolazione e i suoi organismi rappresentativi che, infatti, si sono schierati tutti contro questa operazione”. Sullo stesso tono di Bettin, il candidatio sindaco del centrosinistra, Giorgio Orsoni, e lo sfidante alla carica di Governatore Veneto, Giuseppe Bortolussi. “Ritengo inammissibile che una Giunta regionale, che non ha mai saputo approvare un piano regionale per la gestione dei rifiuti speciali – ha dichiarato Bortolussi - decida di riattivare un impianto così impattante e pericoloso su un’area come quella della terraferma veneziana, già ampiamente compromessa dal punto di vista ambientale”. A difendere a spada tratta l’impianto Sg31, ci pensano i due ministri – candidati, Luca Zaia e Renato Brunetta, che parlano di strumentalizzazioni elettorali dei “soliti rosso verdi” e di “normale evoluzione di un progetto già in vigore, approvato da tutti e che risolverà tanti problemi ambientali”. Brunetta fa finta di non sapere che un conto è un inceneritore fermo, come è oggi l’Sg31, un altro conto un inceneritore che brucerà 100 mila tonnellate di rifiuti tossici portati in laguna da tante altre Jolly Rosso.