In questa pagina ho riportato gli ultimi articoli che ho scritto per il quotidiano ambientalista Terra, il settimanale Carta, Manifesto, per siti come Global Project, FrontiereNews o siti di associazioni come In Comune con Bettin e altro ancora.
Caro Zaia, gli inceneritori fatteli a casa tua!
9/03/2010TerraSui volantini elettorali che gli ambientalisti distribuiscono nelle piazze di Marghera si legge: “Caro Zaia, le scoasse e gli inceneritori, tienteli a casa tua”. In laguna, l’inceneritore è un tema che scotta e l’approvazione, la scorsa settimana, da parte della Giunta di due delibere presentate dagli assessori Renzo Marangon e Giancarlo Conta, pur se avvenuta in sordina, non è ugualmente passata sotto silenzio. Fiutando l’aria che tirava, l’assemblea permanente contro il rischio chimico e altre associazioni ambientaliste hanno organizzato un lungo e pittoresco corteo acqueo da piazzale Roma sino a palazzo Balbi per depositare nelle mani del governatore oltre 15 mila firme a sostegno di una petizione popolare in cui si chiedeva di non trasformare Marghera nella pattumiera del Veneto.
Le rassicurazioni del capo di Gabinetto di Galan sul rinvio della contestata delibera a dopo le elezioni, evidentemente, valevano per la Giunta regionale quanto la carta con cui sono state raccolte le firme: scoasse da incenerire. Tanto è vero che qualche giorno dopo, sono state approvate le due delibere contestate. Giancarlo Galan, l’uomo del “basta fare”, scende dallo scranno di presidente della Regione lasciandoci in eredità un riavvio (e potenziato!) del forno inceneritore di rifiuti pericolosi SG31 da 100 mila tonnellate gradualmente aumentabile a 125 mila. Inceneritore gestito da una società privata, la Simagest tramite la concessionaria regionale Sifa, che sarà l’unica a guadagnarci da tutta la vicenda. E’ appena il caso di ricordare che “società privata” equivale a scrivere “meno controlli”. A Marghera arriveranno quindi rifiuti tossici provenienti da tutta Italia e la memoria fa male, perché torna a ripensare ad una stagione che credevamo, speravamo, di esserci lasciati alle spalle per sempre: quella delle navi dei veleni come la Jolly Rosso, dei traffici controllati dalla mafia, delle emissioni inquinanti e degli allarmi chimici. Allora, l’Sg31 era in funzione pur se bruciava “solo” 40 mila tonnellate annue contro le 100 mila previste oggi. Insomma, sono tornati. E sono tornati più affamati di prima. Proprio vero che “resistere” è un verbo da coniugare sempre al presente. “Bloccheremo le entrate dell’inceneritore, bloccheremo i mezzi che portano le decine di migliaia di tonnellate di rifiuti tossici da bruciare nell’aria e da riversare, in cenere, nei nostri polmoni e nell’ambiente – annuncia il consigliere regionale dei Verdi Idea, Gianfranco Bettin -.
La Regione, Zaia, troveranno la risposta che si meritano. Questa operazione non passerà: la fermeremo, visto che la democrazia è stata calpestata dalla giunta regionale, con il ricorso alla magistratura e con la disobbedienza civile”.
“La decisione della giunta regionale del Veneto - continua Bettin - rappresenta un colpo violento all’ambiente e alla salute della popolazione e un colpo altrettanto duro all’evoluzione economica e industriale dell’intero polo di Porto Marghera e di Venezia perché ne riporta indietro la storia di decenni.
La Giunta attuale, con il sostegno diretto di Luca Zaia, che più volte si è detto d’accordo, si schiera così contro la vita della popolazione e contro l’ambiente e contro il futuro eco-compatibile della città. Ma si schiera anche contro la democrazia, eludendo ogni percorso partecipativo e ogni confronto con la popolazione e i suoi organismi rappresentativi che, infatti, si sono schierati tutti contro questa operazione”. Sullo stesso tono di Bettin, il candidatio sindaco del centrosinistra, Giorgio Orsoni, e lo sfidante alla carica di Governatore Veneto, Giuseppe Bortolussi. “Ritengo inammissibile che una Giunta regionale, che non ha mai saputo approvare un piano regionale per la gestione dei rifiuti speciali – ha dichiarato Bortolussi - decida di riattivare un impianto così impattante e pericoloso su un’area come quella della terraferma veneziana, già ampiamente compromessa dal punto di vista ambientale”. A difendere a spada tratta l’impianto Sg31, ci pensano i due ministri – candidati, Luca Zaia e Renato Brunetta, che parlano di strumentalizzazioni elettorali dei “soliti rosso verdi” e di “normale evoluzione di un progetto già in vigore, approvato da tutti e che risolverà tanti problemi ambientali”. Brunetta fa finta di non sapere che un conto è un inceneritore fermo, come è oggi l’Sg31, un altro conto un inceneritore che brucerà 100 mila tonnellate di rifiuti tossici portati in laguna da tante altre Jolly Rosso.
Le rassicurazioni del capo di Gabinetto di Galan sul rinvio della contestata delibera a dopo le elezioni, evidentemente, valevano per la Giunta regionale quanto la carta con cui sono state raccolte le firme: scoasse da incenerire. Tanto è vero che qualche giorno dopo, sono state approvate le due delibere contestate. Giancarlo Galan, l’uomo del “basta fare”, scende dallo scranno di presidente della Regione lasciandoci in eredità un riavvio (e potenziato!) del forno inceneritore di rifiuti pericolosi SG31 da 100 mila tonnellate gradualmente aumentabile a 125 mila. Inceneritore gestito da una società privata, la Simagest tramite la concessionaria regionale Sifa, che sarà l’unica a guadagnarci da tutta la vicenda. E’ appena il caso di ricordare che “società privata” equivale a scrivere “meno controlli”. A Marghera arriveranno quindi rifiuti tossici provenienti da tutta Italia e la memoria fa male, perché torna a ripensare ad una stagione che credevamo, speravamo, di esserci lasciati alle spalle per sempre: quella delle navi dei veleni come la Jolly Rosso, dei traffici controllati dalla mafia, delle emissioni inquinanti e degli allarmi chimici. Allora, l’Sg31 era in funzione pur se bruciava “solo” 40 mila tonnellate annue contro le 100 mila previste oggi. Insomma, sono tornati. E sono tornati più affamati di prima. Proprio vero che “resistere” è un verbo da coniugare sempre al presente. “Bloccheremo le entrate dell’inceneritore, bloccheremo i mezzi che portano le decine di migliaia di tonnellate di rifiuti tossici da bruciare nell’aria e da riversare, in cenere, nei nostri polmoni e nell’ambiente – annuncia il consigliere regionale dei Verdi Idea, Gianfranco Bettin -.
La Regione, Zaia, troveranno la risposta che si meritano. Questa operazione non passerà: la fermeremo, visto che la democrazia è stata calpestata dalla giunta regionale, con il ricorso alla magistratura e con la disobbedienza civile”.
“La decisione della giunta regionale del Veneto - continua Bettin - rappresenta un colpo violento all’ambiente e alla salute della popolazione e un colpo altrettanto duro all’evoluzione economica e industriale dell’intero polo di Porto Marghera e di Venezia perché ne riporta indietro la storia di decenni.
La Giunta attuale, con il sostegno diretto di Luca Zaia, che più volte si è detto d’accordo, si schiera così contro la vita della popolazione e contro l’ambiente e contro il futuro eco-compatibile della città. Ma si schiera anche contro la democrazia, eludendo ogni percorso partecipativo e ogni confronto con la popolazione e i suoi organismi rappresentativi che, infatti, si sono schierati tutti contro questa operazione”. Sullo stesso tono di Bettin, il candidatio sindaco del centrosinistra, Giorgio Orsoni, e lo sfidante alla carica di Governatore Veneto, Giuseppe Bortolussi. “Ritengo inammissibile che una Giunta regionale, che non ha mai saputo approvare un piano regionale per la gestione dei rifiuti speciali – ha dichiarato Bortolussi - decida di riattivare un impianto così impattante e pericoloso su un’area come quella della terraferma veneziana, già ampiamente compromessa dal punto di vista ambientale”. A difendere a spada tratta l’impianto Sg31, ci pensano i due ministri – candidati, Luca Zaia e Renato Brunetta, che parlano di strumentalizzazioni elettorali dei “soliti rosso verdi” e di “normale evoluzione di un progetto già in vigore, approvato da tutti e che risolverà tanti problemi ambientali”. Brunetta fa finta di non sapere che un conto è un inceneritore fermo, come è oggi l’Sg31, un altro conto un inceneritore che brucerà 100 mila tonnellate di rifiuti tossici portati in laguna da tante altre Jolly Rosso.
Mafia e grandi opere. Intervista con Walter Mescalchin
9/03/2010TerraWalter Mescalchin, negli anni in cui la banda di Felice Maniero imperversava nella Riviera, era sindaco di Camponogara. Il suo Comune fu uno dei primi a costituirsi parte civile nel maxi processo contro la mala del Brenta assieme alla Provincia di Venezia. “Fu un momento importantissimo – spiega –. Il nostro esempio fu seguito da tutti e dieci i Comuni della Riviera e riuscimmo a ribaltare un sistema nazionale che chiedeva alle istituzioni locali di rimanere fuori dalle indagini. Invece noi abbiamo contribuito a dimostrare che attraverso la legalità è possibile vincere la mafia”. Altri tempi. L’anno scorso, nell’ultima udienza del maxi processo, era rimasta solo la Provincia – che ancora era in mano al centro sinistra – sul banco della parte civile. Tutti i Comuni rivieraschi, chi passato alla Lega e chi a Forza Italia, si sono defilati uno per uno. “Adesso sta passando, anche e soprattutto attraverso le istituzioni e la politica, un modo di pensare mafioso.
C’è la tendenza a farsi gli affari propri, emergono quei messaggi leghisti che sono l’esatto contrario di quelli di solidarietà su cui si fonda la convivenza civile. Viviamo in un clima difficile e pericoloso. Eppure la mafia si combatte solo attraverso una cultura diversa. Non è soltanto questione di xenofobia e razzismo. L’aspetto più negativo e il non rispetto delle regole. La mafia insegna che ‘le regole le faccio io’. Coltivare la cultura mafiosa significa non obbedire alle regole e costruire uno Stato a misura della convenienza del più forte, perseguire solo i propri interessi, avere la ricchezza come unico fine e come unico metro di giudizio. E questa non è solo la lega. Lei ha portato all’esasperazione questo messaggio, ma tutta la destra Veneta agevola questo aspetto e pure certa sinistra ha le sue colpe”. Chiusa la carriera politica come amministratore, Walter Mescalchin ha continuato nell’impegno civile su due binari distinti ma affatto separati, lavorando con Libera e col comitato ambiente e territorio della Riviera del Brenta. Mafie e grandi opere, infatti, non sono che due facce della stessa medaglia.
“Facciamo pure l’esempio della Romea Commerciale. Adesso si fa un gran ragionare su dove realizzare l’innesto. Tutto questo senza entrare nei non trascurabili dettagli del tipo: l’intera opera serve o non serve? Nel caso deve per forza essere una autostrada? E soprattutto chi la deve realizzare? Ci siamo tutti scordati di quei due anni di battaglia di ricomposizione societaria che hanno portato ad indagare Vito Bonsignore per il riciclo di denaro sporco? Adesso Bonsignore, eletto eurodeputato nelle file del Pdl in un collegio di Torino, è sempre al vertice della cordata e lo Stato e l’Anas hanno affidato a lui la realizzazione dei lavori. Eppure il processo per riciclo è tutt’altro che concluso. Tra l’altra, si è garantito per 50 anni l’introito del pedaggio”. Uno tra i tanti esempi di come le logiche di riciclaggio condizionino lo “sviluppo economico”, ma potremmo tranquillamente scrivere lo “stupro”, del territorio.
“Già! Non possiamo più continuare ad accettare che ‘basta fare’. A partire dagli stessi Comuni che accettano che venga loro derubata da commissari e leggi speciali la possibilità di pianificare gli interventi. Dobbiamo tornare a fare una battaglia per le autonomie e non sul federalismo. Lo Stato non può dire cosa fare ai Comuni. Oggi passano logiche aberranti. Senza discutere, senza ragionare con i cittadini, stanno pensando di ridurre i componenti dei consigli, eliminare le municipalità e le stesse Provincie. Così i Comuni diventano la lunga mano amministrativa delle Regioni. E questo il federalismo di Bossi: non uno Stato partecipato ma un centralismo su scala media. Un gioco che piace alla mafia. Oggi il suo interlocutore privilegiato non è più il sindaco ma il commissario che lo sostituisce per le decisioni di peso. Il veicolo per il riciclo del denaro non è l’appaltino sulle polizie in Comune ma le grandi opere: Passante, Romea Commerciale, Mose, Quadrante di Tessera, Veneto City… Operazioni enormi in cui vengono veicoli miliardi che non sono mai gestiti dal territorio ma a livello regionale o con un commissario di riferimento che decide per tutti. Questo e il sistema che hanno creato apposta. Poi, ogni tanto, qualcuno viene pescato con le mani sulla marmellata come nel caso di Bonsignore ma non si va mai fino in fondo”.
Tra le grandi opere, grandi danni per cittadini e grandi affari per la mafia, ci mettiamo pure l’inceneritore di Marghera?
“Perché crede che vogliano farlo costruire ai privati? Così lo Stato non potrà controllare cosa viene smaltito in quelle ciminiere. Il traffico di rifiuti così come quello delle armi, è uno di quei mercati che, per loro stessa natura, possono essere gestiti solo dalla criminalità organizzata. Una stagione che Marghera ha già vissuto ai tempi di Craxi e del suo ministro degli esteri De Michelis con i fusti portati dalla Jolly Rosso quando si delineavano quelle rotte di traffici di armi e di rifiuti tossici che hanno portato, tra le altre cose, anche all’omicidio di Ilaria Alpi. L’Sg31 riaprirà il porto di Marghera alla criminalità organizzata con la complicità degli stessi industriale. Il che non è una novità. Ce lo ricordiamo o no che per venti anni i nostri rifiuti tossici sono stati smaltiti a Caserta dai Casalesi, e che oggi in tutto il casertano non c’è un metro di terra coltivabile?”
Da buon ministro dell’agricoltura, questo Zaia lo saprà di sicuro! Possiamo dunque affermare che nel Veneto esiste una forte infiltrazione mafiosa?
“La mafia, intesa come criminalità organizzata e non come la vecchia Cosa Nostra siciliana tutto lupara e fichi d’india, esiste in tutto il mondo e controlla almeno il 60 per cento della finanza. Il Veneto, in quanto terra di investimenti e di grandi opere, è una regione appetibile per il riciclo di denaro sporco. Pensiamo alle tante banche che sono arrivate e al proliferare dei centri commerciali stranieri. Ha notato quei negozi super lusso che aprono e chiudono nell’arco di pochi mesi? Chi altro, se non chi ha come obiettivo il riciclaggio del denaro e può permettersi di investire 100 per ricavare 80, lavora in sicura perdita?” Oltre che il tradizionale mercato della droga, la mafia controlla anche il mercato del lavoro nero. Lo abbiamo visto a Rosarno. E nel nordest? “Da noi, nel settore delle costruzioni, la mafia controlla migliaia di lavoratori. Per la maggior parte sono stranieri che la mafia usa per controllare il mercato del lavoro. Un caporalato che nasce addirittura nei loro paesi d’origine a ricordarci che il fenomeno mafioso oggi è un fenomeno globalizzato. D’altra parte, la cultura di sfruttamento dell’uomo sull’uomo è tipica della mafia. E’ da qui che dobbiamo ripartire per ribadire che la legalità è l’unico mezzo per sconfiggere la criminalità anche quella che siede nei palazzi della politica e della finanza: i diritti sono di tutti e non sono mai negoziabili”.
C’è la tendenza a farsi gli affari propri, emergono quei messaggi leghisti che sono l’esatto contrario di quelli di solidarietà su cui si fonda la convivenza civile. Viviamo in un clima difficile e pericoloso. Eppure la mafia si combatte solo attraverso una cultura diversa. Non è soltanto questione di xenofobia e razzismo. L’aspetto più negativo e il non rispetto delle regole. La mafia insegna che ‘le regole le faccio io’. Coltivare la cultura mafiosa significa non obbedire alle regole e costruire uno Stato a misura della convenienza del più forte, perseguire solo i propri interessi, avere la ricchezza come unico fine e come unico metro di giudizio. E questa non è solo la lega. Lei ha portato all’esasperazione questo messaggio, ma tutta la destra Veneta agevola questo aspetto e pure certa sinistra ha le sue colpe”. Chiusa la carriera politica come amministratore, Walter Mescalchin ha continuato nell’impegno civile su due binari distinti ma affatto separati, lavorando con Libera e col comitato ambiente e territorio della Riviera del Brenta. Mafie e grandi opere, infatti, non sono che due facce della stessa medaglia.
“Facciamo pure l’esempio della Romea Commerciale. Adesso si fa un gran ragionare su dove realizzare l’innesto. Tutto questo senza entrare nei non trascurabili dettagli del tipo: l’intera opera serve o non serve? Nel caso deve per forza essere una autostrada? E soprattutto chi la deve realizzare? Ci siamo tutti scordati di quei due anni di battaglia di ricomposizione societaria che hanno portato ad indagare Vito Bonsignore per il riciclo di denaro sporco? Adesso Bonsignore, eletto eurodeputato nelle file del Pdl in un collegio di Torino, è sempre al vertice della cordata e lo Stato e l’Anas hanno affidato a lui la realizzazione dei lavori. Eppure il processo per riciclo è tutt’altro che concluso. Tra l’altra, si è garantito per 50 anni l’introito del pedaggio”. Uno tra i tanti esempi di come le logiche di riciclaggio condizionino lo “sviluppo economico”, ma potremmo tranquillamente scrivere lo “stupro”, del territorio.
“Già! Non possiamo più continuare ad accettare che ‘basta fare’. A partire dagli stessi Comuni che accettano che venga loro derubata da commissari e leggi speciali la possibilità di pianificare gli interventi. Dobbiamo tornare a fare una battaglia per le autonomie e non sul federalismo. Lo Stato non può dire cosa fare ai Comuni. Oggi passano logiche aberranti. Senza discutere, senza ragionare con i cittadini, stanno pensando di ridurre i componenti dei consigli, eliminare le municipalità e le stesse Provincie. Così i Comuni diventano la lunga mano amministrativa delle Regioni. E questo il federalismo di Bossi: non uno Stato partecipato ma un centralismo su scala media. Un gioco che piace alla mafia. Oggi il suo interlocutore privilegiato non è più il sindaco ma il commissario che lo sostituisce per le decisioni di peso. Il veicolo per il riciclo del denaro non è l’appaltino sulle polizie in Comune ma le grandi opere: Passante, Romea Commerciale, Mose, Quadrante di Tessera, Veneto City… Operazioni enormi in cui vengono veicoli miliardi che non sono mai gestiti dal territorio ma a livello regionale o con un commissario di riferimento che decide per tutti. Questo e il sistema che hanno creato apposta. Poi, ogni tanto, qualcuno viene pescato con le mani sulla marmellata come nel caso di Bonsignore ma non si va mai fino in fondo”.
Tra le grandi opere, grandi danni per cittadini e grandi affari per la mafia, ci mettiamo pure l’inceneritore di Marghera?
“Perché crede che vogliano farlo costruire ai privati? Così lo Stato non potrà controllare cosa viene smaltito in quelle ciminiere. Il traffico di rifiuti così come quello delle armi, è uno di quei mercati che, per loro stessa natura, possono essere gestiti solo dalla criminalità organizzata. Una stagione che Marghera ha già vissuto ai tempi di Craxi e del suo ministro degli esteri De Michelis con i fusti portati dalla Jolly Rosso quando si delineavano quelle rotte di traffici di armi e di rifiuti tossici che hanno portato, tra le altre cose, anche all’omicidio di Ilaria Alpi. L’Sg31 riaprirà il porto di Marghera alla criminalità organizzata con la complicità degli stessi industriale. Il che non è una novità. Ce lo ricordiamo o no che per venti anni i nostri rifiuti tossici sono stati smaltiti a Caserta dai Casalesi, e che oggi in tutto il casertano non c’è un metro di terra coltivabile?”
Da buon ministro dell’agricoltura, questo Zaia lo saprà di sicuro! Possiamo dunque affermare che nel Veneto esiste una forte infiltrazione mafiosa?
“La mafia, intesa come criminalità organizzata e non come la vecchia Cosa Nostra siciliana tutto lupara e fichi d’india, esiste in tutto il mondo e controlla almeno il 60 per cento della finanza. Il Veneto, in quanto terra di investimenti e di grandi opere, è una regione appetibile per il riciclo di denaro sporco. Pensiamo alle tante banche che sono arrivate e al proliferare dei centri commerciali stranieri. Ha notato quei negozi super lusso che aprono e chiudono nell’arco di pochi mesi? Chi altro, se non chi ha come obiettivo il riciclaggio del denaro e può permettersi di investire 100 per ricavare 80, lavora in sicura perdita?” Oltre che il tradizionale mercato della droga, la mafia controlla anche il mercato del lavoro nero. Lo abbiamo visto a Rosarno. E nel nordest? “Da noi, nel settore delle costruzioni, la mafia controlla migliaia di lavoratori. Per la maggior parte sono stranieri che la mafia usa per controllare il mercato del lavoro. Un caporalato che nasce addirittura nei loro paesi d’origine a ricordarci che il fenomeno mafioso oggi è un fenomeno globalizzato. D’altra parte, la cultura di sfruttamento dell’uomo sull’uomo è tipica della mafia. E’ da qui che dobbiamo ripartire per ribadire che la legalità è l’unico mezzo per sconfiggere la criminalità anche quella che siede nei palazzi della politica e della finanza: i diritti sono di tutti e non sono mai negoziabili”.
Elettrosmog, serve una legge per difenderci. Intervista con Angelo Gino Levis
2/03/2010TerraUna sentenza storica, quella emessa dalla Corte d'Appello di Brescia il 10 dicembre dell’anno scorso che ha accolto il ricorso di un dipendente Inail esposto per lavoro alle onde elettromagnetiche di cordless e cellulari, riconoscendogli la malattia professionale con invalidità all'80 per cento. Per la prima volta, un tribunale ha accettato il nesso tra l’uso frequente di telefoni mobili e l’insorgenza di patologie tumorali. Angelo Gino Levis, biologo e studioso di fama internazionale sugli effetti dei campi elettromagnetici sul corpo umano e vicepresidente dell’Apple, l’associazione per la prevenzione e la lotta all’elettrosmog, è stato il perito di parte civile che ha contribuito a questa storica sentenza.
“Una sentenza che farà storia e già ripresa dai motori internazionali. La prima sentenza al mondo che riconosce la correlazione tra tumori e telefoni mobili dal punto di vista uso professionali. Ma facciamo attenzione: la sentenza riguarda una malattia professionale, ma la documentazione scientifica citata dal tribunale riguarda la popolazione comune e l’uso normale dei cellulare. Non soltanto un uso straordinario, come capitato a questo disgraziato che per dieci anni ha lavorato con telefonia mobile”.
L’Apple organizza periodicamente incontri nelle scuole pubbliche per informare i giovani sulla pericolosità dei cellulari e consigliarne un uso intelligente. A questo proposito, dal sito dell’Apple - www.applelettrosmog.it - è scaricabile un interessante opuscolo che spiega nei dettagli le precauzioni da prendere.
“Un uso cautelativo del cellulare e del cordless è senz’altro un bene, ma sarebbe necessaria una revisione della normativa nazionale e un abbassamento dei limiti di esposizione. L’ha chiesta anche il parlamento europeo nel marzo dell’anno scorso ma la commissione europea continua a fare orecchi e da mercante”.
Un problema che riguarda non solo i cellulari ma anche le stazioni radiobase.
“ Mentre possiamo identificare con precisione gli utilizzatori di cellulari e attraverso interviste e questionari capire quanto e da quanto tempo lo usano, per l’esposizione ad una stazione radiobase abbiamo tutti i problemi che si hanno quando si indaga dal punto di vista epidemiologio una popolazione che è esposta a tutto un miscuglio di inquinanti cancerogeni, dal benzene da traffico alle polveri sottili e magari anche vivono vicino ad un elettrodotto. Ma comunque sono state fatte interressanti indagini epidemiologiche di tipo geografico, identificando serie di abitazioni a varia distanza dal centro radiante e misurando il campo elettrico sulla frequenza emessa da queste stazione radiobase nelle camere da letto. Mi riferisco ad uno studio condotto in Svizzera dove è stato dimostrato con dati statistico che i disturbi della popolazione aumentano dove il campo è più forte: insonnie, cefalee, crampi muscolari, perdita della memoria, sudorazione, sensazione di freddo. Tutta la gamma di disturbi che vanno sotto il nome di
fenomeni di elettrosensibilità. A Venezia c’è un caso famoso di una signora con un innesto metallico alla gamba che le provoca dolori lancinanti se solo passa
nelle vicinanze di una sorgente di campo elettromagnetico. Possiamo dunque affermare che questi disturbi sono correlati statisticamente con valori di campo elettrico dell’ordine di meno di 0,6 volts su metro. Cioè dieci volte meno dell’attuale limite di esposizione per legge! Quindi ben vengano le misure di autotutela ma dobbiamo anche insistere perche si ci sia una programmazione nelle installazioni delle staziono radiobase. Cosa che oggi non possiamo fare perché, col codice delle comunicazioni elettroniche, i Comuni sono stati castrati”. Come è la situazione nel Veneto? “L’eccesso di stazioni in alcune città del Veneto, come Padova, Treviso e Venezia è spaventoso! E ci sono zone in cui questa concentrazione e al di là di ogni immaginazione. A Padova la zona dell’ospedale, sul garage del Busonera ci sono 14 impianti! Ma anche a Mestre, nel quartiere di Zelarino, la situazione è tragica”.
Come è la situazione per quando riguarda il fronte elettrodotti? “Queste sono tecnologie che esistono da quasi un secolo e i dati epidemiologici sono sicuri. Nel 2001 l’agenzia internazionale per le ricerche sul cancro di Lione che opera per l’Oms, ha raccolto un gruppo di scienziati e ha curato una monografia sulle bassissime frequenze, che sono quelle che usano gli elettrodotti, e ha dimostrato sulla bade di due metanalisi – cioè ampi studi che per maggior sicurezza analizzano e tengono conto di varie ricerche –un raddoppio della frequenza di leucemie infantile nei residenti in prossimità di elettrodotto per valori di campo superiori a 0,3 o 0,4 microtesla. Già nel 1993 la Regione Veneto su iniziativa dei Verdi aveva varato una legge che fissava in 0,2 microtesla il valore di cautela per le abitazioni in prossimità di elettrodotti. Questa legge e stata impugnata dal governo Prodi e ci son voluti 7 anni di battaglie legali perché la corte costituzionale la dichiarasse legittima. E’ entrata in vigore nel 2000 e sull’onda del Veneto altre Regioni come la Toscana e la Puglia hanno fissato questi limiti cautelativi. Certo, se invece delle metanalisi teniamo conto dei singoli studi, si trovano lavori che parlano di aumenti di patologie tumorali anche con 0,1 microtesla, ma in assenza di alternative migliori, una legge a 0,2 microtesla era comunque una ottima legge. Fino a che, l’8 luglio del 2003, il presidente del consiglio Berlusconi ha fissato con un decreto firmato di suo pugno il limite di 10 microtesla per i vecchi elettrodotti e per le case già costruite in loro prossimità, e di 3 microtesla per i nuovi. Quindici volte oltre il limite cautelativo stabilito dalle leggi regionali che sono cadute una dietro l’altra. Nel Veneto, ad esempio, è stato un costruttore del vicentino che voleva edificare vicino ad un elettrodotto, che l’ha fatta cadere”.
Con una legge nazionale che fissa dei limiti decisamente pericolosi, come può tutelarsi un semplice cittadino?
“A partire dal 2003, grazie ad una sentenza esemplare del tribunale di Venezia, la magistratura ha sancito un principio innovativo. Quando debbono decidere non solo su danni come leucemie o tumori, ma anche sull’esistenza di rischi potenziali, i giudici fanno sì riferimento ai limiti di legge ma anche sulla perizia ordinato ai periti che tengono conto dei migliori dati che la letteratura scientifica. Siccome la letteratura ha dimostrato che al di sopra dei 0,3 o 0,4 microtesla c’e un aumento dell’incidenza delle patologie tumorali, i giudici possono affermare che esiste un rischio inaccettabile per la salute e intervenire imponendo misure di messa a norma, di diminuzione della tensione, di interramento o dismissione dell’impianto. Questo è un principio che fa riferimento addirittura ad una sentenza della suprema Corte di cassazione. Se il consulente nominato dal tribunale non è un venduto e ha serie competenze nella questione non può ignorare questi rischi oramai ampiamente documentati. Il problema di fondo è che è sempre il cittadino a doversi rivolgere alla magistratura per ottenere giustizia. Una battaglia dura ma non impossibile. Nel Veneto ci sono gruppi organizzati che hanno saputo farsi sentire. A fronte di queste sentenze, ad esempio, la Terna sta cominciando a interrare gli elettrodotti a Ponte delle Alpi, dove nelle scuole abbiamo addirittura rilevato campi di 13 microtesta”.
“Una sentenza che farà storia e già ripresa dai motori internazionali. La prima sentenza al mondo che riconosce la correlazione tra tumori e telefoni mobili dal punto di vista uso professionali. Ma facciamo attenzione: la sentenza riguarda una malattia professionale, ma la documentazione scientifica citata dal tribunale riguarda la popolazione comune e l’uso normale dei cellulare. Non soltanto un uso straordinario, come capitato a questo disgraziato che per dieci anni ha lavorato con telefonia mobile”.
L’Apple organizza periodicamente incontri nelle scuole pubbliche per informare i giovani sulla pericolosità dei cellulari e consigliarne un uso intelligente. A questo proposito, dal sito dell’Apple - www.applelettrosmog.it - è scaricabile un interessante opuscolo che spiega nei dettagli le precauzioni da prendere.
“Un uso cautelativo del cellulare e del cordless è senz’altro un bene, ma sarebbe necessaria una revisione della normativa nazionale e un abbassamento dei limiti di esposizione. L’ha chiesta anche il parlamento europeo nel marzo dell’anno scorso ma la commissione europea continua a fare orecchi e da mercante”.
Un problema che riguarda non solo i cellulari ma anche le stazioni radiobase.
“ Mentre possiamo identificare con precisione gli utilizzatori di cellulari e attraverso interviste e questionari capire quanto e da quanto tempo lo usano, per l’esposizione ad una stazione radiobase abbiamo tutti i problemi che si hanno quando si indaga dal punto di vista epidemiologio una popolazione che è esposta a tutto un miscuglio di inquinanti cancerogeni, dal benzene da traffico alle polveri sottili e magari anche vivono vicino ad un elettrodotto. Ma comunque sono state fatte interressanti indagini epidemiologiche di tipo geografico, identificando serie di abitazioni a varia distanza dal centro radiante e misurando il campo elettrico sulla frequenza emessa da queste stazione radiobase nelle camere da letto. Mi riferisco ad uno studio condotto in Svizzera dove è stato dimostrato con dati statistico che i disturbi della popolazione aumentano dove il campo è più forte: insonnie, cefalee, crampi muscolari, perdita della memoria, sudorazione, sensazione di freddo. Tutta la gamma di disturbi che vanno sotto il nome di
fenomeni di elettrosensibilità. A Venezia c’è un caso famoso di una signora con un innesto metallico alla gamba che le provoca dolori lancinanti se solo passa
nelle vicinanze di una sorgente di campo elettromagnetico. Possiamo dunque affermare che questi disturbi sono correlati statisticamente con valori di campo elettrico dell’ordine di meno di 0,6 volts su metro. Cioè dieci volte meno dell’attuale limite di esposizione per legge! Quindi ben vengano le misure di autotutela ma dobbiamo anche insistere perche si ci sia una programmazione nelle installazioni delle staziono radiobase. Cosa che oggi non possiamo fare perché, col codice delle comunicazioni elettroniche, i Comuni sono stati castrati”. Come è la situazione nel Veneto? “L’eccesso di stazioni in alcune città del Veneto, come Padova, Treviso e Venezia è spaventoso! E ci sono zone in cui questa concentrazione e al di là di ogni immaginazione. A Padova la zona dell’ospedale, sul garage del Busonera ci sono 14 impianti! Ma anche a Mestre, nel quartiere di Zelarino, la situazione è tragica”.
Come è la situazione per quando riguarda il fronte elettrodotti? “Queste sono tecnologie che esistono da quasi un secolo e i dati epidemiologici sono sicuri. Nel 2001 l’agenzia internazionale per le ricerche sul cancro di Lione che opera per l’Oms, ha raccolto un gruppo di scienziati e ha curato una monografia sulle bassissime frequenze, che sono quelle che usano gli elettrodotti, e ha dimostrato sulla bade di due metanalisi – cioè ampi studi che per maggior sicurezza analizzano e tengono conto di varie ricerche –un raddoppio della frequenza di leucemie infantile nei residenti in prossimità di elettrodotto per valori di campo superiori a 0,3 o 0,4 microtesla. Già nel 1993 la Regione Veneto su iniziativa dei Verdi aveva varato una legge che fissava in 0,2 microtesla il valore di cautela per le abitazioni in prossimità di elettrodotti. Questa legge e stata impugnata dal governo Prodi e ci son voluti 7 anni di battaglie legali perché la corte costituzionale la dichiarasse legittima. E’ entrata in vigore nel 2000 e sull’onda del Veneto altre Regioni come la Toscana e la Puglia hanno fissato questi limiti cautelativi. Certo, se invece delle metanalisi teniamo conto dei singoli studi, si trovano lavori che parlano di aumenti di patologie tumorali anche con 0,1 microtesla, ma in assenza di alternative migliori, una legge a 0,2 microtesla era comunque una ottima legge. Fino a che, l’8 luglio del 2003, il presidente del consiglio Berlusconi ha fissato con un decreto firmato di suo pugno il limite di 10 microtesla per i vecchi elettrodotti e per le case già costruite in loro prossimità, e di 3 microtesla per i nuovi. Quindici volte oltre il limite cautelativo stabilito dalle leggi regionali che sono cadute una dietro l’altra. Nel Veneto, ad esempio, è stato un costruttore del vicentino che voleva edificare vicino ad un elettrodotto, che l’ha fatta cadere”.
Con una legge nazionale che fissa dei limiti decisamente pericolosi, come può tutelarsi un semplice cittadino?
“A partire dal 2003, grazie ad una sentenza esemplare del tribunale di Venezia, la magistratura ha sancito un principio innovativo. Quando debbono decidere non solo su danni come leucemie o tumori, ma anche sull’esistenza di rischi potenziali, i giudici fanno sì riferimento ai limiti di legge ma anche sulla perizia ordinato ai periti che tengono conto dei migliori dati che la letteratura scientifica. Siccome la letteratura ha dimostrato che al di sopra dei 0,3 o 0,4 microtesla c’e un aumento dell’incidenza delle patologie tumorali, i giudici possono affermare che esiste un rischio inaccettabile per la salute e intervenire imponendo misure di messa a norma, di diminuzione della tensione, di interramento o dismissione dell’impianto. Questo è un principio che fa riferimento addirittura ad una sentenza della suprema Corte di cassazione. Se il consulente nominato dal tribunale non è un venduto e ha serie competenze nella questione non può ignorare questi rischi oramai ampiamente documentati. Il problema di fondo è che è sempre il cittadino a doversi rivolgere alla magistratura per ottenere giustizia. Una battaglia dura ma non impossibile. Nel Veneto ci sono gruppi organizzati che hanno saputo farsi sentire. A fronte di queste sentenze, ad esempio, la Terna sta cominciando a interrare gli elettrodotti a Ponte delle Alpi, dove nelle scuole abbiamo addirittura rilevato campi di 13 microtesta”.
Sporchi affari in Veneto
2/03/2010Terra“Quei verdi ambientalisti che in parlamento europeo fanno la loro”. E ancora: “Purtroppo in ambasciata c’è ancora la gente che la Prestigiacomo non è riuscita a togliere, quindi abbiamo un piccolo… una piccola massa critica negativa che lavora con i funzionari della Commissione”. La commissione in questione è quella ambientale europea “che non ci difende mai”. Il virgolettato invece è tutto di Guido Bertolaso, sottosegretario alla protezione civile, stralciato da una sua conversazione telefonica datata 7 marzo 2009, con il sottosegretario alla presidenza del consiglio Gianni Letta. Il quadro è quello dello scandalo sull’intreccio tra affari e attività della Protezione civile.
Uno scandalo che non ha risparmiato opere ricadenti nel territorio veneziano e veneto, e che ha fatto emergere dalle intercettazioni telefoniche e dai riscontri più generali della magistratura, un intenso lavorìo degli indagati e dei loro referenti politici e istituzionali mirato a vanificare procedure e attività di controllo finalizzate a tutelare l’ambiente. E non è un caso che dalle conversazioni telefoniche emerga fastidio – se non addirittura piani di neutralizzazione - nei confronti di chi della tutela dell’ambiente ha fatto una sua bandiera. Come per l’appunto, i verdi. Fare luce sull’intreccio tra affari e protezione civile anche a Venezia e nel Veneto, è quanto il consigliere regionale Gianfranco Bettin ha chiesto in una sua interrogazione alla Giunta. “Dall’inchiesta su affari e Protezione Civile – ha dichiarato l’ambientalista – emerge il reiterato tentativo di aggirare le procedure e i vincoli a tutela dell’ambiente. Solo così, infatti, si favorisce il business spudorato e senza freni, che non si è fermato di fronte a niente, di quelli che, pensando al proprio ‘business’ ridono mentre la gente muore, e di tutti quelli che della speculazione fanno la loro cinica ‘mission’. Da questa inchiesta si capisce anche meglio che la destra e i poteri ammanicati con questi sporchi affari hanno tutto l’interesse a far tacere la voce degli ambientalisti. Anche questo spiega perchè, ormai da mesi e mesi, la Rai in mano alla destra ha cancellato la voce dei verdi”. Una situazione intollerabile da democrazia sospesa, contro la quale il leader nazionale dei Verdi, Angelo Bonelli, da un mese sta effettuando uno sciopero della fame. “Togliere la parola agli ambientalisti, in televisione, sui media in genere, e rimuoverli dagli organi di controllo, o tagliare i contributi statali agli organi d’informazione liberi come sta accadendo – continua Bettin- è un favore fatto agli speculatori, a chi fa a pezzi l’ambiente e, insieme, la stessa democrazia”. Nella sua interrogazione a risposta urgente, il consigliere dei Verdi fa notare come anche nel Veneto, in svariati casi legati alla realizzazione di opere pubbliche di enorme impatto, si sono registrati episodi di inizi di lavori prima della firma della Valutazione di Impatto Ambientale, e chiede alla Giunta di verificare se, a proposito di tali opere, “siano stati messi in atto tentativi di aggirare procedure, di intervenire sul piano strettamente politico e non tecnico per vanificare vincoli e prescrizioni, per ridimensionare il peso e il ruolo di chi è preposto, per il ruolo e per la competenza, a far rispettare l’ambiente e l’ecosistema interessati da tali opere”.
Uno scandalo che non ha risparmiato opere ricadenti nel territorio veneziano e veneto, e che ha fatto emergere dalle intercettazioni telefoniche e dai riscontri più generali della magistratura, un intenso lavorìo degli indagati e dei loro referenti politici e istituzionali mirato a vanificare procedure e attività di controllo finalizzate a tutelare l’ambiente. E non è un caso che dalle conversazioni telefoniche emerga fastidio – se non addirittura piani di neutralizzazione - nei confronti di chi della tutela dell’ambiente ha fatto una sua bandiera. Come per l’appunto, i verdi. Fare luce sull’intreccio tra affari e protezione civile anche a Venezia e nel Veneto, è quanto il consigliere regionale Gianfranco Bettin ha chiesto in una sua interrogazione alla Giunta. “Dall’inchiesta su affari e Protezione Civile – ha dichiarato l’ambientalista – emerge il reiterato tentativo di aggirare le procedure e i vincoli a tutela dell’ambiente. Solo così, infatti, si favorisce il business spudorato e senza freni, che non si è fermato di fronte a niente, di quelli che, pensando al proprio ‘business’ ridono mentre la gente muore, e di tutti quelli che della speculazione fanno la loro cinica ‘mission’. Da questa inchiesta si capisce anche meglio che la destra e i poteri ammanicati con questi sporchi affari hanno tutto l’interesse a far tacere la voce degli ambientalisti. Anche questo spiega perchè, ormai da mesi e mesi, la Rai in mano alla destra ha cancellato la voce dei verdi”. Una situazione intollerabile da democrazia sospesa, contro la quale il leader nazionale dei Verdi, Angelo Bonelli, da un mese sta effettuando uno sciopero della fame. “Togliere la parola agli ambientalisti, in televisione, sui media in genere, e rimuoverli dagli organi di controllo, o tagliare i contributi statali agli organi d’informazione liberi come sta accadendo – continua Bettin- è un favore fatto agli speculatori, a chi fa a pezzi l’ambiente e, insieme, la stessa democrazia”. Nella sua interrogazione a risposta urgente, il consigliere dei Verdi fa notare come anche nel Veneto, in svariati casi legati alla realizzazione di opere pubbliche di enorme impatto, si sono registrati episodi di inizi di lavori prima della firma della Valutazione di Impatto Ambientale, e chiede alla Giunta di verificare se, a proposito di tali opere, “siano stati messi in atto tentativi di aggirare procedure, di intervenire sul piano strettamente politico e non tecnico per vanificare vincoli e prescrizioni, per ridimensionare il peso e il ruolo di chi è preposto, per il ruolo e per la competenza, a far rispettare l’ambiente e l’ecosistema interessati da tali opere”.
Legalità e confini certi per la pace. Intervista con Nandino Capovilla
1/03/2010TerraL’appartamento di padre Nandino Capovilla è esattamente come ci si aspetta che sia l’appartamento del coordinatore nazionale di Pax Christi: pieno zeppo di libri che parlano di pace e non violenza, di prodotti del commercio equo e solidale, e di colorati ninnoli che provengono dall’artigianato di popoli più o meno oppressi in più o meno tutte le parti del mondo. Siamo a Marghera. Esattamente dall’altra parte delle strada dello storico centro sociale Rivolta. Padre Nandino è appena tornato dalla Palestina dove ha organizzato una “presenza attiva” per difendere un boschetto di limoni che l’esercito israeliano aveva deciso di distruggere.
“Ma è finita che le ruspe son passate sopra lo stesso – spiega -. C’è poco da fare. Nei territori occupati la situazione è impossibile da descrivere se non la si vive di persona. E’ tutto una follia. Altro che discorsi di pace. La pace implica legalità e confini certi. In Palestina non c’è né l’uno né l’altro”. Ogni estate Pax Christi porta in Palestina una cinquantina di volontari per aiutare le famiglie palestinesi nella raccolta delle olive. “In un contesto in cui non hanno nessuna certezza, perché l’autorità palestinese semplicemente non conta niente e l’esercito israeliano fa il bello e il brutto tempo, la sola presenza di persone provenienti dall’Europa è importantissima per questa gente. Gli regala qualche giorno di tranquillità per completare il raccolto che è una dello loro poche fonti di guadagno. Dal nostro punto di vista lo scopo è duplice, aiutare i palestinesi ma anche fare vedere la realtà che si vive in Palestina a chi sente parlare del conflitto arabo israeliano solo dalla televisione. Ti assicuro che vista dal di dentro, le questione assume tutta un’altra valenza”. Tornati in Italia, i volontari di Pax Christi organizzano dibattiti, incontri con le scuole e stampa di materiali e libri. L’ultimo, scritto dallo stesso Nandino Capovilla, “Un parroco all’inferno” edizioni Paoline, racconta la storia di abuna Manuel Musallam (abuna significa prete) che ha vissuto dal di dentro l’assedio di Gaza. Tutta un’altra storia da quella raccontata dai nostri telegiornali. “L’assedio di Gaza è stato una punizione collettiva. Non si sono cercati i responsabili che hanno tirato i razzi contro i civili israeliani. Hanno voluto vendicarsi contro donne e bambini innocenti” spiega padre Nandino. “D’altronde, cosa significa ‘punire Hamas’? Hamas non è un gruppo di persona ben definito ma è dentro lo stesso tessuto sociale palestinese. E’ stato eletto democraticamente come risposta alla corruzione e all’incapacità che dominava nel paese quando governava Al Fatah. In Europa Hamas è presentato come il volto del terrorismo islamico. Ed è vero che c’è anche questa componente, ma è anche vero che – pur in un clima di totale chiusura come quello che si è trovato di fronte – Hamas ha cercato di governare e di ridare ordine ad una situazione caotica portando avanti progetti di pace come la costruzione di scuole e ospedali”. Stritolati tra integralismo islamico ed esercito israeliano, quale potrebbe essere una possibile via di uscita per i palestinesi? “Il processo di pace non va avanti. Questa è una verità innegabile. Non va avanti perché di pace non ha niente. Si rimanda, si rimanda… sino a che il processo si arrotola su se stesso per garantire che non venga mai fatto niente”. Padre Nandino riesce a recuperare sotto una pila di libri un grosso volume di piantine militari. “Sono le mappe dell’Onu. Se a Tel Aviv si accorgevano che le avevo in valigia mi arrestavano… comunque dai un’occhiata. Questa sarebbe la linea verde. Non significa nulla. Questi in blu gli insediamenti dei coloni. Sono dappertutto. Gerusalemme est è tutta una gru. E guarda quanto blu. Quando mai potrà diventare la capitale dello stato di Palestina? Mai! In queste condizioni, la gente si attacca alle piccole storie. Storie che non fanno notizia né nella Grande Storia né nelle cronache dei giornali. Sono vicende di ordinaria resistenza pacifica. Potrei farti centinaia di esempi: i contadini che si mettono davanti alle ruspe per difendere il campo, i sit in sotto il muro tutti i venerdì che puntualmente vengono repressi con violenza inaudita dai soldati. La scorsa settimana, l’esercito ha dichiarato zona chiusa proprio quei villaggi in cui si pratica la resistenza non violenta e dove il terrorismo non centrava niente. Significa che se c’è una resistenza popolare questa fa paura. Ma è anche un segnale che la pace è possibile”. Dall’altra parte del muro non ci sono segnali di pace? “Dal governo di Benjamin Netanyahu no di sicuro. Ma dalla società civile israeliana sì. Anzi, è una realtà che è in continua crescita. Ti faccio un solo esempio. Tu sai vero, che l’esercito dopo aver distrutto un villaggio vi costruisce sopra un parco per cercare di distruggerne anche la memoria? Beh, c’è un’associazione molto attiva che organizza gite con le scolaresche per raccontare la storia del villaggio distrutto e, dopo aver chiesto i regolari permessi, ci pianta un cartello con scritto ‘Qui sorgeva il villaggio tal dei tali raso al suolo il tal giorno del mese…’. Il giorno dopo il cartello sparisce misteriosamente ma la sera loro vanno subito a ripiantarlo. Vanno avanti così per mesi sino a che il cartello rimane al suo posto. Lo so. Fa sorridere. Ma sono storie come queste che danno un senso e una speranza ad una pace possibile”.
“Ma è finita che le ruspe son passate sopra lo stesso – spiega -. C’è poco da fare. Nei territori occupati la situazione è impossibile da descrivere se non la si vive di persona. E’ tutto una follia. Altro che discorsi di pace. La pace implica legalità e confini certi. In Palestina non c’è né l’uno né l’altro”. Ogni estate Pax Christi porta in Palestina una cinquantina di volontari per aiutare le famiglie palestinesi nella raccolta delle olive. “In un contesto in cui non hanno nessuna certezza, perché l’autorità palestinese semplicemente non conta niente e l’esercito israeliano fa il bello e il brutto tempo, la sola presenza di persone provenienti dall’Europa è importantissima per questa gente. Gli regala qualche giorno di tranquillità per completare il raccolto che è una dello loro poche fonti di guadagno. Dal nostro punto di vista lo scopo è duplice, aiutare i palestinesi ma anche fare vedere la realtà che si vive in Palestina a chi sente parlare del conflitto arabo israeliano solo dalla televisione. Ti assicuro che vista dal di dentro, le questione assume tutta un’altra valenza”. Tornati in Italia, i volontari di Pax Christi organizzano dibattiti, incontri con le scuole e stampa di materiali e libri. L’ultimo, scritto dallo stesso Nandino Capovilla, “Un parroco all’inferno” edizioni Paoline, racconta la storia di abuna Manuel Musallam (abuna significa prete) che ha vissuto dal di dentro l’assedio di Gaza. Tutta un’altra storia da quella raccontata dai nostri telegiornali. “L’assedio di Gaza è stato una punizione collettiva. Non si sono cercati i responsabili che hanno tirato i razzi contro i civili israeliani. Hanno voluto vendicarsi contro donne e bambini innocenti” spiega padre Nandino. “D’altronde, cosa significa ‘punire Hamas’? Hamas non è un gruppo di persona ben definito ma è dentro lo stesso tessuto sociale palestinese. E’ stato eletto democraticamente come risposta alla corruzione e all’incapacità che dominava nel paese quando governava Al Fatah. In Europa Hamas è presentato come il volto del terrorismo islamico. Ed è vero che c’è anche questa componente, ma è anche vero che – pur in un clima di totale chiusura come quello che si è trovato di fronte – Hamas ha cercato di governare e di ridare ordine ad una situazione caotica portando avanti progetti di pace come la costruzione di scuole e ospedali”. Stritolati tra integralismo islamico ed esercito israeliano, quale potrebbe essere una possibile via di uscita per i palestinesi? “Il processo di pace non va avanti. Questa è una verità innegabile. Non va avanti perché di pace non ha niente. Si rimanda, si rimanda… sino a che il processo si arrotola su se stesso per garantire che non venga mai fatto niente”. Padre Nandino riesce a recuperare sotto una pila di libri un grosso volume di piantine militari. “Sono le mappe dell’Onu. Se a Tel Aviv si accorgevano che le avevo in valigia mi arrestavano… comunque dai un’occhiata. Questa sarebbe la linea verde. Non significa nulla. Questi in blu gli insediamenti dei coloni. Sono dappertutto. Gerusalemme est è tutta una gru. E guarda quanto blu. Quando mai potrà diventare la capitale dello stato di Palestina? Mai! In queste condizioni, la gente si attacca alle piccole storie. Storie che non fanno notizia né nella Grande Storia né nelle cronache dei giornali. Sono vicende di ordinaria resistenza pacifica. Potrei farti centinaia di esempi: i contadini che si mettono davanti alle ruspe per difendere il campo, i sit in sotto il muro tutti i venerdì che puntualmente vengono repressi con violenza inaudita dai soldati. La scorsa settimana, l’esercito ha dichiarato zona chiusa proprio quei villaggi in cui si pratica la resistenza non violenta e dove il terrorismo non centrava niente. Significa che se c’è una resistenza popolare questa fa paura. Ma è anche un segnale che la pace è possibile”. Dall’altra parte del muro non ci sono segnali di pace? “Dal governo di Benjamin Netanyahu no di sicuro. Ma dalla società civile israeliana sì. Anzi, è una realtà che è in continua crescita. Ti faccio un solo esempio. Tu sai vero, che l’esercito dopo aver distrutto un villaggio vi costruisce sopra un parco per cercare di distruggerne anche la memoria? Beh, c’è un’associazione molto attiva che organizza gite con le scolaresche per raccontare la storia del villaggio distrutto e, dopo aver chiesto i regolari permessi, ci pianta un cartello con scritto ‘Qui sorgeva il villaggio tal dei tali raso al suolo il tal giorno del mese…’. Il giorno dopo il cartello sparisce misteriosamente ma la sera loro vanno subito a ripiantarlo. Vanno avanti così per mesi sino a che il cartello rimane al suo posto. Lo so. Fa sorridere. Ma sono storie come queste che danno un senso e una speranza ad una pace possibile”.
Quando il razzismo viene fatto "circolare". Intervista con Iside Gjergji
23/02/2010TerraIl razzismo non si veste quasi mai da razzismo. Ha mille forme e mille facce. Una di queste è quella messa in atto dalla pubblica amministrazione. Iside Gjergji è nata a Durazzo ma vive in Italia dal ’91 dove si è laureata in giurisprudenza. Nel suo dottorato in sociologia ha svolto una interessate ed inedita ricerca sulle circolari amministrative in materia di immigrazione.
Come mai hai scelto questo tema?
Diciamo che sono state le circolari ad occuparsi di me quando, alcuni anni fa, feci domanda di carta di soggiorno alla questura. La mia richiesta venne rigettata sulla base di una circolare del Ministero che imponeva alcuni requisiti non previsti dalla legge. All’epoca ero studentessa di Giurisprudenza e su tutti i libri di esame mi veniva spiegato che le circolari amministrative non erano fonte di diritto, eppure a me veniva rigettata l’istanza sulla base di una circolare. Decisi di non arrendermi e il Tar del Lazio mi diede ragione: l’interpretazione della norma fornita dalla circolare del Ministero era illegittima. E così, dopo una lunga e costosa battaglia, ottenni la carta di soggiorno. Ho constato direttamente che gli operatori della pubblica amministrazione agiscono non tanto sulla base delle leggi, quanto sulla base delle circolari. Sono queste il loro "vero" - se non unico - riferimento normativo. Anche ora che la legislazione sull’immigrazione è quasi completa, le circolari continuano ad essere il “vero” riferimento giuridico. Il problema è che le circolari sfuggono ad ogni controllo, sia quello giurisdizionale sia quello della sovranità popolare. Sono sostanzialmente ordini di un “capo”, e come tali soggette al suo arbitrio.
E come sempre avviene con gli “ordini del capo”, nasce il peggio dal peggio.
Già. Si tratta sostanzialmente di ordini assunti in assenza di contradditorio e senza regole procedurali. Parliamo, insomma, di una sorta di diritto interstiziale che si insinua nelle pieghe dell’ordinamento assumendone le sembianze. La forza di questo “infra-diritto” sta nella struttura gerarchia della pubblica amministrazione che non consente la messa in discussione di un ordine del capo, bensì si aspetta che venga eseguito. Più gerarchica e autoritaria è la struttura organizzativa e maggiore forza acquisiscono gli ordini del capo. Con le riforme cosiddette “federaliste” di questi ultimi vent’anni le istituzioni pubbliche hanno conosciuto indubbiamente una sterzata di tipo autoritario. Ora il potere si concentra sempre più nelle mani dei sindaci, “governatori” e “premier”, a tutto scapito delle assemblee comunali, regionali e parlamentari.
Pensiamo alle ordinanze del sindaco di Firenze sui lavavetri, quella del sindaco di Milano che vietava ai minori stranieri, figli di irregolari, di iscriversi alle scuole materne, le ordinanze del sindaco di Vicenza sui mendicanti, quelle dei sindaci di Cittadella, Thiene e di Azzanno Decimo che impedivano l’iscrizione degli immigrati poveri all’anagrafe comunale, e poi quelle di 43 sindaci della provincia di Bergamo che impedivano il matrimonio degli stranieri senza permesso di soggiorno. Queste ordinanze hanno fatto da preludio a molte norme introdotte poi a livello legislativo con il “pacchetto sicurezza”, inaugurando nel contempo una stagione di razzismo istituzionale senza precedenti nella storia repubblicana.
Un problema che non è solo degli stranieri?
Al di là delle caratteristiche, più o meno razziste, delle singole disposizioni è il sistema di governo per circolari ad essere intrinsecamente e irrevocabilmente razzista. Ai segmenti di popolazione la cui esistenza è prevalentemente determinata e scandita mediante circolari amministrative, vengono di fatto negate quelle garanzie che l’ordinamento giuridico riconosce formalmente a tutti. Si tratta, insomma, di soggetti e “disciplinati” da un sottosistema normativo di tipo amministrativo che, in quanto tale, non può che fornire una pseudo-protezione giuridica. Di quale convivenza è possibile parlare a queste condizioni?
L’uso abnorme di circolari e ordinanze sono un modello anche per la regolamentazione della vita di tutti i cittadini. Penso, ad esempio, al divieto di assembramento di più di tre persone nei parchi dopo le undici di sera, alle norme sul “comportamento civile” o a quelle sulla prostituzione, che non riesco a non leggere come un tentativo della criminalizzazione della povertà. In altre parole, la negazione dei diritti degli immigrati ha anticipato la progressiva erosione dei diritti di tutti. Mi viene in mente una frase di James Baldwin che dice: “Dobbiamo proteggere la tua vita come se fosse nostra poiché se vengono a prenderti di giorno, da noi verranno nella notte”.
Come mai hai scelto questo tema?
Diciamo che sono state le circolari ad occuparsi di me quando, alcuni anni fa, feci domanda di carta di soggiorno alla questura. La mia richiesta venne rigettata sulla base di una circolare del Ministero che imponeva alcuni requisiti non previsti dalla legge. All’epoca ero studentessa di Giurisprudenza e su tutti i libri di esame mi veniva spiegato che le circolari amministrative non erano fonte di diritto, eppure a me veniva rigettata l’istanza sulla base di una circolare. Decisi di non arrendermi e il Tar del Lazio mi diede ragione: l’interpretazione della norma fornita dalla circolare del Ministero era illegittima. E così, dopo una lunga e costosa battaglia, ottenni la carta di soggiorno. Ho constato direttamente che gli operatori della pubblica amministrazione agiscono non tanto sulla base delle leggi, quanto sulla base delle circolari. Sono queste il loro "vero" - se non unico - riferimento normativo. Anche ora che la legislazione sull’immigrazione è quasi completa, le circolari continuano ad essere il “vero” riferimento giuridico. Il problema è che le circolari sfuggono ad ogni controllo, sia quello giurisdizionale sia quello della sovranità popolare. Sono sostanzialmente ordini di un “capo”, e come tali soggette al suo arbitrio.
E come sempre avviene con gli “ordini del capo”, nasce il peggio dal peggio.
Già. Si tratta sostanzialmente di ordini assunti in assenza di contradditorio e senza regole procedurali. Parliamo, insomma, di una sorta di diritto interstiziale che si insinua nelle pieghe dell’ordinamento assumendone le sembianze. La forza di questo “infra-diritto” sta nella struttura gerarchia della pubblica amministrazione che non consente la messa in discussione di un ordine del capo, bensì si aspetta che venga eseguito. Più gerarchica e autoritaria è la struttura organizzativa e maggiore forza acquisiscono gli ordini del capo. Con le riforme cosiddette “federaliste” di questi ultimi vent’anni le istituzioni pubbliche hanno conosciuto indubbiamente una sterzata di tipo autoritario. Ora il potere si concentra sempre più nelle mani dei sindaci, “governatori” e “premier”, a tutto scapito delle assemblee comunali, regionali e parlamentari.
Pensiamo alle ordinanze del sindaco di Firenze sui lavavetri, quella del sindaco di Milano che vietava ai minori stranieri, figli di irregolari, di iscriversi alle scuole materne, le ordinanze del sindaco di Vicenza sui mendicanti, quelle dei sindaci di Cittadella, Thiene e di Azzanno Decimo che impedivano l’iscrizione degli immigrati poveri all’anagrafe comunale, e poi quelle di 43 sindaci della provincia di Bergamo che impedivano il matrimonio degli stranieri senza permesso di soggiorno. Queste ordinanze hanno fatto da preludio a molte norme introdotte poi a livello legislativo con il “pacchetto sicurezza”, inaugurando nel contempo una stagione di razzismo istituzionale senza precedenti nella storia repubblicana.
Un problema che non è solo degli stranieri?
Al di là delle caratteristiche, più o meno razziste, delle singole disposizioni è il sistema di governo per circolari ad essere intrinsecamente e irrevocabilmente razzista. Ai segmenti di popolazione la cui esistenza è prevalentemente determinata e scandita mediante circolari amministrative, vengono di fatto negate quelle garanzie che l’ordinamento giuridico riconosce formalmente a tutti. Si tratta, insomma, di soggetti e “disciplinati” da un sottosistema normativo di tipo amministrativo che, in quanto tale, non può che fornire una pseudo-protezione giuridica. Di quale convivenza è possibile parlare a queste condizioni?
L’uso abnorme di circolari e ordinanze sono un modello anche per la regolamentazione della vita di tutti i cittadini. Penso, ad esempio, al divieto di assembramento di più di tre persone nei parchi dopo le undici di sera, alle norme sul “comportamento civile” o a quelle sulla prostituzione, che non riesco a non leggere come un tentativo della criminalizzazione della povertà. In altre parole, la negazione dei diritti degli immigrati ha anticipato la progressiva erosione dei diritti di tutti. Mi viene in mente una frase di James Baldwin che dice: “Dobbiamo proteggere la tua vita come se fosse nostra poiché se vengono a prenderti di giorno, da noi verranno nella notte”.
Il mondo accademico per i migranti
23/02/2010Terra“Come può esistere chi non esiste” la domanda che si sono posti i lavoratori migranti di Rosarno è la questione centrale della giornata del primo marzo. Lo ha ribadito un folto gruppo di docenti delle università italiana che hanno sottoscritto una lunga lettera in appoggio alla manifestazione che proprio dai fatti accaduti in Calabria. In questo nostro Paese imperniato “da una forma pervasiva di razzismo istituzionale che permette e legittima forme di razzismo, intolleranza, xenofobia sociali che stanno ormai erodendo la vivibilità comune delle nostre città” si legge nel’appello, “Come possono esistere tutti e tutte coloro che, pur essendo ‘attori della vita economica di questo paese’, con differenti dispositivi sono continuamente sospinti verso una presenza marginale e una vita non vivibile costellata di mille ostacoli (dai tempi biblici del rinnovo del permesso di soggiorno all’assenza di ogni possibilità di regolarizzazione, dagli innumerevoli modi in cui si elude il riconoscimento dello stato di rifugiato alle norme che entrano in modo discriminatorio nelle scelte di vita affettiva concedendo ai migranti ‘affetti di serie b’, sino ai mesi di detenzione previsti per chi non ha o ha perso il permesso di soggiorno e all’ultima proposta del permesso di soggiorno a punti)?”
“Aderiamo a questa giornata perché riteniamo che questa domanda coinvolga la vita di tutti e di tutte, migranti e non, studenti, studentesse, lavoratori e lavoratrici, disoccupati e disoccupate, in Italia così come nel resto d’Europa e in altri paesi del mondo. In quanto docenti, sappiamo che nelle università, anziché come studenti e studentesse nelle nostre aule è più facile incontrare i/le migranti come lavoratori e lavoratrici delle cooperative di servizi, assunti/e con bassi salari e senza garanzie. La scandalosa difficoltà nell’accesso a un permesso di soggiorno per studi universitari, attraverso una politica delle quote anche nel campo del sapere che rende quest’ultimo esclusivo privilegio dei cittadini, è parte integrante della chiusura nei confronti dei/delle migranti che caratterizza il nostro paese. Per questo ci impegniamo a lottare anche per garantire la piena accessibilità dell’Università ai/alle migranti. Siamo più in generale convinti che soltanto cancellando il razzismo istituzionale e sociale come pratica quotidiana di sfruttamento sarà possibile costruire spazi di convivenza futuri”.
I docenti firmatari dell’appello, dove possibile, anche durante le ore di attività didattica nei giorni che precedono il primo marzo, leggeranno nelle aule la lettera dei lavoratori africani di Rosarno, invitando gli studenti a partecipare alle iniziative della giornata. Un altro appello a sostegno della manifestazione è stato lanciato da Cobas e Cesp, centro studi per la scuola pubblica: “Noi, nel nostro lavoro educativo, siamo invece sempre partiti dal principio e dalla rivendicazione dell’uguaglianza dei diritti, dal riconoscimento delle culture, dal diritto alla libertà di movimento delle persone”.
“Aderiamo a questa giornata perché riteniamo che questa domanda coinvolga la vita di tutti e di tutte, migranti e non, studenti, studentesse, lavoratori e lavoratrici, disoccupati e disoccupate, in Italia così come nel resto d’Europa e in altri paesi del mondo. In quanto docenti, sappiamo che nelle università, anziché come studenti e studentesse nelle nostre aule è più facile incontrare i/le migranti come lavoratori e lavoratrici delle cooperative di servizi, assunti/e con bassi salari e senza garanzie. La scandalosa difficoltà nell’accesso a un permesso di soggiorno per studi universitari, attraverso una politica delle quote anche nel campo del sapere che rende quest’ultimo esclusivo privilegio dei cittadini, è parte integrante della chiusura nei confronti dei/delle migranti che caratterizza il nostro paese. Per questo ci impegniamo a lottare anche per garantire la piena accessibilità dell’Università ai/alle migranti. Siamo più in generale convinti che soltanto cancellando il razzismo istituzionale e sociale come pratica quotidiana di sfruttamento sarà possibile costruire spazi di convivenza futuri”.
I docenti firmatari dell’appello, dove possibile, anche durante le ore di attività didattica nei giorni che precedono il primo marzo, leggeranno nelle aule la lettera dei lavoratori africani di Rosarno, invitando gli studenti a partecipare alle iniziative della giornata. Un altro appello a sostegno della manifestazione è stato lanciato da Cobas e Cesp, centro studi per la scuola pubblica: “Noi, nel nostro lavoro educativo, siamo invece sempre partiti dal principio e dalla rivendicazione dell’uguaglianza dei diritti, dal riconoscimento delle culture, dal diritto alla libertà di movimento delle persone”.
Cartoline contro la caccia
23/02/2010TerraI verdi del Veneto hanno lanciato una campagna informatica contro la legge vergogna che consente alle Regioni di estendere a tutto l’arco dell’anno la stagione venatoria. Se la Camera in questi giorni confermerà il testo già approvato dal Senato, i cacciatori potranno sparare ininterrottamente dal primo gennaio al 31 dicembre. Una normativa questa, che non ha equivalenti in nessuno Stato d’Europa e che porterà altre pesanti sanzioni economiche al nostro Paese.
Così, dopo aver cementificato tutto quello che si poteva cementificare (e in qualche caso anche quello che non si poteva), dopo aver avvelenato l’aria, saccheggiato e mercificato l’ambiente, sdoganato il nucleare, inquinato e privatizzato l’acqua (e ci fermiamo qua), il Governo e la maggioranza di centrodestra si preparano a far piazza pulita degli ultimi, silenziosi testimoni di questa devastazione ambientale senza precedenti: gli animali selvatici. Ed è incredibile che proprio il senatore Giacomo Santini (Pdl), relatore della legge Comunitaria in commissione Politiche europee del Senato, invece di operare per allineare la legislazione italiana con quella europea ed evitare al nostro bilancio altre sanzioni, ha proposto questo assurdo emendamento che di fatto cancella i limiti alla stagione venatoria. Potranno essere abbattuti animali ancora cuccioli, debilitati dal gelo, uccelli nel momento della nidificazione e di ritorno sulle rotte migratorie.
Per far sentire la voce dei tanti italiani che oggi più che mai sono contro la caccia, i Verdi Idea del Veneto hanno predisposto una serie di cartoline informatiche da inviare ai capigruppo della Camera invitandoli a bocciare questa legge crudele ed incivile. I file in formato jpg - volutamente un po’ pesanti per rallentare se non per intasare le mail dei destinatari - e gli indirizzi mail dei deputati sono scarivabili dal sito www.verdiveneto.it.
Sono immagini formato cartolina turistica con foto di animali inquadrati da un mirino e sotto la scritta “No alla caccia tutto l’anno”. “Non può essere una minoranza di 700 mila persone, tanti sono stimati i cacciatori italiani, appena l’uno per cento della popolazione – ha dichiarato Gianfranco Bettin - a disporre a suo piacimenti di un bene comune come è la fauna selvatica, che la stessa legge definisce ‘patrimonio indisponibile dello Stato, tutelata nell’interesse della comunità nazionale e internazionale. Siamo in tanti a pensarla così, facciamoci sentire”.
I Verdi Idea invitano a spedire le cartoline informatiche anche agli onorevoli Antonio Di Pietro e Gabriele Cimadoro (Idv) che hanno “rilanciato” dalla sponda del centrosinistra la politica governativa tutta asservita alle lobby venatorie, presentando un progetto di legge in cui si propone addirittura di depenalizzare il bracconaggio trasformandolo da reato penale a reato civile. In pratica, i cacciatori potranno togliersi lo sfizio di cacciare specie protette dentro le aree protette dietro il pagamento di una semplice multa!
Così, dopo aver cementificato tutto quello che si poteva cementificare (e in qualche caso anche quello che non si poteva), dopo aver avvelenato l’aria, saccheggiato e mercificato l’ambiente, sdoganato il nucleare, inquinato e privatizzato l’acqua (e ci fermiamo qua), il Governo e la maggioranza di centrodestra si preparano a far piazza pulita degli ultimi, silenziosi testimoni di questa devastazione ambientale senza precedenti: gli animali selvatici. Ed è incredibile che proprio il senatore Giacomo Santini (Pdl), relatore della legge Comunitaria in commissione Politiche europee del Senato, invece di operare per allineare la legislazione italiana con quella europea ed evitare al nostro bilancio altre sanzioni, ha proposto questo assurdo emendamento che di fatto cancella i limiti alla stagione venatoria. Potranno essere abbattuti animali ancora cuccioli, debilitati dal gelo, uccelli nel momento della nidificazione e di ritorno sulle rotte migratorie.
Per far sentire la voce dei tanti italiani che oggi più che mai sono contro la caccia, i Verdi Idea del Veneto hanno predisposto una serie di cartoline informatiche da inviare ai capigruppo della Camera invitandoli a bocciare questa legge crudele ed incivile. I file in formato jpg - volutamente un po’ pesanti per rallentare se non per intasare le mail dei destinatari - e gli indirizzi mail dei deputati sono scarivabili dal sito www.verdiveneto.it.
Sono immagini formato cartolina turistica con foto di animali inquadrati da un mirino e sotto la scritta “No alla caccia tutto l’anno”. “Non può essere una minoranza di 700 mila persone, tanti sono stimati i cacciatori italiani, appena l’uno per cento della popolazione – ha dichiarato Gianfranco Bettin - a disporre a suo piacimenti di un bene comune come è la fauna selvatica, che la stessa legge definisce ‘patrimonio indisponibile dello Stato, tutelata nell’interesse della comunità nazionale e internazionale. Siamo in tanti a pensarla così, facciamoci sentire”.
I Verdi Idea invitano a spedire le cartoline informatiche anche agli onorevoli Antonio Di Pietro e Gabriele Cimadoro (Idv) che hanno “rilanciato” dalla sponda del centrosinistra la politica governativa tutta asservita alle lobby venatorie, presentando un progetto di legge in cui si propone addirittura di depenalizzare il bracconaggio trasformandolo da reato penale a reato civile. In pratica, i cacciatori potranno togliersi lo sfizio di cacciare specie protette dentro le aree protette dietro il pagamento di una semplice multa!
Zaia, l'atomo e la sindrome Nimby
16/02/2010TerraNuclearisti a Roma, ambientalisti a casa. Si può dire di tutto dei leghisti ma non che si facciano mettere sotto dalle contraddizioni. Luca Zaia è un Giano bifronte. La faccia del ministro nuclearista si gira immediatamente dal lato antinucleare quando assume il ruolo di candidato alla carica di Governatore veneto. A Roma ha approvato il piano atomico del governo. A Venezia, alle domande dei giornalisti, risponde che “L’atomo mi lascia perplesso. Prima che accetti una centrale nucleare nella mia regione dovrebbero dimostrarmi, dati alla mano, che non ci sono alternative in altre regioni. E comunque rimarrei in totale dissenso, considerato anche che il bilancio energetico del Veneto è in pareggio”.
La paura di dire una cosa e farne un’altra non fa perdere il sonno neppure ai suoi compagni di partito che siedono nei banchi di palazzo Ferro Fini, sede del consiglio regionale, che nell’ultima finanziaria hanno bocciato un emendamento dell’opposizione firmato da Verdi e comunisti, con il quale si chiedeva di prendere ufficialmente posizione contro il nucleare, così come hanno fatto altre Regioni italiane. All’ambiguità dei Lumbard fa da sponda la determinazione del Popolo della Libertà che non ha mezze misure per dichiararsi, per bocca dell’assessore Renzo Marangon, favorevolissimo alla scelta nucleare, auspicando anzi, che il Veneto sia una delle “fortunate” regioni selezionate dal Governo. Ma quali saranno queste regioni “fortunate”? Il ministro dello Sviluppo Claudio Sajola ripete: “Le popolazioni saranno informate e parteciperanno ad ogni fase del processo” ma non dice ancora dove sorgeranno le centrali. Specifica comunque che la decisione spetta al Governo e non alle Regioni. Il che suona come un avvertimento ai governatori ribelli, alla faccia di quella parola vuota da usare solo in campagna elettorale che è altro non il federalismo. I siti papabili a nord est rimangono sempre quelli già noti: Porto Tolle nel Polesine, Chioggia e Monfalcone (Trieste).
Pragmatico l’atteggiamento dello sfidante di Zaia per il centro sinistra, Giuseppe Bortolussi: “Il nucleare è inutile. Anche realizzando tutte le centrali previste dal Governo, queste coprirebbero al massimo un 6% del fabbisogno. Col l’energia idroelettrica ed i pannelli, otterremo molto di più”. Sul tema, Bortolussi si sgancia anche da molti dirigenti Democratici che sul nucleare hanno una posizione che quantomeno potremmo definire altalenante. “Per questo sarà indispensabile che i movimenti decisamente antinuclearisti ottengano un buon risultato alle prossime elezioni – ha dichiarato il verde Gianfranco Bettin -. In ambienti vicini al centro destra veneto, si ipotizza l’eventualità di localizzare una centrale tra Marghera e Chioggia oppure nel Polesine. Questa è una eventualità che dobbiamo bloccare sul nascere”. Anche per questo i verdi del Veneto hanno deciso di presentarsi con una lista, Idea (Italia democratica, etica e ambientalista), e un simbolo che richiamano la prima vittoriosa battaglia contro l’energia nucleare. Quel solo che ride color rosso e la scritta: Nucleare? No grazie. “Nel centrodestra sta prevalendo la scelta filo nucleare come logica continuità di una politica energetica che non ha mai prerso seriamente in considerazione le alternative pulite - ha concluso Bettin. - E’ una scelta arretrata, che inchioderebbe la nostra regione al peggio del passato e delle tecnologie attuali, che colpirebbe l’economia della pesca e del turismo e impedirebbe investimenti in settori compatibili con il territorio. Serve invece lo sviluppo di energie e tecnologie alternative. Non usciremo dalla crisi ricorrendo a investimenti vecchio stampo, pericolosissimi come il nucleare o nocivi come gli inceneritori, che portano poca occupazione e molti rischi, ma evolvendo in direzione radicalmente diversa, nel segno dell’innovazione, della logistica avanzata, delle nuove tecnologie, della green economy che è la vera bussola del nuovo, la nuova credibile frontiera del lavoro e dell’impresa”.
La paura di dire una cosa e farne un’altra non fa perdere il sonno neppure ai suoi compagni di partito che siedono nei banchi di palazzo Ferro Fini, sede del consiglio regionale, che nell’ultima finanziaria hanno bocciato un emendamento dell’opposizione firmato da Verdi e comunisti, con il quale si chiedeva di prendere ufficialmente posizione contro il nucleare, così come hanno fatto altre Regioni italiane. All’ambiguità dei Lumbard fa da sponda la determinazione del Popolo della Libertà che non ha mezze misure per dichiararsi, per bocca dell’assessore Renzo Marangon, favorevolissimo alla scelta nucleare, auspicando anzi, che il Veneto sia una delle “fortunate” regioni selezionate dal Governo. Ma quali saranno queste regioni “fortunate”? Il ministro dello Sviluppo Claudio Sajola ripete: “Le popolazioni saranno informate e parteciperanno ad ogni fase del processo” ma non dice ancora dove sorgeranno le centrali. Specifica comunque che la decisione spetta al Governo e non alle Regioni. Il che suona come un avvertimento ai governatori ribelli, alla faccia di quella parola vuota da usare solo in campagna elettorale che è altro non il federalismo. I siti papabili a nord est rimangono sempre quelli già noti: Porto Tolle nel Polesine, Chioggia e Monfalcone (Trieste).
Pragmatico l’atteggiamento dello sfidante di Zaia per il centro sinistra, Giuseppe Bortolussi: “Il nucleare è inutile. Anche realizzando tutte le centrali previste dal Governo, queste coprirebbero al massimo un 6% del fabbisogno. Col l’energia idroelettrica ed i pannelli, otterremo molto di più”. Sul tema, Bortolussi si sgancia anche da molti dirigenti Democratici che sul nucleare hanno una posizione che quantomeno potremmo definire altalenante. “Per questo sarà indispensabile che i movimenti decisamente antinuclearisti ottengano un buon risultato alle prossime elezioni – ha dichiarato il verde Gianfranco Bettin -. In ambienti vicini al centro destra veneto, si ipotizza l’eventualità di localizzare una centrale tra Marghera e Chioggia oppure nel Polesine. Questa è una eventualità che dobbiamo bloccare sul nascere”. Anche per questo i verdi del Veneto hanno deciso di presentarsi con una lista, Idea (Italia democratica, etica e ambientalista), e un simbolo che richiamano la prima vittoriosa battaglia contro l’energia nucleare. Quel solo che ride color rosso e la scritta: Nucleare? No grazie. “Nel centrodestra sta prevalendo la scelta filo nucleare come logica continuità di una politica energetica che non ha mai prerso seriamente in considerazione le alternative pulite - ha concluso Bettin. - E’ una scelta arretrata, che inchioderebbe la nostra regione al peggio del passato e delle tecnologie attuali, che colpirebbe l’economia della pesca e del turismo e impedirebbe investimenti in settori compatibili con il territorio. Serve invece lo sviluppo di energie e tecnologie alternative. Non usciremo dalla crisi ricorrendo a investimenti vecchio stampo, pericolosissimi come il nucleare o nocivi come gli inceneritori, che portano poca occupazione e molti rischi, ma evolvendo in direzione radicalmente diversa, nel segno dell’innovazione, della logistica avanzata, delle nuove tecnologie, della green economy che è la vera bussola del nuovo, la nuova credibile frontiera del lavoro e dell’impresa”.
Caccia incatenato
9/02/2010Terra
Da dieci giorni Angelo Bonelli sta facendo lo sciopero della fame a davanti alla sede Rai di Roma, per denunciare la disinformazione che regna sovrana nei nostri teleschermi e i media lo ignorano. Un esempio di questa malainformazione lo stiamo subendo a Venezia: non c’è un imbarcadero, un muro, una strada senza il faccione di Brunetta. Oggi il ministro ha acquistato 15 pagine su un giornale locale. Inoltre, dalla sua discesa in campo per occupare anche la poltrona di sindaco oltre che quella di ministro, lo vediamo in Tv in ogni trasmissione che ci racconta le sue amenità. Non ne possiamo più”. I verdi hanno consegnato una lettera aperta ai giornalisti dela Rai, costretti a passare dalla porta di servizio, per entrare in redazione, in cui si ribadisce il concetto che tale disinformazione mirata costituisca una vera e propria emergenza democratica. “Sotto questo bombardamento mediatico che non ha precedenti nella storia della Repubblica, la partita per le elezioni comunali a Venezia è truccata in partenza - ha concluso Beppe Caccia -. Anche a prescindere dalle tv, Brunetta ha occupato tutti gli spazi per le affissionim investendo almeno un milione di euro. Uno spreco indecente in tempi in cui tutti soffriamo le conseguenze della crisi. Pensiamo che il Comune ha fatto uno sforzo enorme per raccattare un fondo di 500 mila euro per le famiglie in difficoltà mentre Brunetta ha speso perlomeno il doppio, e in una sole settimana, soltanto per farsi propaganda”.