In questa pagina ho riportato gli ultimi articoli che ho scritto per il quotidiano ambientalista Terra, il settimanale Carta, Manifesto, per siti come Global Project, FrontiereNews o siti di associazioni come In Comune con Bettin e altro ancora.

Giorgio Orsoni sindaco di Venezia

Giorgio Orsoni è il nuovo sindaco di Venezia. Il tranquillo avvocato, procuratore di San Marco, ben visto dalla curia patriarcale e con l’hobby della vela, guiderà per i prossimi cinque anni la Stalingrado del nord Italia. Solo qui, in laguna, il centro sinistra ha portato a casa l’unico risultato vincente di questa tornata elettorale che ha visto la Lega recitare il ruolo dell’asso pigliatutto a rubamazzetto.
E proprio qui, nella laguna dei Dogi, dove i lombardi scendono ogni settembre per ripetere il teatrino del versamento dell’acqua del Po nei canali di questa che, a dir loro, dovrebbe essere la capitale della loro patria padana, il Carrocio non ha superato il tetto del 11 per cento. Il ministro - candidato, Renato Brunetta, ha perso e perso male proprio perché gli son mancate le percentuali che la lega ha ottenuto nelle altre provincie del Veneto. Fuori al primo turno con un misero 42,7 per cento (mentre scriviamo le sezioni scrutinate sono 286 su 303. I dati quindi possono variare solo nei decimali). Giorgio Orsoni vola col 52 per cento portatogli dal Pd (28,8 per cento), dall’Italia dei Valori (6,7), dall’Udc (4,6). La lista dei Verdi, In Comune con Bettin, ha recuperato un 3,8 per cento, appena sopra la federazione della Sinistra (Pdci e Rifondazione che in questa loro prima uscita elettorale totalizzano insieme il 3,3 per cento). Da segnalare, per completare il quadro delle liste che hanno sostenuto il neo eletto sindaco, il 3,8 dei socialisti che comunque va spiegato col fatto che il loro logo era l’unico con la scritta Orsoni e si trovava esattamente a fianco del nome del candidato. Completa il quadro veneziano la lista Brunetta (6,6) e il Pdl che col suo 22,8 si conferma il secondo partito della città con una percentuale di poco inferiore a quella incassata a livello regionale (24,7). Insomma, a Venezia è mancata solo la lega. E se vogliamo, è mancato anche un candidato capace di riscuotere le simpatie degli elettori come invece, a livello regionale, ha saputo fare l’altro ministro candidato: Luca Zaia. Faccia pulita, capelli brillantinati, discorsi neppure tanto razzisti e addirittura quasi sempre contenuti nel binario della buona educazione e della grammatica italiana. Il che non è poco per un leghista in campagna elettorale. Idee poche le sue, e spesso incoerenti (nuclearista a Roma e anti nuclearista a Venezia) ma comunque tutte centrate sul “fare”. Ad un Veneto squassato dalla crisi di un modello che aveva portato ricchezza e benessere, questo “fare” di un ministro che non ha avuto remore di farsi fotografare vestito da cuoco da Mac Italy, deve essere sembrato l’ultima ancora di salvezza. E così il Veneto dice addio a Galan, che si è fatto licenziare dal padrone, e non dagli elettori, come un qualsiasi dipendente di Publitalia con solo qualche mugugno di protesta, e addio anche a Brunetta, che comunque ha sempre un buon posto da ministro sotto il sedere e si risparmierà la faticaccia di venire nei fine settimana a sgobbare anche come sindaco di Venezia. Pur se lui non è un fannullone come noialtri.

Kairos, l'appello

“Noi, i Patriarchi e i Capi delle Chiese di Gerusalemme, abbiamo ascoltato il grido di speranza che i nostri figli hanno lanciato in questi tempi difficili che stiamo vivendo in questa Terra Santa”. Comincia così lo storico documento sulla Palestina che, per la prima volta, vede riunite tutte e tredici le chiese cristiane presenti in Israele: da quella cattolica romana a quella ortodossa, dall’anglicana alla luterana. L’appello dal significativo nome Kairos Palestina rievoca il documento Kairos Sudafrica sottoscritto nel 1985 in cui si denunciarono le ingiustizie dell’apartheid e che costituì, sia in chiave internazionale che interna, un valido strumento contro l’oppressione. Ricordiamo che la parola greca Kairos, tuttora adoperata nelle liturgie per definire il momento in cui Dio agisce, significa “tempo” ma inteso come “occasione giusta per fare qualcosa”.

Kairos Palestina chiede “alla comunità internazionale di sostenere il popolo Palestinese, che ha affrontato oppressione, spostamenti forzati, sofferenza e l'apartheid chiara per oltre sei decenni. La sofferenza continua, mentre la comunità internazionale guarda in silenzio lo Stato occupante, Israele. La nostra parola è un grido di speranza, con amore, la preghiera e la fede in Dio. Ci rivolgiamo prima di tutto a noi stessi e poi a tutte le Chiese ed i cristiani nel mondo, chiedendo loro di prendere posizione contro l'ingiustizia e l'apartheid, spingendoli a lavorare per una pace giusta nella nostra regione, chiedendo loro di rivedere teologie che giustificano i crimini perpetrati contro la nostra gente e l'espropriazione della terra”.
“Noi Cristiani Palestinesi dichiariamo che l'occupazione militare della nostra terra è un peccato contro Dio e contro l'umanità, e che ogni teologia che legittima l'occupazione è ben lungi dagli insegnamenti cristiani, perché la vera teologia cristiana è una teologia di amore e di solidarietà con gli oppressi, un appello per la giustizia e l'uguaglianza tra i popoli.” “Come Cristiani Palestinesi ci auguriamo che questo documento possa rappresentare il punto di svolta per concentrare gli sforzi di tutti i popoli amanti della pace nel mondo”. Kairos si chiude con un forte appello ad impegnarsi contro “l'oppressione e l'occupazione. Noi crediamo che la liberazione dall'occupazione sia nell'interesse di tutti i popoli della regione, perché il problema non è solo politico, in questo caso vengono distrutti i diritti di esseri umani”.
Kairos sarà presentato ufficialmente in Italia il 12 aprile, al teatro dell’istituto Montanari di Verona, da padre Raed Abushalia, del patriarcato di Gerusalemme. Nel sito web www.kairospalestine.ps potete scaricare l’appello nelle principali lingue del mondo e leggere il lungo elenco dei firmatari.

Orsoni e Brunetta. Venezia sceglie il sindaco

Gli studenti lo hanno aspettato pazientemente per oltre due ore. Tutti con il ciuccio in bocca, un baby bavaglino attorno al collo e un enorme striscione con scritto “Brunetta bamboccione, vogliam la tua pensione”. Niente da fare. Del ministro - candidato neppure l’ombra. Inutile tutto l’imponente schieramento di celere e carabinieri attorno e dentro l’auditorium universitario di S. Margherita, nel cuore della città lagunare. “Qualcuno gli ha fatto la soffiata – ha commentato un portavoce degli studenti di Ca Foscari - e se c’è una cosa in cui Renato Brunetta eccelle è quella di schivare i confronti in cui non ha la possibilità di ripiegare sugli insulti e sulle provocazioni che caratterizzano la sua politica”.

Questo accaduto martedì 16, è solo uno dei tanti esempi di “non confronto” sui problemi della città che hanno caratterizzato la campagna per le amministrative di Venezia. Certo. Brunetta è un ministro ed ha gli impegni di un ministro. La campagna elettorale pare farla nel suo tempo libero. Così come farà – nel caso fosse eletto – il sindaco di Venezia nel suo tempo libero. “Due giorni alla settimana, sabato e domenica, sono sufficienti”. Ha detto. Mica è un fannullone, lui. Resta il fatto che in una Venezia da “climate change” – acqua alta e neve a fine marzo non se la ricordava nessuno, in laguna – le imminenti elezioni non sembrano appassionare nessuno. A tener banco sui giornali locali sono, più che altro, le critiche e gli attacchi all’interno degli stessi schieramenti. Inevitabile, in mancanza di confronti con gli avversari. Così, a chiudere l’era Cacciari è lo stesso Orsoni, che marca le distanze da sindaco e assessori oggi al governo in città, e propone di “voltare pagina”. E si dimentica che è tutto merito del sindaco uscente se ora lui è là, a giocarsela con Brunetta. Nello schieramento opposto, specularmente a quanto avviene per le elezioni regionali, Lega e Pdl si accoltellano un giorno sì e l’altro pure. Brunetta dichiara che sarà lui, e non certo il Carroccio, a scegliere assessori e vice sindaco. La presidente “lumbard” della provincia, Francesca Zaccariotto, gliele manda a dire avvertendolo che il posto spetta ad un leghista altrimenti “ci saranno ripercussioni nel governo della provincia”. Tutte questioni di alta etica politica, come vedete. C’è da dire su Brunetta che perlomeno non manca di riaccendere di tanto in tanto il tristo panorama politico con qualche sparata delle sue, solitamente pescando a casaccio dalla storia veneziana, della quale non è quel che si dice un gran conoscitore. Ma gli basta aprire un libro sui dogi in una pagina a caso e riesce a farne un comunicato stampa. Anche questo è un gran talento. “Riattiveremo le tradizioni dei fondaci”. Per far che? Importare spezie dall’oriente misterioso? “Riapriremo l’Arsenale”. C’è richiesta di cocche e galee? “Riporteremo il sede del Comune a palazzo Ducale”. E il sindaco avrà pure il corno dogale in testa? Man mano che si avvicina il voto attendiamo che ne esca con un “Riprendiamoci Famagosta”. Giorgio Orsoni, diciamocelo francamente, non è uno che fa innamorare le folle, ma bisogna dargli atto che non deve essere facile ribattere a trovate del genere. Ma, tra le calli, lo spettacolo di una politica che è solo spettacolo è davvero deprimente. “I temi ambientali, che pure sono centrali per il futuro di Venezia e della sua terraferma – ha commentato Gianfranco Bettin candidato ed ispiratore delle lista In Comune -, sono passati in secondo piano. Per questo è importante non soltanto scegliere la coalizione che sostiene Orsoni e respingere l’attacco di una destra senza idee e senza proposte che non sia quella di svendere beni e patrimoni comuni, ma anche scegliere una formazione di chiara ispirazione ambientale come la nostra. L’unica capace di fare la differenza, riavvicinando alla politica persone che se ne erano allontanate e rilanciare In Comune, per l’appunto, una nuova idea democratica, etica e ambientalista”.
E’ sui temi ambientali infatti che si svela il vero volto di Brunetta. Venerdì scorso, all’Ateneo Veneto, durante il solo confronto a due di tutta la campagna elettorale, intervistati dai direttori delle tre testate locali, i candidati sindaci hanno risposto ad una domanda sull’inceneritore Sg31 di Marghera, destinato a rifiuti tossici e pericolosi. Un impianto fortemente voluto dalla Regione Veneto. “Un problema reale – ha dichiarato un preoccupato Orsoni - Porto Marghera rischia davvero di diventare la pattumiera d’Europa, disincentivando così, anche psicologicamente, chi in quelle aree vuole investire in attività pulite”. E la risposta del “fantuttone”? Incazzatissimo, il ministro - candidato ha tagliato corto: “E’ immorale che simili questioni complicate vengano affrontate in campagna elettorale, bisognerebbe tenerle fuori!” Qualcuno si è alzato dalla platea gridando: “Ministro, è la nostra vita, questa!”

Mara Venier assessora?

Sulla campagna elettorale per il Comune di Venezia non c’è proprio niente da scrivere. Ma non perché manchino i temi. Così, su due piedi, me ne vengono in mente tanti da riempire il foglio: dalle ancora attese bonifiche di Porto Marghera al rilancio regionale delle politiche di inquinamento con la riapertura dell’inceneritore Sg231 da 100 mila tonnellate annue di rifiuti tossici. E ancora: un turismo sempre più di massa che porta soldi per pochi e problemi per tutti, l’alberghizzazione feroce che scaccia i residenti dalla città insulare con la perdita di tradizioni e culture millenarie, il problema della casa a Venezia e del traffico a Mestre, la necessità di una strategia a 360 gradi per difendere il delicato ecosistema lagunare che sta crollando sotto il peso di opere impattanti come il Mose... e ci fermiamo qua.
Insomma, i temi, in una realtà complessa e differenziata e che comprende Venezia, le isole, il polo industriale e la terraferma mestrina, non mancano. Quelli che mancano sono gli interlocutori. Impossibile non ripensare ai “bei tempi andati” quando i candidati, e prima di loro i partiti, sistemavano una sedia in una qualche fondamenta, esponevano un programma che non era fatto solo di slogan confezionati da qualche pubblicitario, parlavano con la gente, ascoltavano gli interventi, e rispondevano – addirittura! – alle domande dei giornalisti, i quali avevano un solo obiettivo: mettere in difficoltà l’aspirante sindaco, qualsiasi fosse il suo schieramento. Bei tempi. Andati, soprattutto. Adesso, se escludiamo quei sei o sette candidati che si sono presentati solo per far “colore locale”, tra i due più accreditati – Orsoni e Brunetta - pare di assistere ad un dialogo con interposte persone. Se le mandano a dire sui giornali, quando va bene. E d’altra parte come si fa a dialogare con un ministro di Roma che preferisce andare ad “Affari tuoi” che nelle calli di Venezia? Se poi quel ministro si chiama anche Brunetta, possiamo pure tirarci una riga sopra, al confronto democratico. Impossibile fargli domande. Il signor ministro è impegnato. Impossibile intervistarlo a meno che tu non sia un giornalista di “suo gusto”. Il signor ministro non parla con tutti. Impossibile un confronto con gli altri candidati. Il signor ministro è a Roma. Impossibile un confronto con sindacati e categorie. Il signor ministro fa il suo comizio ma poi scappa perché c’è l’aereo (quello del ministero) che lo attende. E così si marcia a sparate. Cosa che il nostro candidato sa fare alla grande. “Regalerò le case dell’ater agli inquilini”. Tanto, non c’è nessuno che gli possa chiedere: ma son tue o della Regione. “Mara Venier assessora” E a far che? “Porterò a Venezia otto ministri” Ci mancherebbe solo questo! In compenso, le cassette postali dei veneziani sono stipate ogni mattina dalle sue lettere d’amore in carta non riciclabile che per smaltirle tutte servirà sul serio l’Sg31. Amore? Proprio così. “Vi voglio bene” è l’inevitabile conclusione del ministro - candidato dopo che ci ha spiegato, con una mano sul cuore, perché sta facendo tutto questo per noi. Ci ama. E’ per questo che promette di venire perlomeno uno o forse anche due giorni alla settimana in laguna a fare il sindaco. Ci ama. Ed è per questo che ha speso per noi oltre un milione di euro tra gadget, pubblicità nei giornali e manifesti elettorali. Ci ama. Ma non al punto da dirci dove ha preso questi soldi. Ci ama ma si dimentica di indicare il committente nei suoi depliant. Nella mia ignoranza, credevo fosse un obbligo di legge per una questione di trasparenza dei finanziamenti. Ci dev’essere qualche decreto interpretativo che glielo consente. Però devi essere ministro e avere il cognome che comincia con B.

Sile e cemento

Che gli speculatori speculino, e che i cementificatori cementifichino, farà anche tristezza ma rimane comunque nell’ordine naturale delle cose. Se a voler costruire centri dirigenziali, parcheggi e villini di lusso all’interno di un parco naturale, è lo stesso Ente Parco, la faccenda si fa quanto meno paradossale. Eppure è quanto sta per succedere nella marca trevigiana. Il parco in questione è quello realizzato sulle sponde del fiume Sile. Un fiume storico per il Veneto. La dolcezza e la ricchezza delle sue acque ne hanno fatto sin dagli albori della storia, un sito di attrazione per le popolazioni nomadi e le sue sponde hanno fatto da culla per la civiltà degli antichi Veneti.
E’ anche il fiume di risorgiva più lungo d’Italia, il nostro Sile. Nasce nel confine tra il trevigiano e il padovano, tra Casacorba di Vedelago (Treviso) e Torreselle di Piombino Dese (Padova). Settanta chilometri più a valle, a Portegrandi, arriva in quella laguna che aveva contribuito a creare. Un tempo vi si gettava, ma nel 1683 la Serenissima lo fece deviare lungo il cosiddetto “taglio del Sile”. Nel 1991, la Regione Veneto istituì sulle sue sponde un parco regionale di 4 mila e 152 ettari. Lo scopo, dichiarato nella legge istitutiva, era quello di “proteggere, salvaguardare, valorizzare, mantenere e tutelare il suolo e il sottosuolo, la flora, la fauna del Sile”. A tal proposito, ogni cinque anni Regione e Provincie nominano un presidente, un consiglio, un comitato esecutivo, varie commissioni, revisori dei conti, eccetera eccetera. Spreco solo due righe per ricordare che, nel’ottica di spartizione regionale popolo delle libertà - lega, gli organi dell’ente parco sono tutti di nomina padana. Ebbene: che ti fa l’ente parco invece di tutelare, preservare, eccetera eccetera? Per “valorizzare l’ambiente” di sua competenza avvia “progetti di recupero” che altro non sono che piani di edificazione veri e propri. Un esempio è il progetto di “recupero” degli ex-mulini Mandelli che prevede la realizzazione di nuovi edifici residenziali (condomini e villette) nell’area verde che si estende alle spalle degli ex-mulini e che verrebbe ridotta a giardino più o meno privato per i nuovi residenti. “Non ci stupisce che l’edificazione lungo le rive del Sile possa essere un obiettivo ambito per i costruttori – spiega Gigi Calesso, portavoce dell’associazione Un’altra Treviso – belle abitazioni lungo il fiume, immerse nel verde, con un tocco di rustico… sono senz’altro un buon affare in un territorio cementificato e inquinato come il nostro. Quello che ci risulta invece di difficile comprensione è che a promuovere questo tipo di iniziative sia l’Ente Parco del Sile la cui funzione dovrebbe essere, al contrario, quella di tutelare e difendere le bellezze naturali del fiume”. L’associazione Un’altra Treviso – che da anni si batte per ricordare a tutti che Treviso non è solo Lega&Gentilini – ha raccolto circa un migliaio di firme per chiedere all’Ente Parco di fermare questo scempio ambientale. “Siamo indignati nel constatare che ad avviare l’iter per la cementificazione delle rive del Sile non siano state le richieste dei costruttori ma lo stesso Ente Parco attraverso lo strumento della variante al Piano Ambientale che a tutto dovrebbe servire meno che a portare a nuove edificazioni lungo le sponde del fiume”. Nella faccenda non mancano neppure aspetti curiosi: doppi incarichi, conflitti di interesse e delibere con la data di Ferragosto. Quattro anni fa, quando i proprietari dei Mulini, tentarono un’altra strada per il “progetto di recupero”, nella richiesta avanzata dall’Ente Parco alla Regione si scriveva che il percorso tecnico-amministrativo era stato “individuato di concerto con il Comune di Treviso”. Ma l’assessore all’Urbanistica Sergio Marton e il presidente della Commissione Urbanistica Sandro Zampese (serve scrivere di che partito sono?) hanno sostenuto che il Comune non sapeva nulla del progetto. Eppure, in quella vicenda, il Comune di Treviso dimostrò zelo e solerzia degni di miglior causa: la richiesta da parte dell’Ente Parco, infatti, venne protocollata in municipio il 10 agosto 2006 e dopo solo pochi giorni (il 17 agosto) venne inoltrata in Regione. E poi dicono che a Ferragosto in Comuni son tutti in ferie! E che dire dei doppi e tripli incarichi? Zampese, presidente della commissione urbanistica, nel 2001 ha predisposto la variante al Prg di Treviso in cui si evidenziavano elementi di conflittualità con il Piano Ambientale del Parco del Sile. Nel 2004 lo stesso Zampese era uno dei professionisti incaricati dall’Ente Parco a predisporre una variante al suo Piano Ambientale. Controllore e controllato, esaminatore ed esaminato allo stesso tempo. E che dire di Vittorio Domenichelli? Un noto professionista che offre un parere ‘pro veritate’ alla Mandelli Srl a sostegno dell’iter tecnico-amministrativo utilizzato a suo tempo per presentare il progetto (in alternativa all’inserimento nella variante) e che era già intervenuto nella vicenda dei Mulini difendendo un privato cittadino contro le previsioni urbanistiche che l’amministrazione di Treviso stava predisponendo sull’area in oggetto. Inoltre, Domenichelli è anche consulente della Regione Veneto per individuare iter tecnico-amministrativi che permettano il project-financing di opere pubbliche anche su aree che rimangano di proprietà privata. “Non sono incompatibilità giuridiche, sia chiaro - conclude amaramente Gigi Calesso – al massimo le possiamo definire acrobazie tecnico amministrative. Ma di sicuro la trasparenza sta tutta da un’altra parte. E a noi non resta che stupirci nel constatare come in questa vicenda, gira e rigira, compaiono sempre le stesse persone. Ora in un ruolo, ora in un altro”.

Caro Zaia, gli inceneritori fatteli a casa tua!

Sui volantini elettorali che gli ambientalisti distribuiscono nelle piazze di Marghera si legge: “Caro Zaia, le scoasse e gli inceneritori, tienteli a casa tua”. In laguna, l’inceneritore è un tema che scotta e l’approvazione, la scorsa settimana, da parte della Giunta di due delibere presentate dagli assessori Renzo Marangon e Giancarlo Conta, pur se avvenuta in sordina, non è ugualmente passata sotto silenzio. Fiutando l’aria che tirava, l’assemblea permanente contro il rischio chimico e altre associazioni ambientaliste hanno organizzato un lungo e pittoresco corteo acqueo da piazzale Roma sino a palazzo Balbi per depositare nelle mani del governatore oltre 15 mila firme a sostegno di una petizione popolare in cui si chiedeva di non trasformare Marghera nella pattumiera del Veneto.
Le rassicurazioni del capo di Gabinetto di Galan sul rinvio della contestata delibera a dopo le elezioni, evidentemente, valevano per la Giunta regionale quanto la carta con cui sono state raccolte le firme: scoasse da incenerire. Tanto è vero che qualche giorno dopo, sono state approvate le due delibere contestate. Giancarlo Galan, l’uomo del “basta fare”, scende dallo scranno di presidente della Regione lasciandoci in eredità un riavvio (e potenziato!) del forno inceneritore di rifiuti pericolosi SG31 da 100 mila tonnellate gradualmente aumentabile a 125 mila. Inceneritore gestito da una società privata, la Simagest tramite la concessionaria regionale Sifa, che sarà l’unica a guadagnarci da tutta la vicenda. E’ appena il caso di ricordare che “società privata” equivale a scrivere “meno controlli”. A Marghera arriveranno quindi rifiuti tossici provenienti da tutta Italia e la memoria fa male, perché torna a ripensare ad una stagione che credevamo, speravamo, di esserci lasciati alle spalle per sempre: quella delle navi dei veleni come la Jolly Rosso, dei traffici controllati dalla mafia, delle emissioni inquinanti e degli allarmi chimici. Allora, l’Sg31 era in funzione pur se bruciava “solo” 40 mila tonnellate annue contro le 100 mila previste oggi. Insomma, sono tornati. E sono tornati più affamati di prima. Proprio vero che “resistere” è un verbo da coniugare sempre al presente. “Bloccheremo le entrate dell’inceneritore, bloccheremo i mezzi che portano le decine di migliaia di tonnellate di rifiuti tossici da bruciare nell’aria e da riversare, in cenere, nei nostri polmoni e nell’ambiente – annuncia il consigliere regionale dei Verdi Idea, Gianfranco Bettin -.
La Regione, Zaia, troveranno la risposta che si meritano. Questa operazione non passerà: la fermeremo, visto che la democrazia è stata calpestata dalla giunta regionale, con il ricorso alla magistratura e con la disobbedienza civile”.
“La decisione della giunta regionale del Veneto - continua Bettin - rappresenta un colpo violento all’ambiente e alla salute della popolazione e un colpo altrettanto duro all’evoluzione economica e industriale dell’intero polo di Porto Marghera e di Venezia perché ne riporta indietro la storia di decenni.
La Giunta attuale, con il sostegno diretto di Luca Zaia, che più volte si è detto d’accordo, si schiera così contro la vita della popolazione e contro l’ambiente e contro il futuro eco-compatibile della città. Ma si schiera anche contro la democrazia, eludendo ogni percorso partecipativo e ogni confronto con la popolazione e i suoi organismi rappresentativi che, infatti, si sono schierati tutti contro questa operazione”. Sullo stesso tono di Bettin, il candidatio sindaco del centrosinistra, Giorgio Orsoni, e lo sfidante alla carica di Governatore Veneto, Giuseppe Bortolussi. “Ritengo inammissibile che una Giunta regionale, che non ha mai saputo approvare un piano regionale per la gestione dei rifiuti speciali – ha dichiarato Bortolussi - decida di riattivare un impianto così impattante e pericoloso su un’area come quella della terraferma veneziana, già ampiamente compromessa dal punto di vista ambientale”. A difendere a spada tratta l’impianto Sg31, ci pensano i due ministri – candidati, Luca Zaia e Renato Brunetta, che parlano di strumentalizzazioni elettorali dei “soliti rosso verdi” e di “normale evoluzione di un progetto già in vigore, approvato da tutti e che risolverà tanti problemi ambientali”. Brunetta fa finta di non sapere che un conto è un inceneritore fermo, come è oggi l’Sg31, un altro conto un inceneritore che brucerà 100 mila tonnellate di rifiuti tossici portati in laguna da tante altre Jolly Rosso.

Mafia e grandi opere. Intervista con Walter Mescalchin

Walter Mescalchin, negli anni in cui la banda di Felice Maniero imperversava nella Riviera, era sindaco di Camponogara. Il suo Comune fu uno dei primi a costituirsi parte civile nel maxi processo contro la mala del Brenta assieme alla Provincia di Venezia. “Fu un momento importantissimo – spiega –. Il nostro esempio fu seguito da tutti e dieci i Comuni della Riviera e riuscimmo a ribaltare un sistema nazionale che chiedeva alle istituzioni locali di rimanere fuori dalle indagini. Invece noi abbiamo contribuito a dimostrare che attraverso la legalità è possibile vincere la mafia”. Altri tempi. L’anno scorso, nell’ultima udienza del maxi processo, era rimasta solo la Provincia – che ancora era in mano al centro sinistra – sul banco della parte civile. Tutti i Comuni rivieraschi, chi passato alla Lega e chi a Forza Italia, si sono defilati uno per uno. “Adesso sta passando, anche e soprattutto attraverso le istituzioni e la politica, un modo di pensare mafioso.

C’è la tendenza a farsi gli affari propri, emergono quei messaggi leghisti che sono l’esatto contrario di quelli di solidarietà su cui si fonda la convivenza civile. Viviamo in un clima difficile e pericoloso. Eppure la mafia si combatte solo attraverso una cultura diversa. Non è soltanto questione di xenofobia e razzismo. L’aspetto più negativo e il non rispetto delle regole. La mafia insegna che ‘le regole le faccio io’. Coltivare la cultura mafiosa significa non obbedire alle regole e costruire uno Stato a misura della convenienza del più forte, perseguire solo i propri interessi, avere la ricchezza come unico fine e come unico metro di giudizio. E questa non è solo la lega. Lei ha portato all’esasperazione questo messaggio, ma tutta la destra Veneta agevola questo aspetto e pure certa sinistra ha le sue colpe”. Chiusa la carriera politica come amministratore, Walter Mescalchin ha continuato nell’impegno civile su due binari distinti ma affatto separati, lavorando con Libera e col comitato ambiente e territorio della Riviera del Brenta. Mafie e grandi opere, infatti, non sono che due facce della stessa medaglia.
“Facciamo pure l’esempio della Romea Commerciale. Adesso si fa un gran ragionare su dove realizzare l’innesto. Tutto questo senza entrare nei non trascurabili dettagli del tipo: l’intera opera serve o non serve? Nel caso deve per forza essere una autostrada? E soprattutto chi la deve realizzare? Ci siamo tutti scordati di quei due anni di battaglia di ricomposizione societaria che hanno portato ad indagare Vito Bonsignore per il riciclo di denaro sporco? Adesso Bonsignore, eletto eurodeputato nelle file del Pdl in un collegio di Torino, è sempre al vertice della cordata e lo Stato e l’Anas hanno affidato a lui la realizzazione dei lavori. Eppure il processo per riciclo è tutt’altro che concluso. Tra l’altra, si è garantito per 50 anni l’introito del pedaggio”. Uno tra i tanti esempi di come le logiche di riciclaggio condizionino lo “sviluppo economico”, ma potremmo tranquillamente scrivere lo “stupro”, del territorio.
“Già! Non possiamo più continuare ad accettare che ‘basta fare’. A partire dagli stessi Comuni che accettano che venga loro derubata da commissari e leggi speciali la possibilità di pianificare gli interventi. Dobbiamo tornare a fare una battaglia per le autonomie e non sul federalismo. Lo Stato non può dire cosa fare ai Comuni. Oggi passano logiche aberranti. Senza discutere, senza ragionare con i cittadini, stanno pensando di ridurre i componenti dei consigli, eliminare le municipalità e le stesse Provincie. Così i Comuni diventano la lunga mano amministrativa delle Regioni. E questo il federalismo di Bossi: non uno Stato partecipato ma un centralismo su scala media. Un gioco che piace alla mafia. Oggi il suo interlocutore privilegiato non è più il sindaco ma il commissario che lo sostituisce per le decisioni di peso. Il veicolo per il riciclo del denaro non è l’appaltino sulle polizie in Comune ma le grandi opere: Passante, Romea Commerciale, Mose, Quadrante di Tessera, Veneto City… Operazioni enormi in cui vengono veicoli miliardi che non sono mai gestiti dal territorio ma a livello regionale o con un commissario di riferimento che decide per tutti. Questo e il sistema che hanno creato apposta. Poi, ogni tanto, qualcuno viene pescato con le mani sulla marmellata come nel caso di Bonsignore ma non si va mai fino in fondo”.
Tra le grandi opere, grandi danni per cittadini e grandi affari per la mafia, ci mettiamo pure l’inceneritore di Marghera?
“Perché crede che vogliano farlo costruire ai privati? Così lo Stato non potrà controllare cosa viene smaltito in quelle ciminiere. Il traffico di rifiuti così come quello delle armi, è uno di quei mercati che, per loro stessa natura, possono essere gestiti solo dalla criminalità organizzata. Una stagione che Marghera ha già vissuto ai tempi di Craxi e del suo ministro degli esteri De Michelis con i fusti portati dalla Jolly Rosso quando si delineavano quelle rotte di traffici di armi e di rifiuti tossici che hanno portato, tra le altre cose, anche all’omicidio di Ilaria Alpi. L’Sg31 riaprirà il porto di Marghera alla criminalità organizzata con la complicità degli stessi industriale. Il che non è una novità. Ce lo ricordiamo o no che per venti anni i nostri rifiuti tossici sono stati smaltiti a Caserta dai Casalesi, e che oggi in tutto il casertano non c’è un metro di terra coltivabile?”
Da buon ministro dell’agricoltura, questo Zaia lo saprà di sicuro! Possiamo dunque affermare che nel Veneto esiste una forte infiltrazione mafiosa?
“La mafia, intesa come criminalità organizzata e non come la vecchia Cosa Nostra siciliana tutto lupara e fichi d’india, esiste in tutto il mondo e controlla almeno il 60 per cento della finanza. Il Veneto, in quanto terra di investimenti e di grandi opere, è una regione appetibile per il riciclo di denaro sporco. Pensiamo alle tante banche che sono arrivate e al proliferare dei centri commerciali stranieri. Ha notato quei negozi super lusso che aprono e chiudono nell’arco di pochi mesi? Chi altro, se non chi ha come obiettivo il riciclaggio del denaro e può permettersi di investire 100 per ricavare 80, lavora in sicura perdita?” Oltre che il tradizionale mercato della droga, la mafia controlla anche il mercato del lavoro nero. Lo abbiamo visto a Rosarno. E nel nordest? “Da noi, nel settore delle costruzioni, la mafia controlla migliaia di lavoratori. Per la maggior parte sono stranieri che la mafia usa per controllare il mercato del lavoro. Un caporalato che nasce addirittura nei loro paesi d’origine a ricordarci che il fenomeno mafioso oggi è un fenomeno globalizzato. D’altra parte, la cultura di sfruttamento dell’uomo sull’uomo è tipica della mafia. E’ da qui che dobbiamo ripartire per ribadire che la legalità è l’unico mezzo per sconfiggere la criminalità anche quella che siede nei palazzi della politica e della finanza: i diritti sono di tutti e non sono mai negoziabili”.

Elettrosmog, serve una legge per difenderci. Intervista con Angelo Gino Levis

Una sentenza storica, quella emessa dalla Corte d'Appello di Brescia il 10 dicembre dell’anno scorso che ha accolto il ricorso di un dipendente Inail esposto per lavoro alle onde elettromagnetiche di cordless e cellulari, riconoscendogli la malattia professionale con invalidità all'80 per cento. Per la prima volta, un tribunale ha accettato il nesso tra l’uso frequente di telefoni mobili e l’insorgenza di patologie tumorali. Angelo Gino Levis, biologo e studioso di fama internazionale sugli effetti dei campi elettromagnetici sul corpo umano e vicepresidente dell’Apple, l’associazione per la prevenzione e la lotta all’elettrosmog, è stato il perito di parte civile che ha contribuito a questa storica sentenza.

“Una sentenza che farà storia e già ripresa dai motori internazionali. La prima sentenza al mondo che riconosce la correlazione tra tumori e telefoni mobili dal punto di vista uso professionali. Ma facciamo attenzione: la sentenza riguarda una malattia professionale, ma la documentazione scientifica citata dal tribunale riguarda la popolazione comune e l’uso normale dei cellulare. Non soltanto un uso straordinario, come capitato a questo disgraziato che per dieci anni ha lavorato con telefonia mobile”.
L’Apple organizza periodicamente incontri nelle scuole pubbliche per informare i giovani sulla pericolosità dei cellulari e consigliarne un uso intelligente. A questo proposito, dal sito dell’Apple - www.applelettrosmog.it - è scaricabile un interessante opuscolo che spiega nei dettagli le precauzioni da prendere.
“Un uso cautelativo del cellulare e del cordless è senz’altro un bene, ma sarebbe necessaria una revisione della normativa nazionale e un abbassamento dei limiti di esposizione. L’ha chiesta anche il parlamento europeo nel marzo dell’anno scorso ma la commissione europea continua a fare orecchi e da mercante”.
Un problema che riguarda non solo i cellulari ma anche le stazioni radiobase.
“ Mentre possiamo identificare con precisione gli utilizzatori di cellulari e attraverso interviste e questionari capire quanto e da quanto tempo lo usano, per l’esposizione ad una stazione radiobase abbiamo tutti i problemi che si hanno quando si indaga dal punto di vista epidemiologio una popolazione che è esposta a tutto un miscuglio di inquinanti cancerogeni, dal benzene da traffico alle polveri sottili e magari anche vivono vicino ad un elettrodotto. Ma comunque sono state fatte interressanti indagini epidemiologiche di tipo geografico, identificando serie di abitazioni a varia distanza dal centro radiante e misurando il campo elettrico sulla frequenza emessa da queste stazione radiobase nelle camere da letto. Mi riferisco ad uno studio condotto in Svizzera dove è stato dimostrato con dati statistico che i disturbi della popolazione aumentano dove il campo è più forte: insonnie, cefalee, crampi muscolari, perdita della memoria, sudorazione, sensazione di freddo. Tutta la gamma di disturbi che vanno sotto il nome di
fenomeni di elettrosensibilità. A Venezia c’è un caso famoso di una signora con un innesto metallico alla gamba che le provoca dolori lancinanti se solo passa
nelle vicinanze di una sorgente di campo elettromagnetico. Possiamo dunque affermare che questi disturbi sono correlati statisticamente con valori di campo elettrico dell’ordine di meno di 0,6 volts su metro. Cioè dieci volte meno dell’attuale limite di esposizione per legge! Quindi ben vengano le misure di autotutela ma dobbiamo anche insistere perche si ci sia una programmazione nelle installazioni delle staziono radiobase. Cosa che oggi non possiamo fare perché, col codice delle comunicazioni elettroniche, i Comuni sono stati castrati”. Come è la situazione nel Veneto? “L’eccesso di stazioni in alcune città del Veneto, come Padova, Treviso e Venezia è spaventoso! E ci sono zone in cui questa concentrazione e al di là di ogni immaginazione. A Padova la zona dell’ospedale, sul garage del Busonera ci sono 14 impianti! Ma anche a Mestre, nel quartiere di Zelarino, la situazione è tragica”.
Come è la situazione per quando riguarda il fronte elettrodotti? “Queste sono tecnologie che esistono da quasi un secolo e i dati epidemiologici sono sicuri. Nel 2001 l’agenzia internazionale per le ricerche sul cancro di Lione che opera per l’Oms, ha raccolto un gruppo di scienziati e ha curato una monografia sulle bassissime frequenze, che sono quelle che usano gli elettrodotti, e ha dimostrato sulla bade di due metanalisi – cioè ampi studi che per maggior sicurezza analizzano e tengono conto di varie ricerche –un raddoppio della frequenza di leucemie infantile nei residenti in prossimità di elettrodotto per valori di campo superiori a 0,3 o 0,4 microtesla. Già nel 1993 la Regione Veneto su iniziativa dei Verdi aveva varato una legge che fissava in 0,2 microtesla il valore di cautela per le abitazioni in prossimità di elettrodotti. Questa legge e stata impugnata dal governo Prodi e ci son voluti 7 anni di battaglie legali perché la corte costituzionale la dichiarasse legittima. E’ entrata in vigore nel 2000 e sull’onda del Veneto altre Regioni come la Toscana e la Puglia hanno fissato questi limiti cautelativi. Certo, se invece delle metanalisi teniamo conto dei singoli studi, si trovano lavori che parlano di aumenti di patologie tumorali anche con 0,1 microtesla, ma in assenza di alternative migliori, una legge a 0,2 microtesla era comunque una ottima legge. Fino a che, l’8 luglio del 2003, il presidente del consiglio Berlusconi ha fissato con un decreto firmato di suo pugno il limite di 10 microtesla per i vecchi elettrodotti e per le case già costruite in loro prossimità, e di 3 microtesla per i nuovi. Quindici volte oltre il limite cautelativo stabilito dalle leggi regionali che sono cadute una dietro l’altra. Nel Veneto, ad esempio, è stato un costruttore del vicentino che voleva edificare vicino ad un elettrodotto, che l’ha fatta cadere”.
Con una legge nazionale che fissa dei limiti decisamente pericolosi, come può tutelarsi un semplice cittadino?
“A partire dal 2003, grazie ad una sentenza esemplare del tribunale di Venezia, la magistratura ha sancito un principio innovativo. Quando debbono decidere non solo su danni come leucemie o tumori, ma anche sull’esistenza di rischi potenziali, i giudici fanno sì riferimento ai limiti di legge ma anche sulla perizia ordinato ai periti che tengono conto dei migliori dati che la letteratura scientifica. Siccome la letteratura ha dimostrato che al di sopra dei 0,3 o 0,4 microtesla c’e un aumento dell’incidenza delle patologie tumorali, i giudici possono affermare che esiste un rischio inaccettabile per la salute e intervenire imponendo misure di messa a norma, di diminuzione della tensione, di interramento o dismissione dell’impianto. Questo è un principio che fa riferimento addirittura ad una sentenza della suprema Corte di cassazione. Se il consulente nominato dal tribunale non è un venduto e ha serie competenze nella questione non può ignorare questi rischi oramai ampiamente documentati. Il problema di fondo è che è sempre il cittadino a doversi rivolgere alla magistratura per ottenere giustizia. Una battaglia dura ma non impossibile. Nel Veneto ci sono gruppi organizzati che hanno saputo farsi sentire. A fronte di queste sentenze, ad esempio, la Terna sta cominciando a interrare gli elettrodotti a Ponte delle Alpi, dove nelle scuole abbiamo addirittura rilevato campi di 13 microtesta”.

Sporchi affari in Veneto

“Quei verdi ambientalisti che in parlamento europeo fanno la loro”. E ancora: “Purtroppo in ambasciata c’è ancora la gente che la Prestigiacomo non è riuscita a togliere, quindi abbiamo un piccolo… una piccola massa critica negativa che lavora con i funzionari della Commissione”. La commissione in questione è quella ambientale europea “che non ci difende mai”. Il virgolettato invece è tutto di Guido Bertolaso, sottosegretario alla protezione civile, stralciato da una sua conversazione telefonica datata 7 marzo 2009, con il sottosegretario alla presidenza del consiglio Gianni Letta. Il quadro è quello dello scandalo sull’intreccio tra affari e attività della Protezione civile.
Uno scandalo che non ha risparmiato opere ricadenti nel territorio veneziano e veneto, e che ha fatto emergere dalle intercettazioni telefoniche e dai riscontri più generali della magistratura, un intenso lavorìo degli indagati e dei loro referenti politici e istituzionali mirato a vanificare procedure e attività di controllo finalizzate a tutelare l’ambiente. E non è un caso che dalle conversazioni telefoniche emerga fastidio – se non addirittura piani di neutralizzazione - nei confronti di chi della tutela dell’ambiente ha fatto una sua bandiera. Come per l’appunto, i verdi. Fare luce sull’intreccio tra affari e protezione civile anche a Venezia e nel Veneto, è quanto il consigliere regionale Gianfranco Bettin ha chiesto in una sua interrogazione alla Giunta. “Dall’inchiesta su affari e Protezione Civile – ha dichiarato l’ambientalista – emerge il reiterato tentativo di aggirare le procedure e i vincoli a tutela dell’ambiente. Solo così, infatti, si favorisce il business spudorato e senza freni, che non si è fermato di fronte a niente, di quelli che, pensando al proprio ‘business’ ridono mentre la gente muore, e di tutti quelli che della speculazione fanno la loro cinica ‘mission’. Da questa inchiesta si capisce anche meglio che la destra e i poteri ammanicati con questi sporchi affari hanno tutto l’interesse a far tacere la voce degli ambientalisti. Anche questo spiega perchè, ormai da mesi e mesi, la Rai in mano alla destra ha cancellato la voce dei verdi”. Una situazione intollerabile da democrazia sospesa, contro la quale il leader nazionale dei Verdi, Angelo Bonelli, da un mese sta effettuando uno sciopero della fame. “Togliere la parola agli ambientalisti, in televisione, sui media in genere, e rimuoverli dagli organi di controllo, o tagliare i contributi statali agli organi d’informazione liberi come sta accadendo – continua Bettin- è un favore fatto agli speculatori, a chi fa a pezzi l’ambiente e, insieme, la stessa democrazia”. Nella sua interrogazione a risposta urgente, il consigliere dei Verdi fa notare come anche nel Veneto, in svariati casi legati alla realizzazione di opere pubbliche di enorme impatto, si sono registrati episodi di inizi di lavori prima della firma della Valutazione di Impatto Ambientale, e chiede alla Giunta di verificare se, a proposito di tali opere, “siano stati messi in atto tentativi di aggirare procedure, di intervenire sul piano strettamente politico e non tecnico per vanificare vincoli e prescrizioni, per ridimensionare il peso e il ruolo di chi è preposto, per il ruolo e per la competenza, a far rispettare l’ambiente e l’ecosistema interessati da tali opere”.

Legalità e confini certi per la pace. Intervista con Nandino Capovilla

L’appartamento di padre Nandino Capovilla è esattamente come ci si aspetta che sia l’appartamento del coordinatore nazionale di Pax Christi: pieno zeppo di libri che parlano di pace e non violenza, di prodotti del commercio equo e solidale, e di colorati ninnoli che provengono dall’artigianato di popoli più o meno oppressi in più o meno tutte le parti del mondo. Siamo a Marghera. Esattamente dall’altra parte delle strada dello storico centro sociale Rivolta. Padre Nandino è appena tornato dalla Palestina dove ha organizzato una “presenza attiva” per difendere un boschetto di limoni che l’esercito israeliano aveva deciso di distruggere.
“Ma è finita che le ruspe son passate sopra lo stesso – spiega -. C’è poco da fare. Nei territori occupati la situazione è impossibile da descrivere se non la si vive di persona. E’ tutto una follia. Altro che discorsi di pace. La pace implica legalità e confini certi. In Palestina non c’è né l’uno né l’altro”. Ogni estate Pax Christi porta in Palestina una cinquantina di volontari per aiutare le famiglie palestinesi nella raccolta delle olive. “In un contesto in cui non hanno nessuna certezza, perché l’autorità palestinese semplicemente non conta niente e l’esercito israeliano fa il bello e il brutto tempo, la sola presenza di persone provenienti dall’Europa è importantissima per questa gente. Gli regala qualche giorno di tranquillità per completare il raccolto che è una dello loro poche fonti di guadagno. Dal nostro punto di vista lo scopo è duplice, aiutare i palestinesi ma anche fare vedere la realtà che si vive in Palestina a chi sente parlare del conflitto arabo israeliano solo dalla televisione. Ti assicuro che vista dal di dentro, le questione assume tutta un’altra valenza”. Tornati in Italia, i volontari di Pax Christi organizzano dibattiti, incontri con le scuole e stampa di materiali e libri. L’ultimo, scritto dallo stesso Nandino Capovilla, “Un parroco all’inferno” edizioni Paoline, racconta la storia di abuna Manuel Musallam (abuna significa prete) che ha vissuto dal di dentro l’assedio di Gaza. Tutta un’altra storia da quella raccontata dai nostri telegiornali. “L’assedio di Gaza è stato una punizione collettiva. Non si sono cercati i responsabili che hanno tirato i razzi contro i civili israeliani. Hanno voluto vendicarsi contro donne e bambini innocenti” spiega padre Nandino. “D’altronde, cosa significa ‘punire Hamas’? Hamas non è un gruppo di persona ben definito ma è dentro lo stesso tessuto sociale palestinese. E’ stato eletto democraticamente come risposta alla corruzione e all’incapacità che dominava nel paese quando governava Al Fatah. In Europa Hamas è presentato come il volto del terrorismo islamico. Ed è vero che c’è anche questa componente, ma è anche vero che – pur in un clima di totale chiusura come quello che si è trovato di fronte – Hamas ha cercato di governare e di ridare ordine ad una situazione caotica portando avanti progetti di pace come la costruzione di scuole e ospedali”. Stritolati tra integralismo islamico ed esercito israeliano, quale potrebbe essere una possibile via di uscita per i palestinesi? “Il processo di pace non va avanti. Questa è una verità innegabile. Non va avanti perché di pace non ha niente. Si rimanda, si rimanda… sino a che il processo si arrotola su se stesso per garantire che non venga mai fatto niente”. Padre Nandino riesce a recuperare sotto una pila di libri un grosso volume di piantine militari. “Sono le mappe dell’Onu. Se a Tel Aviv si accorgevano che le avevo in valigia mi arrestavano… comunque dai un’occhiata. Questa sarebbe la linea verde. Non significa nulla. Questi in blu gli insediamenti dei coloni. Sono dappertutto. Gerusalemme est è tutta una gru. E guarda quanto blu. Quando mai potrà diventare la capitale dello stato di Palestina? Mai! In queste condizioni, la gente si attacca alle piccole storie. Storie che non fanno notizia né nella Grande Storia né nelle cronache dei giornali. Sono vicende di ordinaria resistenza pacifica. Potrei farti centinaia di esempi: i contadini che si mettono davanti alle ruspe per difendere il campo, i sit in sotto il muro tutti i venerdì che puntualmente vengono repressi con violenza inaudita dai soldati. La scorsa settimana, l’esercito ha dichiarato zona chiusa proprio quei villaggi in cui si pratica la resistenza non violenta e dove il terrorismo non centrava niente. Significa che se c’è una resistenza popolare questa fa paura. Ma è anche un segnale che la pace è possibile”. Dall’altra parte del muro non ci sono segnali di pace? “Dal governo di Benjamin Netanyahu no di sicuro. Ma dalla società civile israeliana sì. Anzi, è una realtà che è in continua crescita. Ti faccio un solo esempio. Tu sai vero, che l’esercito dopo aver distrutto un villaggio vi costruisce sopra un parco per cercare di distruggerne anche la memoria? Beh, c’è un’associazione molto attiva che organizza gite con le scolaresche per raccontare la storia del villaggio distrutto e, dopo aver chiesto i regolari permessi, ci pianta un cartello con scritto ‘Qui sorgeva il villaggio tal dei tali raso al suolo il tal giorno del mese…’. Il giorno dopo il cartello sparisce misteriosamente ma la sera loro vanno subito a ripiantarlo. Vanno avanti così per mesi sino a che il cartello rimane al suo posto. Lo so. Fa sorridere. Ma sono storie come queste che danno un senso e una speranza ad una pace possibile”.
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