In questa pagina ho riportato gli ultimi articoli che ho scritto per il quotidiano ambientalista Terra, il settimanale Carta, Manifesto, per siti come Global Project, FrontiereNews o siti di associazioni come In Comune con Bettin e altro ancora.

Corazon del tiempo

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Una straordinaria storia d’amore in un ordinario contesto di lotta. Corazon del Tiempo, il primo film interamente prodotto da una Giunta del Buon Governo del Chiapas, è un appassionato viaggio nella resistenza indigena. Attraverso le vicende personale di una giovane donna, Sonia, divisa tra l’affetto per Miguel cui è promessa sposa sin dalla nascita e l’amore per Juan, tenente dell’Ezln, il film diretto da Alberto Cortes e sceneggiato dal giornalista Hermann Bellinghausen, trasporta lo spettatore all’interno di una foresta dai contorni quasi magici che fa da forte contrasto con il rumore degli elicotteri da guerra e lo sferragliare dei cingoli dei carri armati che assediano le comunità resistenti.


“Eppure Corazon del Tiempo non è un film di propaganda – ha spiegato Hermann Bellinghausen, in occasione dell’anteprima nazionale al Sale Docks di Venezia, venerdì 25 settembre – e non è neppure uno dei tanti documentari sullo zapatismo. Corazon del Tiempo è un film vero. Una fiction con attori che recitano un copione e che interpretano personaggi di fantasia, pur se il contesto è quello della quotidianità della lotta indigena volta a costruire autonomia e a difendere le terre recuperate e la biodiversità della selva”.
Il film che è già alla terza settimana di programmazione nelle sale di Città del Messico – “Un successo che certo non ci aspettavamo! In Messico stiamo sfiorando gli spettatori di Harry Potter!” confessa Hermann - è stato girato da una troupe di professionisti che per sei settimane si è trasferita nella selva Lacandona per lavorare con la giunta del Buon Governo Hacia La Esperanza. Non professionisti sono invece tutti gli attori. “Non potevamo fare a meno di utilizzare indigeni – conclude Hermann – Il film è loro ed è giusto che fossero loro a recitare. E, da quanto ne so, questo è il primo film in cui gli indigeni recitano da indigeni con piena coscienza. Il film non è un docudramma in cui una famiglia rappresenta la sua vita quotidiana. L’accordo iniziale infatti era che gli attori dovevano interpretare i vari personaggi all’interno di una sceneggiatura stabilita ma rimanendo sempre se stessi. Nessuno doveva fingere di essere zapatista a tutti i costi, piuttosto dovevano rappresentare lo zapatismo in forma collettiva”.
Dopo l’anteprima al Sale Docks, Corazon del Tiempo è stato proiettato a Vicenza, Milano e Firenze. Mercoledì 30 sarà a Napoli, e giovedì 1 ottobre a Roma. Agli incontri saranno presenti lo sceneggiatore Hermann Bellinghausen e Vilma Mazza, portavoce dell’associazione Ya Basta. Sempre a Ya Basta, può rivolgersi chi è interessato ad organizzare altre proiezioni. Tutti gli indirizzi sul sito www.yabasta.it.

Il battello dei diritti negati

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Uno spettacolo inconsueto, quello cui hanno assistito le centinaia di turisti che, come tutti i santi giorni, anche ieri mattina affollavano Venezia. Tra gondole e vaporetti, un lungo barcone tutto colorato d’arcobaleno ha percorso il canal Grande e, dopo una sosta a Rialto per distribuire volantini, ha raggiunto piazza San Marco dove, proprio nel momento in cui il drappello militare procedeva con il tradizionale alza bandiera tricolore del 2 giugno, ha contrapposto dal mare un alzabandiera con i colori della pace. “Il giorno della festa della repubblica, abbiamo scelto di festeggiare anche noi la repubblica, ma non la repubblica che abbiamo ma quella che vorremmo – ha spiegato Alessandra Sciurba, portavoce della rete Tuttiidirittiumanipertutti - Non è il nostro, un paese in cui si possa essere orgogliosi di festeggiare il 2 giugno, una data che ogni anno di più è diventata occasione per esaltare l’aspetto militarista di uno Stato che con le sue guerre, fatte proprio utilizzando strumentalmente la bandiera dei diritti umani, contribuisce a creare milioni di persone in fuga cui quegli stessi diritti vengono del tutto negati quando cercano di rivendicarli sui nostri territori, dopo viaggi ai limiti della sopravvivenza”.


La rete Tuttiidirittiumanipertutti che raggruppa una ventina di associazioni ha voluto denunciare con questa pacifica iniziativa i respingimenti che quotidianamente avvengono nel porto di Venezia dove i richiedenti asilo, minorenni compresi, sono espulsi in maniera assolutamente illegale, come ha sancito la stessa Corte di Giustizia europea, e rimandati in paesi dove li attende un destino di fame, torture e morte.
Il battello dei diritti ha concluso il suo navigare nelle acque antistanti il porto di Venezia dove i manifestanti hanno gettato in acqua corone di fiori per ricordare tutti coloro che, come il tredicenne Zaher Rezai, hanno attraversato il mare per cercare un posto in cui vivere in pace e, proprio nel porto della città lagunare, sono morti nel tentativo di esercitare un diritto legittimo come quello della richiesta d’asilo.
Da riva, nessuna disponibilità al dialogo da parte dell’autorità portuale. Ii commissario Paolo Costa, personaggio che a Vicenza significa “Dal Molin”, a Venezia “Mose” e in val di Susa “Tav”, ha rifiutato qualsiasi incontro e qualsiasi spazio informativo, sostenendo che “l’area della marittima non può essere concessa per alcuna manifestazione”. E intendeva quella stessa area in cui ogni anno si organizzano feste di carnevale, saloni nautici, fiere enogastronomiche, mostre di cani e gatti. I diritti umani, si vede, su queste banchine non contano niente.

Xenofobia e politica in via Vallenari

I primi ad essere stati sorpresi, da tutto il trambusto mediatico costruito su quello che doveva essere un semplice trasferimento cinquecento metri più là, sono proprio loro, i sinti di via Vallenari. Centosessantanove persone divise in tre grandi gruppi familiari. Tutti cittadini italiani. Tutti residenti nel Comune di Venezia sin dai primi anni ’50, quando la comunità si stabilì in quell’area di campagna tra Mestre e Favaro Veneto messa a loro disposizione dalla curia patriarcale.
Davide, uno degli operatori dell’Etam che segue la comunità, è sorpreso quanto loro. “Sono dieci anni che il Comune aveva promesso di spostare il campo. Sin da quando la municipalità aveva avviato il patto di quartiere per accedere ai finanziamenti statali”. Finanziamenti che poi non sono arrivati, così l’amministrazione ha dovuto trovare i fondi “grattando” tra le varie manovre finanziari ma ritardando l’avvio dei lavori di dieci anni. “Ma era un progetto su cui tutti erano d’accordo – continua Davide – Pure la Lega... tanto è vero che anche la Regione Veneto non si era mai sognato di opporsi. E a che scopo poi? E’ una comunità perfettamente integrata, che non ha mai dato problemi. Non ha nessun senso, se non quello di una vergognosa manovra politica, impedire il trasferimento in un’area vicina, con dei prefabbricati appena appena decenti e, quello che ora gli manca, docce e bagni sufficienti per tutti”.
Su 169 persone, mi spiega Davide, solo una è in affidamento ai servizi sociali: un disabile del lavoro cui comunque è stata riconosciuta l’invalidità e a luglio otterrà la pensione sociale. “Noi dell’Etam seguiamo il campo solo per via del trasferimento”. Anche per quanto riguarda i minori, mi spiega, vanno tutti a scuola e nessuno di loro ha bisogno di essere seguito dagli operatori sociali. Nel campo, mi avverte Davide, ne vedrai pochi giocare davanti alle ruolotte perché si sono presi quasi tutti l’epidemia di morbillo che sta falcidiando i ragazzini delle scuole elementari di Mestre. Ma allora perché è nato tutto ‘sto casotto? Al “perché” ci passiamo vicino, andando al campo. Un gazebo coperto di bandiere padane. Quattro donne eleganti sedute dietro un banchetto pieno di volantini. Cartelloni con scritte del tipo: “Gli alluvionati aspettano da 5 anni i risarcimenti. Il sindaco regala le case con le piscine agli zingari”. “Ah, le piscine –sorride il mio accompagnatore – questa è davvero bella. La piscina in questione è la polla d’acqua che il consorzio di bonifica ha ordinato al comune di realizzare perché lo scarico non ce la fa a smaltire l’acqua piovana”. Arriviamo al campo che sono le cinque di pomeriggio. L’ora in cui gli uomini sono tornati dal lavoro e scaricano il ferrovecchio raccolto in ampi contenitori. Non è molto grande, il campo: una ventina di ruolotte, un’altra ventina di fabbricati con zerbini alla porta e gerani alle finestre. La vera “casa” dei sinti è la strada, tra una ruolotte e l’altra. Tavolini con bottiglie di acqua e menta, fornelletti col caffè che borbotta, sdraio, tendoni parasole. I bambini che hanno già fatto il morbillo giocano per strada. Gli altri li guardano con i musetti pieni di puntini rossi, premuti sulle finestre. La diffidenza nei miei confronti dura solo un paio di minuti. “E’ venuta una tua collega di Rete Quattro. Ha filmato tutto il campo. Ci ha intervistati tutti – mi racconta Paolo, un omone che ha fatto 18 mesi di bersagliere in Sardegna e conserva ancora il cappello con le piume -. Poi ha mandato in onda solo le dichiarazioni dei leghisti e mentre Emilio Fede leggeva il servizio, sullo sfondo scorrevano immagini di repertorio con gli sbarchi dei clandestini”
Giuro e spergiuro che o io non ho “colleghi” a Rete Quattro e che, se non li disturba lasciarmi scattare qualche foto, Carta pubblicherà solo quelle. Dicono subito di sì. Solo mi pregano di non fotografare le persone. “Abbiamo dei problemi poi al lavoro. Quando andiamo in giro col furgone nessuno sa che siamo sinti e ci trattano normalmente. Ma se ci vedono nel giornale... abbiamo imparato che la gente fa presto ad arrendersi ai pregiudizi” mi spiega. “Per favore, non fotografare neppure i bambini. Poi a scuola si vergognano perché li scherzano e li chiamano zingari” mi chiede Sandro che, come poi verrò a sapere, è il pronipote diretto di uno dei miei miti del jazz: il chitarrista Django Reinhard. D’accordo allora. Niente scatti alle persone. La loro fiducia ha comunque dell’incredibile, considerato che mi lasciano libero di puntare l’obbiettivo in qualsiasi direzione. Neanche il tg 4 è riuscito a fargli capire come funziona il mondo di fuori. “Quando andiamo a Favaro (via Vallenari è a Mestre, ma la piazza di Favaro è quella più vicina al loro campo.ndr) – mi racconta Andrea che è uno dei pochi sinti che non lavora col ferro ma in una ditta di gonfiabili di gomma – la gente che conosciamo, quella con cui ci fermiamo a prendere il caffè o a far la spesa, ci chiede che cosa stiamo combinando. Perché abbiamo causato tutto questo trambusto che i telegiornali parlano sempre di noi. Io non so mai cosa rispondere”. Ma avete avuto problemi con la gente del quartiere? “Molti ci hanno espresso solidarietà. E di ciò ovviamente li ringraziamo. Ma, come posso dire?, non ti guardano più come ti guardavano prima, quando non lo sapevano nemmeno che eri un sinti e se lo sapevano non gliene importava niente. Adesso cominciano a pensare che se, tutti i giornali parlano male di noi, qualcosa dobbiamo pure aver fatto”. A proposito del campo, c’è da dire che fabbricati e ruolotte sono tutti tenuti in ottime condizioni. Niente si conforma all’idea che i mass media ci vendono con l’etichetta xenofoba e ipocrita di “nomadi”. Il problema effettivo sono i servizi: 7 docce con acqua fredda e 9 toelette per 169 persone. E son così da 40 anni. “Perché non andiamo a vivere in case? – mi risponde Paolo -. Perché siamo sinti. Cosa ne sarebbe di noi, della nostra cultura e della nostra lingua che qui tutti parlano e nessuno scrive? E cosa ne sarebbe della nostra famiglia divisa in dieci appartamenti? Alcuni di noi che hanno i figli grandi e hanno raggiunto una certa età, sono anche andati a vivere in case di muratura. Ma io non lo voglio fare. E’ difficile da spiegare. Sono sinti e voglio vivere tra sinti. Col cielo sopra la testa”. “Siamo sinti, è vero – si premura di aggiungere il pronipote di Django – ma siamo pure italiani, eh? Abbiamo carta di identità, lavoriamo e paghiamo le tasse e i contributi, mandiamo i bimbi a scuola come tutti, anche se ci piace vivere all’aria aperta. E votiamo pure”. Chiaccherando qua e la, trovo un sinti che ha votato lega. “Pensavo che in Italia cominciassero ad arrivare troppi stranieri”. E hai imparato che basta poco per entrare a far parte della categoria “stranieri”? “Già. Io sono nato qua. I miei genitori e i miei nonni erano triestini. Sinti, ma anche triestini. Italiani del nord. Così ho votato lega. Ma ora ho cambiato idea, eh?”
Tra gazebi padani e minacce di marce su Venezia, che ne sarà adesso dei sinti di via Vallenari? “L’amministrazione continuerà col suo progetto, senza farsi intimidire da atteggiamenti provocatori – assicura l’assessore Luana Zanalla -. In questi anni Venezia ha saputo dimostrare che l’integrazione è sempre possibile. Ed è per questo che oggi siamo sotto attacco dalla destra xenofoba. Ma la città sta rispondendo bene”. E lo dimostrano le numerose assemblea a sostegno dei sinti, l’affollata manifestazione di mercoledì scorso a piazza Ferretto, le dichiarazioni di solidarietà che hanno, per una volta almeno, messo insieme soggetti come la pastorale del lavoro e i centri sociali, associazioni ambientaliste e sindacati, personaggi come il patriarca Angelo Scola e Gino Strada. Il leghista Borghezio può stare tranquillo. Venezia non ha bisogno di essere liberata.

La battaglia di via Vallenari

Dopo la giornata dei blitz, è arrivata la giornata delle dichiarazioni di guerra. I titoloni sparati dai giornali locali, Gazzettino in testa, sono un inno alla più becera xenofobia. “Duro Galan: vedo gli italiani trattati come cittadini di serie B”. Più sotto: “Le scelte del comune di Venezia fomentano il razzismo”. Immancabile una sparata del buon Borghezio: “Migliaia di padani pronti a marciare su Venezia”. Il resto delle “notizie” in pagina sono tutte dichiarazioni di solidarietà alla lega nord che ha visto i suoi uffici “attaccati” da un gruppuscolo di “facinorosi e violenti”. Un vero “attentato alla democrazia”. Tant’è vero che domani in città è atteso il ministro Roberto Maroni col difficile compito di valutare i “rischi connessi alla sicurezza” nell’entroterra della città dei Dogi. Chi metta poi a repentagli la “sicurezza” dei veneziani non è dato capirlo
. I disobbedienti che ieri hanno pacificamente e senza scheggiare neppure gli stipiti delle porte, ieri pomeriggio hanno “sfrattato” la sede mestrina della Lega, traslocando scrivanie, scaffalature e computer nella calle sottostante? “Così si accorgono come si vive senza casa” ha commentato un portavoce del Rivolta. Oppure a mettere in pericolo la sicurezza dei veneziani è quella quarantina di famiglie sinti che da quasi mezzo secolo vive in via Vallenari? Maroni non lo sa, ma anche loro sono cittadini veneziani, con tanto di carta di identità in regola. Il che non si può dire dei “padani” che si sono incatenati davanti all’area dove sorgerà il villaggio sinti per impedire l’inizio dei lavori. Una quindicina di arrabbiati. Tutte alte cariche del Carroccio: consiglieri provinciali e comunali del trevigiano, membri di consorzi e municipalizzate, funzionari della Regione. Gente strapagata con i soldi di Roma Ladrona e che si è incatenata per impedire che il comune di Venezia tiri su quattro prefabbricati per dare una sistemazione appena appena decente a delle famiglie povere. Lo ripetiamo. “Povere” e non nomadi, come invece continuano a scrivere i giornalisti e a dichiarare i politici. Se fossero nomadi non avrebbero bisogno di una casa, giusto? “La verità è che siamo di fronte ad una vergognosa campagna di strumentalizzazione condotta con metodo scientifico dalla Lega nord – commenta Beppe Caccia - Sono ridicoli tutti quegli esponenti leghisti che oggi piagnucolano, definendo un ‘attacco violento e intollerante’ la protesta che ha visitato la loro sede di Mestre. Sono gli stessi signori che da settimane stanno insudiciando la nostra città con la loro orrenda propaganda di odio e intolleranza, scatenata contro i legittimi diritti dei nostri concittadini di cultura sinti. E sono patetici tutti quegli esponenti leghisti che oggi invocano la protezione della polizia di ‘Roma ladrona’, frignando per l’ ‘illegalità’ commessa da chi contesta le loro campagne razziste, quando da due giorni in poche decine stanno illegalmente bloccando un cantiere. Troppo facile fare la voce grossa, prendersela con i più deboli: prima o poi si raccoglie ciò che si ha seminato. Centocinquanta nostri concittadini attendono da dieci anni una sistemazione dignitosa. Chiediamo al Comune di dare ai residenti di Favaro tutte le necessarie garanzie e procedere al più presto con la realizzazione del nuovo villaggio”.

"E' primavera". Intervista congiunta con Toni Negri e Claudio Calia

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L’appartamento di Toni Negri è proprio come uno se lo aspetta. Con la cucina divisa in due per far spazio all’ultima mareggiata di libri e le finestre spalancate sui tetti di Venezia per far entrare ogni refolo di un’altra indescrivibile primavera lagunare. Claudio Calia ed io, abbiamo raggiunto il “cattivo maestro” per antonomasia dopo una lunga passeggiata per calli, campielli e bacari, “ciacolando” - tra uno spritz al bitter e uno all’aperol - del suo ultimo libro a fumetti che ha intitolato, giust’appunto, «E’ primavera». Il volume edito da BeccoGiallo, mi racconta, è nato da una mezza dozzina di pomeriggi trascorsi a parlare con Toni Negri. A parlar di cosa? “Mah... praticamente di tutto: della sua vita, della sua filosofia, dei suoi amori, delle rivoluzioni fatte e di quelle ancora da fare... devo dirti che, quando abbiamo cominciato, né io ne lui sapevamo cosa sarebbe saltato fuori dal mio lavoro. Di sicuro c’era solo la mia voglia di confrontarmi con lui e di ‘scrivere’ quello che mi raccontava con il solo mezzo che padroneggio: il fumetto”.



Professor Negri, che faccia ha fatto quando Claudio le ha spiegato che la voleva infilare in un fumetto?
TN: Mi è scappato da ridere! Ma subito dopo la cosa mi ha intrigato. Conoscevo già i lavori di Claudio come Porto Marghera; un fumetto maturo, emancipato a forma letteraria che riesce ad andare al di là del semplice segno grafico per assumere una dimensione politica. Ho pensato che la cosa poteva funzionare. Tanto più che sin dall’inizio Claudio ha pensato non solo a puntare solo sulla biografia ma anche sulla possibilità di articolare un discorso, Non dico pedagogia ma certo comunicazione. Ma per piacere, lascia stare il lei e dammi del tu, s'il vous plaît.

Va bene. Che effetto fa leggersi su una tavola a fumetti, come Tex e Topolino?
TN: Intanto il lavoro di Claudio non è confrontabile né con Tex Willer né con Topolino. Semplicemente ha cercato di articolare un discorso usando il fumetto come strumento, come forma comunicativa. E’ come se mi avessi chiesto come fai a vederti in televisione, in un film o in una intervista filmata. Il fumetto è una espressione come un’altra, sta a noi dargli credito di maturità. In quanto al leggermi sulle tavole, ammetto che mi ha fatto piacere. E ti confesserò pure che mi sarebbe piaciuto moltissimo essere dipinto, oltre che da Claudio, anche da maestri come Hugo Pratt o, per citare uno dei miei autori preferiti, Jacovitti.

In Francia, dove hai soggiornato per molto tempo, il fumetto è già considerato una delle tante forme che può assumere quella cosa difficilmente definibile che chiamiamo “arte”...
TN: Sì. Ricordo che abitavo proprio sopra la più grande libreria di fumetti di Parigi. Ma ammetto di non averla frequentata troppo e di non possedere una conoscenza specifica del fumetto. Cosa vuoi? Ho l’età che ho... quando ero ragazzino leggevo il Vittorioso e l’Intrepido. Altre scelte non c’erano sotto il regime fascista. Topolino era pressoché fuorilegge, pure se Mondadori lo pubblicava già. Ma guai allo studente che fosse stato sorpreso con un fumetto Disney nella cartella! Dopo la guerra, ero considerato grandicello per leggere ancora i fumetti che erano ritenuti roba da bambini. Tieni presente che la scoperta del fumetto come genere culturale o anche solo di svago per adulti, comincia tra gli anni ’60 e ’70 sull’onda di riviste come Linus.

RiBot: Claudio, come ti saltato in testa di realizzare una intervista a fumetti?
CC: La mia idea di partenza era quella di portare avanti il progetto di giornalismo a fumetti che ho intrapreso con la realizzazione di Porto Marghera. Con quel volume, anch’esso edito da BeccoGiallo, ho realizzato un reportage a fumetti. Da qui all’intervista, il passaggio è stato naturale.
TN: Io non ho fatto nulla se chiaccherare piacevolmente con Claudio e leggere le sue belle tavole man mano che me le passava per sincerarmi che non ci fosse qualche errore di fatto. Ma la fattura dell’opera e a responsabilità artistica ed espressiva è solo farina del suo sacco.

Senti Claudio, quando ti ho intervistato su Porto Marghera mi hai raccontato che non vedevi l’ora di lasciare il fumetto impegnato per fare una bella storia di licantropi, vampiri e mostri spaziali...
TN: (ridendo) E c’è riuscito!
CC: No, no. Ho rimandato la mia storia di licantropi al prossimo lavoro. L’idea di fare un fumetto con Toni come protagonista era troppo intrigante. Credo che sia anche l’unico esempio di fumetto che racconta di un personaggio ancora vivente dando anche spazio alle sue idee. E’ stata una bella sfida. Tutti son capaci di raccontare le peripezie di, che so?, un cacciatore di coccodrilli, ma la vita e le idee di un filosofo...

Come ti sei trovato ad intervistare Toni che ha fama di essere un mangiagiornalisti?
TN: Io un mangia giornalisti? Veramente sono i giornalisti che hanno mangiato me. Mangiato digerito e poi sputato. Magari fossi riuscito a mangiare qualche giornalista...
CC: Ah... ma io mi sono presentato come un fumettaro. Mica sono un giornalista come te, io!

Non mi ci provo neppure a difendere la categoria. Però, Toni, ammetterai che sei considerato uno che parla difficile. Come trovi il tuo pensiero circoscritto in nuvolette di china?
TN: E’ vero che scrivo difficile ma comunque non più di tutti gli altri filosofi. Ma sono anche uno che nella sua vita ha scritto anche volantini, tanti, tantissimi. Ho scritto anche su riviste di comunicazione destinati a compagni che non dovevano per forza di cose essere laureati in filosofia. Da questo punto di vista quindi non ho trovato una particolare difficoltà ad esprimermi. E devo dirti che il risultato è stato ottimo. Claudio è stato bravo a tradurre correttamente ed efficacemente le lunghe interviste che mi ha fatto.
Tiene presente che ultimamente io scrivo anche molto teatro. In francese, in particolare. Anche qui il problema della semplificazione del linguaggio filosofico mi è diventato centrale. Non solamente perché il teatro è già una forma dialogica evidentemente forte ma anche perché la forma di quel teatro che scrivo io è particolarmente dialogica.

Il libro di Claudio pur riassumendo le tue idee politiche e filosofiche, non può essere considerato come un Bignami. Racconta una storia, la tua, che ha anche un tono avventuroso.
TN: E’ un libro coinvolgente che si legge tutto d’un fiato e questo è senz’altro un grande merito di Claudio. Ma ti devo dire che io i Bignami li difendo a spada tratta. Sapessi quanti ne ho letti da ragazzo! Casomai è la maniera in cui li studiano gli studenti ad essere meschina. Ma ricordo ancora con nostalgia soprattutto i riassunti delle grandi opere, come l’Eneide, che erano fatti molto bene. Chiaro che si perde il gusto di leggere la poesia, ma non è mica detto che al liceo tu debba per forza leggerti con gusto la poesia. Io ad esempio, ho scoperto Ovidio e Lucrezio tanti anni dopo. Al liceo si studia purtroppo solo per passare l’interrogazione e i Bignami vanno benissimo. Vedi... io detesto l’idea della scuola o della letteratura come di qualcosa di intoccabile. Al contrario, tutto è toccabile e trasformabile. Tutto può essere utilizzato per essere tradotto in spettacolo teatrale o, per l’appunto, in fumetto.

«E’ primavera» si chiude con una tua forte critica alla sinistra parlamentare di cui hai sottolineato la mancanza di prospettive future. Claudio ti ha intervistato e ha disegnato le tavole quando ancora la sinistra parlamentare c’era. E’ stata più una profezia o una liberazione?
TN: Guarda che anche se è stata buttata fuori dal parlamento, la nostra sinistra è ancora parlamentare; intanto perché il parlamento continuerà a passargli ancora soldi per i prossimi due anni, poi perché è parlamentare nella testa. Continuano e continueranno a pensare che le cose non siano né criticabili né modificabili al di fuori di quelli che sono gli strumenti istituzionali che la politica gli offre. Il nuovo scenario, che non posso certo definire una liberazione, apre al contrario prospettive pericolose perché metteranno in atto tutti i tentativi possibili per arruffare qua e là quei pezzi di movimento che sono in libertà e che, loro sì, hanno una autentica vocazione extraparlamentare, alternativa e costituente.

Ma non è quello che hanno fatto fino ad ora?
TN: Sì. Ma adesso avranno meno soldi e quindi saranno più aggressivi.

Ultima domanda per Claudio. A quando la serie a cartoni animati come per Rat Man?
CC: Ah, questa la vedo proprio dura! Ma per una prossima edizione in lingua francese ci sono migliori possibilità.

Le case ai "nomadi"

La buona notizia, recita un vecchio adagio giornalistico, non è una notizia. Raccontare un percorso di integrazione sociale come quello che sta portando a termine il Comune di Venezia, non ci farà vincere nessun premio giornalistico. Premio che magari sarà assegnato al redattore di quel giornale locale che ha sparato nella prima pagina di cronaca “Il comune ‘regala’ le case ai nomadi”. Titolo idiota, oltre che xenofobo. Intanto perché se fossero nomadi, non avrebbero bisogno delle case, in secondo luogo perché le case non sono affatto “regalate”. Va sottolineato l’uso ipocrita del virgolettato nel titolo. Scelta, tra l’altro, sconsigliata da tutti i manuali di giornalismo che spiegano che se c’è una parola migliore bisogna sempre preferire quella. Ma tant’è... per solleticare gli istinti xenofobi della “ggente”, tutto fa brodo!
Ma ai lettori di Carta, anche se non farà notizia, noi preferiamo raccontare la verità: come e perché il comune di Venezia “regala” le case ai “nomadi”. Ecco la storia. Dagli anni ’50, grazie al lascito di un altro prelato, in un’area di via Vallenari, a Mestre (Ve) si è stabilita una 40ina di famiglie di cultura Sinti. Sono famiglie stanziali e niente affatto nomadi, anche se, alcune di loro, lavorando nella raccolta del ferro vecchio e girano in ruolotte per la regione alcuni mesi all’anno. Ma rimangono comunque e a tutti gli effetti – e da generazioni- cittadini italiani con residenza a Venezia Mestre. Ma quella strada che negli anni ’50 correva in aperta campagna, oggi è circondata dal quartiere residenziale della Bissuola. Luana Zanella, nel ‘96 era la presidente del consiglio di quartiere: “Stava montando una certa tensione tra residenti della Bissuola e i sinti del campo che oramai ammontavano a circa 150 cittadini – spiega l’assessora alla cultura di Venezia – in qualità di amministratori, abbiamo scelto di governare il fenomeno. Grazie allo strumento del Contratto di quartiere, abbiamo coinvolto tanto i nuovi residenti quanto i sinti e abbiamo studiato come ridisegnare l’area con l’obiettivo di chiudere il campo e di migliorare la vivibilità per tutti”. Il risultato è stato la costruzione, avviata in questi giorni, di un villaggio di casette prefabbricate, disegnate dagli stessi sinti, dove ogni unità abitativa ha la possibilità di agganciare una ruolotte. “Si intende che i sinti pagheranno affitto e utenze. Come d’altra parte hanno sempre fatto al campo di via Vallenari” conclude l’assessora. Rimane da dire che nonostante il progetto del Contratto di quartiere del Comune di Venezia presentato nel 2000, si fosse classificato tra i primi, nessun governo, ne di destra ne di sinistra, lo ha mai finanziato. Forse proprio perché aveva paura vedersi attaccato da titoli come quello sopraccitato. Il Comune ha dovuto provvedere da se, con una apposita voce di bilancio. Voce che comunque rimane sempre meno onerosa che il mantenimento dell’attuale situazione. Tutto qua il famoso “regalo” virgolettato.
Un altro esempio di come sia possibile vivere insieme, ci viene sempre dalla laguna. Dallo scoppio della guerra nei Balcani nel ‘93 sino ai “bombardamenti umanitari” osannati dal governo d’Alema nel ‘99, almeno 800 profughi romeni si sono stabiliti a varie ondate a Zelarino e a San Giuliano nella periferia di Mestre. Un problema diverso, un intervento diverso. Il comune in questo caso ha affidato alla cooperativa Caracol un programma di inserimento scolastico dei minori e di avviamento lavorativo degli adulti. L’ultimo passo, in collaborazione con la Provincia, è stato l’inserimento abitativo avviando un percorso che ha messo questi profughi in condizioni di acquistare una casa o dei rustici da ristrutturare in provincia. “Non sono mai sorti problemi con i comuni interessati –ha spiegato l’assessore provinciale Rita Zanutel – e capita che molti sindaci restino addirittura meravigliati quando vengono a sapere che nel loro territorio vivono famiglie di ex profughi perfettamente integrati”.
E anche in questo caso, le spese sono state tutte a carico del comune di Venezia. Proprio il Governo d’Alema, che ha causato l’ultima e la più pesante ondata di sfollati dalla ex Jugoslavia, pochi giorni prima della guerra aveva deciso di sospendere il finanziamento al progetto profughi. Solo scarsa lungimiranza?

"Non giustifichiamoli". Intervista con Alessandra Zendron

Secondo una stima della procura, nel solo meranese, sono attualmente attivi circa trenta organizzazioni riconducibili ad ideologie di stampo nazista. Di queste, cinque sono state definite “pericolose” e non certo riconducibili a gruppetti di ragazzini dalla coscienza poco critica, che si limitano a farsi spedire croci celtiche e bandiere uncinate dalle ditte specializzate per allestire altarini davanti a busti di Hitler. Si tratta, si legge in una nota diramata dalla procura, di associazioni ben organizzate e solide economicamente, forti di contatti nel mondo della politica e dei “palazzi” istituzionali, che operano in stretto collegamento con associazioni di estrema destra tedesche e venete, in particolare del veronese.
Due settimane fa, sedici giovani sono stati arrestati e un centinaio inquisiti per una serie di pestaggi a danno di studenti bilingue avvenuti davanti a scuole e discoteche. Episodi che negli ultimi due anni, si sono moltiplicati, così come le pesanti minacce a membri della comunità ebraica e le oramai “solite” svastiche davanti alle sinagoghe. Quello dei naziskin è evidentemente un fenomeno in forte crescita.

Ne chiediamo la ragione storica Alessandra Zendron, attenta studiosa del fenomeno.
I motivi sono molteplici. Intanto bisogna dire che in Italia c’è un vuoto legislativo. In Germania, anche per i motivi che possiamo tutti immaginare, la legge è molto più severa nei confronti di chi si richiama all’ideologia nazista. Nel nostro paese invece, le manifestazioni con braccia alzate e sventolii di bandiere hitleriane sono permesse. La polizia interviene solo in casi di pestaggi che sono per loro natura imprevedibili. Questi giovani con le teste rasate se ne vanno in giro per la città e se non trovano un migrante da picchiare, picchiano un italiano o chi gli capita. Ma se non si fanno prendere, come si dice, con le mani nel sacco, la legge gli consente di organizzare tutte le “associazioni culturali” che vogliono.

Non bisogna trascurare neppure l’aspetto sociale del problema, però|
No. Purché con la sociologia non si arrivi a giustificarli. Ma va detto che in Germania ad esempio, il fenomeno naziskin ha registrato una forte impennata dopo la riunificazione. Centinaia di ragazzi dell’ex Ddr si sono trovati delusi dalle aspettative del capitalismo - di quelle del socialismo meglio non parlare - e senza prospettive lavorative. Un grave disagio sociale che ha causato un avvicinamento a ideologie totalizzanti, come per l’appunto quella nazista.

Questo però non si può dire dei picchiatori di Verona, figli di famiglie benestanti. Giusto?
Sì. Nel Veneto le motivazioni del fenomeno sono più simili a quanto è accaduto in Alto Adige. Un paese rimasto sino agli anni settanta relativamente povero, anche per il terrorismo che certo non invogliava il turismo. Poi è arrivato l’improvviso benessere, costruito però a forza di durissimo lavoro da parte di genitori che avevano poco tempo da dedicare ai figli. Ne è venuta fuori una generazione ricca, viziata, insicura e sola... Non vorrei generalizzare troppo, ma che ci sia un diffuso disagio giovanile in Alto Adige è sotto gli occhi di tutti: abbiamo una percentuale di suicidi minorili tra i più alti d’Europa e anche le stime delle dipendenza giovanile dall’alcol sono impressionanti. Questo è un terreno fertile per le ideologie naziste e violente che possono essere considerate delle vere e proprie forme di dipendenza. In Germania i delusi dal capitalismo, in Veneto i figli del capitalismo. In Alto Adige ci sono comunque delle motivazioni in più. Il neonazismo si inserisce a pieno titolo nel conflitto etnico. Da noi i nazisti sono antifascisti e i fascisti antinazisti.

Temo di non capire. Puoi approfondire questo punto?
E’ stato il fascismo a favorire l’immigrazione italiana in Alto Adige. In quel periodo le popolazioni di lingua germanica hanno sofferto moltissimo e patito innumerevoli ingiustizie. Durante i venti mesi di occupazione, i tedeschi si sono sentiti liberati e hanno collaborato con i nazisti, nonostante i molti conflitti e anche i morti causati dalle truppe di Hitler. Ma non è un caso che il 25 aprile da noi non sia festeggiato da chi parla tedesco. Quella data ha significato il ritorno all’Italia e continua a significare tutte le promesse che il nuovo stato italiano non ha mantenuto nei confronti delle popolazioni di lingua tedesca. Né una parte né l’altra ha per così dire “elaborato” questo passato che rimane un macigno duro da digerire. Insomma, per noi altoatesini o sudtirolesi, è molto più difficile essere antifascisti e antinazisti insieme. Non c’è stata l’epurazione che si è verificato nel resto d’Italia. I fascisti erano antinazisti, i nazisti antifascisti. E così è rimasto tutt’ora nel sentire comune.

Ma non è compito della politica “elaborare” questo passato?
Sì ma non lo fa. Il partito egemone la Svp ha un atteggiamento quanto mai ambiguo nei confronti di questi rigurgiti neonazisti e antisemiti. Di fronte ai recenti arresti sono imbarazzati. Continuano a parlare di “bravi ragazzi” magari un po’ intemperanti. E questo purtroppo è un atteggiamento diffuso tra la popolazione di lingua tedesca. Il nostro presidente della provincia autonoma, Luis DUrrrr (controlla come cazzo si scrive), che pure non può essere definito un razzista ma che al contrario ha sempre tenuto un atteggiamento molto critico nei confronti delle ostilità anti migranti dell’ultima campagna elettorale, non ha mai messo piede nelle sinagoga di Merano. E lui è uno che va anche alle inaugurazioni dei banchetti che vendono wurstel. Non dico per dire. E’ sempre in prima fila tutte le volte che si inaugura qualcosa, anche ai chioschi degli ambulanti. Eppure nella sinagoga non è mai entrato. E non è il solo esempio che ti potrei fare. La popolazione tedesca di Merano ha contribuito a consegnare ai nazisti l’allora numerosa comunità ebraica. Di questo non solo nessuno ha mai chiesto scusa, ma pare sia vietato parlarne. E non solo per la destra. Quando ero presidente del consiglio provinciale ho subito violentissimi attacchi per aver plaudito alla posa di una targa che commemorava l’omicidio nei campi di sterminio di una bambina ebrea di Merano. Fui attaccata addirittura dai consiglieri di lingua tedesca del mio stesso partito, i verdi, che mi dissero che “gli ebrei non hanno bisogno dei nostri soldi” portando a sostegno di questa posizione quello che accadeva in Palestina. Ma che c’entrava con la bambina ebrea assassinata dai nazisti? Episodi simili ne potrei citare parecchi. In questi giorni, gli storici stanno cercando di rivalutare l’effettiva portata del campo di sterminio di Bolzano. Una vicenda poco conosciuta ma è stato dimostrato che in questo territorio erano state organizzate molte strutture di tortura e di sterminio, piccole ma diffuse. Eppure se si fa la manifestazioni in ricordo delle vittime, ci sono solo italiani. E viceversa, se si parla delle vittime del fascismo, ci vanno solo i tedeschi. C’è una grande difficoltà ad andare dall’altra parte. Ma se si deve vivere insieme bisognerebbe avere il coraggio di affrontare anche queste situazioni sgradevoli. Non solo per te, ma anche per chi verrà dopo di te. Se non si parla di certe cose, le prossime generazioni finiranno per credere che non sia successo nulla di malvagio.

Come i naziskin, ad esempio?
Già. La cattiva politica si nutre di questi lutti non elaborati e di giustificazioni. Se si arresta un neonazista, i tedeschi dicono “i soliti italiani che arrestano un bravo ragazzo tedesco magari un poco eccessivo su certe questioni”. E dall’altra parte senti dire ai tedeschi che gli italiani sono i soliti fascisti. Si passa sopra se un ragazzo viene picchiato davanti alla scuola. Non c’è certezza di reato, né certezza della pena. Non dico pene draconiane, ma chi va in giro inneggiando ad Hitler dovrebbe andare incontro a denunce penali. Invece non solo i genitori, ma anche la scuola e le istituzioni tendono a minimizzare. A questo punto, bisogna essere grati alla procura perché copre un ruolo educativo che non gli spetterebbe. Invece ai politici, in particolare, viene concesso tutto. Berlusconi giustifica le sparate di Bossi affermando che ha un suo “colorito modo di esprimersi”. Stiamoci attenti. I politici vanno presi sempre sul serio. Anche Hitler diceva nel 1932 quello che voleva fare con gli ebrei eppure tutti lo giustificavano per il suo “colorito modo di esprimersi”. Quello che dicono va invece preso per oro colato. Se qualcosa di malvagio come il neo nazismo si diffonde, la colpa è anche di chi non misura le parole. E lo fa sempre per calcolo politico, non per ignoranza o perché gli piacciono le frasi colorite.

Senti, permettimi una domanda personale, ma tu sei più tedesca o più italiana? Più antinazista o antifascista?
Ah, io per essere una sudtirolese sono molto poco patriottica. Come diceva Hermann Hesse, la mia patria o è dentro di me o non c’è.

Bravi ragazzi. Di merda

Facciamoci coraggio. Perché ce ne vuole un bel po’ per farsi un “tour virtuale” negli universi web dell’estrema destra, tra inni alle italiche glorie e feroci insulti a “negri, comunisti e culattoni”. Facciamoci coraggio e andiamo a vedere se l’omicidio di Nicola Tommasoli ha risvegliato qualche coscienza intorpidita. Chi lo sa? Magari qualcuno si è fatto qualche domanda. Del tipo: “Perché mai 5 ragazzini della Verona bene se ne vanno in giro con aria truce a smazziare chi è appena appena un po’ diverso da loro”
E per scendere negli inferi, come il padre Dante, cominciamo col prendere la strada del purgatorio. Clicchiamo sulle facce pulite della xenofobia. Quelli di “E’ razzismo chiedere di rispettare le leggi?” Sprofondiamoci subito nel sito della Lega Nord. Tra i tanti “Fuori i clandestini” e “Meno tasse a Roma”, non sperate di trovare una riflessione sulle ronde del Sol Padano, di cui pur Verona dovrebbe essere zeppa. Nessuno si chiede dov’erano le pattuglie di camicie verdi armate di cellulare quando Nicola è stato massacrato. Nessuno si chiede come mai gli autori del pestaggio non erano albanesi o rumeni ma dei ragazzini di buona e padana famiglia. E nessuno che si chiede chi è per quali motivi – che non son certo quelli di rendere più sicure le nostre strade - abbia istigato questa campagna di violenza e di paura. Ma se andate a vedere sotto i “consigli alla sinistra” - “Prenda le distanze dagli impresentabili alla fiera del libro!” - e cliccate su Archivio notizie, troverete un laconico commento di Roberto Castelli: “Provo una profonda tristezza per questo ragazzo morto a causa di una stupida ferocia”. Niente di che. Il personaggio sa far di meglio. Neppure un proclama per il ripristino dell’impiccagione. Ma i cinque erano veronesi, mica marocchini. Il commento si conclude con un inevitabile appello ad una severa condanna ma con toni comunque smorzati. “Ora i magistrati non si appellino alla necessità di nuove leggi per punire esemplarmente i colpevoli. Le leggi ci sono già basta applicarle. Questo è omicidio volontario non certo preterintenzionale”. Non spetta al politico decidere i capi d’accusa ma i “consigli” ai magistrati, il Castelli non se li è mai fatti mancare.
Restiamo in parlamento, tra gli eletti dal popolo italiano, e ci tuffiamo nel sito di Alleanza nazionale. Il verde padano lascia posto all’azzurro “Più sicuri. C’è Alleanza”. Bel faccione di Fini in primissimo piano sparato a tutto schermo. Sotto ci sono molti link che danno ampio spazio al giuramento del nuovo governo. Moltissimi i riferimenti multimediali e i video che hanno come protagonisti in particolare Alemanno e Fini. C’è pure una aggiornata rassegna stampa ma non troviamo tracce dell’omicidio di Nicola. Da segnalare solo, sotto la promessa di Matteoli: “Riattiveremo procedure per ponte sullo stretto”, uno spot della neo ministra Giorgia Meloni. “Voglio un’Italia dove i giovani non abbiano paura” E qui l’ironia verrebbe sin troppo facile.
Andiamo avanti. O indietro, se preferite. Come dei novelli Peter Pan seguiamo la seconda stella a destra. Non per trovare l’Isola che non c’è, ma per andare a curiosare nel sito della Destra. “Un futuro migliore per il popolo italiano”. Bandiere tricolore e fiamme. Per fortuna, nessun faccione politico sorridente. A lato, molti banner per le donazioni, sostegni, iscrizioni e adesioni on line. Al centro dello schermo, un promettente “tutte le notizie in tempo reale”. Qui ci informano con orrore e raccapriccio che il comune di Brugherio (Milano) ha deliberato nel suo nuovo Statuto un documento che dà il via libera alle unioni di fatto tra persone di sesso diverso o dello stesso sesso...” Sconvolti dalla notizia, scorriamo tutta la tendina ma senza risultato alcuno. C’è da dire comunque che il sito è fatto abbastanza male.
Molto meglio quello della Fiamma Tricolore. Qui l’omicidio di Nicola è in home page con un titolone che non lascia spazio ad equivoci. “Verona: sono delinquenti” Tutto da leggere il commento di Luca Romagnoli, segretario del Movimento Sociale, Fiamma Tricolore: “Accade che tra gli esseri umani ve ne siano alcuni che hanno spiccata capacità a delinquere, propensione che si concretizza in crimini efferati, ingiustificabili, esecrabili e stigmatizzabili neanche in modo adeguato”. E ancora: “Questi individui sono capaci di compiere azioni, crimini, che definire da cerebrolesi è riduttivo ed eufemistico”. E ancora: “Questi individui, indifferentemente se schermati da ‘fedi’ o simpatie politiche, sportive, religiose o quanto altro, non possono essere ascrivibili ad alcun contesto sociale, ne possono accampare giustificazioni di sorta”. E ancora: “Questi individui per le loro scriteriate azioni devono essere perseguiti e devono pagare il conto con la giustizia e la società” A questo punto si arriva al dunque. La politica non c’entra, soprattutto “noi” non c’entriamo. Giornalisti attenti. “Spiace dover stigmatizzare anche l’atteggiamento di certa stampa, non saprei se definire politicizzata o altrettanto scriteriata, che specula su tragici eventi che hanno a che fare solo con il teppismo criminale e la devianza ed il bullismo giovanile, e non con la politica”. Chiusura con squilli di trombe. “Soprattutto, men che meno, con la militanza e l’attivismo del Fiamma Tricolore, spesse volte oggetto misconosciuto d’aggressione, e che ha merito e metodo d’azione politica agli antipodi di quello che certa stampa e alcuni incauti fomentatori d’odio e scontro sociale vagheggiano e forse desiderano. Rimanere fermi testimoni della propria fede e delle proprie idee con onestà, disponibilità al confronto dialettico e lucida intelligenza: queste le doti del nostro militante. Per fortuna chi non le ha non era, non è, e mai sarà uno dei nostri”.
Lasciamo alla “lucida intelligenza” dei militanti della Fiamma Tricolore tutto il loro “confronto dialettico” e saltiamo in un altro sito, quello del portale di informazione Avanguardia legionaria. Vediamo un po’... in quale chat di discussione andiamo a curiosare? “Nulla impedirà mai al sole di sorgere.. Ave camerati”? Oppure “vado a sognare la campagna d'Etiopia,facendo finta di essere una camicia nera”? No. Restiamo in tema e andiamo a vedere se parlano di Nicola. Troviamo un articolo in cui si spiega come nel ’33 gli ebrei abbiano cercato di piegare la Germania nazista. Sotto, un tipo che si firma Thule racconta i “veri motivi” della persecuzione dei nazisti a Primo Levi. Scusate ma, sul serio, questo non ce la faccio a leggerlo... Ma ecco qua, proprio sull’home page, in fondo in fondo, dopo la notizia che l’europarlamentare e segretario Nazionale di Forza Nuova, Roberto Fiore esprime “fortissime perplessità sulla squadra di Silvio” perché “non è stato designato nemmeno un ministro cattolico” mentre “è alto il numero dei ministri che, privatamente ed in pubblico sostengono le lobby gay”, troviamo un bell’attacco al neo presidente della Camera, Gianfranco Fini, a firma di una certa Ercolina Milanesi.
“Che sia stato un atto deplorevole bruciare le bandiere di Israele è lapalissiano ma, l’Italia di oggi, non stupisce più, perché è divenuta uno stato anarchico. Criminalità, risse, pestaggi, omicidi, furti, i delinquenti ed assassini invece di finire in galera per poco non si da loro una medaglia, l’estrema sinistra attacca l’estrema destra per futili motivi, la parola fascista è divenuta una definizione corrente quando si vuole offendere od incolpare qualcuno, l’antisemitismo e il razzismo sono all’ordine del giorno e la famosa “monnezza” campana è il fiore all’occhiello. La giustizia non si sa se vi è ancora o è emigrata in altri stati. Fini ha fatto la sua solita gaffe, almeno lo si spera, perché se lo avesse detto con cognizione di causa, ringraziamo che non è il ministro degli Esteri, perché con la diplomazia che mette in atto, sarebbe la rovina e di rovine ne ha già fatte tante” Più avanti, viene ribadita la solita tesi. delitto compiuto da un branco di balordi che nulla ha a che fare con i nostri ideali, luminosi come una notte senza luna. “Non si è trattato di un gesto politico. Il procuratore capo Guido Papalia smonta il teorema e parla di “un uso della violenza per la violenza, senza particolari finalità politiche se non il colpire ciò che appare diverso” così come affermato anche dal questore Vincenzo Stingone. Ed anche per il pm Francesco Rombaldoni non c’entra la politica con il pestaggio di Nicola: solo ‘motivi banalissimi’.”
Siccome pare che la politica non c’entri, andiamo a vedere cosa si scrive nel sito di una associazione culturale: l’associazione culturale (si chiama proprio così!) veneto Fronte skinhead. Qui, l’omicidio di Nicola è in prima pagina. Troviamo ben due comunicati ufficiali. “L’associazione culturale Veneto Fronte Skinheads condanna fermamente ancora una volta quanto accaduto a Verona nella notte tra il 30 aprile e il 1° maggio e il suo tragico epilogo, frutto della più becera e stupida violenza gratuita mossa solamente dalla noia e dalla povertà morale di certi individui, e vuole prendere categoricamente le distanze da questi cinque balordi che nulla hanno a che spartire con noi”. “Vogliamo rivolgerci direttamente alla famiglia del povero Nicola, esprimendo il nostro più sentito cordoglio, mossi da quella lealtà e onestà che sempre ha contraddistinto il buon nome della nostra Associazione e dei nostri associati che mai si sono macchiati di simili gratuite efferatezze.
Capiremo anche il loro rifiuto nell’accettare questa nostra sincera e sentita presa di posizione, che certamente non è rivolta a ricevere lo scagionamento per qualcosa di cui non siamo responsabili, ma semplicemente per far capire che in una società oramai allo sbando i mostri non siamo noi Skinheads Veneti”.
Il secondo comunicato, ricalca il prima con una avvertenza in più per i soliti ed incauti giornalisti che se scrivono di noi vanno a rischio di querela. Per inciso, chi scrive ne ha già una. “ Come sempre la faziosità e la scorrettezza dei mezzi d’informazione hanno già provveduto a dipingere il balordo responsabile di questa stupida, inutile e brutale aggressione, come un appartenente alla nostra associazione. Nulla di più falso! Il fatto che questo squilibrato mentale dichiari di essere vicino al nostro ambiente e che indossasse un giubbetto tipo ‘bomber’ la sera dell’aggressione o che abbia anche ipoteticamente assistito ad un concerto organizzato dalla nostra associazione, non significa assolutamente che abbia a che fare con noi. Diffidiamo perciò qualunque giornalista a sfruttare faziosamente la situazione per tentare d’infangare il buon nome della nostra Associazione!” Come dire: attenti che sguinzagliamo gli avvocati. “Non saremo degli stinchi di santo, ne tanto meno seguiamo l’etica cristiana del porgere l’altra guancia, ma mai negli onorati ventidue anni di storia della nostra associazione ci siamo resi responsabili di azioni così miserabili, stupide ed insensate! Per tanto ci avvarremo da subito del nostro collegio difensivo procedendo per vie legali contro chi utilizza senza comprovati motivi il nome della nostra associazione, tirandolo inutilmente ed ingiustamente in ballo in questa circostanza”. Segue una poco tranquillizzante firma: “feroci più che mai”. Altro nel sito non c’è. Notizie di concerti, qui chiamate “straordinarie esibizioni”, di gruppi quali Gesta Bellica, Blackout, Sleipnir, Fear Rains Down, Endstufe, Estirpe Imperial e ZetaZeroAlfa... Ah, sì! E’ disponibile il nuovo calendario dell’Unione Skinhead “Girl Italia 2008”. Ho cliccato dappertutto ma non ho trovato neppure una foto.
Ultimo giro di danza con il sito di Forza Nuova dove ci tuffiamo come con una pietra al collo. C’è da dire che non è fatto neppure male, il sito. In alto, si può ascoltare l’inno o scaricarselo come suoneria per il cellulare. Poi è tutto un “grazie elettori per averci votato”, “grazie ai militanti per aver fatto sì che gli elettori ci votassero”. Nella colonna di sinistra, le solite richieste di donazioni. Puoi anche scaricarti loghi, manifesti e “merchandising d’area”. A destra, un link invita a scaricare un opuscolo dall’equivoco titolo “la violenza sessuale”. Andiamo subito a vedere. E’ un elenco dei punti cardine del pensiero forzanovista su come combattere questa piaga: “promuovere, diffondere e divulgare, in qualsiasi forma, della cultura del rifiuto assoluto di qualsiasi pratica di attacco alla vita umana fin dal momento del concepimento, intendendo qualsiasi forma di interruzione di gravidanza, effettuata nelle forme previste dalla legge che in quelle illegali” Ma che c’entra con lo stupro? Continuiamo a leggere. “la diffusione di un movimento di coscienza che porti all’abrogazione della disastrosa legge 184, affinché le pratiche abortive siano riconosciute come forme di assassinio sul piano della vita singola e come pianificato tentativo di genocidio del popolo italiani, sul piano sociale; attuazione di concrete misure di dissuasione e di deterrenza nei confronti delle potenziali interruzione di gravidanza”. E lasciamo perdere qua. Torniamo all’home alla ricerca di quel che ci interessa. Scorriamo i link delle notizie. Niente copia e incolla. Qui bisogna correggere gli errori di ortografia. “Violenza nei confronti di una donna a Roma nord. Forza Nuova ritiene gravissimo che Roma sia alla mercé di stupratori immigrati che poi tentano di uccidere le proprie vittime. La violenza avvenuta alla luce del giorno riporta in evidenza il caos provocato da una immigrazione sempre più vigliacca ed assassina, che non potrà essere fermata né da Rutelli che fa parte di uno schieramento che favorisce apertamente l'immigrazione, né da Alemanno che è corresponsabile della legge vigente e cioè della Bossi Fini.” E ancora più sotto: “Stranieri e sicurezza:Maroni gia’ smarona! Ancora non ha preso possesso del dicastero e già Maroni tradisce il voto ricevuto! Infatti, ha ieri dichiarato: ‘Gli extracomunitari clandestini andranno espulsi’. E su questo non ci piove; ma ha, inoltre, aggiunto: ‘per farlo con i cittadini comunitari che delinquono e/o si comportano in maniera anti-sociale chiederemo alla Commissione Europea’. Tenendo presente che sono comunitari gli zingari che stanno trasformando le nostre città in campi di battaglia dove soccombono solo gli italiani, queste dichiarazioni ci preoccupano e ci indignano!” Si continua con un pressante appello “La vita e la sicurezza delle nostre donne, la difesa della nostra proprietà privata è più importante di fogli di carta firmati da burocrati massoni e superprotetti che mai sentiranno sulla loro pelle ciò che significa vivere nella paura” Chiusura: “Solo forza nuova difende gli italiani”.
Anche qua nessuno che si chiede perché e per come cinque fighetti di buona famiglia se ne vadano per Verona a massacrare chi non rispecchia certi criteri di ariana purezza. in fondo alla pagina troviamo un articolo in cui si invitano “Marco Paolini, Gianfranco Bettin, Tiziano Scarpa, Vitaliano Trevisan, Romolo Bugaro, Alberto Fassina, Marco Franzoso, Giulio Mozzi, Gian Mario Villalta, Mauro Covacich, Ferrucci, e tutti gli altri ‘scrittori intellettuali’ che hanno dato origine al patetico incontro anti razzista di Treviso, gente con incapacità di distinguere la realtà, o più semplicemente in sfacciata malafede, piuttosto che gettarvi in sballate retoriche anti-razziste, state a casa, rilassatevi, e leggete un buon libro”. Invece di “farsi ritrarre assieme ai giovinastri no-global”. Il sito spezza una lancia in favore dello sceriffo “Gentilini, evidentemente persona eccessivamente genuina e pragmatica per i loro gusti invece più affini alle ciurme, alla mentalità mondialista ed alle ‘espressioni artistiche’ di certa sinistra”.
Ma su Nicola niente di niente. Andiamo a vedere allora sul loro blog. “Amici camerati oggi al campidoglio sventolava la celtica e la bandiera della nostra amata Italia. Finalmente qui a Roma ci sarà un sindaco che metterà a posto le cose. La voce della verità non tacerà per sempre!” Neanche qua niente. Proviamo con un altro forum di discussione. Su questo ad esempio si parla di violenza: “Avete saputo? Studentessa assalita fuori dalla stazione di Roma da un rumeno. Accoltellata e abusata. Io non ho più parole per esprimere quello che penso. Due ragazzi hanno visto l'accaduto e hanno chiamato la polizia. Io l'avrei chiamata, ma prima lo massacravo! Bastardo!” Risposta: “Non è l'unico questi ultimi giorni non hai letto della studentessa violentata nella zona Brera di Milano qualche giorno fa da un egiziano clandestino? Diventano sempre di più! Dovremmo fare una marcia in tutta Italia, una fiaccolata in cui cacciamo ogni abusivo che sfrutta la nostra terra e ferisce il nostro popolo! Dobbiamo proteggere le nostre donne! Queste povere concittadine che subiscono violenze nelle loro città! Basta!” Un altro camerata invita a ribbelarsi con due b: “Camerati ribbelliamoci a questo sistema che ci fa diventare delle capre, ricordate: meglio vivere un giorno da leone che cento da pecora”. Gli stupri –rigorosamente efferati e opera di albanesi e rumeni nei confronti di ingenue ragazze dagli occhi azzurri e dai capelli biondi -, sono il piatto forte del blog. Uno psicologo potrebbe anche ricavarne deduzioni interessanti. La ricetta poi è sempre questa: “Saluti a tutti, alti i cuori e sguardo fiero, come la maggior parte degli Italiani ho un problema, sono stanco di questi extracomunitari, vivo ai mè (credo intendesse ahimè.ndr) circondato da baluba, come Enrico Toti voglio lanciare contro di loro la mia carozzina, ... sono incazzato di brutto, ma cari camerati sono incazzato anche con voi, organizziamoci, colpiamone uno x educarne cento”. E qui troviamo la risposta alla domanda iniziale: perché mai 5 coglioncelli di buona famiglia se ne vanno in giro per le strade di Verona smazziando chi trovano?

Vicenza in corteo

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Non c’è stato niente da fare. Non sono serviti gli insulti del sindaco vicentino che ha bollato i manifestanti come “imbecilli”. Non è servito a niente l’oscuramento pilotato della gran parte dei media nazionali e locali. Non è servito nemmeno l’oramai consueto boicottaggio delle ferrovie che hanno addirittura chiuso i bagni della stazione “per questioni di sicurezza” e schierato plotoni di controllori ad ogni binario. Non è servita nemmeno la politica del “non li sento e non li vedo” in cui si sono arroccati tanto il governo Prodi di centro sinistra di Prodi quanto la giunta Galan di centro destra. “E perché mai dovrei interessarmi di quel che faranno poche decine di anti base?” aveva commentato il governatore del Veneto. Alla faccia delle “poche decine”!


Sabato scorso a Vicenza hanno sfilato almeno 80 mila persone. Un lungo corteo pacifico, colorato e festoso. Lo aprivano migliaia di vicentini dietro lo striscione del presidio permanente. Seguivano gli abitanti di Quinto Vicentino che ribadivano su cartelloni verdi portati a tracolla il loro no al villaggio Usa sulla loro terra. E poi No Tav, valsusini, No Mose, comitati, rappresentanze di immigrati, centri sociali, studenti, anarchici, comunisti, pacifisti, ambientalisti, associazioni cristiane, Amici di Beppe Grillo, sindacati di base, sindaci e pacifisti della Repubblica Ceca, Emergency… davvero impossibile elencarli tutti. C’era anche una rappresentanza della squadra di rugby (la base la vorrebbero costruire anche sopra il loro campo), riconoscibile dagli erculei bicipiti e da una grande palla ovale color arcobaleno. E donne, bambini, preti, professori, anziani, disabili, premi nobel, operai, giovani, casalinghe, migranti… tutti diversi, tutti insieme in un immenso corteo di pace che non soltanto ha dato la misura della forza e della determinazione, ma anche della maturità raggiunta dal movimento No Dal Molin. Una maturità che ha conquistato l’intera città. Non sono valsi a nulla gli allarmismi lanciati da Forza Italia. Non sono servite a niente le raccolte di firme contro il corteo organizzate dalla Lega “in difesa dei commercianti”. Questa volta, anche la Vicenza delle botteghe ha accolto la manifestazione con le porte dei negozi aperte e le vetrine luccicanti. Lo stesso hanno fatto le tradizionali bancarelle natalizie. E quando il corteo ci è passato vicino, più di un manifestante ne ha approfittato per acquistare qualche regalo da sistemare sotto l’albero.
Maturità, dicevamo, che si evince anche dalla dimostrata capacità organizzativa del movimento anti base che, dopo la prima grande manifestazione dello scorso 17 febbraio, è riuscita a riportare in piazza 80 mila persone, questa volta, senza il supporto di nessun partito. In tutto il corteo, non siamo riusciti a vedere una bandiera del Sole che Ride. E in quanto alle Falci&Martelli di Rifondazione e del Pdci, le abbiamo contate con le dita di due mani. Ma se le bandiere sono rimaste appese nelle sedi dei partiti, non è rimasta a casa tutta la gente che le sventolava. Tutti a Vicenza per scegliere un futuro senza basi di guerra, come a febbraio, ma stavolta con altre bandiere sulla spalle: quelle dei No Mose, dei No Tav, dei Cobas o semplicemente il vessillo arcobaleno. Il neo nato partito della Sinistra e degli Ecologisti marciava in fondo al corteo. Un paio di dozzine di persone, quasi tutti parlamentari o quantomeno segretari regionali che reggevano da soli le loro bandiere.

Tutti i colori della pace

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Maschere bianche contro l’indifferenza. Ad aprire il corteo contro il Dal Molin di domani a Vicenza sarà uno striscione con la scritta «No Dal Molin», tenuto dai rappresentanti dei diversi movimenti contro la base. Sui volti, delle maschere bianche, «per evidenziare l’invisibilità di Vicenza, svenduta e trattata come una merce dallo stesso presidente della Repubblica», spiega il Presidio Permanente. «Su Vicenza è calato il silenzio. La storia di migliaia di donne e uomini che difendono la propria terra non viene raccontata dai grandi media nazionali e dal governo arrivano solo segnali d’arroganza che dimostrano che i cittadini sono considerati soltanto come una presenza collaterale».
All’indomani di questa grande mobilitazione «dal basso» che porterà l’Europa a Vicenza, un segnale è però arrivato finalmente «dall’alto».


Ieri i capigruppo de «La sinistra l’arcobaleno» e tutti i deputati veneti schierati contro la nuova base militare Dal Molin hanno depositato una mozione sul blocco dei lavori di bonifica dell’aeroporto presso la camera dei deputati. Forse è l’inizio di un dialogo tra il movimento vicentino contrario alla costruzione della base e il governo.
Domani i cittadini contrari alla costruzione della nuova base militare in città scenderanno in piazza - insieme ai rappresentanti dei gruppi pacifisti d’Europa e agli altri comitati aderenti al «Patto di mutuo soccorso» - per partecipare all’iniziativa centrale della mobilitazione che da oggi, per tre giorni, coinvolgerà la città del Palladio. «Vicenza darà una nuova lezione di determinazione, democrazia e senso civico - assicurano gli organizzatori -, attraverso la partecipazione di famiglie, anziani, mamme e bambini». Parteciperanno alla manifestazione anche alcuni cittadini statunitensi e dei sindaci giunti a Vicenza dalla Repubblica Ceca, insieme a numerosi altri cittadini europei. Questa sera i diversi comitati arrivati a Vicenza si confronteranno all’interno di un dibattito sulla presenza militare Usa e Nato in Europa e sui movimenti che si oppongono all’espansione militare, che aprirà ufficialmente la tre giorni europea, alle 20.30 al Presidio di Ponte Marchese. Sempre in serata, dalle 18 nella chiesa di San Carlo in via Colombo 1, il coordinamento dei gruppi cristiani per la pace di Vicenza organizza un momento di confronto interreligioso, con testi, musiche dal vivo e testimonianze dalle differenti tradizioni religiose. Fino a mezzanotte, la chiesa sarà aperta per chi si vorrà fermare e partecipare all’iniziativa.
Il corteo di domani, sabato, partirà alle ore 14 dalla stazione dei treni, «e dimostrerà che la popolazione vicentina non si è affatto arresa alle imposizioni calate dall’alto», assicurano i vicentini no base. «Sarà un corteo variegato e trasversale. Chi voleva dipingerci divisi e litigiosi, ancora una volta, è stato smentito: questo movimento è un prisma di sensibilità diverse, unite dall’unico obiettivo di impedire la militarizzazione di Vicenza».
Si aspettano circa 20 mila presenze a Vicenza domani, per ribadire che «la vicenda Dal Molin non è affatto chiusa, a differenza di quanto vorrebbero lasciare intendere il ministro D’Alema e il presidente Napolitano», come sottolineano i portavoce del Presidio Permanente.
Per accogliere i movimenti europei che stanno arrivando in queste ore a Vicenza per partecipare alla manifestazione, i ragazzi del «collettivo Caserma No War» occupano da ieri sera una ex caserma, abbandonata da 10 anni, nella periferia di Vicenza. Il Presidio Permanente aveva chiesto al sindaco e al presidente della provincia di attivarsi per individuare spazi idonei all’ospitalità di chi arriverà a Vicenza per la manifestazione europea, ma nessuna risposta è mai arrivata da parte delle istituzioni vicentine. L’obiettivo dell’occupazione - che si concluderà domenica, con la chiusura della tre giorni europea - è quindi quello di garantire l’ospitalità ai manifestanti che stanno arrivando a Vicenza. «L’apertura dell’‘ostello caserma No War’ - spiega un ragazzo del collettivo - oltre a risolvere il problema pratico dell’accoglienza per chi giunge a Vicenza, dimostra che le strutture militari possono, attraverso la creatività, essere riconvertite ad usi civili e assumere una importante valenza sociale importante».
Questa sera, alle 19, il «collettivo Caserma No War» darà il benvenuto ai manifestanti con un aperitivo, per poi spostarsi alle 20.30 al Presidio di Ponte Marchese, per partecipare al dibattito in programma. Sempre alla caserma occupata «No War», domani mattina gli studenti delle scuole medie superiori si sono dati appuntamento per un momento di incontro e socialità prima della manifestazione del pomeriggio.
Il percorso deciso dai no base per la manifestazione di sabato non chiude il centro della città e lascia libero l’accesso a molti parcheggi cittadini e passerà per il centro storico. L’arrivo del corteo in viale Roma - ultima tappa della manifestazione - è previsto per le ore 16. Una volta conclusa la manifestazione, un altro corteo, dei vicentini a di chi si fermerà per la serata e per i workshop di domenica, partirà verso il Presidio Permanente. Proprio in questi giorni il Presidio è stato rinnovato e allargato: un «Presidio a cinque stelle» - come lo hanno definito i no base - è stato allestito per accogliere i movimenti nazionali ed europei. Sabato sera il gruppo donne No Dal Molin metterà in scena il proprio spettacolo teatrale alle 18.30 e dalle 19 si potrà cenare. La serata continuerà con la musica di Akatasuna, Don Ciccio Philarmonic Orchestra e l’Osteria Popolare Berica.
Le adesioni al corteo sono numerose, e non è mancata qualche sorpresa dell’ultimo minuto.
Tra queste, l’intenzione di partecipare dell’imprenditore Pierandrea Aggujaro, ex presidente della sezione Edili di Assindustria, e degli altri soci dell’Aeroclub di Vicenza. La loro è una protesta limitata al futuro della pista di volo dell’aeroporto Dal Molin [che dovrebbe essere demolita per lasciare spazio alla nuova base], come spiega Aggujaro. «Non siamo certo no global, ma vogliamo far sentire la nostra voce per difendere una realtà, quella dell’Aeroclub, che ha una storia lunga 80 anni e fornisce servizi importanti. Non possiamo accettare che nessuno si preoccupi del futuro dell’Aeroclub, per questo vogliamo far percepire la nostra presenza, senza confonderci con altre realtà, ma per attirare l’attenzione sulla pista di volo del Dal Molin».
Anche la Chiesa Evangelica Metodista di Vicenza ha deciso di dare la sua adesione, per testimoniare il proprio impegno per la pace e la nonviolenza. «Riteniamo che i cristiani abbiano il dovere di testimoniare una realtà di pace che non passa per le armi ma attraverso la ricerca della giustizia e della solidarietà e di denunciare come qualunque corsa agli armamenti testimoni di fatto la cultura opposta», dice la presidente del consiglio di chiesa, Gabriella Giannello. «Inoltre riteniamo che le conseguenze negative di un simile raddoppiamento, in una piccola città come Vicenza, che saranno i vicentini a sperimentare in prima persona, non possono essere ignorate in favore di cosiddetti interessi superiori di politica internazionale e che qualunque governo dovrebbe affrontare un progetto dal simile impatto ambientale e sociale con trasparenza e coinvolgendo pienamente la popolazione locale direttamente interessata, così come recita anche il programma elettorale dell’Unione», continua Giannello, criticando il silenzio delle chiese in simili momenti.
Anche la domenica vicentina, ultimo giorno della mobilitazione contro la base, si preannuncia ricca di spunti e stimoli interessanti. Alle 11 è in programma un reading di poesie dal titolo «Donne contro le guerre», con la lettura di «Pensieri di pace durante un'incursione aerea», di Virginia Woolf e alcuni brani di Lidia Munari. Dalle 14 alle 19, sempre al Presidio, sono in programma alcune tavole rotonde parallele con i rappresentanti dei vari movimenti europei contro la guerra. Oltre a quattro focus geografici, con altrettante tavole rotonde - sulla situazione politica e i movimenti di opposizione in Usa; sull’Europa dell’est; sulla Germania; sull’esperienza italiana del Patto di mutuo soccorso - vi sarà anche un’incontro organizzato da Emergency, con Carlo Garbagnati, vicepresidente dell’associazione e Carla Dani, ostetrica di ritorno dall’Afghanistan. Alle 17, nella bottega di commercio equo e solidale Unicomondo di Vicenza, vi sarà un reading dal titolo «Riflessi-oni sull’acqua», con Patricia Zanco. Chiuderà la tre giorni di mobilitazione lo spettacolo teatrale «Disarmati fino ai denti» di Roberto Caruso, con la Compagnia Abracalam, alle 20.30 al Presidio. Vicenza diventerà così il luogo di incontro e confronto dei movimenti per la pace e per la difesa dei beni comuni.
E chi pensa che tutto si concluderà in un fine settimana, potrebbe sempre fermarsi anche il lunedì. Per accorgersi che a Vicenza c’è chi non intende mollare, ma è invece determinato a continuare la propria battaglia pacifica per impedire la costruzione di una nuova base di guerra.

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