In questa pagina ho riportato gli ultimi articoli che ho scritto per il quotidiano ambientalista Terra, il settimanale Carta, Manifesto, per siti come Global Project, FrontiereNews o siti di associazioni come In Comune con Bettin e altro ancora.

Razzismo Stop

Via Gradenigo è una stradina che costeggia il canale Piovego sino a Porta Portello che dà il nome al quartiere. Un quartiere, un tempo, di barcaroli che trasportavano merci e passeggeri sino alla serenissima capitale. Oggi è un quartiere di studenti a due passi dalla zona universitaria. Traffico, mini appartamenti in affitto a prezzi astronomici e rigorosamente in nero, giri di prostituzione di tutti i tipi, spaccio. E’ anche un quartiere di case occupate e di lotta sociale di antica tradizione. Qui, in via Gradenigo al numero 8, è partita nei primi anni novanta l’esperienza di Razzismo Stop. Erano gli anni in cui il fenomeno delle migrazioni iniziava ad affacciarsi nella realtà italiana e la coglieva assolutamente impreparata. Furono i ragazzi di Razzismo Stop a battersi sin dall’inizio perché i migranti fossero visti come una risorsa e un arricchimento culturale e non lavoratori da sfruttare o pericoli sociali.
In questi anni centinaia di migranti si sono rivolti agli sportelli informativi di via Gradenigo, altri hanno approfittato dell’ospitalità dei locali per organizzare le prime associazioni di migranti. Oggi, chi si bussa alla porta di Razzismo Stop la domenica, ci trova un gruppo religioso senegalese in preghiera. Il sabato, una squadra di cricket composta di migranti dello Sri Lanka (col grosso problema di non trovare avversari con cui misurarsi). Tanti anni di battaglie per Razzismo Stop, con la convinzione che le più dure sono ancora tutte da combattere. Luca Bertolino è un’attivista dell’associazione e si occupa degli sportelli informativi su temi come la scuola, il diritto, la casa e la salute. “Da noi vengono un po’ tutti. Ad esclusione dei cinesi con i quali non siamo mai riusciti a stabilire contatti – racconta- Cosa ci chiedono? I problema principale in questo periodo è quello della casa mentre fino a poco tempo fa era il lavoro. La crisi si fa sentire e sono in molti a non riuscire più a pagare l’affitto o a mantenere il mutuo”. In tal caso, l’associazione interviene con i propri avvocati. Nel caso non ci fossero margini per l’intervento legale e lo sfratto fosse già esecutivo, con la mobilitazione. “Un fenomeno preoccupante che sta crescendo sempre di più – spiega Luca – sono gli episodi di razzismo. Ricordiamo solo le botte della polizia ai due dj neri che hanno avuto come risposta la più grande manifestazione di migranti a Padova nel settembre del 2008. Episodi di razzismo, a nostro parere, sono anche le ordinanze del sindaco Flavio Zanonato che impone chiusure anticipate e divieti ad attività commerciali gestite da stranieri. Ci sono strade, a Padova, in cui due bar, uno di fronte all’altro hanno regole diverse perché uno è di proprietà di un italiano e l’altro di un migrante. Contro queste prevaricazioni abbiamo fatto molti ricorsi al Tar, non di rado vincendoli”. L’ultima iniziativa di Razzismo Stop sono i corsi di informatica. “Vi partecipano in particolare donne dell’est. Quasi tutte sono badanti e vengono da noi nel loro giorno libero. Gli argomenti che gli stanno a cuore sono le mail, le chat, l’utilizzo di Skype… un modo per rimanere in contatto con i loro cari lontani. Ci sono anche gli internet point, è vero. Ma non ti insegnano ad usare il computer ed inoltre ti chiedono i documenti. Cosa che noi ci guardiamo bene da fare! Rispondiamo così, con la disobbedienza civile ad un ‘pacchetto’ di leggi incivili e vigliacche che con la sicurezza non ha nulla a che fare”.

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Melting Pot: tredici anni di controinformazione
Era il 1997 quando il sito www.meltingpot.org è apparso online. A partire da quel momento, ininterrottamente per 13 anni, il Progetto Melting Pot Europa, frutto della collaborazione tra il Comune di Venezia e la Cooperativa Teleradiocity, si è affermato come uno dei principali punti di riferimento italiani in materia di immigrazione e asilo. Grazie alla collaborazione di autorevoli giuristi, ricercatori, docenti, ma anche di attivisti che dalle tante redazioni italiane continuamente lo aggiornano, il sito offre gratuitamente una preziosa opera di controinformazione e approfondimento sui temi della cittadinanza, delle frontiere, del razzismo, oltre che un'importante guida legislativa per tutti i migranti che in Italia affrontano le difficoltà connesse alla burocrazia che riguarda i loro documenti. Da semplice sito informativo, Melting Pot si è evoluto sino a trasformarsi in un progetto integrato di comunicazione sul fenomeno dell’immigrazione, articolato in redazioni locali e collegamenti con le altre realtà europee che operano nel campo dell’accoglienza. Oggi, il Progetto Melting Pot Europa offre un completo archivio legislativo in materia di immigrazione che spazia dalla normativa italiana a quella europea, dalla giurisprudenza agli accordi internazionali. Premiato dall'eContent Award nel 2007 come miglior sito italiano legato ai temi dell'inclusione sociale, il più grande riconoscimento per Melting Pot e per chi lo ha costruito è dato dalle migliaia di visite quotidiane che da quando è nato non ha mai smesso di ricevere.

La classifica degli onesti

Chi sa mai se qualcuno si sarà sorpreso, nel leggera l’hit parade delle truffe ai danni dello Stato diffuse dal ministro Brunetta, di constatare che i napoletani sono più onesti dei veneti? Ma se qualcuno si è meravigliato significa che non conosce il Veneto. Oppure che ha la memoria corta e ha già infilato Tangentopoli nel dimenticatoio. E con essa tutta la politica delle Grandi Opere –dannose per il territorio ma danarose per le tasche di imprenditori senza scrupoli e amministratori poco onesti – che ha massacrato la nostra regione e che ancora detta la dura legge dello sviluppo predatorio. C’è anche una terza possibilità: non conosce Brunetta.

Fatto sta - le cifre, lo ripetiamo, sono tutte del ministero - che delle 20 mila “frodi ai danni dello Stato” consumate negli ultimi 5 anni in tutta Italia, il nostro Veneto è saldamente al secondo posto dietro la Sicilia con 773 truffe, 32 episodi di corruzione, 27 di concussione e 264 di abuso in atti d'ufficio. La Campania è dietro anche alla Lombardia, per quanto riguarda la corruzione, con 111 illeciti accertati contro 105. Val d’Aosta e Molise, profondo nord e profondo sud, sarebbero le regioni più oneste.
In quanto al trend, e questa è la vera ragione della diffusione di questa statistica da parte del ministro, i dati assicurano che si tratta di reati in forte calo: 5 mila e 500 nel 2006, 3 mila e 300 nel 2007, stessa cifra nel 2008, solo 1370 nel primo trimestre del 2009. Il che ha dato al ministro Brunetta la soddisfazione di affermare “Da quando ci sono io...” e di concludere con il consueto lancio di strali sui “fannulloni” in questo caso diventati pure “disonesti”. Che lezione ne traiamo da tutto ciò? Una sola: il ministero non sa cosa sia una statistica neanche per averlo letto su Wikipedia. Punto primo: i dati dovrebbero quantomeno essere rapportati al numero di abitanti di una Regione. Altrimenti è banale constatazione che nella Val d’Aosta si verifichino meno reati che nel più popoloso Lazio. Punto secondo: stiamo parlando di truffe accertate dalla magistratura. Come dire: la punta dell’iceberg. Al massimo queste cifre testimoniano l’efficacia dei controlli da parte degli inquirenti. Ma rimane comunque un dato opinabile, non potendolo rapportare al numero di truffe realmente commesse. Punto terzo la statistica non tiene affatto conto del tipo di illecito. L’automobilista indisciplinato che allunga 50 euro al vigile per non farsi togliere qualche punto dalla patente viene inserito in tabella con lo stesso peso dell’imprenditore che corrompe il funzionario incaricato di valutare l’inquinamento prodotto dalla sua industria. Una differenza non da poco ma che ci dice molto sui criteri con i quali opera il ministro.

La Lega ha sfrattato il prefetto di Venezia

La Lega ha sfrattato il prefetto di Venezia. Dura la replica del sindaco uscente: “Una vendetta politica – ha dichiarato Massimo Cacciari – di una gravità eccezionale”. Durissima la reazione del consigliere regionale dei Verdi, Gianfranco Bettin: “Sono come i fascisti. al posto dei federalismo vogliono i federali”. Il prefetto Michele Lepri di Gallerano era arrivato in laguna la scorsa estate.
Al di là del “burocratese” con il quale il ministro Maroni ha giustificato la rimozione, nessuno ha dubbi che il siluramento del prefetto sia stato un atto politico. O, per meglio dire, una ritorsione politica. La colpa di Michele Lepri è quella di non aver impedito il trasloco della comunità Sinti di via Vallenari nel nuovo villaggio. Durante il braccio di ferro tra la neo presidente lumbard della provincia, Francesca Zaccariotto, e il Comune di Venezia, il prefetto Lepri ha cercato di far da paciere invitando gli enti in questione a rispettare la legge e le loro specifiche competenze. In particolare il Prefetto si è rifiutato di far leva su presunte questioni di “sicurezza” per scatenare rappresaglie contro la comunità Sinti e impedire un trasferimento che l’amministrazione comunale aveva pianificato da tempo. Ricordiamo brevemente che la comunità Sinti che si trovava in via Vallenari su un terreno di loro proprietà, lascito della curia patriarcale, aveva pattuito col Comune il trasloco in un’area vicina e più idonea alla loro permanenza previa la realizzazione di alcune strutture come bagni, rete fognaria e alcune casette da 40 metri quadri studiate appositamente per essere “agganciabili” alla consueta ruolotte. Ruolotte che oramai rimane solo il simbolo di una tradizione millenaria di nomadismo, considerato che da oltre 60 anni la comunità proveniente da Trieste si è trasferita in pianta stabile nell’entroterra veneziano. Una comunità quindi di “italiani” a tutti gli effetti. E una comunità che non ha mai causato problemi a Venezia, considerato che secondo un sondaggio – prima del putiferio leghista – oltre il 90 per cento dei residenti in laguna non sapeva neppure della loro esistenza. Eppure, contro un trasferimento che altro non è che una normale operazione amministrativa per migliorare il decoro della città e il benessere dei suoi abitanti, si è scatenata la xenofobia dei lumbard, con presidi crociati e raccolte di firme. Appena eletta, la presidente della provincia Zaccariotto, da brava federalista, ha cercato in tutti i modi di impedire un trasferimento la cui gestione era di esclusiva competenza del Comune di Venezia facendo pressione sul prefetto e sul ministro Maroni, altro federale federalista. Al prefetto Lepri è stato chiesto di intervenire in nome della “sicurezza”. Il prefetto ha risposto che non ne vedeva gli estremi ed è stato rimosso. Alla Venezia democratica e antirazzista non rimane che domandarsi chi sarà il nuovo prefetto e come questi dovrà comportarsi per compiacere alla Zaccariotto e conservare la carica. “La rimozione del prefetto di Venezia, per motivi biechi di mera vendetta politica- conclude l’ambientalista Gianfranco Bettin - rappresenta un atto nello stile dei regimi autoritari. Come già i fascisti, la nuova casta padana, vorace di poltrone, prepotente e intollerante, vuole dei podestà. Al posto del federalismo vogliono i federali. Troveranno pane per i loro denti”.

Liberate Luca

Vestre Faengsel. Vigerslev allè 1d, 2450 Kbh Svolta. Copenhagen, Danmarkt. Questo, per i prossimi 30 giorni, sarà l’indirizzo, dell’astrofisico veneziano Luca Tornatore. Ed è l’indirizzo di un carcere. La notizia del suo arresto ha lasciato sconcertati i suoi colleghi del dipartimento di Fisica dell’università di Trieste che immediatamente hanno tutti sottoscritto un appello per chiedere la sua immediata liberazione.
“Conosciamo Luca come scienziato di talento, esperto in informatica e in cosmologia, autore di più di venti lavori scientifici riconosciuti dalla comunità accademica, e che coniuga la sua ricerca con l'impegno in materia di cambiamento climatico e di sostenibilità”. Ancora più duro il secondo appello che ha come prima firmataria l’astronoma Margherita Hack seguita da circa un centinaio tra i più noti fisici italiani. “Luca è uno scienziato, uno di quelli che alla passione e alla voglia di cambiare il mondo uniscono, dunque, una riconosciuta competenza. Questi sono gli ingredienti che lo hanno spinto, assieme a centina di attivisti ambientalisti italiani, a recarsi a Copenhagen. Luca è nella capitale danese per pretendere giustizia climatica, per confrontarsi all’interno del Climate Forum, per capire e per intrecciare relazioni con chi (come noi e lui) pensa che l’emergenza ambientale debba essere affrontata a partire da una democratizzazione delle decisioni e non attraverso la delega a chi l’ha provocata o a chi la sta peggiorando (siano essi vecchi o nuovi attori di rilievo del panorama geo-politico)”. Luca Tornatore è stato arrestato la sera del 14 dicembre, nel quartiere di Christiania, appena dopo una conferenza con Naomi Klein e Michael Hardt. A poca distanza, c’era stato uno scontro tra le forze dell’ordine e alcuni "black bloc", in seguito al quale la polizia aveva sfondato la barricata ed era entrata nel quartiere arrestando oltre 200 persone che avevano assistito al dibattito. Dopo alcune ore, tutti sono stati rilasciati, tranne Luca il cui fermo è stato convalidato in arresto. Sembra che un poliziotto lo abbia riconosciuto come uno dei “barricaderos”. Caso ancora più unico, il suo processo è stato fissato per il 12 gennaio e nel frattempo deve rimanere in detenzione preventiva. Michele Valentini, portavoce italiano della rete See you in Copenhagen è rimasto in Danimarca per seguire le fasi del processo e cercare di velocizzare l’iter. “Stiamo facendo pressioni all’ambasciata italiana e al ministero degli esteri danese – spiega – speriamo di convincere il giudice ad anticipare l’udienza, anche grazie agli appelli provenienti dal mondo scientifico internazionale. Luca non ha fatto nulla di ciò di cui è accusato. E’ stato con noi al convegno per tutto il tempo. Il problema vero è che, grazie anche alle sue competenze scientifiche, è stato tra i più attivi a promuovere la discussione all’interno delle assemblee e a denunciare ai giornalisti il pericolo tanto per l’ambiente quanto per la stessa democrazia che comportano i cambiamenti climatici. E’ questa la sua vera colpa”.

A Silea anche il sindaco รจ sulla barricata

E’ una bella puzza di bruciato, quella che si annusa a Mogliano e a Silea, nella marca trevigiana. Tanto che la gente va alle sempre più numerose ed affollate assemblee contro i progetti degli inceneritore proposti dall’Unindustria con la mascherina bianca sul viso. “Per adesso la portiamo per protesta ma se realizzeranno questo disastroso progetto ci toccherà indossarla per respirare”.
Non è un “ultrà” dell’ambientalismo a parlare, ma il sindaco di Silea, Silvano Piazza. Come tanti amministratori locali, Piazza sta battagliando non solo per difendere la salute dei suoi cittadini ma anche per affermare il diritto dovere di una amministrazione locale a decidere sul futuro della sua terra. “L’inceneritore a noi non serve – spiega- Questo è un progetto che viene da Milano. E il tizio che l’ha proposto era talmente credibile che è finito in galera”. Piazza si riferisce all’imprenditore lombardo Giuseppe Grossi, meglio conosciuto come il “Re Mida delle bonifiche ambientali”, arrestato a fine ottobre dalla Guardia di Finanza per frode fiscale e appropriazione indebita. E con lui è finita in gattabuia, Rosanna Garimboldi, Pdl, assessore della Provincia di Pavian, e moglie del deputato Giancarlo Abelli, già vicecoordinatore nazionale di Forza Italia. Rosanna Garimboldi è accusata di aver ricevuto su un conto cifrato a Montecarlo oltre 600 mila euro dal Grossi. “Ecco la gente che vuole fare gli inceneritori a casa nostra – continua il battagliero sindaco che ha anche promosso una raccolta di firme da portare in Regione – Il problema dei rifiuti non si risolve con l’incenerimento ma con la riduzione delle produzioni di scarto, il riuso, il riciclo… Gli industriali, se fossero un poco più avveduti e interessati al bene comune invece che alle loro tasche, investirebbero nell’ambiente e non nella sua distruzione. E se il Governo la finisse di incentivare comportamenti anti ecologici e premiasse invece le pratiche virtuose sarebbe sempre ora”. Il Comune di Silea è in prima fila nella lotta agli inceneritori e si è dotato di un ufficio legale e tecnico per respingere l’assalto di Unindustria anche sul piano della legalità e della scienza. “Cosa faremo? Qualsiasi cosa pur di non farci avvelenare da questi signori. Non avremo limiti!”

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Scempio nella Bassa Padovana
Se tutto questo vi sembra troppo... Tre cementifici (con l'aumento del rischio che potrebbe derivare dall’uso di Cdr “combustibile derivato dai rifiuti” prospettato per i cementifici ), due discariche, mangimifici, antenne, coogeneratori a biomasse, ecc: questa in breve la grave situazione ambientale della bassa padovana, un'area ritenuta tra le più inquinate del Veneto.
Come non bastasse ora la proposta, avanzata dalla locale amministrazione comunale, di costruire un inceneritore di Rsu ai margini della discarica regionale di Sant’Urbano (Padova). Il comitato "No reflui speciali" ha subito iniziato la mobilitazione coinvolgendo tutti i cittadini nell'opposizione a questo folle progetto e per impedire la costruzione di quest’inceneritore come delle decine d’inceneritori di pollina proposti nello stesso territorio. Molte le domande che i cittadini rivolgono all’amministrazione comunale, alla Provincia di Padova e alla Regione Veneto: nuovi inceneritori di rifiuti sono proprio indispensabili o sono possibili scelte alternative? Quali effetti potrebbero avere le emissioni sulla salute dei residenti nel raggio di decine di chilometri? Potrebbero registrarsi danni alle colture e all’ambiente circostante? Tutto questo finora senza risposte mentre l'ipotesi della costruzione dell'impianto in questo comune, avverte il Comitato, si fa sempre più concreta.

L'elettrodotto viene prima di tutto

La Provincia di Treviso dà una scossa al progetto dell’elettrodotto da 380 mila volt e ieri pomeriggio, venerdì 11, in quarta commissione, ha discusso l’accordo che la giunta si prepara a sottoscrivere con la società Terna per la costruzione e la gestione dell’impianto. Porte chiuse ai comitati che dovranno accontentarsi di un sit davanti alle porte del palazzo. Il presidente Muraro ha rifiutato persino di accogliere una delegazione che intendeva portargli una petizione di oltre 5 mila firme contro la cosiddetta “trasversale veneta”, così Terna ha battezzato il mega elettrodotto. Una accelerazione questa della Giunta provinciale, inaspettata sotto molti aspetti e che va messa in relazione con la nuova politica energetica italiana. Impossibile non pensare ai famosi siti top secret dove sorgeranno le centrali nucleari italiane. Quei famosi siti “già individuati” ma che, ha affermato l’amministratore delegato dell’Enel, “non li dico neanche sotto tortura”. Il mega elettrodotto che dovrebbe attraversare la marca trevigiana infatti, si spiega solo in relazione alla scelta nucleare. Nonostante le promesse della Giunta provinciale guidata dal leghista Leonardo Muraro di ascoltare il parere delle autonomie locali, il progetto dell’elettrodotto va avanti. Anche perché su questa ennesima grande opera, le autonomie locali si sono già pronunciate. E pronunciate in maniera nettamente contraria. A parte gli scontati “sì” del Comune di Volpago, che tra l’altro si è fatto impugnare dal Tar l’atto deliberativo, e del Comune di Quinto sul cui territorio la linea corre solo per un paio di centinaia di metri, tutti gli altri sindaci – tanto di destra che di sinistra – hanno risposto con un chiaro ed inequivocabile “no, grazie”. Martellago, Scorzè, Zero Branco e Paese tutti concordi nel ribadire alla Provincia e alla Regione che non hanno nessuna intenzione di pagare i costi dell’inquinamento elettromagnetico e della svalutazione dei terreni in cui, ricordiamolo, dovrebbero essere costruiti piloni alti oltre 50 metri e in aree Sic e Zps, per un’opera che non rappresenta certo gli interessi delle popolazioni residenti. Ricordiamo che la società Terna, assieme all’Enel, nel febbraio del 2008 è stata condannata dal tribunale civile di Venezia a rifondere con 632 mila euro i 79 cittadini di Scorzè, vittime riconosciute dell’inquinamento elettromagnetico, che nel 2002 le avevano intentato causa per i danni subiti dalle linee elettriche che correvano sopra il loro quartiere. L’indagine mise in evidenza un picco di casi di aborti, leucemie, tumori e cefalee. Fu una sentenza storica. Per la prima volta in Italia, un tribunale ha riconosciuto i danni derivanti dall’inquinamento da Cem (campi elettro magnetici). Tutto questo nonostante la normativa italiana conceda margini di sicurezza molto blandi, stabilendo valori pari a 3 o addirittura 10 microtesla quando la comunità scientifica è d’accordo nel ritenere pericolose le esposizioni prolungate oltre gli 0,2 microtesla. “Un elettrodotto da 380 mila volt è una autostrada di energia che non serve alla comunità locale – ha dichiarato Paride Danieli, portavoce dei verdi di Treviso – e che punta solo a  concentrare la distribuzione nelle mani di pochi seguendo le politiche energetiche che puntano ancora sui carburanti fossili destinati a scomparire. Una politica che guarda al futuro, come dovrebbe insegnare Copenhagen, dovrebbe andare in tutt’altra direzione: reti diffuse e non concentrate, alimentate da molteplici autoproduzioni a base di energie rinnovabili, controllate dalle istituzioni locali più vicine ai bisogni dei cittadini”. 

Sg31 a Marghera. Ogni tanto ci riprovano

Marghera pattumiera. Marghera capitale dei veleni. Porto di barriera per i migranti che vengono da fuori, porto ospitale per i veleni che vengono da dentro. Un destino di lotta, quello scritto nel suo futuro. Per ogni battaglia vinta, ne ricomincia un’altra da vincere. Perché è sempre vero che ogni tanto ci riprovano. E la Regione non ha ancora abbandonato l’idea di farne una piazza di stoccaggio da cento e passa mila tonnellate di rifiuti tossici da bruciare in quel famigerato inceneritore Sg31.
Lo stesso inceneritore che negli anni ’90 spandeva nell’aria per conto della società Monteco le emissioni dei rifiuti contenenti uranio e stoccate nelle stive della motonave Jolly Rosso. Oggi l’inceneritore è chiuso. E’ stato spento lo scorso anno semplicemente perché quel che rimane del polo chimico non produceva sufficienti rifiuti per coprire le spese del suo utilizzo. Ma il colossale impianto rimane comunque una tentazione troppo grande per i faccendieri dello smaltimento dei rifiuti pericolosi. Ogni tanto ci riprovano, abbiamo detto. E così ad agosto, il mese delle vacanze e delle delibere da non pubblicizzare troppo, arriva al Via un progetto presentato dalla Ste srl che prevede la realizzazione nell'area serbatoi ex PA2/4 di un impianto di stoccaggio di rifiuti pericolosi e speciali. Val la pena ricordare che la Ste srl è una ditta specializzata nello smaltimento di rifiuti pericolosi. Tra i proprietari figurano Gianfranco Jeoroncich (indagato nell'ambito di un'inchiesta su traffico illecito di rifiuti) e Stefano Gavioli (già amministratore della Sirma messa in liquidazione). Presidente è nientemeno che un certo Salvatore Provenzano. Sui quotidiani non compare una sola riga sino a metà ottobre, quando i verdi organizzano una infuocata assemblea a Marghera che ha il merito di portare la questione all’attenzione della cittadinanza. Attualmente il progetto è ancora in commissione Via con poche probabilità di venire approvato così come è. Soprattutto con le elezioni vicine. Ma quel che esce dalla porta può sempre rientrare dalla finestra. Perché l’Sg31 rischia di essere riacceso un’altra volta, potenziato del 25 per cento e raddoppiato con un inceneritore gemello.
Una ipotesi inquietante che vede dietro le quinte la regia della Regione Veneto che con una delibera, la 2514 del 4 agosto 2009, ha autorizzato un megaimpianto di depurazione delle acque reflue civili e industriali, Pif, a Fusina con scarico finale in mar Adriatico. Il Pif doveva essere finanziato da aziende private ma la chiusura di alcune di esse ha fatto saltare il quadro economico di previsione. Per finanziarlo, la Regione ha deciso di comprare l’inceneritore SG31 tramite la società Sifa che comprende anche Veritas e la Mantovani. Da sottolineare che la presenza di una società a gestione pubblica è indispensabile per bypassare il piano regolatore che altrimenti vieterebbe la riapertura a Marghera di impianti pericolosi. Pericolosi? Già. Il polo chimico non produce più rifiuti da incenerite e per alimentare l’Sg31 bisogna bruciare rifiuti tossici privati provenienti dall’esterno per far quadrare i conti. Potrebbe così tornare in pista la Ste srl con la sua nota specialità: stoccare e smaltire rifiuti pericolosi. Morale della favola: mentre a Copenhagen si discute su come limitare le emissioni gassose, la Regione Veneto utilizza fondi pubblici per favorire i traffici di società private gestite da personaggi di moralità quantomeno dubbia, allo scopo di inquinare l’ambiente e avvelenare i cittadini.

Bettin candidato sindaco

Gianfranco Bettin si è candidato alle primarie per il Comune di Venezia. L’annuncio è stato dato ieri pomeriggio, nella bella cornice del parco San Giuliano, ideale collegamento tra la terraferma e la laguna. Un luogo simbolico per l’ambientalismo veneziano. Settecento ettari di verde recuperati che ne fanno il parco più grande d’Europa. A lanciare ufficialmente la sua candidatura a sindaco sono le associazioni Venezia Metropoli Sostenibile, Fondamente e Per Venezia Metropoli. “Non sarò il candidato dei Verdi né di nessun altro partito – mette in chiaro Bettin-. La mia candidatura è stata avanzata da un gruppo di associazioni attive che da tempo stanno lavorando nella stesura di un programma di governo per aprire una fase nuova nella nostra città. Ovviamente, auspico che a questa avventura si affianchino anche altre forze politiche”.

Il programma, un discreto malloppo di fogli distribuito in occasione della conferenza stampa, vuole essere - si legge- “uno strumento aperto al contributo di tutti coloro che lo leggeranno” da integrare e migliorare “nel corso delle discussioni che avverranno ininterrottamente fino alla vigilia delle elezioni amministrative”. Si tratta, allo stesso tempo, di un programma di continuità e di rottura: idealmente si riallaccia alle elaborazioni che sono state alla base delle precedenti amministrazioni di centrosinistra ma nel contempo ne sottolinea i limiti, evidenziando quanto oggi sia “necessario modificare profondamente gli assetti di potere che si sono determinati negli ultimi anni e che vedono le decisioni sempre più distanti dai cittadini e sempre più nelle mani di potentati separati, autocratici e sottratti al controllo democratico”. Casomai ciò non fosse ancora sufficiente a far andare in escandescenze una bella fetta del Pd, il programma continua rilevando come i partiti politici debbano “ritrovare la loro giusta collocazione” e smettere “di identificarsi con il momento ed i luoghi dell’amministrazione e di occupare gli spazi della cosa pubblica”. Insomma, sarà una bella sfida, questa lanciata da Bettin. “Sì, sarà una sfida interessante - conclude l’ambientalista -. Come quando ci si arrampica in montagna. Una sfida tanto faticosa quanto gratificante”. Una sfida che va al di là della semplice corsa ad una poltrona. Venezia è oggi un “formidabile, inquieto e inquietante, laboratorio globale” – per riprendere una definizione dello stesso Bettin – in cui si gioca una partita fondamentale nel futuro dell’ambientalismo. I continui tentativi della Regione di fare di Marghera un pericoloso deposito di stoccaggio per i rifiuti tossici provenienti da tutto il Paese, l’ipotesi del Governo di realizzare una centrale nucleare proprio sulle rive della laguna, sono solo due esempi delle battaglie che il futuro sindaco dovrà affrontare per tutelare la città, il suo ambiente e i suoi stessi cittadini. Alle primarie, gli elettori del centrosinistra dovranno dire se a condurre queste battaglie vedono meglio Gianfranco Bettin o il candidato del Pd Giorgio Orsoni. “Stiamo attraversando una stagione cruciale – conclude Bettin – E’ il momento di tirare fuori il meglio da noi stessi. Aguzzare le intelligenze e massimizzare le energie. Tutti quanti”.

Le primarie di Venezia

Saranno primarie vere. Primarie “aperte” non solo ai sostenitori dei quattro partiti che le hanno promosse (Pd, socialisti, Italia dei Valori e Verdi) ma a tutti gli elettori veneziani che si riconoscono nel programma del centrosinistra. Saranno primarie vere, dicevamo, sempre che qualcuno non metta il classico bastone tra le ruote. Anche in questo senso va letta la candidatura di Gianfranco Bettin: far uscire allo scoperto quel Pd che sino ad ora ha proposto un solo candidato, Giorgio Orsoni.
Un candidato legittimato dal sindaco uscente, Massimo Cacciari, e che sin dall’inizio si è detto contrario al passaggio delle primarie, insistendo per una “investitura” unica e di largo respiro da parte della base democratica. Operazione ben al di là dal concretizzarsi, considerato che l’assemblea comunale del Pd che doveva lanciare Orsoni è stata fatta slittare varie volte e ancora non è chiaro se e quando si svolgerà. Una corrente del partito inoltre, quella che fa capo a Marino e a Casson, ha già annunciato la presenza di un suo candidato, l’avvocato Alfiero Farinea. Quando saranno quindi i candidati sindaci per il centrosinistra? A sfidare Gianfranco Bettin, ci sarà, per restare alle candidature ad oggi ufficializzate, il citato Orsoni, già assessore comunale al Patrimonio, e nome più conosciuto nei salotti che contano che nelle piazze: vicepresidente della Fondazione Cini, presidente della Compagnia della Vela, primo procuratore di San Marco e via discorrendo. Per chi lo ignorasse, i procuratori di San Marco, all’epoca della Serenissima, erano la carica più importante dopo il doge e si occupavano dell’amministrazione della basilica marciana e del suo tesoro. L’ordine è sopravvissuto anche alla caduta della Repubblica ma solo nominalmente. Oggi indossano bei costumi, sfilano alla festa del Boccolo e sono ben visti dal Patriarca. Orsoni rappresenta le mozioni democratiche Bersani e Franceschini più l’Udc. Primo incomodo in casa democratica dovrebbe essere, come abbiamo detto, Alfiero Farinea, che all’epoca del Petrolkiller fu uno degli avvocati di parte civile. Lo candida l’ex magistrato Felice Casson a nome della mozione Marino. La sua discesa in campo tuttavia non è ancora stata formalizzata. Pressoché certa invece, è la terza candidatura, quelle della vicentina Laura Fincato. Sempre di area democratica, attuale assessore alla Pianificazione della giunta Cacciari, ex socialista con un ricco curriculum politico alle spalle e moglie dell’attuale presidente della Fondazione Venezia, Giuliano Segre. Neppure a lei fa difetto quel “carburante pecuniario” così importante per la corsa elettorale. La Fincato ammicca all’area di Rifondazione. Proprio il partito comunista e la sua presenza o meno alle primarie, è stato uno principali motivi di discussione. Non è un mistero che i democratici abbiano alzato muri da guerra fredda contro la partecipazione degli eredi della Falce&martello. Alla fine, l’ipotesi che è emersa è semplicemente quella che promotori delle primarie debbano essere solo i partiti attualmente al Governo della città ma che, come abbiamo detto in apertura, le urne siano aperte a tutti quanti si riconoscono nel programma del centrosinistra. Spetterà al candidato sindaco vincente, decidere su eventuali alleanze al primo o al secondo turno. Non è neppure un segreto che il pensiero del sindaco uscente Cacciari si possa sintetizzare così: “Per vincere, in Italia come a Venezia, è necessario lasciar fuori Rifondazione, allearsi con l’Udc e costruire un centro sinistra che guardi sempre di più al centro e sempre meno a sinistra”. Il prossimo marzo, Venezia dovrà dire se il suo sindaco uscente ha ragione. Per adesso lo scoglio da superare è quello della raccolta firme per la candidatura. Ce ne vogliono duemila da trovare in dieci giorni. Son tante. La gara, democratici permettendo, parte il 16 dicembre. E pochi si stupirebbero se a Natale i candidati fossero meno di quattro.

Vicenza tra basi e inceneritori

In linea d’aria, Vicenza dista da Copenhagen pressappoco mille e cento chilometri. In linea di principio, tanto, tanto di più. Perlomeno nel modus pensandi dei democratici al governo della città che hanno proposto la costruzione di un inceneritore, indispensabile dicono “per non finire sommersi dai rifiuti come a Napoli”. L’ipotesi di un inceneritore di rifiuti nel capoluogo berico è stata avanzata dal consigliere democratico Luca Balzi che a gennaio la porterà in commissione e proporrà provocatoriamente che l’impianto venga realizzato proprio nell’area est del Dal Molin, dove migliaia di vicentini hanno sottoscritto un appello lanciato dal presidio No Dal Molin per la costruzione di un parco.
“Oggi nelle nostre discariche sotterriamo combustibile – ha sostenuto il consigliere del Pd - e se avete dei dubbi andate a vedere come funziona lo stabilimento di Brescia che ricava energia bruciano i rifiuti!” Balzi si riferisce alle cosiddette “ecoballe”, i grossi blocchi di rifiuti non riciclabili che, dopo varie fasi di trattamento, vengono bruciate per produrre energia verde. O meglio, energia che di verde ha solo il nome. La normativa italiana consente infatti l’utilizzo nelle “eco balle, sia pure per percentuali non superiori al 50 per cento, di vari rifiuti riciclabili come plastiche non clorurate, imballaggi come gli poliaccoppiati plastici, gomme sintetiche e altro, la cui combustione genera diossine. La stessa Unione Europea ha condannato l’Italia con sentenza del 22 dicembre 2008, perché il Cdr – sia pure la qualità migliore - non può essere considerato un nuovo prodotto “pulito” ma comunque un rifiuto e che quindi deve sottostare alle norme di sicurezza per salvaguardare la salute dei residenti. Ricordiamo, è storia recente, che la magistratura ha posto sotto inchiesta uno dei presunti “fiori all’occhiello” di questo genere di impianti, l’inceneritore di Pietrasanta, gestito dalla Veolia Environnement, per presunte manomissioni al software dell'impianto che avrebbero segnalato valori di diossina inferiori rispetto alla realtà. Il discorso sta tutto qua: se le ecoballe sono sufficientemente pulite da fibre contenenti cloro non producono diossina ma non riscaldano a sufficienza per coprire le spese dell’energia prodotta. Se sono ecoballe insufficientemente trattate, producono sì energia, ma pure diossine. Il nocciolo della questione sta tutta nei finanziamenti statali con cui il Governo “premia” – è proprio il caso di usare questo verbo – i comportamenti antiecologici. Ce lo spiega bene Cinzia Bottene, consigliera eletta nelle liste del No Dal Molin: “Questo inceneritore è una proposta arretrata, antieconomica, irrispettosa dell’ambiente e completamente estranea al progresso tecnologico. Aspetto che il Pd porti il progetto in commissione per dare battaglia perché questa è una scelta sbagliata, che non tiene conto delle nuove tecnologie, dei rischi legati alle emissioni, o al fatto che, come ha detto perfino Bertolaso, questi impianti sono addirittura antieconomici. La verità è che nessuno costruirebbe più inceneritori se non ci fossero i finanziamenti statali garantiti dai Cip 6. Un vero e proprio inganno, questo. Quei soldi dovrebbero essere destinati alle fonti rinnovabili. Solo nel nostro Paese il combustibile ricavato dai rifiuti e le fonti rinnovabili vengono messi sullo stesso piano”.
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