In questa pagina ho riportato gli ultimi articoli che ho scritto per il quotidiano ambientalista Terra, il settimanale Carta, Manifesto, per siti come Global Project, FrontiereNews o siti di associazioni come In Comune con Bettin e altro ancora.

Nasce l’associazione Preziose, per una politica al femminile

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Preziose, è il nome che si sono date. Perché “preziose” sono le donne che fanno politica. Donne capaci di agire con consapevolezza e radicalità per allargare orizzonti oggi confinati al solo maschile. “In un’epoca di crisi come quella in cui stiamo vivendo, c’è bisogno che le donne imparino a fare rete e a mettere in comune tutta quella ricchezza di saperi, competenze accumulata in tanti anni, per arginare la decomposizione delle istituzioni e della stessa democrazia” ha spiegato la verde Luana Zanella, in apertura dell’incontro.
La presentazione della nuova associazione ideata da Annarosa Buttarelli, è avvenuta, ieri pomeriggio negli spazi dell’eco osteria Laguna Libre, in fondamenta Cannaregio, a Venezia. Un locale aperto di recente ma che già si propone come un punto di riferimento, oltre che per l’aspetto gastronomico, anche per le più innovative attività culturali, politiche, artistiche e musicali del veneziano. Imperdibili, le jam session del martedì sera che sono già diventate un must per gli appassionati di jazz d’autore.

A presentare la nuova associazione tutta femminile, e femminista, con la Zanella e la Buttarelli sono intervenute anche la presidente Luisella Conti e Nadia Lucchesi.
Nei programmi di Preziose, c’è la vicina fondazione di una scuola di alta formazione politica con sede a Venezia e a Roma, e una accademia delle eccellenze femminili con lo scopo di valorizzare quanto le donne hanno saputo produrre.
Una curiosità. Il nome “Preziose” viene da un movimento culturale e letterario femminile nato in Francia nel salotto mondano di Madame de Rambouillet in cui molti studiosi lessero un tentativo di reazione contro la condizione di passività legata alla condizione femminile. Il “preziosismo” si basava su una scrittura barocca tutta iperboli e parafrasi, volta a strutturare tempi, spazi e modi del corteggiamento amoroso. Il genio di Molière ebbe buon gioco a metterlo alla berlina nella sua commedia in prosa “Les précieuses ridicules”. Alle preziose francesi, ha ricordato Luisella Conti, va comunque il merito di aver inventato i racconti di fate. Ed in un momento in cui l’inquisizione metteva al rogo qualsiasi donna al solo sospetto di stregoneria, non è stata una invenzione da poco.

Come dobbiamo dirvelo che l’inceneritore non lo vogliamo?

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E sempre all’erta bisogna stare! L’Sg31, buttato fuori dalla porta grazie ad una dura mobilitazione popolare, rischia di rientrare dalla finestra della partecipata. Finestra spalancata dalla cessione del 40% delle quote di Veritas alla srl Ecoprogetto. E il marcio non è solo in Danimarca evidentemente, considerato che della ventilata riapertura dell’inceneritore, se non addirittura della costruzione di un nuovo impianto nella stessa area, ne siamo venuto a sapere soltanto grazie all’allarme lanciato dal sindaco di Mira, il pentastellato Alvise Maniero, che ha prontamente informato la stampa non appena ne ha avuto notizia. C’è da chiedersi dove fossero gli altri 42 sindaci che pure fanno parte del consiglio di Bacino. A parte il Brugnaro “Gigio” che, di sicuro, stava sparlando di “schei” o di “sicurezza” davanti a qualche microfono. Ed è proprio sulla mancata trasparenza che il presidente della municipalità di Marghera ha puntato l’indice, questo pomeriggio, durante la riunione del consiglio. Un consiglio che sembrava più una assemblea popolare, pieno com’era di cittadini incazzati e preoccupati. “Proprio sul campo della gestione dei rifiuti bisognerebbe garantire la massima trasparenza - ha commentato l’ambientalista in apertura del dibattito -. Non è un caso che recentemente ci siano stati due attentati ai mezzi e agli impianti di trattamento, uno dei quali ha colpito proprio Veritas. I rifiuti, se non sono gestiti in maniera chiara e pulita, causano inquinamento ambientale e criminale”.

Il comunicato con il quale la partecipata Veritas, prende le distanze dal progetto Sg31 è sicuramente un passo avanti in questa battaglia per un futuro sostenibile - e non solo dal punto di vista ambientale ma anche economico considerato che, Parigi insegna, o saremo green o non saremo niente - ma rimane comunque una presa di posizione assolutamente non vincolante, perlomeno sino a quando il consiglio di Bacino formalizzerà la bocciatura del progetto.
Con un comunicato congiunto, si sono fatto sentire anche l’assemblea contro il Rischio chimico e il comitato Opzione zero che invitano i cittadini a tempestare di mail la posta dei membri del consiglio di Bacino ed a partecipare con pentole e fischietti al presidio che si svolgerà domani, alle ore 9 davanti a Veritas, via Porto di Cavergnano, Mestre, proprio in concomitanza con la riunione del consiglio.
La preoccupazione che gli interessi economici privati delle società legate all’incenerimento dei rifiuti prevalga sulla tutela dell’ambiente e della salute pubblica è forte, nonostante le rassicurazione di Veritas secondo cui Venezia non tornerà indietro dalla politica avviata dalla precedente amministrazione comunale che era riuscita a chiudere l’ultimo inceneritore potenziando la differenziata. Ma oggi, in laguna, l’aria tira da un altro versante.
E sempre all’erta bisogna stare, dicono i comitati ambientalisti. Nel Veneto, come in tutta Italia, chi parla di riciclo, riuso, riduzione, raccolta e recupero viene visto come un nemico dello “sviluppo” economico. L’Europa è ancora lontana. Alle mafie dei rifiuti va bene così. Ma i comitati, i movimenti e gli ambientalisti sono pronti alla mobilitazione. Sanno che dei comunicati non ci si può fidare. Non con questi sindaci, non con questa Regione, non con questo Governo.

Città d’Europa protagoniste del cambiamento tra guerre e migrazioni

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In una Europa aperta ma composta da nazioni chiuse - ha spiegato Luciana Castellina - le contraddizioni si concentrano sulle città. Ed è da questi luoghi, sociali e politici, che dovrà partire il cambiamento. Ed è proprio sotto questa lente che la nascente Sinistra Italiana della nostra provincia ha scelto di aprire l’autunno politico veneziano con un dibattito sul tema “Dalle città all’Europa”, svoltosi ieri pomeriggio a Venezia, in una sala San Leonardo gremita di gente.
L’obiettivo dell’incontro è stato quello di “riprendere il mano il bandolo della matassa” dopo la pausa estiva - ha spiegato nella sua introduzione Mattia Orlando - per tessere da protagonisti “le trame di un futuro ancora incerto al quel arriviamo dopo un passato di conflittualità”. A far gli onori di casa, Anna Messinis, consigliere di circoscrizione di 2020Ve e e vice presidente della Municipalità di Venezia. Città che è uno dei punti focali del cambiamento cui accennavamo. Ma tutto in negativo. “Dopo un anno di giunta Brugnaro, possiamo affermare che Venezia è diventata un laboratorio di politiche populiste, tradendo la sua antica tradizione di città aperta e la sua ancora più antica e, allo stesso tempo, innovativa vocazione di città capace di tutelare il suo ambiente”. La democrazia ha lasciato il posto alla tecnica gestionale, ha spiegato la consigliera. Il welfare è stato abbandonato in nome del profitto privato e l’ambiente è letto solo come merce da vendere. “Il degrado di cui tanto si parla, nasce proprio da questa visione commerciale del mondo e della città. Le soluzioni che il sindaco propone, come quella di colpire il turismo ‘straccione’ a favore di quello ricco, è un rimedio peggiore del male. La strada dovrebbe essere, al contrario, quella di valorizzare le proposte dei tanti movimenti e dei tantissimi cittadini che si battono per una Venezia diversa e per una diversa economia: aiutare la residenzialità locale, l’artigianato e le altre attività non necessariamente legate al turismo, per ridare linfa vitale e dignità a chi vuole costruire in laguna il suo futuro”.


Dal grigione di una Venezia dall’incerto futuro, la giornalista Luciana Castellina spazia verso una lucida analisi del momento politico europeo. E comincia col dire che le elezioni non bastano più per garantire democrazia e, ancor meno, partecipazione. “Il primo danno fatto dal governo Renzi è stato quello di dichiarare la politica incompetente a dare risposte ai bisogni delle persone. In questo modo, il partito degli affari ha pressoché nullificato la democrazia. Ripartire sarà difficile perché è necessario ricostruire tutta la pratica democratica e non basterà mettere una croce su una scheda. La sinistra non deve più fare l’errore di adagiarsi solo sulle consultazioni elettorali ma diventare protagonista dei cambiamenti nel sociale. Dobbiamo costruire una nuova democrazia e la strada è quella di riscoprire e ridare dignità alla politica”.

Sulla stessa lunghezza d’onda Valentina Orazzini, responsabile per l’Europa di Fiom, che sottolinea l’importanza di riappropiarsi di fiducia e speranza. “Il problema non è solo quello di andare al governo. La Grecia insegna che non è sufficiente il potere politico per cambiare le politiche neoliberiste. Il nostro obiettivo è piuttosto quello di costruire una forte opposizione sociale e di mettere in rete i movimenti di opposizione per costruire dal basso il cambiamento”. Le fa eco Martina Carpani, Rete per la Conoscenza: “Più che interrogarsi sulle alleanze politiche e sugli andamenti dei flussi elettorali, la nascente sinistra dovrebbe chiedersi come vuole rappresentare e costruire il nuovo”.

A questo punto viene da chiedersi se la citata sinistra italiana sia finalmente pronta a slegarsi dal mito della “conquista del palazzo d’Inverno” e dei “diecimila anni” di felice socialismo che ne sarebbero derivati, magari per capire che il progresso sociale si costruisce giorno dopo giorno alzando sempre di più l’asticella del conflitto tra movimenti e un potere politico, o meglio ancora, economico, che per sua natura tende a “piramidizzarsi” verso l’alto, indipendentemente da chi siede nella stanza dei bottoni. La nascente Sinistra italiana, ad esempio, sarà l’ennesimo partito tradizionale o qualcosa di davvero nuovo? Non ha esitazioni, Nicola Fratoianni, deputato e promotore di SI. “Abbiamo tante cose difficili da fare. Il problema è come farle. Non ho dubbi che è necessario costruire un partito capace di raccogliere le opposizioni a questo sistema, mettere insieme idee e proposte e dare gambe a tutto ciò”.

Dalle città ribelli per una Europa diversa

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Città ribelli per una Europa diversa. Spazi di democrazia dal basso da mettere in rete per costruire European Alternatives, visioni alternative di una Europa che non sia quella delle banche, delle privatizzazioni, dei tagli al sociale e dei diritti negati. Città come Barcellona e Napoli. Città che non hanno solo in comune il mare ma anche due sindaci capaci di ricordare che la disobbedienza ai diktat dell’alta finanza è sempre una virtù. Sindaci come Ada Colau e Luigi De Magistris, questo pomeriggio ospiti della municipalità di Marghera in un dibattito organizzato in piazza Sant’Antonio in collaborazione, per l’appunto, con European Alternatives. 
A far gli onori di casa, il presidente della municipalità, Gianfranco Bettin. “In un momento in cui i Comuni sono ridotti a semplici organi esecutori di una politica di tagli al welfare decisa in altre sedi, gli esempi di disobbedienza che stanno dando Barcellona e Napoli sono preziosi per farci capire che si può amministrare in maniera diversa. Ciò che non sta facendo il Comune di Venezia, purtroppo, che proprio nel primo atto della nuova Giunta ha tagliato i trasporti per i malati di Alzheimer e nel secondo ha eliminato il parco della laguna, già finanziato dalla comunità Europea. Ada Colau e Luigi De Magistris hanno dimostrato che si può amministrare una città non solo senza scatenare la guerra ai poveri, ma anche aprendo spazi di democrazia ai movimenti e alla cittadinanza attiva”. Tutto il contrario di Venezia, dove le stesse municipalità sono state rapinate da tutte le deleghe. 

Ad introdurre il dibattito, Lorenzo Marsili, fondatore di European Alternatives, che ha raccontato come l’idea di costruire una associazione costruire una rete politica per far comunicare movimenti ed esperienze di democrazia dal basso, gli sia venuta a Pechino “dove i litigi tra Francia e Germania sulle politiche comunitarie sembrano davvero poca cosa”. “Viviamo un momento di collasso sia nella politica che nell’economia - ha spiegato -. Da questo collasso ne può uscire una Europa dei diritti come un ritorno del fascismo. La crisi della democrazia apre nuovi scenari e anche nuovi spazi di protagonismo dei movimenti sociali, come dimostrano per l’appunto i casi di Barcellona e di Napoli”. 
Spazio quindi ai due ospito d’onore dell’incontro, intervistati da dal giornalista Giacomo Russo Spena, autore di “Ada Colau. La città in comune”, edizioni Alegre. 
“Come sia diventata sindaca di Barcellona è un mistero anche per me - ha spiegato in perfetto italiano l’alcalde Ada Colau -. Fino a poco tempo fa non ero interessata alla politica istituzionale e mi limitavo a lottare per il diritto alla casa e a combattere gli sfratti. Barcellona è sempre stata una città con forte tradizione di sinistra ma a governare erano sempre gli stessi. La crisi economica ha portato con sé una crisi della democrazia rappresentativa. Le istituzioni non davano più risposte ai bisogni dei cittadini su temi fondamentali come la casa, la sanità, il lavoro…  Abbiamo cominciato a far rete tra associazioni, cittadinanza attiva e movimenti. Alla fine abbiamo deciso di presentarci alle elezioni contro tutto e tutti e… abbiamo vinto. Alcuni non ci credono ancora. E anche io faccio fatica a pensare che sia potuto succedere ma adesso a Barcellona non si sfratta più nessuno e sul municipio sventola uno striscione con la scritta: benvenuti rifugiati”. 
Contro tutti e tutto, anche la vittoria di Luigi De Magistris, per il secondo anno consecutivo. “Gli exit poll non mi menzionavano neppure. Avevo contro la destra, la sinistra, i cinquestelle, per non parlare dei poteri forti e della mafia. Eppure abbiamo vinto. Ho trovato una città devastata dai debiti e dalle immondizie. Ho contribuito a cambiarla assieme ai cittadini napoletani investendo non sul capitale economico ma sul capitale umano, e ho vinto anche la seconda volta. Mi dicevano che dovevo chiudere le scuole per via della spending review. Neanche fosse una guerra o una epidemia. Ho disobbedito e ho assunto maestre e personale. Ora le scuole pubbliche ci sono e funzionano. Sono l’unico sindaco ad aver obbedito, e volentieri, al referendum sull’acqua trasformando una azienda privata in una azienda pubblica che oggi si chiama Abc, acqua bene comune. Ho internalizzato il patrimonio pubblico che era gestito solo da un imprenditore privato. Insomma, ho dimostrato che ‘pubblico’ funziona e che la disobbedienza è un valore civile quando si tratta di difendere il bene comune. Gli altri sindaci di fronte alle occupazioni di aree dismesse e degradata vanno da questore per chiedere lo sgombero, io vado dagli occupanti a ringraziarli per il lavoro svolto. Napoli oggi si è ripresa in mano il suo futuro. E non dite che è merito mio. Il merito è dei cittadini che hanno saputo ribellarsi”.

“Circenses” senza “panem”. Tutto qua il bilancio della Giunta Brugnaro

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A sentire il sindaco di Venezia che in conferenza stampa show racconta ai giornalisti come “è riuscito a riuscito a mettere in sicurezza il bilancio del Comune” in soli 6 mesi di lavoro matto e disperatissimo, “sabati e domeniche compresi”, viene in mente Gesù Cristo. Quella volta che sulle sponde del mar di Galilea moltiplicò i pani e i pesci e, con un colpo di magia, riuscì a sfamare le oltre 5 mila persone che lo avevano seguito per bearsi dei suoi insegnamenti.
Ma bisogna fare dei distinguo. Gesù Cristo, secondo alcuni perlomeno, era abilitato dal padreterno a fare i miracoli. Non doveva, lui, fare i conti col patto di stabilità. Il Comune di Venezia invece sì. Inoltre, questione da non sottovalutare, i “miracoli” con i bilanci è meglio non farli. Se sono privati rischi che arrivi la Finanza. E vagli a spiegare tu, che è come per i pani e per i pesci! Se sono pubblici, prima o poi i tarocchi vengono scoperti. Perché se li hai messi su quella voce, i soldi, vuol dire che li hai tolti da quell’altra, se non ci sono non te li puoi inventare - come fanno le banche -, e se li fai apparire come i pesci e i pani, vuol dire che te li ha dati o il Governo o i cittadini (tasse) o hai svenduto qualche bene pubblico. Altre alternative non ci sono neanche a farsi miracolare.
Ha un bel dire quindi Brugnaro Luigi sindaco che i soldi ci sono, che il patto di stabilità (forse) non verrà sforato, che non ha tagliato niente ma solo “ottimizzato le spese”.
Conti alla mano, si annuncia un carnaio sociale come Venezia non ha mai visto dalla Liberazione in poi. A farne le spese saranno le categorie più deboli. Meno 700 mila euro ai servizi destinati agli anziani. L’assessorato parla di un indispensabile “turn over” agli assistiti. La gente dovrà imparare ad avere bisogno quando è il turno giusto. Per il sociale, in generale, saranno spesi un milione e mezzo di euro di meno. Inevitabile che i servizi ne risentiranno. Inevitabile che saranno i più poveri a pagarne le spese. Inevitabile non sottolineare la perfetta continuità con l’infausta gestione del commissario.

In compenso, per ogni vigile sono stati stanziati 5 mila euro per le divise. La “sicurezza” per Brugnaro è un capitolo importante e la si ottiene non intervenendo nelle sacche di degrado e di povertà, ma vestendo di fino la polizia. D’altra parte, non può mica essere sempre lui a correre dietro ai delinquenti come ha fatto il primo giorno di sindaco!
Tagli a parte, anche il capitolo “entrate” di questo bilancio è quanto meno fumoso. Giocassimo a poker, potremmo dire che i nostri amministratori hanno una bella faccia da bluff. I soldi ci sono, dicono. Anche i dipendenti possono stare tranquilli per il loro fondo, dicono, e andare a fare il trenino alle feste che il sindaco, a sue spese, magnanimamente gli concede. Panem et circenses. Solo che non hanno spiegato “dove” hanno trovato i soldi. Il “circenses” non manca. Manca il “panem”. Non arriveranno fondi da quei contratti che il sindaco in campagna elettorale vantava come già firmati con le compagnie di crociera, non arriveranno finanziamenti per Venezia dalle grandi aziende che si arricchiscono col turismo. Tutte promesse elettorali, perché in questo capitolo, l’amministrazione deve ancora mettere parola.
E fosse solo una questione di soldi! Il vero, profondo deficit della Giunta Brugnaro sta nella democrazia, che il resto alla fin fine viene da sé. Nella democrazia interna, innanzitutto. Gli assessorati sono solo dei passacarte delle ordinanze partorite dal Gabinetto del Sindaco. In consiglio, i “fedelissimi” fanno gruppo come neanche una mischia di rugby. Ma così si amministra una azienda. Non una città. Brugnaro, semplicemente, non è in grado di cogliere la differenza.
Poi c’è una questione, ancora più grave di democrazia esterna di cui la ventilata proposta di spogliare le municipalità di tutte le loro deleghe è solo l’ultimo esempio. Non ce la raccontano che è un provvedimento dettato dalla necessità di smagrire le spese. Gli enti più vicini al cittadino sono quelli che investono meglio, in maniera più efficace e meno dispendiosa. Piuttosto, è il colore politico delle municipalità, che non è certo fucsia, ad infastidire l’amministrazione.
Una amministrazione che governa la nostra città con poca democrazia, zero lungimiranza, nessun progetto ma tanta “furbizia”. La “furbizia” del pizzicagnolo disonesto che ruba sul peso e tarocca la merce. La “furbizia” che fa dichiarare “siamo stati talmente bravi che ‘forse’ il patto di stabilità non verrà sforato” e intanto pensa a chi dare la colpa quando, inevitabilmente, verrà sforato. Già. perché Venezia sorge sulle rive della laguna e non del mar di Galilea.

AAA bella città lagunare svende il suo welfare

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La chiamano “riorganizzazione”. Ma di altro non si tratta che di pesanti tagli al welfare. La Giunta Brugnaro si appresta a calare la mannaia, non soltanto per demolire i servizi essenziali alle fasce più disagiate, ma anche per colpire tutto quel sistema sociale che costituiva l’eccellenza di Venezia, come testimonia una recente indagine del Sole 24 Ore. Il sindaco manager lo farà attaccando gli amministratori che lo hanno preceduto al governo della città. Dichiarerà, barcamenandosi alla meno peggio nell’oceano a lui sconosciuto dei congiuntivi, che si era speso troppo e troppo male. Che non ci sono più soldi perché quelli di prima se li sono mangiati tutti, che un elefantiaco sistema di assistenza come quello costruito a Venezia non è in linea con la modernità, che queste cose bisogna farla fare ai privati e non al pubblico. La chiamerà, come abbiamo scritto, “riorganizzazione dei servizi”. Un nome come un altro per nascondere una politica di smantellamento sistematico di quanto cittadini e associazioni erano riuscite ad ottenere in anni di lotta (perché nessuno ti regale niente, neppure le più illuminate amministrazioni).

Il dipendente / assessore Simone Venturini se è già uscito allo scoperto con alcune recenti dichiarazioni. Intendiamoci, nella Giunta / azienda del Brugnaro Luigi, gli assessori contano come un due a briscola. La famosa “riorganizzazione” passa tutta per la capace scrivania del padrone della baracca. Quello che vuole vendere i quadri che non sono neppure suoi! E questo eccesso di personalismo sarà il primo problema da affrontare quando la cittadinanza vorrà far sentire la sua voce e difendere le sue conquiste. Chi sarà l’interlocutore delle richieste? Gli assessori / dipendenti… lasciamoli anche stare, per quel che contano. L’uomo solo al comando è solo lui, il sindaco manager che non dorme la notte - così racconta - per la preoccupazione dei debiti ereditati con la sua nuova azienda (il Comune di Venezia). E non sarà facile fare politica - perché difendere il welfare è “fare politica” - con uno che ne ignora anche il significato della parola!
Come saranno “riorganizzati” i servizio poi, è presto detto. Il Brugnaro Luigi intende scrollarsi di dosso tutto il peso del welfare per scaricare tutto lo scaricabile sull’Usl. Scelta infelice e perdente perlomeno per tre motivi. Il primo è che l’Usl, per sua costituzione, si occupa di malati. Un povero, un senzatetto, o anche una persona che ha raggiunto la terza età, ha altri problemi e necessità che quello della salute. Secondo, l’Usl, purtroppo, ragiona oramai con una ottica aziendale. Bisogna far quadrare i bilanci e dai disgraziati c’è ben poco da tirare fuori.Terzo, l’Usl non è un Comune. Non è una amministrazione col compito di programmare politiche sociali e neppure ti ci puoi rivolgere per protestare o per chiedere servizi che non contempla. Oltre a tutto, i manager che la dirigono non hanno neppure la spada di Damocle delle elezioni a far paura e possono tranquillamente continuare ad erogare prestazioni di merda, purché il bilancio non sia in passivo. Chi non ci sta, si rivolga al mercato privato, come per i dentisti.
Scelta infelice e perdente quindi, quella di passare il testimone all’Usl. Ma attenzione, sarà una scelta infelice e perdente soltanto per i cittadini! Non certo per il Brugnaro Luigi che potrà addossare le colpe dei disservizi ad altri e concentrarsi finalmente su quello che gli preme di più: assecondare la svendita della città e della sua laguna ai poteri forti.

Sirat Al Bunduqiyyah, ovvero di come Venezia non è e non può essere uguale alle altre città. Un dibattito a Ca’ Sagredo

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Alzare il tiro, allargare gli orizzonti, porgere tutte le vele al vento. E mi fermo qua per non annegarvi nelle metafore. Il fatto è che abbiamo bisogno di tirare sù la testa perché non ne possiamo più di una campagna elettorale che potremmo definire “minimalista” solo per non dire che son ben pochi gli stracci di candidarti che possono offrirci una visione strategica di dimensione mondiale - e non esageriamo - della Venezia che si affaccia al 2020. Una visione che vada oltre i problemi contingenti. “Problemi” da scrivere tra le virgolette, poi. Provate a chiedere alla Zaccariotto la questione del decoro e vi parlerà delle cacche dei cani in piazza, provate a pronunciare la parola (parolaccia) “sicurezza” davanti a Brugnaro e vi sparerà un pippone da infarto sui “pericolossissimi” centri sociali. Ma davvero la Venezia del 2020 si ferma qua? Noi crediamo di no. Ed ecco perché, tra le tante, troppe, iniziative elettorali che vanno in scena in questi giorni piovosi, ci fa piacere segnalare un dibattito d’altri tempi, e svoltosi ieri sera in una sala d’altri tempi, il salone della Musica dell’hotel Ca’ Sagredo. Il tema, che era già una dichiarazione di intenti, recitava “Riconquistiamo la civiltà di Venezia” e, in una campagna in cui tengono banco argomenti come il plateatico di via Paraponzipà, già aprire un dibattito del genere è una riconquista.
“E’ giusto parlare anche del plateatico, come dei tanti problemi che abbiamo in città, naturalmente - spiega Gianfranco Bettin - ma tutto dovrebbe essere inglobato in un progetto più grande, in una idea che abbiamo della nostra città e che parta dal passato per arrivare al futuro”. Venezia, ha spiegato l’ambientalista, ha saputo nel suo passato coniugare ambiente e vivibilità. trattando le sue acque come soggetto attivo e come parte integrante della sua specificità. Una civiltà mercantile e diplomatica, più che un impero militare, che dialogava col mondo intero. Così, come tutt’oggi la nostra città è sotto gli occhi del mondo. Per questo non esageravano quando, in apertura, abbiamo scritto che la visione strategica della Venezia del 2020 deve essere di dimensioni mondiali. Anche questa deve essere una nostra riconquista. Ed è questo il decoro che vogliamo. Altro che le cacche dei cani in piazza! “Ricostruire il futuro partendo dalla nostra antica vocazione di città Stato, aperta al mondo e in simbiosi con l’ecosistema lagunare. Questo deve essere il nostro obiettivo - ha concluso Bettin - e per questo è necessario restituire a Venezia tutti quei poteri decisionali sul suo territorio che oggi non ha”.


Una visione rimarcata anche dall’altro relatore delle serata, Franco Avicolli. Uno che ti racconta di Lev Trotsky, di Garcia Marquez o di architettura contemporanea con la stessa competenza. “Parlare di come riconquistare la civiltà di Venezia significa rimettere al centro del dibattito la questione fondamentale: quale deve essere il ruolo e la struttura di una città in un mondo malato che ha perso ogni rapporto col territorio. Per questo, salvare Venezia significa salvare l’idea stessa di città. E questo lo possiamo fare solo noi: perché a Venezia è possibile realizzare idee ed opere che altrove sono impossibili”. Conclusione questa, che sarebbe sottoscritta immediatamente anche da un certo Corto Maltese, marinaio e gentiluomo di fortuna.

La lista 2020Ve si candida a costruire la Venezia del duemila e venti

Nel cuore di Mestre, ai piedi del Toniolo, parte l'avventura elettorale della lista 2020Ve con la presentazione dei candidati al Comune e alle municipalità.
L'incontro, nella tarda mattinata di oggi, è stato introdotto da Gianfranco Bettin, candidato alla presidenza della municipalità di Marghera, oltre che al consiglio regionale. Hanno partecipato Felice Casson, i candidati della lista che raggruppa Verdi Green Italia, Sel e associazione In Comune, e tanti sostenitori.
"La nostra lista sostiene Felice Casson sin dall'inizio, ancora prima delle primarie del centrosinistra - spiega Gianfranco Bettin -. Lo riteniamo il candidato giusto per aiutare Venezia a scrollarsi da un pesantissimo novecento e aprirsi al futuro. Per questo la nostra lista si chiama Venezia Duemila e Venti".
La lista 2020Ve raggruppa persone con origini diverse, sia per professione che per età, e provenienti da esperienze diverse ma che hanno intrapreso un percorso convergente. Persone che da sempre si sono scontrare con la corruzione e il malaffare proprio per portare avanti, tramite le loro idee innovative, un ideale di città sostenibile e solidale.
"Il primo ostacolo da superare per la nuova amministrazione - continua l'ambientalista - sarà quello di riuscire a rimpossessarsi della propria città. Scandali come il Mose, problemi come le Grandi Navi ma anche i tagli al bilancio che stanno mettendo in ginocchio il nostro welfare sono imputabili ad una mancanza di sovranità cittadina. Sulla nostre acque, sulle nostre calli e sulle nostre strade, devono essere i cittadini a decidere tramite gli amministratori democraticamente eletti e non commissari mandati da Roma, consorzi privati o norme che bypassano qualsiasi controllo democratico come la legge Obiettivo".
Sul tavolo dei relatori, oltre ai due già citati, i quattro capolista: Renata Mannise, Flavio dal Corso, Federico Camporese e Silvia Zanini, che hanno elencato i temi sui quali costruiranno la loro campagna elettorale: dall'ambiente al turismo sostenibile, dalle bonifiche di Porto Marghera alla cultura. Che poi è la sola cosa che distingue Venezia da una Disneyland qualunque.
Chiusura per Felice Casson, candidato... anzi no, prossimo sindaco di Venezia. "Bene Venezia Duemila e Venti - scherza - ma io la lista l'avrei chiamata Venezia Duemila e Quaranta e anche di più. La città che vogliamo disegnare insieme avrà un respiro molto più profondo di cinque anni. Ma il nostro obiettivo non è soltanto quello di porre le basi per la città del futuro ma anche di ridare speranza alla gente e di restituire dignità ad una politica impoverita e svilita dalla corruzione".

Da Atene a Venezia. La sfida dell'Europa democratica alla Troika

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Tutta l'Europa, e non solo la Grecia, è in bilico tra democrazia e capitalismo. I giornali raccontano balle e giocano a spostare il problema. Dicono che la Grecia non vuole onorare il debito (ma non spiegano come sia stato contratto questo debito), che la Grecia vuole uscire dall'euro (che è l'ultima cosa che vuole Alexis Tsipras), che la Grecia rischia di trascinare l'Europa nel baratro della crisi (ma non ci siamo già dentro, la crisi?). Non dicono, i giornali, che la Grecia, e non solo la Grecia, vuole solamente ricordare all'Europa che la democrazia conta più dell'economia. Che è la seconda che deve seguire la prima e non viceversa. Che i mercati non sono più importanti delle persone.
Di tutto questo si discusso nell'incontro svoltosi ieri sera al Palco di Mestre. ospite d'onore il giornalista greco Dimitri Deliolanes che ha presentato il suo libro "La sfida di Atene", Fandango Editore. Sul palco, a dialogare con Deliolanes, il candidato sindaco Felice Casson e l'ambientalista Gianfranco Bettin. A presentare la serata organizzata da 2020Venezia e In Comune, Beppe Caccia. Il compito di fare domande e di stimolare il dibattito è toccato a Silvia Zanini (Verdi Green Italia), Federico Camporese (Sel) con Barbara Del Mercato e Federico Della Puppa per 2020Ve.



"Perché a poche ore dalle primarie presentiamo un libro sulla Grecia? - si interroga Beppe Caccia - Perché anche nella nostra città stiamo sperimentando sulla nostra pelle le stesse politiche che la troika ha imposto alla Grecia".
Anche l'ambientalista Gianfranco Bettin sottolinea il filo che lega Venezia ad Atene. "Un filo che ha la capacità di aiutarci a districare quel groviglio che è diventata la politica italiana. Quello che c'è in ballo ad Atene non è solo la negoziazione di alcuni vincoli economici ma il futuro stesso della democrazia in Europa. Se fallisce Tsipras, sia per problemi interni al suo partito che per gli ostacoli che i poteri forti gli stanno parando davanti, non perde solo la Grecia ma perdiamo tutti. La vera sconfitta sarà la nostra idea di un'altra Europa e di una economia diversa".
Sul tema dei rapporti tra economia e politica si è soffermato anche Felice Casson: "Torno adesso da un incontro con i lavoratori di Porto Marghera. Là si sono visti gli effetti di una politica che ha rinunciato al suo ruolo demandando la programmazione agli industriali con il risultato di aumentare disoccupazione e consumo del territorio". Casson ricorda di non aver votato né lo Jobs Act né il decreto sull'Ilva. Sulla Grecia sottolinea che la vera partita "non è la politica economica di questo Stato ma la democrazia" e lancia un appello alla città perché trovi la forza di ripartire "da quanto di buono si è fatto in questi anni anche da ottimi amministratori, come troviamo esempi in questo stesso palco".

Microfono infine a Deliolanes che ha raccontato come proprio la crisi abbia spazzato via il centrosinistra e spinto verso le svastiche della destra estrema un centrodestra che qualche anno fa si poteva definire moderato. "Questo ha aiutato il formarsi di una sinistra radicale che è riuscita però, grazie ad Alexis Tsipras, a dialogare con tutto il Paese. Una sinistra che ha creato una rete di sostegno che per tanti greci è stata la sopravvivenza. La vera sfida di Atene non è l'uscita dell'euro. Nessuno di noi lo vuole e sappiamo bene che ne usciremmo massacrati. La nostra vera sfida è riportare la democrazia in Europa superando la dittatura dei mercati. Se vince Tsipras, vincerà tutta l'Europa, se perde Tsipras, perderemo tutti".

La domanda inevitabile a questo punto è: perché in Italia non si riesce a creare una sinistra simile e l'unico risultato ottenuto dalla crisi è il grillismo? "Domanda difficile -ammette Deliolanes -. In Grecia, dove è stata inventata la parola 'politica', trovo difficoltà anche a spiegare cosa sia il grillismo. Lo stesso concetto di 'antipolitica' non ha traduzione nella mia lingua. La politica è una cosa di tutti. Come si fa a starne fuori? E come faccio a spiegare che un comico si è stufato di fare il comico e vuole fare politica partendo dall'antipolitica? Così come è difficile spiegare in greco che un imprenditore scende in campo a fare politica attaccando proprio la politica..."
E' una questione di lingua, dice Deliolanes.
E' anche una questione di cultura politica, diciamo noi. Che la democrazia sia nata in Grecia non è un caso. Che tocchi oggi alla Grecia difenderla dalla dittatura dei mercati, non è un caso neppure questo.

Naomi Klein: la rivoluzione che ci salverà parte parte da noi

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Diamoci da fare. La conclusioni che l'autrice di No Logo tira al termine dell'incontro svoltosi nella serata di oggi all'auditorium di Santa Margherita, potrebbero essere condensate in queste tre parole. Diamoci tutti quanti da fare perché il mutamento del clima è oramai una verità accettata da tutti gli scienziati. Un cambiamento ci sarà. E sarà un cambiamento inevitabile perché il modello economico imposto dal capitalismo non è più sostenibile dalle risorse di cui dispone la terra. Eppure, nonostante sia ancora il sistema neoliberista a dettare i paradigmi sui quali corre l'informazione dominante, la consapevolezza che questa crisi non sia come ce la raccontano le banche si sta facendo strada tra la gente. Lo dimostra il successo di Podemos in Spagna e di Syriza in Grecia. E in Italia? "In Italia - scherza Naomi Klein - avete l'Expo sponsorizzato dalla Coca Cola".



L'incontro organizzato dall'associazione In Comune in collaborazione con Ca' Foscari e la Rizzoli Libri è stato un successo annunciato, considerato che questa veneziana è stata una delle tre sole tappe che la scrittrice canadese ha tenuto nel nostro Paese per presentare il suo ultimo libro "Una rivoluzione ci salverà", sottotitolo "Perché il capitalismo non è più sostenibile". Tutti 237 posti a sedere occupati, tanta gente, giovani soprattutto, in piedi o seduta per terra. Tanti altri fuori a masticare delusione perché, per ragioni di sicurezza, i responsabili della sala sono stati costretti a chiudere le porte.

Ad introdurre il dibattito, dopo l'inevitabile rito dei saluti del magnifico rettore, Michele Bugliesi, è stato il politologo Beppe Caccia, che ha ricordato come proprio la nostra città sia particolarmente toccata dai cambiamenti climatici e come tutti i veneziani, sulla loro pelle, hanno vissuto la storiaccia brutta del Mose. La grande opere salvifica che alla fin fine ha dirottato i fondi per la salvaguardia nel baratro della corruzione e della devastazione ambientale.

La Klein ha cominciato il suo intervento proprio da questa suggestione, ricordando come proprio a Venezia, una quindicina di anni or sono, venuta a presentare il suo libro "No Logo", abbia sentito per la prima volta la parola "precarietà" dagli attivisti dei centri sociali. "Un termine che oggi potrebbe essere esteso a tutto il mondo - ha sottolineato -. Il fatto è che non esistono risposte non radicali al problemi che ci pone l'ambiente. La scienza ci dice che entro i prossimi anni la temperatura crescerà di un valore tra i quattro e i cinque gradi. Questo cambiamento può forse essere evitato ma solo con una altro cambiamento radicale che investa la società, la cultura la produzione. Non illudiamoci che il neo liberalismo posso affrontare questo problema perché la sua agenda va in direzione completamente diversa. Un programma finalizzato al taglio delle emissioni è improponibile semplicemente perché il loro progetto è di aumentare le emissioni".

Il compito di stimolare Naomi Klein, è toccato all'ambientalista Gianfranco Bettin. L'incontro poi si è chiuso gli interventi del pubblico coordinati dal docente Duccio Basosi. Ma è proprio Bettin a buttare benzina sul fuoco sottolineando come, nel libro della Klein, vengano mosse pesanti critiche anche un certo ambientalismo non radicale ed alle sinistre di governo che, pur con sensibilità ben diverse rispetto alle destre, continuano a non mettere l'ambiente al primo posto delle loro agende, perseverando, alle fin fine, nel sostenere una politica neo liberista che, allo stato attuale delle cose, non può più essere riformata. Un esempio è stata l'Unione Sovietica con il suo capitalismo di Stato che ha devastato tutto il devastabile ed oltre. Oppure la Cina di Mao con la sua dottrina di "guerra alla natura" in nome della quale, tra le altre cose, ha cercato di sterminare tutti i passeri del continente. Un altro esempio sono le democrazie di sinistra dell'America latina: il Brasile, l'Ecuador, il Venezuela di Chavez. Paesi che, pur con atteggiamento diverso rispetto alle dittature, hanno comunque continuato l'attività estrattiva del greggio a spese dei popoli indigeni che dalla foresta ricavavano sostentamento.

"I cambiamenti climatici - ha risposto la scrittrice canadese - pongono in discussione tutte la nostra civiltà, dalla nascita della società industriale, quando si vendevano le macchine a vapore sostenendo che con questa avremmo sconfitto la natura, ad oggi dove il capitalismo è addirittura capace di proporsi come unica via di uscita ai danni che egli stesso ha causato. I cambiamenti climatici, in fondo, altro non sono che una risposta a scoppio ritardato a questo atteggiamento di scontro che l'uomo ha avuto nei confronti della natura. Come se ne esce? Con una sorta di, come l'ho chiamato, nuovo Piano Marshall. Non aspettiamoci che siano i Governi a farlo per noi. Neppure i Governi di sinistra. E' il momento di scendere in piazza e non solo per bloccare le grandi opere devastanti ma anche per proporre con forza progetti alternativi, cosa che non sempre siamo stati capaci di fare. Progetti che siano allo stesso tempo credibili, entusiasmanti e coinvolgenti. Perché il capitalismo è bravo a smuovere le acque della paura. Ma l'unica cosa di cui dobbiamo avere paura è che sia il capitalismo a governare i cambiamenti che, inevitabilmente, stanno arrivando".
Diamoci da fare, dunque.

Corruzione a norma di legge. Così il Bel Paese è stato svenduto alla lobby mafiosa delle Grandi Opere

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La prima osservazione da fare è tutta positiva: tanta, tantissima gente. In sala San Leonardo, questo pomeriggio, non si trovava un posto a sedere neppure a pagarlo. E questo, per una città che sta cercando di riscattarsi da quel sistema corrotto e corruttore legato al Mose che l'ha tenuta in scacco per tanti anni, è senz'altro un sintomo positivo. "Tanti anticorpi per far da antidoto al veleno che ha intossicato il nostro tessuto sociale" ha sottolineato Beppe Caccia in apertura del dibattito sul tema "Come liberare Venezia dal sistema Mose?" augurandosi che "la comunità sappia trovare la strada per ribaltare un sistema legato alla concessionaria unica capace solo di generare corruzione, ridando spazio alla buona politica".

L'incontro promosso dall'associazione In Comune aveva lo scopo di presentare il libro di Giorgio Barbieri e Francesco Giavazzi, "Corruzione a norma di legge", edito da Rizzoli. Sottotitolo da sottolineare: "La lobby delle grandi opere che affonda l'Italia". Nel volume si sostiene la tesi che ci siano due tipi di corruzione: quella in aperta violazione delle leggi e quella, molto più subdola e pericolosa, che viene portata avanti a norma di legge con meccanismi come la concessione unica. "Corruzione a norma di legge", appunto, è una inchiesta giornalistica come non se ne fanno tante in Italia, tanto più apprezzabile in quanto firmata da un economista come Giavazzi che, in passato, certo non è mai stato critico nei confronti di quella Grande Opera chiamata Mose.


Ed proprio l'ambientalista Armando Danella, primo ospite della serata, che non esita a dichiarare il suo disagio nel parlare di un libro che, quando parla del Mose, evita di affrontare l'aspetto ecologico per focalizzarsi su quello della corruzione. "A mio avviso è un errore - spiega - perché la tragedia del Mose non sta solo sulla corruzione ma anche sulla devastazione ambientale che ha portato con sé. Ancora oggi non sappiamo se le paratoie funzioneranno o no. Studi terzi ne hanno evidenziato la criticità strutturale in condizioni particolari. Prima di proseguire, dobbiamo essere certi quanto meno che l'opera funzioni e che non ci sia pericolo per la città".

Roberto d'Agostino ha sottolineato come, con un giro d'affari di oltre 10 miliardi di euro, il Mose sia stato il più grande trasferimento di denaro dal pubblico al privato del Dopoguerra.  "Di solito si corrompe per far cambiare le leggi, il sistema Mose pagava perché tutto continuasse così. Adesso è necessario fare pulizia. I politici che hanno preso soldi dal Consorzio perché non sapevano chi fosse se ne devono andare. E se lo sapevano debbono andarsene lo stesso. E così le imprese che sono state sorprese a rubare, non debbono più continuare ad occuparsi della Salvaguardia".




Corruzione sì, ma una corruzione che viene da lontano e che, come ha spiegato Luana Zanella, è cominciata con la Legge Obiettivo, fortemente voluta dal Governo Berlusconi, che ha abbassato i controlli antimafia e favorito procedure semplificate per bypassare le verifiche ambientali ed i controlli democratici. "Tutt'oggi non vedo la volontà politica di uscire da questo sistema che genera solo corruzione e devastazione - ha spiegato l'ex senatrice verde - Il decreto Sblocca Italia varato dal Governo Renzi continua ad andare proprio in questa direzione. La stessa legislazione speciale per Venezia nel corso degli anni è degenerata sino a dirottare i fondi solo al Consorzio Venezia Nuova, sostenendo che anche questa è Salvaguardia".

Proprio la Salvaguardia con le Bonifiche di Porto Marghera sono stati i capitoli di finanziamento che hanno portato più denaro in laguna. Denaro che, come ha spiegato Gianfranco Bettin, è finito dritto dritto nelle casseforti della criminalità organizzata. "Perché in altro modo non riesco a definire il Mose e il Consorzio Venezia Nuova. Anche la terza voce in classifica, il turismo, ha seguito questo esempio, pure se, in questo caso, la corruzione non è ancora classificabile come a norma di legge". Lo dimostrano i fatti legati alle infiltrazioni di Cosa Nostra al Tronchetto. "La tragedia raccontata nel libro sta nel fatto che non tratta solo della corruzione del corrotto, che sarebbe facile da affrontare con l'aiuto della magistratura, ma della corruzione delle regole. Su questo punto, i magistrati non possono aiutarci. Questa corruzione avvelena lo stesso tessuto sociale e politico della città perché porta voti, denaro facile, potere". In questo stato di cose, ben pochi possono dichiararsi davvero estranei. "Non assolviamo i tecnici che si sono fatti corrompere ma non assolviamo neppure tutta la città. Rendiamoci conto che una parte della società civile con la corruzione ci marciava bene e, per vantaggi o per paura, era ben contenta di rintanarsi nel grembo accogliente del Consorzio. Non crediamo quindi, che basti gettare le mele marce per bonificare la politica. E' necessario andare molto più in profondità e cambiare l sistema".

Spazio quindi a Felice Casson, senatore e candidato alle primarie per il centrosinistra. L'ex magistrato comincia con una battuta al suo compagno di partito, nonché presidente del Consiglio, Matteo Renzi che recentemente ha presentato a Roma il libro di Giavazzi e Barbieri: "Chissà se lo ha letto? Probabilmente no, ma gli farebbe bene impararselo a memoria". Casson raconta le difficoltà che ci sono a far passare in parlamento una legge anticorruzione o una normativa a tutela dell'ambiente. "Ci troviamo davanti un fronte
comune pronto a fare opposizione ad oltranza. Un fronte composto non solo dalle destre, che in questo caso dimenticano tutte le divergenze interne, ma anche da elementi del mio partito che certo mi guardo bene dall'assolvere". La chiusura è tutta elettorale: "Mi auguro che Venezia sia un punto di partenza per mettere definitivamente all'angolo questo sistema corruttivo e ridare voce ai veri valori del centrosinistra".


Chiusura per i due autori, Giorgio Barbieri e Francesco Giavazzi. "Nel nostro libro, affrontando il tema della corruzione, abbiamo cercato di fare un passo in avanti - ha dichiarato Giavazzi - esplorando quel meccanismo che, dal Mose all'Expo, viene ripetuto ogni volta dalla lobby politica ed affarista delle grandi opere. I problemi non vengono mai affrontati se non quando si può parlare di emergenza. Allora appare un solo progetto in campo ed su questo vengono dirottate tutte le risorse. Con la scusa di 'fare presto' vengono sospese le misure cautelari antimafia, le norme a tutela dell'ambiente. Tutto viene affidato ad un concessionario unico e spariscono gli attori politici che dovrebbero fare da controllori. Anche quando scoppia lo scandalo ed interviene la magistratura, i mass media parlano del corrotto e dimenticano di riferire che lo scandalo più grande, la corruzione più grave, è sempre quella delle leggi. Che poi è la corruzione della democrazia".

Immaginare la città come esercizio di democrazia e speranza. Salvatore Settis a Marghera

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Salvatore Settis sull'altra faccia della luna. Dopo l'affollato incontro di martedì a palazzo Franchetti, in pieno centro storico, l'autore di "Se Venezia muore" ha superato il Ponte per presentare questo pomeriggio il suo libro in una biblioteca di Marghera colma di gente. Con un relatore così, puoi mettere quante sedie vuoi che la maggior parte della gente deve rassegnarsi a stare in piedi. Un incontro, questo di Marghera, particolarmente interessante perché lo storico dell'arte che ha invitato i suoi lettori ad "immaginare la città" come esercizio di democrazia applicata, si è messo a confronto con le varie realtà del territorio che costruiscono percorsi di appartenenza sociale ad un luogo, riconquistando spazi pubblici e applicando quel "diritto alla città" che costituisce il leitmotiv del suo pensiero. Associazioni come In Comune, Airis, Comitato Marghera Libera e Pensante, I Celestini, e spazi sociali come il Loco che nasce proprio da uno spazio destinato alla vendita in nome di quello "scellerato patto di stabilità" come lo ha definito lo stesso Settis. Ma anche singoli personaggi come l'urbanista Maria Chiara Tosi, l'economista territoriale Federico Della Puppa, il parroco della Resurrezione Nandino Capovilla, rappresentanti di istituzioni come il presidente della municipalità Flavio Del Corso. A far gli onori di casa, il sociologo Gianfranco Bettin che ha introdotto il dibattito sul tema "Far vivere la città" ricordando come proprio il patto di stabilità, che vincola le amministrazioni pubbliche, sia uno dei principali motori della devastazione delle nostre città.



Opinione condivisa da Salvatore Settis che nel suo intervento ha meticolosamente risposto alle domande ed alle suggestioni che gli sono state poste dagli altri relatori. Venezia, ha spiegato lo scrittore, è il paradigma insuperabile della città d'arte. "Le nostre città sono state storicamente il teatro della democrazia. Democrazia che si è sviluppata grazie al luogo e non al prezzo. Chiediamoci, se dobbiamo prezzare ogni cosa, quando costa la nostra libertà?" Settis si riferisce alla lunga lista di beni che la legge sul federalismo demaniale ha elencato come "alianabili". Dentro ci si trova mezza Venezia. "Ci hanno detto che questi beni vengono venduti come merce al supermercato per risanare il bilancio, ma il debito ha continuato a crescere ugualmente. La verità che che questi beni pubblici vengono svenduti a prezzo di regalo per favorire chi li compera. E con loro, viene svenduta anche la nostra democrazia. Il diritto alla città, come hanno compreso bene queste persone che hanno parlato prima di me, è sinonimo di democrazia".
Impossibile non chiedere allo storico il perché di quel "Se" che mette angoscia sul titolo del libro. "Grandi navi, assurdi progetti di grattacieli in stile Dubai, turismo di massa, cementificazione del territorio ancora sole esempi della nuova peste che affligge Venezia. Possiamo fermarli? Io credo di sì se riusciamo a recuperare una idea di città che tragga forza della sua memoria. Il mio titolo vuole essere una speranza. Se uniamo progetto, responsabilità e anche speranza, fermeremo la peste".

“El mostro”. Un progetto per raccontare la storia di Gabriele Bortolozzo

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Non solo un film d’animazione. “El mostro” è molto di più. Un progetto dal basso innanzitutto. Un progetto che ha appena mosso i primi passi attivando un crowdfounding sulla piattaforma Eppela per raggiungere i primi 5 mila euro necessari a cominciare i lavori. L’obiettivo è quello di raccontare “a chi ne ha perso la memoria”, come si legge nel sottotitolo, la storia di Gabriele Bortolozzo. E raccontarla con un linguaggio nuovo come quello dell’animazione che ha il magico potere di “creare un immaginario e scavalcare le generazioni” come ha sottolineato Gianfranco Bettin, intervenuto ieri pomeriggio al municipio di Marghera all’incontro di presentazione dell’iniziativa. “Gabriele è stato il primo che dall’interno della fabbrica ha trovato il coraggio di denunciare la nocività della lavorazione e a superare il ricatto di chi offriva lavoro in cambio della salute. La sua è una vicenda esemplare che va tenuta viva e raccontata a tutti, e soprattutto ai giovani” ha sottolineato l’ambientalista. Con lui, Felice Casson, oggi senatore del Pd ma all’epoca il pubblico ministero che trascinò i vertici della Montedison al banco degli imputati. Casson ha rievocato il momento in cui Bortolozzo bussò alla sua porta di magistrato. “La storia di Gabriele, scomparso proprio vent’anni fa, mi ha accompagnato professionalmente e umanamente per tutta la vita. E’ merito suo se ho scoperto che oltre la mia vecchia aula al palazzo di Giustizia c’era un mondo reale”.
A presentare il progetto, sono intervenuti Flavio del Corso, presidente della municipalità di Marghera, Elisa Pajer, dello Studio Liz che lo produce, Cristiano Dorigo che ne ha scritto il soggetto assieme a Federico Fava, e Lucio Schiavon che lo ha disegnato. L’incontro si è svolto proprio nella sala che a Gabriele Bortolozzo è dedicata.




Non solo un film d’animazione, abbiamo scritto in apertura. “El Mostro è anche un percorso che abbiamo intrapreso con tanto entusiasmo e tanta convinzione - ha spiegato Elisa Pajer -. Un percorso che ci ha aiutato ad incontrare tanta gente. Giovani soprattutto, ma non solo. Siamo entrati nelle scuole, abbiamo tenuto incontri nelle librerie e nelle biblioteche con l’obiettivo di sensibilizzare la cittadinanza sui temi del lavoro e della salute, Abbiamo raccontato a tutti la storia di Gabriele che è poi la storia di Porto Marghera come anche quella di tante realtà, penso all’Ilva di Taranto, che stano vivendo lo stesso dramma. Gabriele ha avuto il coraggio di andare oltre e questo fa della sua vicenda una storia epica”.
Una storia che è stata già raccontata in tanti modi, cito solo il libro a fumetti di Claudio Calia “Porto Marghera” edito da Becco Giallo, ma mai attraverso un cartone animato. “Per il tipo che era Gabriele - ha concluso Bettin - sono sicuro che ne sarebbe stato contento”.

Di seguito alcuni link sui quali si può seguire il progetto e partecipare alla raccolta fondi. Ricordiamo la cena di sostegno che si svolgerà giovedì 11 dicembre al Bagolaro di Forte Marghera.

Pagina Facebook
https://www.facebook.com/events/1485840401681450/?fref=ts

http://www.eppela.com/ita/projects/992/gabriele-bortolozzo-el-mostro

http://producinuovevisioni.studioliz.org/2014/11/14/sostieni-el-mostro/

http://studioliz.org/2014/07/14/sostieni-gabriele-bortolozzo/

Spazio Loco: una pazza occasione per ripensare a come si combatte il degrado in città

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Proviamo a guardare lontano. Alziamo lo sguardo oltre la politica urlata dai sindaci dal pugno di ferro che invocano ronde ed inferriate. Oltre questo buoi mare di paure, sorge un’altra città. Quella città che sognano i ragazzi che hanno recuperato uno spazio di via Piave che versava da anni in stato di abbandono e degrado, con il solo obbiettivo di restituirlo alla città. Certo, non la città dei vigilantes ma la città dei cittadini capaci di interrogarsi, intervenire, riappropiarsi e gestire in democrazia il proprio territorio. Non c’è spazio per la paura in questa città. Perché, come sottolineano i ragazzi, è “la chiusura mentale che genera solamente proposte che non analizzano la complessità e le problematicità, che propongono vie risolutorie semplificatrici, banali, e non efficaci e che spesso degenerano in derive intolleranti e razziste”.
Una idea pazza? Sì, perché sono i pazzi quelli che gettano le fondamenta del futuro. Non a caso, il nome scelto dai ragazzi per questo nuovo spazio è Loco: acronimo di Laboratorio Occupato Contemporaneo.
“Viviamo le strade di Mestre - raccontano - e vediamo sempre più luoghi lasciati all'abbandono e al degrado che invece potrebbero essere o diventare spazi vivi, per aiutare a migliorare le situazioni complesse dei nostri quartieri e che potrebbero arginare quelli che tutti noi consideriamo problemi reali ai quali far fronte nella nostra città. Per questo e per molto altro abbiamo deciso di riprenderci uno di questi luoghi lasciati all'abbandono: per costruire assieme a tanti e tante, studenti, precari, giovani e meno giovani, un laboratorio sociale nuovo, in grado di ricercare e discutere collettivamente le contraddizioni che il nostro territorio sta vivendo e subendo negli ultimi anni”.




Riccardo Caldura, urbanista e sostenitore del Progetto 2020Ve, ha partecipato alla serata di inaugurazione del Loco. “Avevo ricevuto una cortese telefonata di uno dei promotori dell’iniziativa, al quale non potevo che estendere un mio ‘Bene, andate avanti’. Ieri sera ho rifatto un giro fra quelle sale, insieme ad uno degli artisti che vi avevano a suo tempo esposto, e che le conosce quanto me. La sensazione era stranissima, il luogo era rimasto così come lo avevamo lasciato, ancora con il muro dipinto di rosso dell’ultima installazione realizzata. Come se quattro anni non fossero trascorsi. All’ingresso, con il medesimo arredo di allora, si distribuivano spritz e birre e si organizzava una colletta di sostegno. Alle pareti manifesti, striscioni, e un pubblico di dreadlocks e jeans oversize. Ho letto un articolo di Tantucci sulla Nuova che riportava questa notizia: la prevista restituzione di 41 milioni di euro da parte del Comune a Est Capital, importo che era stato versato come anticipo sul valore realizzabile dei beni cartolarizzati.  Oltre a quell’importo, per giunta, se non ho capito male, era prevista anche la restituzione all’ente pubblico dei beni rimasti inveduti, fra i quali appunto la ex-Galleria Contemporaneo. Luogo che avevamo dovuto lasciare in tutta fretta, quattro anni fa, per ritrovarla identica ieri sera, però in fase di utilizzo come Laboratorio Occupato Contemporaneo. Non so se sia questa una risposta al degrado, ma mi chiedo se in ogni caso non sia meglio aver provato a riaprire, magari non con tutti i crismi della legalità, piuttosto che chiudere e vendere (male) o non vendere proprio”.
Un discorso molto simile a quello portato avanti da Maria Chiara Tosi, docente allo Iuav e anch’essa aderente al progetto 2020Ve, che in una intervista al Corriere ha sottolineato come “Non c’è miglior risposta al degrado della riappropriazione sociale degli spazi. La militarizzazione non è la sola soluzione”. Anzi, a lungo termine, non è neppure una soluzione. I quartieri migliorano se si investe nel sociale, se si aiutano i cittadini a diventare protagonisti della loro città. Un quartiere non può essere rivitalizzato tralasciando il contributo di chi ci abita. “Servono luoghi dove i bambini possano giocare e i ragazzi incontrarsi - conclude la docente nella sua intervista che potete leggere integralmente a questo link. - Bisogna investire i pochi soldi che ancora ci sono nel sociale. Purtroppo a Venezia si sente il peso della mancanza di una amministrazione. I tagli del commissario al welfare hanno creato un terreno fertile al degrado e alla criminalità”.
Sulla stessa lunghezza d’onda, il sociologo Gianfranco Bettin che da sempre sostiene la necessità di andare alle urne il prima possibile. “Un'osservazione contingente ma cruciale questa di Maria Grazia Tosi, che ha ben evidenziato i guasti creati dall’assenza di una gestione politica e dai pesanti tagli pesanti al welfare. Tanti, anche a sinistra, non hanno idea di quanto pesino queste cose. Dispiace che il Corriere, soprattutto nei titoli, enfatizzi una cosa che non mi pare ci sia nelle parole di Maria Chiara, e cioè la contrapposizione tra gli interventi che lei suggerisce come fondamentali e, appunto, strategici, e gli interventi tesi a ripristinare anche nell'immediato sicurezza e senso di tutela, di fiducia, nei cittadini, residenti o fruitori di alcune aree in particolare. Penso sia un errore molto grave, commesso frequentemente a sinistra, quello di contrapporre i diversi tipi di interventi. A Marghera, ad esempio, in una situazione molto critica abbiamo sostanzialmente ripreso il controllo del parco Emmer sia ripensandolo che riprogettandolo insieme ai residenti ed ai fruitori: spostando i giochi per bambini di fronte alle abitazioni, invece che lontano da esse dov'erano in origine, cosa che li aveva posti alla mercé degli spacciatori e dei vandali, animandolo con iniziative culturali, ricreative e non ultima, un orto sinergico. Abbiamo restituito al parco pulizia e decoro, ma abbiamo anche, ecco il punto, fronteggiato duramente, le bande di spacciatori e gli incivili che se ne erano impadroniti. I risultati sono stati eccellenti”.
Oggi che l’amministrazione non c’è, la situazione al parco è regredita, pur senza tornare al peggio perché la natura strutturale di alcuni interventi continua a funzionare positivamente, ma alcune insidie e ragioni di disagio si sono ripresentate.
“Si tratta - conclude il sociologo - si tratta di valutare caso per caso gli interventi da applicare, senza pregiudizi e senza ideologismi. Certo, tali interventi devono essere integrati in una visione che non può che essere quella cui allude Maria Chiara e non devono, mai, essere il centro, tanto meno propagandistico-ideologico e demagogico, dell'azione politica e amministrativa, ma non possono non esserne parte, pena l'abbandono di ampie parti della nostra popolazione ai discorsi e alle ‘ricette’ della destra e dei demagoghi di ogni tipo. Non, ripeto, per fare a costoro concorrenza ma perché la ragioni sulle quali a volte costruiscono le loro fortune sono fondate, si tratta di fondate paure e rabbie e frustrazioni dei cittadini che non possiamo dimenticare. A costo di esporsi a polemiche spesso velenose”.

Frattanto a chi, come Raffaele Speranzon di Fratelli d’Italia, chiede lo sgombero immediato dell’edificio, risponde Federico Camporese di Sel. “Commissario, questore e prefetto devono occuparsi della criminalità vera e non di chi vuole migliorare la città. In tante città d’Europa, iniziative come questa si sono rivelate fondamentali per risollevare le sorti economiche, sociali e culturali di aree della città che sembravano destinate all’oblio”.

Democrazia sospesa. 2020Ve porta il “caso Venezia” davanti al commissario Vittorio Zappalorto

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Lo scavo del Contorta e i tagli al bilancio sono solo due esempi di come la democrazia a Venezia stia agonizzando in uno stato comatoso cominciato ben prima dell’arrivo del commissario.  Secondo una ricerca condotta dal Sole24Ore, negli ultimi 4 anni lo Stato ha tagliato del 66% i trasferimenti alla nostra città. Venezia è in vetta alla classifica delle città più penalizzate d’Italia, considerato che in media, i tagli ai Comuni si sono aggirati sul 43%. “Proprio questo è il cuore del problema – ha commentato Gianfranco Bettin -. L’attacco dello Stato alla finanza locale e, per quanto riguarda Venezia, l’attacco alla sua ‘specialità’, derivante da indiscutibili condizioni storiche e ambientali e socio-economiche”.
In condizioni in cui alle istituzioni più vicine ai cittadini come i Comuni viene di fatto impedito di governare perché viene loro negato lo strumento finanziario, si può ancora parlare di democrazia?
I tagli al bilancio che penalizzano tanto i servizi alla cittadinanza quanto il giusto salario dei dipendenti comunali, sono solo l’ultimo gradino di quello che oramai possiamo definire virgolettato il “caso Venezia”: una città commissariata per colpe non sue, considerato che il sistema politico affaristico che ruotava e che tuttora ruota attorno al Mose ha travolto con il sindaco Orsoni una Amministrazione comunale che dallo scandalo non è stata neppure sfiorata, mentre  il Consorzio Venezia Nuova e la Regione Veneto, che sono stati il cuore del malaffare, sono ancora là a spadroneggiare. Una città abbandonata a quegli stessi “poteri forti” che hanno corrotto e devastato. Una città cui ancora non è dato sapere con certezza quando potrà tornare al voto per eleggere un nuovo sindaco. Magari uno che non abbia mai avuto a che fare col Consorzio, stavolta!



Tagli al bilancio e scavo del canale Contorta sono solo gli ultimi due attacchi ad un welfare e ad un ambiente oramai considerati al pari di carne da macello.
Su questi temi, decisivi per il futuro della nostra comunità, le associazioni e le forze politiche che stanno dando vita al progetto 2020VE hanno deciso di incalzare l’amministrazione commissariata e, più in generale, di animare il dibattito e la mobilitazione sul territorio.
Una delegazione del progetto 2020VE, composta da Beppe Caccia (associazione In Comune), Federico Camporese (Sinistra Ecologia e Libertà) e Luana Zanella (Verdi Green Italia), ha infatti incontrato ieri mattina a Ca’ Farsetti il commissario straordinario Vittorio Zappalorto per denunciare l’ennesima grave forzatura compiuta dall’Autorità Portuale, che ha presentato un devastante progetto per lo scavo del canale Contorta, scegliendo un percorso “semplificato” che riduce i tempi a disposizione per l’analisi critica e cancellando ogni momento di partecipazione pubblica al processo.
Al commissario la delegazione ha denunciato il ruolo di quei poteri forti (Consorzio Venezia Nuova, Porto e Aeroporto) che operano sul territorio cittadino imponendo le proprie scelte fuori da ogni legittimazione democratica, chiedendogli di intervenire col Governo per ristabilire la corretta procedura di Valutazione d’Impatto Ambientale e di coinvolgere, nella scelta delle soluzioni alternative, istituzioni scientifiche indipendenti incentivando momenti pubblici di confronto aperti alla partecipazione di cittadini, associazioni e movimenti.
La delegazione di 2020VE ha ribadito al commissario anche  la contrarietà all’ipotesi, contenuta nel Bilancio 2014 presentato l’altro ieri, di pesanti tagli ai servizi alla cittadinanza e al salario dei dipendenti comunali, segnalando le irreversibili conseguenze sociali che questi comporterebbero.
Al prefetto Zappalorto è stato chiesto di farsi urgentemente carico dell’apertura con il Governo nazionale di un confronto risolutivo sul “caso Venezia”, a partire dall’ingiustificata penalizzazione subita negli ultimi quattro anni dalla Città da parte dello Stato centrale. Venezia ha bisogno di un intervento straordinario, cominciando dalla cancellazione delle sanzioni ingiustamente applicate per lo sforamento del Patto di Stabilità e dal recupero delle ingenti risorse economiche sottratte alla città da quell’apparato di malaffare chiamato “sistema Mose” che, ne siamo sicuri, passerà nella storia di Venezia come l’invasione degli unni è passata in quella dell’Impero Romano.

2020Ve lancia una petizione per restituire a Venezia i soldi saccheggiati dalla cricca del Mose

2020
Quasi un migliaio di firme in pochi giorni per chiedere al Governo di restituire a Venezia i soldi della “cricca del Mose” e recuperare così quei 75 milioni di euro che potrebbero evitare tagli al welfare e disagi ai veneziani. La petizione lanciata da 2020Ve vola nel mare magnum della rete dei social network mietendo consensi.
Quello che i veneziani chiedono a Matteo Renzi è innanzitutto un “atto di innovazione e di coraggio” che parte da un presupposto consolidato. Come risulta dalle recenti indagini della Magistratura, “ampia parte delle risorse stanziate dallo Stato per Venezia” sono state “gestite, senza alcun effettivo controllo, dal Consorzio Venezia Nuova e finite ad alimentare il cosiddetto ‘sistema Mose’”. Una palude di commistioni affaristiche e politiche che hanno inquinato tanto la società quanto l’ambiente dirottando denaro pubblico verso interessi privati e malavitosi.



Non sarebbe quindi più giusto se il Governo restituisse alla città, una quota delle “spese generali di gestione” del Consorzio – la voce di bilancio dalla quale sono scaturite le principali tangenti – già stanziata per il completamento del Mose? Se solo questa percentuale scendesse dall’attuale 12 al 6 per cento, sarebbe possibile recuperare subito 75 milioni di euro da destinare al risanamento della situazione di bilancio del Comune per l’anno corrente oltre che costituire un avanzo attivo per il bilancio del 2015.
Questo è quanto chiede la petizione lanciata da 2020Ve (se legge “venti, venti, ve”), l’associazione promossa da In Comune, Sel e Verdi – Green Italia che vuole proporsi come un progetto aperto per costruire la Venezia che si incammina verso il traguardo del 2020. Per altre informazioni, potete collegarvi al 
blog dell’associazione, alla pagina FaceBook e al profilo twitter @2020Ve
Questo di seguito il testo integrale della petizione che potete sottoscrivere al seguente 
link

Al presidente del Consiglio, Matteo Renzi, e al Commissario Prefettizio Vittorio Zappalotorto
Signor Presidente, Signor Commissario,
Venezia condivide con tutti i Comuni italiani i problemi economici derivanti da anni di politiche di austerità, che hanno pesato quasi esclusivamente sulla finanza pubblica locale. Particolari difficoltà di bilancio sono poi derivate all’Amministrazione veneziana dalla scelta dei precedenti governi di destinare al solo progetto Mo.S.E. tutte le risorse per la salvaguardia previste dalla Legislazione speciale per Venezia e prima impiegate per la manutenzione della città e per la sua rivitalizzazione socio-economica. Le procedure di calcolo del rispetto del Patto di Stabilità interno hanno, per questo, ulteriormente penalizzato il Comune.
Dalle inchieste della Magistratura risulta che ampia parte delle risorse stanziate dallo Stato per Venezia e gestite, senza alcun effettivo controllo, dal Consorzio Venezia Nuova, sia finita ad alimentare il cosiddetto “sistema Mo.S.E.”. Non con solo le somme illegalmente distratte con la creazione di fondi neri a fini corruttivi, ma con i super profitti assicurati al Consorzio dalla concessione unica con il 12 per cento garantito al Consorzio su ogni trasferimento statale per le “spese generali di gestione” dei progetti. Un prelievo ingiustificato, se consideriamo che abitualmente ai general contractor di opere pubbliche viene riconosciuto non più del 6 per cento.
Ciò stride con le attuali difficoltà finanziarie del Comune di Venezia: per chiudere la parte corrente del Bilancio di previsione 2014 mancano infatti 47 milioni di Euro, una cifra risibile se paragonata all’enormità delle risorse sottratte dal Concessionario unico e dal sistema corruttivo emerso dalle inchieste giudiziarie. Ma è una cifra che si sta traducendo in conseguenze pesanti per la vita cittadina, con tagli al bilancio comunale che comporterebbero la chiusura o il drammatico ridimensionamento di numerosi servizi sociali ed educativi e nella penalizzazione delle retribuzioni dei dipendenti. Venezia corre il rischio di essere doppiamente vittima “sistema Mo.S.E.”. Noi crediamo invece che la città debba essere risarcita e che non debbano essere cittadini e lavoratori a pagare il prezzo più alto.
Per questo vi chiediamo di farvi carico di una concreta proposta. Nell’ottobre 2012 il Comitato Interministeriale per la Programmazione Economica (CIPE) ha stanziato oltre 1.250 milioni di Euro per il completamento del Mo.S.E.. In sede CIPE sono attualmente in discussione il trasferimento della penultima e ultima tranche di pagamenti al Consorzio Venezia Nuova, per 401 e 226 milioni di Euro. Se, con un provvedimento del Governo, la percentuale per le “spese generali di gestione” del Consorzio fosse portata dal 12 al 6 per cento si potrebbero accantonare oltre 75 milioni di Euro da destinare subito al risanamento della situazione di bilancio del comune per l’anno corrente e a costituire un avanzo attivo per il bilancio del 2015. Sarebbe il modo più corretto per risparmiare alla Città quelle tensioni sociali che scelte indiscriminate di tagli al welfare e alle retribuzioni dei dipendenti sicuramente comporterebbero.
Vi chiediamo perciò un atto di innovazione e di coraggio, che consenta a Venezia di voltare pagina.

Mose e Grandi Navi. Stessa devastazione, stesso malaffare, stessi personaggi. Ma sabato scendiamo in piazza per cambiare!

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Parafrasando un vecchio modo di dire, Mose e Grandi Navi sono la stessa faccia della stessa medaglia. Quella medaglia che dal lato buono brilla di efficienti concessionarie uniche, iter amministrativi velocizzati e autoreferenziali, finanziamenti a vagonate, soggetti controllati che sono anche i propri controllori. Dal lato nascosto spuntano i tentacoli della piovra che affondano in un sistema misto politico ed economico, corrotto e corruttore.
Così è stato il Mose. Un sistema che, come spiega senza pudore la stessa pubblicità che compare nei vaporetti, “non solo dighe mobili ma un sistema completo per la salvaguardia di Venezia”. Se si cambia “salvaguardia” con “corruzione”... lo slogan calza alla perfezione.
Oggi lo dicono anche i magistrati. Ieri ci siamo presi decine di denunce per aver detto le stesse cose. Per aver denunciato quella palude di intrallazzi che ora è venuta a galla pure nel salotto di rappresentanza della Procura.
“Otto mesi di condanna definitiva per aver occupato l’ufficio di quel magistrato delle acque, Maria Giovanna Piva, che ora è agli arresti accusata di quello stesso malaffare che denunciavamo noi” ha ricordato Tommaso Cacciari in un incontro con la stampa svoltosi in tarda mattinata a Ca’ Farsetti.



“Ma la questione non può essere sbrigativamente liquidata con l’arresto di qualche corrotto cui addossare tutte le colpe - ha commentato il portavoce del Laboratorio Morion -. E’ il sistema della concessionaria unica che va cambiato. Da anni diciamo che nel Veneto la mafia si chiama Consorzio Venezia Nuova, da anni diciamo che questi signori ora finito agli arresti hanno scippato la città di fiumi di denaro che dovevano servire alla tutela dell’ambiente, della città ed a realizzare case per i residenti costretti all’esilio in terraferma. Soldi che sono finiti non solo a pagare stipendi milionari a gente come Chisso, Galan e ai loro accoliti, ma anche a devastare la laguna”.
Il ventilato scavo dei canali come il Contorta e il Vittorio Emanuele per dare acqua alle Grandi Navi, lo ha spiegato il consigliere Beppe Caccia portando l’adesione della lista In Comune alla manifestazione di sabato, combaciano perfettamente con questo sistema corrotto in quanto, essendo opere di “salvaguardia” rientrano nelle competenze uniche e indiscutibili del Consorzio. Altri 300, 350 milioni di euro che andrebbero ad aggiungersi al bottino già intascato e spartito. “La mostruosità giuridica della concessione unica - ha commentato il consigliere - ha generato una piovra, che ha allungato i suoi tentacoli sulle amministrazioni statali a tutti i livelli,dal Magistrato alle Acque alla Regione del Veneto dalla Corte dei Conti allo stesso Comune. Un generalizzato sistema di corruzione, condiviso dalle principali imprese di costruzioni del Consorzio, con l'unico obiettivo di imporre ad ogni costo la realizzazione di grandi opere. Ieri il Mose, domani lo scavo dei canali per le Grandi Navi. Sempre le stesse imprese, sempre la stessa procedura. Ma, al di là delle individuali responsabilità che la Magistratura sta accertando, sono i tentacoli e la testa di questa piovra che devono essere tagliati. Cancelliamo il regime della concessione unica e il grumo di interessi che si è consolidato intorno al Consorzio e alle imprese a lui collegate”.
Che le indagini vengano estese dalle tangenti agli illeciti procedurali, è quanto ha chiesto Luciano Mazzolin di Ambiente Venezia, ai magistrati. “Nella lista dei 32 inquisiti manca qualche nome che ci saremmo aspettati. Magari questi signori faranno parte dei famosi 100 indagati su cui la magistratura ha mantenuto riserbo. Vedremo. Certo che molti dei nomi che abbiamo già letto sono anche dietro le presunte ‘soluzioni’ al problema della Grandi Navi. Non vorremmo dover assistere ad un film che abbiamo già visto e che a Venezia è costato fin troppo caro”.
Ambiente Venezia ha annunciato di volersi costituire parte civile al processo per le tangenti del Mose. Sempre per Ambiente Venezia, Cristiano Gasparetto ha ricordato come il Mose abbia un padrino (Silvio Berlusconi) e un padre (Romano Prodi). Due personaggi che solo qualche distratto commentatore politico potrebbe leggere come antagonisti in quanto rappresentano entrambi quei poteri forti che hanno avviato la mercificazione ambientale dell’intero Paese sotto il cemento delle Grandi Opere a tutto vantaggio di speculatori e mafiosi.
E così, in una città ancora sotto shock per la retata in stile “Gli anni ruggenti di Al Capone”, il comitato No Grandi Navi ha lanciato l’ultimo appello alla mobilitazione. Appuntamento sabato alle 13 a piazzale Roma. Sarà una manifestazione pacifica e colorata. Al di là delle preoccupazione del sindaco Giorgio Orsoni che proprio il giorno prima di essere arrestato ha dichiarato che “non saranno tollerate illegalità”. Al di là di quanto si augurano le compagnie di crociera che anche oggi hanno comperato intere pagine di giornali locali per scrivere “Ci risiamo. No alla violenza” sopra a una foto in cui gli attivisti si riparano dalle manganellate dietro a paperelle di gomma.
Concludiamo con una simpatica osservazione di Armando Danella: “Passando per il mercato sentivo tutta la gente sprecare indignazione e urlare che al tempo dei Dogi ai ladri tagliavano le mani (cosa peraltro non vera.ndr). Beh, ho cercato di dire a tutti, perché invece di stare solo a lamentarvi non venite sabato in piazza a dirlo assieme a noi?”

Referendum sul parco. Un rischio ma anche una grande opportunità

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A scanso di intoppi burocratici, a dicembre saremo chiamati ad esprimerci nel referendum consultivo sulla delibera che istituisce il parco. Un rischio? Sicuramente. E non ci riferiamo solo ad una maggioranza di contrari, ma anche a una percentuale troppo bassa di non votanti, oppure ad uno “scollamento” tra isolani schierati in massa per il No e veneziani tutti favorevoli.
Perché allora l’amministrazione comunale, su pressione dell’assessore Gianfranco Bettin, ha accettato il confronto referendario quando avrebbe avuto i numeri in aula per respingere la richiesta dell’opposizione?
La risposta sta tutta sull’idea di parco per la quale ci siamo battuti.
Innanzitutto, per come è nato e per come si è sviluppato – oltre che per il particolarissimo sistema che vuole tutelare e che è un melting pot più unico che raro di natura e di interventi umani, di acqua dolce e di acqua salata, di cultura e di storie, di terra e di mare – il nostro parco deve necessariamente nascere da un processo costitutivo allargato e partecipato. Mettiamocelo bene in testa che senza Burano e i suoi abitanti non c’è parco. Certo, i pareri di biologi, archeologi, storici, ingegneri idraulici sono importanti, ma questo parco deve essere anche il parco della gente che ci vive e che, nella laguna, trova sostentamento. Bisogna parlare, discutere, litigare, ascoltare, far partecipare tutti gli attori che quotidianamente recitano sul palcoscenico lagunare. Dai cacciatori ai pescatori, dagli operatori del turismo a chi lavora nei cantieri tradizionali, sino a chi nelle isole semplicemente ci dimora.
Questo passo è un sine qua non. Gianfranco Bettin lo ha compreso bene e proprio per questo ha accettato la sfida del referendum. Superata la rozza bagarre scatenata in aula consiliare da Lega e Fratelli d’Italia, forti dell’appoggio di un piccolo gruppo di irriducibili cacciatori, adesso è il momento anche per gli oppositori di riflettere e di proporre qualche ragione migliore se vogliono costruire una seria piattaforma contraria al parco. Proposte che, ci si augura, faranno crescere il livello del dibattito, contribuendo ad innescare quel processo partecipativo che, lo abbiano già sottolineato, è indispensabile per fare da volano al progetto.



Lo ha ribadito ancora l’assessore Bettin che ieri pomeriggio ha partecipato ad una riunione al museo di Storia Naturale indetta da Giannandrea Mencini, Vas, e  Gigi Lazzaro, Legambiente, con i firmatari dell’appello per il parco, sottoscritto anche da Eco Magazine. Appello che ha avuto il merito, proprio nel momento più caldo del dibattito consiliare, quando la discussione democratica aveva lasciato spazio a minacce, vandalismi e scritte offensive, di ricordare che c’era una Venezia, viva e ambientalista che era favorevole al parco e non aveva paura di farlo sapere.
“Col referendum potremo tornare a parlare di cose concrete – ha spiegato l’ambientalista – e non perderemo più tempo a rispondere su fantasmi e vaneggiamenti. Potremo confrontarci sull’idea che abbiamo di laguna e di come vogliamo tutelarla. Perché, dietro quello sparuto e chiassoso gruppetto di pochi cacciatori estremisti, c’è una potente e trasversale lobby che non vuole il parco per le stesse ed opposte ragioni per cui noi lo vogliamo. Se salta la nostre idea di tutela ambientale infatti, passa un percorso diverso di sfruttamento e di, passatemi il termine, showbusinessazione della laguna”.
E qui si innesta il secondo motivo per cui il referendum sarà anche una grande opportunità. A maggio a Venezia si voterà per le amministrative. Il referendum di dicembre sarà una occasione per ricompattare quello schieramento civico e ambientalista che tra mille difficoltà e disordini interni ha saputo dare vita ad operazioni come quella di Poveglia, la battaglia contro le Grandi Navi (a proposito, sabato 7 alle 13 tutti a piazzale Roma!) e realizzare il parco. Insomma, il referendum potrà essere uno strumento utile per disegnare insieme una più ampia idea di città. Abbastanza vicino alla scadenza elettorale per non perdere lo slancio, ma anche sufficientemente lontano per non farci intrappolare da logiche di liste e di alleanze.
Per l’intanto, e questa è un concetto condiviso da tutta l’assemblea, Venezia è salita sul treno giusto. Certo, è solo un parco di interesse locale, ma in questo modo, e per la prima volta, il nostro consiglio comunale che è anche l’organo più vicino ai cittadini, può dire la sua sulla laguna delle mille altre competenze. Certo, è solo il parco della laguna nord e lascia “scoperta” la parte sud di un unico sistema morfologico che non è scomponibile, ma è solo un primo passo e nulla vieta domani di estendere le stesse tutele/opportunità anche alla parte meridionale. Certo, il parco non può imporre vincoli ma può impuntarsi per far rispettare quelli che ci sono, e che oggi sono puntualmente disattesi.
Insomma, come ha ripetuto più volte Bettin, il rischio inerente al parco è solo quello di non riuscire a cogliere tutte le opportunità che esso comporta. E per non perdere queste opportunità è bene ricordarci sin da subito che abbiamo un referendum da vincere e poco tempo da perdere.

Adriatico a rischio trivelle. Seibezzi: “Serve una direttiva europea che ne vieti l’uso”

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Sembra l’inizio di uno di quei film catastrofici dove gli scienziati avvertono i militari di non fare una cosa, i militari puntualmente la fanno e poi son tutti effettoni speciali su effettoni speciali in 3D che riempiono lo schermo.
Soltanto che stavolta rischiamo di vederli dal vivo, e senza bisogno di occhialini 3D, gli effettoni speciali!
Stiamo parlando della balzana proposta di trivellare l’Adriatico a poche miglia dalle nostre coste in cerca di petrolio. Una idea rischiosissima e già bocciata dal mondo scientifico ma che di tanto in tanto qualche politico rispolvera per presentarla come il “deus ex machina” che ci risolverà la crisi economica.
L’ultimo è stato Romano Prodi che ha voluto ricordarci come stiamo navigando sopra un “mare di petrolio” inutilizzato e sprecato. Mare che, ha sostenuto in un editoriale apparso sul Messaggero, potrebbe regalarci perlomeno 22 milioni di tonnellate di idrocarburi in sei anni. Mare che, sempre secondo il mortadellone, se non lo estraiamo noi lo farà di sicuro la Croazia.
Due considerazioni assolutamente inconsistenti, oltre che balorde. Intanto, 22 milioni di tonnellate di idrocarburi in sei anni non sono niente. L’Italia ha consumato solo lo scorso anno quasi 65 milioni di tonnellate. Ma anche a voler prescindere dalla quantità, è oramai chiaro come il sole che il futuro sta tutto nelle energie rinnovabili e che quell’economia basata sullo sfruttamento di risorse inquinanti e a termine che il Professore ama tanto (e che poi è quella che ha causato la crisi) oramai se ne è andata a farsi benedire e non sarà quel poco petrolio che si trova nell’Adriatico a salvarla.



In quanto alla Croazia, il ragionamento fatto sopra vale pure per lei. Le trivellazioni sono una scommessa perduta tanto per noi quanto per i nostri dirimpettai adriatici. E val la pena anche di sottolineare che il rischio ambientali non comporta nessun beneficio pubblico in quando il petrolio appartiene agli italiani e ai croati sino a che sta sotto terra. Una volta estratto sarà di proprietà della multinazionale che ne godrà i ricavi lasciando a italiani e croati tutte le spese e gli svantaggi che ne derivano.
Svantaggi che andranno a colpire due settori: la pesca e in particolare il turismo che per un Paese come il nostro è l’unico volano economico sicuro su cui contare. Lo stesso presidente della Regione Marche, Gian Mario Spacca, lo ha sottolineato: “Non è solo una questione di sicurezza fisico-tecnica ma anche una valutazione economica. Se in Adriatico si decide di fare grandi investimenti turistici è chiaro che il territorio verrebbe penalizzato da una intensa attività perforatrice”.
Senza considerare che i rischi fisico-tecnici di cui parla Spacca raggiungono un livello tale da rendere assurdo qualsiasi tentativo di valutazione economica. Quando “costa”, a parer vostro, la città di Venezia? Proprio il capoluogo veneto sarebbe infatti uno dei luoghi più a rischio se venisse realizzata l’attività estrattiva.
Il primo rischio è la subsidenza. Il secondo è lo sversamento.
“Qualsiasi trivellazione e conseguente prelievo di idrocarburi dai fondali del Mare Adriatico rischia di provocare conseguenze irreparabili per le aree costiere, che verrebbero colpite dal fenomeno della subsidenza (ovvero l’abbassamento dei livelli dei suoli), come provato per effetto degli emungimenti realizzati nel corso della seconda metà del Novecento - ha spiegato Camilla Seibezzi, consigliera comunale a Venezia per la lista In Comune e candidata al parlamento europeo con la lista Tsipras -; tale fenomeno comporterebbe danni gravissimi per la nostra città, già esposta alla crescita del livello medio del mare per effetto dei cambiamenti climatici”.
Seibezzi e il suo collega Beppe Caccia hanno proposto un ordine del giorno al consiglio comunale per impegnare il sindaco Giorgio Orsoni a farsi promotore di un’iniziativa politico-istituzionale su scala europea, dal momento che la Croazia è, a tutti gli effetti, uno Stato membro dell’Unione. Lo scopo è quello di ottenere l’adozione di una direttiva comunitaria col divieto per qualsiasi forma di trivellazione, anche esplorativa, ed estrazione di idrocarburi dai fondali del mare Adriatico. Una direttiva che, al contrario, ne tuteli il patrimonio naturale e ambientale, ne valorizzi le attività tradizionali quali la pesca e il turismo, sostenibili e di qualità, e promuova in quest’area del Mediterraneo il ricorso coordinato a fonti energetiche pulite e rinnovabili.
Ma oltre alla subsidenza, vi è anche un secondo grave pericolo dovuto alla particolare formazione dell’Adriatico che è fondamentalmente un bacino chiuso caratterizzato da un conseguente scarso ricambio delle acque. Se ci aggiungiamo il fondale basso, soprattutto nelle nostre coste, la corrente ed il complesso sistema di faglie dovuto al movimento di subsidenza africana, ne esce un quadro davvero preoccupante. L’Adriatico è una zona sismica. Al largo di Ravenna, proprio in un tratto di mare dove vorrebbero installare le piattaforme, sono stati registrati negli ultimi due anni decine di terremoti di varia intensità.
Qualora una faglia dovesse riattivarsi, creerebbe inevitabilmente seri danni al sistema di trivellamento con conseguente fuoriuscita di petrolio. Fuoriuscita che il nostro mare non sarebbe in grado di smaltire, provocando ingenti danni ai fondali e alle coste.
Con la complicità delle correnti marine e di marea a pagare le spese sarebbe in particolare la nostra laguna che con la sua particolare morfologia sarebbe un perfetto “bidone aspiratutto” dello sversamento.
E se questo non vi sembra l’inizio di un film catastrofico...

Stavolta ci siamo: è nato il Parco della Laguna Nord di Venezia

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A mezzanotte e quattro minuti, il Parco della Laguna Nord di Venezia diventa una realtà. C’è voluta una lunga, e tanto paziente, gestazione. Un iter burocratico lungo un anno tra commissioni regionali e comunali, schivando difficoltà dell’ultima ora e saltando bastoni tra le ruote non sempre imputabili all’opposizione, richieste di pareri su pareri mediando tra tutti i tanti, troppi, enti che hanno giurisdizione sulla laguna, da magisteri a ministeri, da sovrintendenze a capitanerie. E ancora, incontri su incontri, discussioni su discussioni con residenti, associazioni di categoria come quelle della pesca, del turismo, della caccia, per far capire loro che il nascente Parco non aggiunge vincoli ma solo opportunità. Dulcis in fundo, tre interminabili sedute di consiglio comunale, sotto i continui insulti di uno sparuto ma agguerrito gruppetto di irriducibili cacciatori, terrorizzati di non poter più sparare a tutti gli uccelli che gli passano davanti al mirino, e dribblando la cinquantina di emendamenti meramente ostruzionistici con i quali il capogruppo di Fratelli d’Italia, Sebastiano Costalonga, ha tentato fino all’ultimo di far inciampare la delibera. Tra l’altro, emendamenti talmente mal fatti che una ventina sono stati respinti perché giudicabili “non votabili” dalla segreteria. Neanche la più becera ostruzione, sanno fare bene. 
C’è voluta un’ultima seduta, quella di ieri, durata oltre 9 ore che ha messo a dura prova la tenuta “psicofisica” della maggioranza, ma alla fine, a notte inoltrata, la delibera numero 22 del 2014 che istituisce il Parco di interesse locale della Laguna Nord di Venezia è stata approvata con 18 voti favorevoli, 9 contrari e un astenuto. 
Soddisfatto l’assessore all’Ambiente, Gianfranco Bettin, che del nascente Parco è stato il più convinto sostenitore, ed il gruppetto di ambientalisti del Vas che hanno tenuto duro sino alla fine nell’area riservata al pubblico per ricordare al consiglio che del Parco non ci sono solo oppositori. 



Oggi, a giochi fatti, viene da chiedersi perché un Parco che ha il compito di tutelare e valorizzare in modo nuovo e sostenibile la parte ancora più riconoscibile nel patrimonio originario naturale e storico della laguna veneziana, abbia sollevato tante proteste e tanti ingiustificati timori, considerando che l’area in questione, circa 16 mila ettari, è già sottoposta a vincoli Zps e la nuova struttura, neppure volendo, ha il potere di aggiungerne di nuovi. 
Volutamente, la minoranza aggressiva e irriducibile di cacciatori che fa capo all’europarlamentare di Fratelli d’Italia Sergio Berlato e alla destra estrema di Venezia, ha mantenuto un livelo di discussione basso, giocando su toni allarmistici - cosa che d’altra parte è tutta nel loro stile - che non trovano nessuna riscontro nella realtà di quello che, alla fin fine, è un parco di interesse locale; il livello più tutela ambientale disponibile nel nostro Paese, il solo che Regione e Governo ci abbia consentito di istituire. 
Qualcun altro, nell’ombra, ha ancor più alzato il tiro: proiettili in busta e scritte offensive e minacciose all’assessore all’Ambiente, Gianfranco Bettin, e irruzioni vandaliche nell’isola di San Giacomo in Paludo, tra Murano e Burano, gestita dall’associazione ambientalista Vas. 
Al di là dei cacciatori estremisti, e di chi dà loro corda con li consueto armamentario di spauracchi e panzane seminate apposta per screditare un progetto che invece ha tutte le carte in mano per rigenerare sia l’ambiente e il patrimonio storico e culturale sia l’economia delle comunità della laguna nord, c’è l’impressione che anche altri poteri e interessi abbiano la volontà di impedire che si vigili meglio sulle tutele esistenti, che non vogliano forme rigorose di controllo per poter meglio coltivare affari spesso poco chiari in laguna. Le mani del business affaristico sulla laguna sono sempre disturbate dai controlli, e dunque la presenza di un parco che metterà questi affari sotto gli occhi del mondo è letta come un pugno nello stomaco. “E’ evidente che c’è chi pretende di continuare a fare quello che vuole in laguna, infischiandosene di regole e tutele, e che vede nel Parco un ostacolo ai propri interessi - ha commentato Gianfranco Bettin -. Ma desso che i Parco è stato istituito non si può più tornare indietro e il Comune, che è anche l’ente amministrativio più vicino ai cittadini, ha uno strumento in più per tutelare la nostra laguna”. Uno strumento che adesso dobbiamo imparare ad utilizzare in tutte le sue grandi potenzialità.

Incendio all’ex ospedale Al Mare. Chi ha interesse a fare terra bruciata?

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Un incendio divampato da quattro punti diversi che hanno cominciato a bruciare allo stesso momento. Difficile non vederci una origine dolosa. Le fiamme hanno avvolto l’ex ospedale Al Mare del Lido di Venezia verso mezzanotte e ci son volute tre ore buone ai vigili del fuoco per domare l’incendio. Attualmente la struttura ospedaliera è abbandonata in attesa che venga definito un contenzioso tra il Comune e i suoi proprietari.
Se venisse confermato che l’incendio è di natura dolosa, quanto accaduto questa notte getta inquietanti ipotesi su loschi interessi speculativi.
“Da anni questa preziosa porzione del nostro territorio è oggetto di mire speculative - ha commentato il consigliere comunale Beppe Caccia-. Solo cinque mesi fa l'amministrazione comunale si è liberata della pesante ipoteca rappresentata dalle fallimentari operazioni finanziarie e immobiliari di EstCapital e dei fondi Real Venice. Ma ciò non significa che torbidi interessi non continuino a svolazzare, come avvoltoi, sul destino di questa area”.
La domanda che dobbiamo porci, sottolinea il consigliere della lista In Comune è: chi ha interesse a fare "terra bruciata" dell'ex Ospedale al Mare? Chi ha interesse a danneggiare le attività volontarie di recupero e valorizzazione dell'area condotte da decine di cittadini al Teatro Marinoni e in tutta l'area?



Questioni queste che dovranno trovare risposta nelle prossime ore, sostiene Caccia, per bloccare sul nascere ogni mira speculativa: “Il futuro dell'ex Ospedale al Mare non può che essere definito riconoscendo e valorizzando l'iniziativa e la partecipazione diretta dei cittadini e l'interesse pubblico e sociale che l'area riveste per l'intera isola del Lido”.

Di forconi, di insulti e di altre Commedie. Lo sfogo di un povero spalatore

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Chiedo scusa. Chiedo scusa a tutti ma mi devo sfogare. Son tre giorni che spalo letame e non ne posso più. Ve lo dico col cuore in mano. Magari il sito dell’associazione In Comune non è il luogo adatto per questi sfoghi. E nel caso qualcuno me lo facesse notare, toglierò immediatamente questo post. Ma in fondo, proprio qualche riga qui sotto, potete leggere la nota di Beppe “Nessuno spazio a Venezia per provocazioni fasciste travestite da forconi” che ha scatenato scariche diarrotiche come neanche tre boccette di Guttalax bevute tutte d’un fiato. Tutta merda che si è riversata pari pari sulla sua pagina di Facebook sotto forma di commenti e post che per definirli ci vorrebbe una nuova grammatica dell’orrore.
Fatto sta che tocca spalare. E tocca proprio a me che ho il... piacere? privilegio? onere? di essere l’amministratore della sua pagina. Per farvela breve, son tre giorni che banno, elimino, chiudo, taglio e nascondo i post insultanti di tutti gli sbalconati fascistoidi che abbiano mai avuto la cattiva idea di entrare su Facebook. E non è ancora finita.
Per dirla col Dante - ebbene sì, per ripulirmi l’anima ho ripreso in mano la Commedia - del commento di Caccia sotto riportato si potrebbe scrivere “nulla già mai sì giustamente morse; e così nulla fu di tanta ingiura”. Parafrasi: Beppe ha colpito nel segno e ha fatto incazzare tanta gente.
Ma siccome se guardi nell’abisso, anche l’abisso guarda in te (questo è quel tal Friedrich), vi assicuro che è un lavoro stomachevole. Perché per farlo devi accettare una situazione di incomunicabilità senza speranza. Non c’è dialogo che tenga di fronte a commenti totalmente sgrammaticati, avulsi dalla realtà, in qualche caso anche malati, che cercano solo l’insulto nell’effimera illusione di poter arrecare dolore all’avversario. In tutta franchezza, mi spiace per loro e mi spiace per me perché non ho potuto rispondere “Tu la pensi così? Io invece... Ragioniamo!”



Certo. Le argomentazioni non hanno mai convinto nessuno. E quelle solide ancora meno (Voltaire, se non erro). E questo è uno dei motivi per il quale faccio solo il giornalista e me ne sto ben distante dalla politica parlata, con tutto il rispetto e l’ammirazione per chi la fa. Ma il dialogo rimane comunque una cosa della quale non possiamo fare a meno, altrimenti siamo carne da psichiatra. Ma che dialogo è mai possibile sotto una tale valanga di merda? Sarò anche una Biancaneve ma, ve lo dico con sincerità, ci son rimasto male. Mi son dovuto abbruttire a scaricare giù per il cesso i peggiori mostri partoriti dal sonno della ragione (Goya, stavolta) ma per farlo mi è toccato prima guardarli sul muso feroce.
Ed è proprio qui che entrate in gioco voi. “E che caspita c’entriamo noi?” domanderete. C’entrate. C’entrate perché vi ci faccio “c’entrare” io, vi rispondo. Per esorcizzare il male, non ho trovato di meglio che condividerlo. Eccovi dunque, per la gioia dei vostri occhi, un breve sunto dei candidi fiori di prato che sono spuntati sotto il citato post di Beppe. Ve li riporto col copia e incolla. Onde per cui non imputate a me le storpiature grammaticali e le bestemmie sintattiche. (Neanche il correttore automatico di Word sanno tenere inserito...) Per quella pietà che tu per tema senti (sempre Dante), ho evitato di riportare i nomi propri.
Non fate i vigliacchi e leggete sino alla fine, eh? Seguitemi. Or discendiam qua giù nel cieco mondo (ancora lui).

“Schifoooooo , delinquenti rossi protetti da orsoni vi spzzeremo via da venezia dei doge. vergognaaaaaaa Caccia frocio e amico dei froci hai mai lavorato in vita tua?”; “Camilla, pagherai! Pagherai per il male che hai fatto ai nostri bambini! Pagherai per le tue menzogne! Per i tuoi numerosi misfatti! Pagherai per il seme della bugia che spargi su orecchie innocenti! Pagherai per la tua alleanza con il DEMONIO! Pagherai per il dolore che spargi sulle nostre famiglie!”; “Un di, presto ,la Fiamma Tricolore dell’Italia Divina si alzerà sul Morion, covo di bastardi e drogati, per purificare con il fuoco la nostra Patria violentata e uccisa” (Neanche D’Annunzio); “MERDAAAAAAAA !!!!!! SCHIFOSIIIIIII!!!! CON LE SPRAGHEEEEE VIGLIAAAACCCHHHIIII CANCELLATE MA TANTO ABBIAMO COPIATO E FACCIAMO GIRARE DAPERTUTTO!!!! AH AH AH AH AH” (la risata satanica continua per altre quindici righe); “Bastardi viglaicchi vili ci avete dato in 50 contro uno ma la prossima volta veniamo con i carri armati”; “Altro che in 50!!!! erano più di 500 contro uno, li ho contati contati io!” (Ah beh... se li hai contati tu...); “ci sono i video dei vigili del fuoco che li hanno fatti aposta per testimoniare la vile agressione dei porci dei centri sociali capitanati da caccia che è anche un consigliere della regione e che chi lo ha votato si dovrebbe tagliarli le mani cosi non vota piu”; “giusto. e’ cosi’ che fanno in arabia dai mussulmani che sono tutti amici loro”; “Quelli sono violenti e sono loro i veri fascisti che non hanno mai lavorato in vita loro e che non sanno il dolore degli imprenditori che si suicidano per le tasse. Non gliene frega niente di chi lavora”; “No ** sbagli. Quei cani del Morion non sono degni di essere chiamati fascisti” (Qui segue una interessante diatriba che vi risparmio su chi possa e chi non possa fregiarsi dell’ambito titolo); “basta basta basta con i centri sociali! Ecco di cosa sono capaci! aggredire una pacifica manifestazione autorizzata che voleva solo difendere i nostri bambini dai recchioni di merda. Tutti amici di Caccia e di quella schifosa della Seibezi. A casa vi mandiamo alle prossime elezioni. Basta con l’obbligo di avere dei gay al comune!!!! E vorrebbero anche far obbligatori a scuola dei libri che indottrinano i bambini a fare come loro? Schifosi!”; “Quelli del Morion sono tutti dei sorci che bisogna annegare nel canale della giudecca” (Ma poi le Grandi Navi ce la fanno a passare?); “A Venezia non si può più andare in giro che quei porci dei centri sociali, e ce ne sono otto in città!, ti buttano in acqua, ti stuprano e ti aggrediscono” (non necessariamente in questo ordine, spero); “Ma chi è che ha votato Orsoni che ci ha riempito la città di questi violenti? che poi dove abitano vorrei sapere”; “Io voglio chiamarmi mamma e papà e non genitori 1, 2 o anche 3! Adesso nelle scuole vogliono obbligare i bambini a studiare da gay. E poi la città è piena di froci e travestiti che rompono i cosidetti” (Ah, ma quello è il Carnevale); “Si vergogni ad usare il termine fascista! Rispetti le opinioni altrui e prenda qualche libro di storia e lo impari, esimio consigliere Caccia, visto che è pagato dagli italiani”; “Caccia ma dove abita?” (questo l’ho bannato ma forse ho fatto male. Magari voleva solo mandargli dei fiori) “E Giuseppina Gherzi che i partigiani hanno stuprato e ucciso? Dove la mettiamo?? merdeeeee rosseeee!!!!”; “Basta con i comunisti!!!”; “Se la polizia vorrebbe basterebbe che andasse a fare una retata al Morion per trovarlo pieno di droga e chiuderlo per sempre” (Se la polizia “vorrebbe”, potrebbe fare lo stesso a qualche festino con deputati e senatori e ne troverebbe certo di più, di droga); “Io sono una mamma, ha capito signor Caccia? E non una genitore 2!!!”; “Ragazzi ma perché stiamo qui a discutere? Mettiamoci in diecimila e andiamo al Morion a sfasciare tutto. Ripeto, perché stiamo qui a discutere?” (E’ quello che mi chiedo pure io)
E mi fermo qua. Ebbene? Vi ho dato una idea dello schifo che mi è toccato buttare giù per il cesso? Siate buoni e mandatemi una mail di solidarietà!

L’accordo “truffa” di San Basilio. Caccia: “Un inaudito ed inaccettabile regalo al Porto”

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Sulla questione delle “grandi navi” si va avanti come i gamberi: un passo avanti a Roma, un passo indietro a Venezia. Proprio nel giorno in cui il fronte ambientalista accoglie con sollievo l’approvazione a larga maggioranza in Senato della mozione presentata da Felice Casson che impegna il Governo a confrontare in tempi certi e con pari dignità tutte le ipotesi alternative al transito dei mostri del mare in Laguna, compresa la loro definitiva estromissione, smentendo clamorosamente il ministro Lupi che voleva il via libera allo scavo del canale Contorta con la scorciatoia della Legge Obiettivo, arriva la doccia fredda dell’accordo di programma per la connessione del tram a San Basilio tra il Comune e l’Autorità Portuale.
Che la rete tramviaria dovesse avere come capolinea l’area attualmente occupata dalle attività portuali, è cosa risaputa. Nel gennaio 2013 il Consiglio comunale aveva approvato in questa prospettiva una bozza di accordo che contemplava, come la città chiede da vent’anni e come da dieci anni prevede la pianificazione urbanistica del Comune di Venezia, che la zona di San Basilio fosse gradualmente restituita dal Porto, sdemanializzata e integrata nel tessuto urbano del popoloso quartiere di Santa Marta, sviluppando le attività universitarie e completando la passeggiata delle Zattere.



Il testo dell’accordo, trattato direttamente dall’assessore Ugo Bergamo (UDC) con l’Autorità Portuale e reso pubblico oggi, si rivela invece, per dirlo con le parole del consigliere della lista In Comune Beppe Caccia, come “un inaudito regalo al Porto. In pratica, si consente all’Autorità Portuale di confermare tutta l’area di San Basilio come terminal marittimo, di ampliare le strutture già esistenti, per far spazio alle grandi navi anche lungo il canale della Giudecca. Con un regalino da 8 milioni di euro.”
Caccia ha incontrato la stampa a Ca’ Farsetti assieme ai colleghi Camilla Seibezzi (lista In Comune) e Sebastiano Bonzio (Rifondazione). Tre consiglieri, come ha notato Bonzio, che sono “sufficienti a far mancare la maggioranza necessaria a far passare in Consiglio comunale un tale accordo.” Un accordo che farebbe ritornare indietro Venezia di una decina di anni, quando cominciarono le trattative per cercare di restituire alla città l’area portuale di San Basilio e la riva che corre lungo il canale della Scomenzera.
In quest’ottica, con la delibera del 14 gennaio 2013, il Consiglio comunale prevedeva, tra le altre cose, anche la costruzione di un parcheggio multipiano su uno dei moli della Marittima, con almeno il 30% dei posti auto destinato ai veneziani, nella prospettiva di definire l’uso dell’area sulla base dell’art. 35bis del PAT (Piano di assetto del territorio) che definisce l’obiettivo dell’estromissione dalla Laguna delle navi di dimensioni “incompatibili”.
All’assessore alla Mobilità Bergamo era stato dato l’incarico di trattare con l’Autorità Portuale e stabilire il testo definitivo dell’accordo di programma. Il problema sta tutto qua. L’accordo che Bergamo ha firmato a nome del Comune, hanno spiegato Bonzio, Seibezzi e Caccia carte alla mano, dice tutt’altro! Il parcheggio sarà a raso e riservato, in pratica, a forze dell’ordine, dipendenti del porto e turisti. Le stesse destinazioni d’uso degli edifici, già magazzini, che ospitano le aule didattiche delle università Ca’ Foscari Iuav vengono riclassificate come “attività portuali”. E il Porto vuole mantenere il controllo di tutte le banchine per far posto alle grandi navi, quanto queste non trovano spazio sufficiente per ormeggiare nel solo bacino della Marittima. Viene inoltre cancellato il contributo che il Porto dovrebbe versare al Comune per le opere accessorie, ma l’accordo impegna anzi proprio l’Amministrazione comunale a pagare 8 milioni di euro di canoni per il transito del tram in area portuale.
“Approvare questo accordo - conclude Beppe Caccia – significherebbe una resa alla lobby delle crociere: altro che tram, questo è un cavallo di Troia per lasciare per sempre le grandi navi tra Marittima e San Basilio. Il sindaco e gli altri consiglieri di maggioranza abbiano ben chiaro che, quando arriverà in aula per l’approvazione, noi non lo faremo passare. A qualsiasi costo.”

La raccolta differenziata ha pensionato l’ultimo inceneritore di Venezia. Chiude l’impianto di Fusina

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L’inceneritore di Fusina non serve più. Venezia ha scelto la strada della differenziata. A gennaio chiuderà i battenti l’ultimo impianto di incenerimento dei rifiuti ancora rimasto nel territorio del Comune. Il processo di spegnimento è già stato avviato. Un mese circa il tempo tecnico perché la struttura sia dismessa e resa inutilizzabile. Nessun pericolo occupazionale per i 22 operatori che saranno impiegati in altre mansioni.
Il 2014 vedrà quindi una città già avviata in un ciclo virtuoso dello smaltimento dei rifiuti. L’impianto di Fusina era stato approvato dalla Regione Veneto - nonostante il parere contrario delle associazioni ambientaliste e dello stesso Comune - nei primi anni ’90 ed entrato in funzione del ’98.
“Era la conseguenza, che già allora ritenevamo sbagliata, di una superata concezione del trattamento dei rifiuti - ha spiegato l’assessore all’Ambiente Gianfranco Bettin in un incontro con la stampa, questa mattina al municipio di Mestre -. Oggi possiamo affermare che avevamo ragione e che questa vecchia politica è stata superata dalla tecnologia ma soprattutto dalla metodologia”. L’assessora si riferisce alla raccolta differenziata. Venezia infatti - e non è un caso che, sia pure per quanto riguarda i parametri ambientali, la città resti in vetta alle classifiche italiane - ha virato decisamente verso il differenziato, sia nella città lagunare con il porta a porta che nella città di terraferma dove l’introduzione dei cassonetti a chiave ha ottenuto incoraggianti risultati.


“Proprio i cassonetti a calotta che presto porteremo in tutta la città - ha commentato l‘assessore -, si sono rivelati l’arma vincente, responsabilizzando l’utente e dandogli la possibilità di gestire in prima persona il conferimento dei propri rifiuti”. Risultati incoraggianti dicevamo: nei quartieri in cui il sistema dei cassonetti a chiave è andato a regime si sono superate quote di differenziato pari al 70 per cento. Da sottolineare anche il grande lavoro comunicativo svolto da Veritas che ha stampato fogli illustrativi in ben 17 lingue per spiegare a tutti i residenti il funzionamento del sistema.
La differenziata quindi, ha reso obsoleto l’inceneritore. Ma non solo. Quello che non andrà al riciclo, diventerà cdr, ovvero combustibile da rifiuto, e bruciato nella centrale Enel al posto del carbone con un innegabile risparmio di emissioni di anidride carbonica. “Per una amministrazione comunale - conclude Bettin - l’incenerimento dei rifiuti continua ad essere la via più comoda ma anche la più sbagliata. A Venezia, grazie ad una politica sul ciclo dei rifiuti che tiene conto soprattutto dell’ambiente e della salute dei cittadini, siamo riusciti a ridurre il carbone, incentivare la differenziata, bloccare il folle progetto della Regione di realizzare l’Sg31e, adesso, anche a chiudere l’ultimo inceneritore”.
Buone notizia che meritano una festa. Sabato dalle 10 alle 16, davanti all’impianto di Fusina, aperto per l’occasione ai visitatori e alle scolaresche, ci saranno caldarroste e torbolino per tutti. Tutti sono invitati a dare l’ultimo saluto ad un impianto inquinante che oramai appartiene al passato.

Caccia: “Il Consorzio Venezia Nuova dietro lo scavo del canal Contorta”

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Ed in laguna si ritorna a parlare della Legge Obiettivo. La legge 443 del 2001 fortemente voluta dal Governo Berlusconi che “semplifica” le verifiche sulla sostenibilità ambientale, affida ad un unico concessionario sia il controllo che la realizzazione dell’infrastruttura, e avvia i lavori senza sicurezze sulla copertura finanziaria. La legge, per intenderci, che sta dietro al Mose, la Tav e tutte quelle Grandi Opere che hanno devastato l’Italia nell’ultimo decennio.
Anche il ventilato scavo del canale Contorta, uscita del tavolo governativo come possibile soluzione al traffico crocieristico, potrebbe avvalersi della procedura veloce offerta dal quadro normativo sulle “infrastrutture strategiche”. E va da sé che il concessionario unico, come avviene sempre per quanto riguarda le opere in laguna, sarebbe ancora lui: quel Consorzio Venezia Nuova sui cui vertici sono ancora in corso varie inchieste penali della magistratura. Senza alcuna trasparenza su spese e costi, senza alcuna gara d’appalto, senza alcuna garanzia di salvaguardia e sostenibilità ambientale, siamo di fronte al pericolo che lo Stato investa ad occhi chiusi un cifra che si stima dai 300 ai 350 milioni di euro in una ennesima Grande Opera che si annuncia devastante per quello che rimane della nostra laguna. Una Grande Opera che Paolo Costa, presidente dell’unica Autorità Portuale rimasta in Italia, ha già liquidato come un banale “ripristino della morfologia lagunare”.
“Nel malaugurato caso che venga approvato lo scavo del Contorta – ha dichiarato il consigliere della lista In Comune Beppe Caccia – siamo di fronte al concreto rischio che la realizzazione dell’opera venga affidata senza alcuna trasparente procedura ed evidenza pubblica al Consorzio Venezia Nuova”.



In una interrogazione al sindaco di Venezia, Giorgio Orsoni, il consigliere non esita a fare nomi e cognomi. La progettazione dello scavo del canale Contorta è stata affidata dall’Autorità Portuale e dal magistrato delle Acqua allo studio di ingegneria idraulica Protecno srl di Noventa Padovana con il coinvolgimento dell’ingegnere Daniele Rinaldo già direttore dei cantieri del Consorzio e sposato con Maria Teresa Brotto, già dirigente sia del Consorzio e che della società Thetis dell’Arsenale.
“Mi pare che ce ne sia abbastanza per chiedere al sindaco di riferire in consiglio sulla situazione e sugli interessi del Consorzio sul canal Contorta. Spetta al primo cittadino intervenire affinché sia acquisita e messa a disposizione dei consiglieri e di tutta la cittadinanza tutta la documentazione utile attorno allo scavo del Contorta e farsi garante perché siano rispettate tutte le condizioni di imparzialità, trasparenza e partecipazione delle valutazioni sulle differenti alternative al transito delle Grandi Navi in laguna”.

In piazza per un mondo nuovo. Quello disegnato dalla nostra Costituzione

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Costituzione, strada maestra per un futuro di democrazia e di partecipazione. Questo è il sunto dell’incontro svoltosi ieri pomeriggio nella sala consiliare del Municipio di Mestre. L’iniziativa è stata organizzata a sostegno della manifestazione che si svolgerà a Roma in difesa della Costituzione e promossa da Don Luigi Ciotti, Maurizio Landini, Stefano Rodotà, Gustavo Zagrebelsky e Lorenza Carlassare. Proprio la docente di Diritto Costituzionale all’università patavina, è stata l’ospite d’onore dell’incontro mestrino, attorniata da un insieme alquanto variegato di relatori, a testimonianza di come la difesa della nostra carta costituzionale sia sentita da tutti i cittadini. Erano presenti un giornalista, Beppe Giulietti, un sindacalista, Luca Trevisan, un religioso, don Luigi Tellatin, un amministratore, Gianfranco Bettin.
Saluti di Mario Bonifacio, del direttivo provinciale dell’Anpi, che ha portato l’adesione dell’associazione partigiani della provincia senza nascondere il suo sconcerto per la mancata adesione del nazionale.




Centrale l’intervento di Lorenza Carlassare, docente di Diritto Costituzionale all’università patavina, che si è chiesta come mai la Costituzione sia così detestata. “Le sua radici affondano in un sogno di libertà e di democrazia. E’ avversata perché, se fosse applicata, aprirebbe la strada ad una stagione di profonde e bellissime trasformazioni sociali. Gli attacchi alla Costituzione sono cominciati sin dalla sua nascita. Il primo sistema utilizzato per sabotare la sua dirompente forza di democratizzazione è stato quello di non applicarla sin da subito. Questo, per le forze della conservazione è stato sin dall’inizio il modo più efficace di contrastarla. Il secondo e più recente passo è stato quello di violarla. Gli esempi sarebbero tanti. Ricordo solo la sostituzione dei decreti legge ministeriali alle leggi votate e discusse in parlamento. L’ultimo tentativo di depotenziare la Costituzione è stato quello di proporre continuamente proposte di riforma in modo da farla passare come inadeguata. Anche ‘vecchia’, l’hanno chiamata, senza considerare che quella americana o quella inglese sono assai più datate. E senza considerare che i principi di democrazia e libertà su cui è fondata non invecchiano mai”.
Sugli obiettivi della manifestazione, la Carlassare ha ribadito che non è una zattera per profughi politici ma una iniziativa “che vuole soltanto risvegliare le coscienze per spingere i cittadini a riappropiarsi della propria vita. Perché la Costituzione non è una cosa astratta! Detta dei principi che vanno applicati. Un esempio? La collocazione delle risorse in questi tempi di crisi. Cosa ci dice la Costituzione? Non spendiamoli in bombardieri che contrastano i suoi articoli ma piuttosto investiamoli nelle scuole e nell’istruzione che lei stabilisce come garantiti. Lo stesso per il diritto d’asilo. La Bossi Fini è anticostituzionale perché l’articolo 10 garantisce i rifugiati. Un altro esempio? l’articolo 27 che subordina la pena carceraria alle condizioni del carcerato. E potremmo continuare fin che volete”.

La parola al giornalista Beppe Giulietti di Articolo 21. Associazione che si richiama espressamente alla Costituzione e al diritto di avere una libera stampa. Un diritto che, vorrei ricordare, non è esclusivo ai giornalisti ma a tutti i cittadini. Giulietti ha messo in guardia contro i rischi di derive presidenzialiste. “Già viviamo un presidenzialismo a reti unificate, ci mancherebbe vederlo anche nella Costituzione. Ci raccontano che le riforme sono necessarie? Io credo che l’unica cosa necessaria sia applicarla, la Costituzione. Ma prima ancora che le proposte di riforme non mi piace il contesto in cui questa proposte vengono portate avanti. Non c’è più De Gasperi. Adesso dovremmo discutere con un condannato in via definitiva? Ieri c’era un cemento antifascista alla base dell’assemblea costituente. Oggi, se mi passate il gioco di parole, ho dei forti pregiudizi su troppi pregiudicati che vorrebbero riscrivere la Carta Costituzionale. Come si fa a sedersi attorno ad un tavolo con gente che ha marciato contro i tribunali? Prima bisogna disinquinare l’ambiente, risolvere il conflitto di interessi, preparare una nuova legge elettorale. Tutti passaggi che non centrano con la Costituzione. Per questo, sabato a Roma marceremo per applicare e non per difendere la nostra carta costituzionale”.

Luca Trevisan della Fiom ha portato il dibattito sui temi del lavoro. “Siamo di fronte ad una crisi della rappresentanza che riguarda anche il sindacato e questa è anche conseguenza della mancata applicazione della Costituzione e della preponderanza delle forze della finanza. Il lavoro è diventato una merce e neanche delle più pregiate. Sono state ridotte le protezioni sociali e colpito il welfare. Le conquiste ottenute sono state messe in discussione. A Marchionne che afferma che in Italia non si può fare imprenditoria per colpa della Costituzione, rispondiamo che non è la Costituzione che bisogna cambiare ma le politiche. Dobbiamo cambiare modello di sviluppo e costruire una nuova economia. Sabato scenderanno in piazza tante persone provenienti da tanti schieramenti diversi per chiedere una prospettiva di cambiamento che tragga la sua forza proprio dalla Costituzione”.

Libera è l’associazione di don Luigi Ciotti che si batte contro le mafie. E il miglior libro anti mafia, ha spiegato don Luigi Tellatin, è proprio la Costituzione. “Basterebbe applicarla, far funzionare lo Stato e rafforzare la democrazia. Così la mafia diventerebbe inutile e sarebbe battuta”. Don Luigi è uno che nel suo comodino tiene sempre due libri: il Vangelo e la Costituzione. “Il mio vangelo laico”, spiega, ed invita a coltivare il senso della memoria contro un popolismo banale ma furbo che “svuota i principi in nome della tecnologia dei mercati”.

Chiusura per Gianfranco Bettin, assessore comunale all’Ambiente. “La Costituzione è stata una di quelle cose che solo gli italiani sono capaci di inventarsi nei momenti più bui. Oggi, è in atto un tentativo di svuotarla di significato, di impaludarla. Una tecnica consolidata che abbiamo visto all’opera troppe volte. Con la riforma sanitaria, ad esempio. Ma anche con la legge di interruzione della gravidanza o con la legge Basaglia. Leggi tanto innovative quanto scomode che subito dopo la loro approvazione o non vengono applicate o vengono delegittimate. Così sta accadendo con la Costituzione. Ricordate quando Berlusconi la definiva ‘una carta sovietica’ da cambiare a tutti i costi? Adesso il gioco è più sottile ed insidioso. Ci raccontano che è superata, che ha bisogno di essere riformata. Non è vero. E’ un tentativo di colpire i suoi principi sempre attuali. Un tentativo che va smascherato per quello che è”.
Bettin fa notare anche come la perdita di autonomia degli enti locali, i Comuni in primis -oramai ridotti a meri enti applicativi di quanto deciso a Roma se non direttamente da Bruxelles - vada ad inserirsi in questo tentativo di svuotamento della nostra carta costituzionale: “un vero attacco alla democrazia e alla partecipazione”.
“Per questi motivi - conclude l’assessore - la manifestazione di sabato non ha lo scopo di difendere il vecchio mondo ma di costruire quello nuovo. Con la Costituzione come arma da combattimento”.

Par tera e par mar! Venezia ha detto no alle Grandi Navi

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E hanno anche il coraggio di chiamarle “navi”. Veri e propri villaggi turistici galleggianti che col mare non hanno niente a che fare se non quello di muoversi sopra come fosse una autostrada costruite solo per loro. Grandhotel alti come grattacieli “dotati di ogni confort” - come non mancano mai di specificare i depliant delle agenzie - come piscine, saune, giostre d’acqua, night club, discoteche e ristoranti da una a cinque stelle. Sono queste le Grandi Navi alle quali viene consentito di devastare la laguna inquinando ad ogni passaggio come 14 mila auto, sollevando masse d’acqua che sventrano i delicati fondali lagunari ed impattano sulle rive della città abbattendone le antiche fondamenta.
Uno scandalo ambientale, sociale, artistico. Uno scandalo commesso nel nome del profitto delle lobby crocieristiche europee che dettano leggi a Governi ed amministrazioni.



Proprio per questo, le Grandi Navi, come è stato ribadito nella “tre giorni” di incontri svoltasi tra venerdì 8 e domenica 9 giugno a Venezia, rientrano a pieno titolo tra le Grandi Opere: mercificano e distruggono un Bene Comune (la laguna e la stessa città), per accumulare grandi guadagni in mano di poche società private. E proprio come per le Grandi Opere, la città e i suoi cittadini, non solo non ne ricavano nessun vantaggio, ma vengono posti nella condizione di dover pagare le spese economiche ma anche ambientali del dissesto causato. Vari studi di docenti ed economisti di Ca’ Foscari hanno abbondantemente dimostrato che Venezia non ha nessuna ricaduta economica nella presenza di questi Alberghi del Mare, in quanto il turismo da loro indotto - e vi posso assicurare che Venezia non ha bisogno di ulteriori promozioni turistiche, anche in tempi di crisi! - è un turismo “mordi e fuggi” da mezza giornata che si esaurisce sul “tutto compreso” della nave-albergo che offre anche la possibilità di acquistare nei negozi sui ponti anche l’immancabile gondola in plastica e altri souvenir.
Ma anche al di là dell’aspetto economico, non possiamo tacere sui rischi inerenti al passaggio di queste enormi scatoloni di ferro in un canale strettissimo come quello della Giudecca. E’ appena il caso di ricordare cosa è successo al Giglio e a Genova. E se un simile incidente si verificasse davanti alla basilica di San Marco?
Con queste premesse, è facile intuire come la “tre giorni” organizzata dal comitato cittadino No Grandi Navi, alla quale ha aderito l’intero arcipelago associazionista che opera nella Città dei Dogi, sia stata caratterizzata da una ampissima partecipazione di pubblico. Il cuore delle iniziative è stata l’isola di Sacca Fisola, estrema propaggine della Giudecca, cui è collegata da un ponte, dove i ragazzi del laboratorio Morion hanno attrezzato un campeggio internazionale.
Da sottolineare, a dimostrazione di quanto i destini di Venezia destino più preoccupazione all’estero che a casa nostra, la presenza di numerosi portavoce di comitati No Grandi Opere provenienti dalla Francia, dalla Germania, dalla Spagna e da altri Paesi d’Europa. La lista delle adesioni alla “tre giorni” è davvero troppo lunga per essere riportata ma potete scorrerla collegandovi al sito del comitato organizzatore www.nograndinavi.it, dove potete anche vedere le foto di questi grattacieli ambulanti e farvi una idea sul loro impatto nella città più fragile del mondo.
Dopo gli incontri è venuto anche il momento di manifestare. E la città lo ha fatto per tutta la giornata di domenica rispolverando un antico motto di guerra: “Par tera e par mar!” Per terra e per mare. Le violente e del tutto ingiustificate cariche della polizia dalle quali i manifestanti si sono riparati con salvagenti e canotti, non sono riuscite a disperdere i cortei. Né quello di terra, né quello d’acqua. Per tutta la giornata, le Grandi Navi sono rimaste ferme alle banchine e non sono riuscite a forzare il blocco neppure con l’aiuto degli elicotteri e dei motoscafi della polizia.
Per un giorno almeno, la laguna si è liberata dai suoi mostri marini.
“Tre giornate straordinarie - ha commentato Tommaso Cacciari, del laboratorio Morion -. Migliaia di persone sono scese in piazza nonostante le prescrizioni della questura e si sono rimpossessate della città e delle sue acque espropriate dalla Capitaneria di porto metro dopo metro, sino a conquistarsi il diritto di manifestare contro queste grandi opere galleggianti che si ostinano a chiamare navi”.
Proprio come per le Grandi Opere, le Grandi navi sollevano, oltre che un problema ambientale ed economico, anche un problema di democrazia. A Venezia, nessuno le vuole. Non le vogliono i cittadini, non le vogliono i residenti che ad ogni loro passaggio, causa l’impatto delle onde, vedono il water di casa tracimare liquami. Non le vogliono gli ambientalisti e non le vuole neppure l’amministrazione comunale che da tempo ha chiesto alle autorità competenti di spostarle dalla laguna. Eppure le Grandi Navi continuano a solcare il canale prospiciente il “salotto buono di Venezia” - piazza San Marco - come fosse casa loro. “Per un antiestetico gabbiotto sotto il Campanile - ha osservato il consigliere comunale Beppe Caccia - è giustamente intervenuto il ministro dei beni Culturali in persona. Eppure per le grandi navi che oltre ad essere antiestetiche inquinano e devastano, nessuno si scomoda”. Per questo, dicevamo, il problema delle grandi navi sta dentro un più ampio problema di democrazia. E’ un problema di “chi comanda a Venezia?” Tutto qua.
La grande mobilitazione ha segnato anche un ulteriore punto a favore di Venezia. Come da tempo chiedevano gli ambientalisti e lo stesso Comune, il ministro per le Infrastrutture Maurizio Lupi ha anticipato la convocazione del cosiddetto Comitatone, l’organo Interministeriale per la programmazione previsto dalla Legislazione speciale per Venezia, con un ordine del giorno tutto dedicato alle Grandi Navi.
Cosa possiamo aspettarci da questo incontro? Scorriamo la lista dei partecipanti. Non sono state convocate le associazioni ambientaliste. Non ci sarà neppure il Ministero per la Cultura che avrebbe il compito tramite le Soprintendenze di tutelare i beni architettonici (come se Venezia non lo fosse...). Ci sarà invece il sindaco di Venezia, e vorrei vedere il contrario, ma ci saranno anche i rappresentanti della Regione la cui amministrazione è tutta in mano a Pdl e Lega che ha la sensibilità ambientale di un Mister Hyde e la cui attenzione nei confronti di una città che gli ha sempre votato contro è ai minimi storici.
Al Comitatone ci saranno anche tutti i rappresentanti delle lobby crocieristice e delle organizzazioni armatoriali italiane ed europee (ci chiediamo a che titolo sono state invitate), insieme a quegli organi dello Stato che da sempre hanno unicamente tutelato gli interessi delle Grandi Navi come la Capitaneria e l'Autorità Portuale di Venezia, tutti enti a nomine ministeriali. A costoro, il sindaco di Venezia dovrà spiegare perché la città non vuole essere giornalmente devastata dal via vai di questi cementifici di mare.
Il problema, come abbiamo scritto poco sopra, sta tutto qua: “chi comanda a Venezia?”

Finanza o democrazia? Un convegno per un nuovo patto costituente tra cittadini e cittadini

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Venezia, e non a caso. La città lagunare, storico “ponte” mediterraneo di scambi tra oriente ed occidente, tra settentrione e meridione, sarà la sede del convegno internazionale di due giorni “L’Europa oltre l’Europa”, che si svolgerà venerdì 24 e sabato 25 maggio. In allegato, potete scaricare il ricco programma della manifestazione che, proprio per dare una idea della varietà delle discussioni prevsite, si terrà sia in sedi istituzionali come le sale messe a disposizione dallo Iuav o dal Comune di Venezia, quanto in spazi autogestiti come il Sale Docks. L’iniziativa è stata presentata questa mattina a Ca’ Farsetti.
Perché un convegno sull’Europa?
Perché, si legge nel documento di presentazione dell’incontro, “tre anni ininterrotti di politiche di austerity hanno profondamente modificato la costituzione materiale dell’Unione Europea. Il processo di integrazione economica e finanziaria appare oggi guidato da poteri economici e politici estranei alla stessa cornice istituzionale dei Trattati. La fase costituente dall’alto che stiamo subendo si sta dimostrando post- e anti- democratica. Tanto più che ciò si verifica nel contesto di una gestione della crisi finanziaria ed economica che sta impoverendo drammaticamente il continente e allargando la forbice delle diseguaglianze sociali ai danni di molti”.



Il seminario è stato organizzato da Global Project e da European Alternatives e si inserisce in un percorso che continuerà in Germania, a Francoforte, con Occupy Frankfurt, e in Grecia, ad Atene, con Alter Summit.
“Quando abbiamo lanciato la proposta di questo incontro sull’Europa - spiega Vilma Mazza, direttore di Global Project- non ci aspettavamo una risposta così entusiastica. Lo stesso numero dei relatori, provenienti non solo da pressoché tutti i paesi europei ma anche dall’area mediterranea e dall’est, e che supera la quarantina, è un dato che la dice lunga sulle dimensioni di questa ‘due giorni’ di incontri. Tra loro ci sono esperti, amministratori locali, rappresentanti di movimenti. Tre categorie che difficilmente troviamo all’interno della stessa sala di convegno ma che, proprio per questo, abbiamo voluto far incontrare. In questa Europa arroccata dietro alle decisioni della troika e dove gli spazi di democrazia si restringono sempre di più, riteniamo che sia necessario costruire una azione multipla e pensare ad un linguaggio condiviso per poter incamminarci verso un deciso cambiamento di rotta”.
“Come Comune siamo molto interessati a questo convegno e, in generale, a questo tipo di percorsi che intrecciano esperienze di base e ed esperienze amministrative - commenta Gianfranco Bettin, assessore all’Ambiente del Comune di Venezia -. L’Europa in cui ci riconosciamo di più è quella dei popoli e delle città, che poi costituiscono la vera radice dell’Europa. Due dimensioni che oggi sono entrate in crisi e poste sotto continuo attacco dal quell’Europa che prevale in questo momento, che è soprattutto quella delle oligarchie finanziarie. Oggi i popoli soffrono le politiche del rigore e le città sono il fulcro della leva con cui vengono applicate tali politiche nel welfare e nei beni comuni. Beni sotto continua pressione per essere ceduti e, con loro, cedere anche sovranità. L’affacciarsi di una diversa idea di Europa, in grado di produrre tanto pratiche amministrative quanto pratiche di conflitto capaci di opporsi a quanto avviene, è, per noi tutti, non soltanto importante ma addirittura vitale”.
Marco Baravalle di Sale Docks osserva come il convegno internazionale comprenda “un focus interessante sull’Europa dell’est e su Paesi di cui si parla poco, pur se negli ultimi anni sono stati al centro di politiche e di vicende contraddittorie come governance identitarie, euroscettiche e di estrema destra, ma anche di movimenti che si sono opposti a queste derive e dei quali sappiamo molto poco”.
“L’Europa oltre l’Europa - conclude Baravalle - sarà un appuntamento che ha come obiettivo essenziale quello di ridefinire che cosa intendiamo oggi con ‘Europa’, sia per trovare un linguaggio comune come ha detto Vilma Mazza che per costruire insieme pratiche amministrative e di movimento, come ha spiegato l’assessore Bettin. Oggi l’Europa è solo quella della troika e dell’austerity. E’ una Europa che non risponde democraticamente ai bisogni dei suoi cittadini, una Europa delle decisioni prese dall’alto col baricentro chiuso dentro le cassaforti dei gruppi finanziari. Durante il convegno, cercheremo di definire una Europa diversa, un’Europa dei diritti e dei movimenti sociali. Una Europa che abbia un centro di gravità mobile, pronto a spostarsi ad est o a sud, verso quello che non ha caso è stato chiamato l’Euromediterraneo”.
Perché, proprio come per il mondo, anche un’altra Europa è non solo possibile ma anche necessaria.

Venezia sceglie la differenziata. Chiude l’ultimo inceneritore di Fusina

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Inceneritore, addio! Venezia sceglie la strada della differenziata, del riciclo intelligente e del recupero energetico. In un incontro con la stampa, svoltosi questa mattina al municipio di Mestre, l’assessore all’Ambiente, Gianfranco Bettin, ha annunciato che entro la fine dell’anno l’impianto di incenerimento situato a Fusina sarà completamente dismesso. Si chiude quindi un capitolo aperto nei primi anni ’90 quando la Regione Veneto, nonostante la contrarietà del Comune di Venezia e le accese proteste dei residenti scelse questo sito per costruire un discusso termovalorizzatore.
Un errore che, come ha osservato l’assessore Bettin, rese più lungo e difficoltoso il passaggio verso un ciclo dei rifiuti più moderno e sostenibile. Adesso però è arrivato il momento di voltare definitivamente pagina.



"La chiusura di questo impianto - ha spiegato Bettin - è una scelta strategica, nel segno della salute, dell’ambiente, della sostenibilità e dell’innovazione. E’ il frutto di un percorso virtuoso che da tempo l'amministrazione ha intrapreso e che consiste nel ridurre a monte la produzione di rifiuti grazie ad una raccolta differenziata spinta, raccoglierli in modo corretto per poi poterli riciclare o ricavarne energia, superando così il vecchio sistema di smaltimento, basato sul conferimento alle discariche e sugli inceneritori, come questo di Fusina per l’appunto, che bruciano i rifiuti senza trattamento”. Una chiusura resa possibile dallo straordinario aumento della percentuale di raccolta differenziata registrato nel 2012 ed in continua crescita. Una chiusura inoltre, che non comporterà nessuna perdita di posti di lavoro, considerato che i 22 dipendenti dell’impianto saranno dirottati ad altre mansioni nel nascente Ecodistretto del riciclo e dell’energia.
“Le emissioni dell’inceneritore di Fusina sono sempre state tenute sotto controllo e negli anni sono state realizzate molte migliorie all’impianto - commenta Bettin -. Ma rimaneva comunque una struttura superata ed inquinante, come lo sono tutti gli inceneritori. La sua chiusura eviterà l'emissione nell'atmosfera di 50 mila tonnellate all'anno di CO2. Un passo importante per la nostra città, che si aggiunge agli ottimi risultati già raggiunti in termini di minor conferimento di rifiuti nelle discariche”.
Una scelta decisamente in controtendenza in una Italia che dal punto di vista del ciclo dei rifiuti rimane il fanalino di coda dell’Europa, considerato che si continua a puntare su una politica di incenerimento con conseguente conferimento in discarica che oramai ha dimostrato tutti i suoi limiti. Eppure nel nostro Paese, circa la metà dei rifiuti prende questa strada fortemente inquinante contro il 5 per cento ottenuto a Venezia. Si continuano inoltre a costruire e a mettere in funzione costosi inceneritori, non ultimo il contestatissimo impianto di Parma.
L’inquinamento in altre parole, è ancora una industria che in Italia fattura bene anche in tempi di crisi ed a cui vengono destinate risorse pubbliche che sarebbe assai meglio dirottare verso soluzioni più virtuose e meno impattanti. Una politica fallimentare che comporta carissime ricadute alla società, all’ambiente e alla nostra salute.
Venezia, per fortuna, ha scelto una strada diversa.

L'accordo per la riduzione dell'inquinamento non basta. Vogliamo una portualità sostenibile Accordo tra Comune e armatori per ridurre l’inquinamento. Caccia: “Ma adesso via le grandi navi dalla laguna”

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Un passo in avanti ai fini della tutela dell’ambiente e della salute, ma un passo che non deve farci perdere di vista l’obiettivo finale: l’allontanamento delle grandi navi dalla laguna di Venezia. L’accordo sottoscritto questa mattina a Ca’ Farsetti dall’amministrazione comunale ed i rappresentanti delle principali compagnie di crociera internazionali è un dato senza dubbio positivo per la nostra città. Grazie a questo documento, le grandi navi, dall’entrata alla bocca di porto del Lido alla Marittima, si impegnano ad azionare i loro motori utilizzando combustibile con un tenore di zolfo non superiore allo 0,1 per cento, contro il limite del 3,5 stabilito dalla normativa europea.
E non è tutto. Nel “non scritto” dell’accordo va annoverata anche la disponibilità delle compagnie a mettere in discussione la contestata “passerella” davanti alla piazza marciana. Lo stesso sindaco Giorgio Orsoni che, con l’assessore all’Ambiente Gianfranco Bettin, ha rappresentato l’amministrazione comunale durante la ratifica del documento di intenti, ha sottolineato: “Un ringraziamento è dovuto anche agli armatori che hanno sottoscritto l’accordo e si sono dichiarati disponibili ad affrontare le alternative al passaggio delle navi da crociera in Bacino”.



Alternative quindi, che sono e devono rimanere il vero obiettivo da perseguire. Sotto questo punto di vista, l’istituzione di questo corridoio verde a basso impatto ambientale, tra il Lido e la Marittima, assume un valore ancora più significativo perché, come ha osservato il consigliere della lista In Comune Beppe Caccia, per la prima volta è arrivata l’ammissione anche da parte degli armatori che il problema del viavai di questi enormi alberghi galleggianti nel fragilissimo ecosistema della laguna dei dogi, esiste, deve essere affrontato e risolto. “L’accordo volontario volto a ridurre le emissioni inquinanti che fuoriescono dai camini delle grandi navi in transito è senza dubbio positivo, così come è positiva la disponibilità dichiarata dalle compagnie armatoriali ad abbandonare le rotte che attraversano il bacino di San Marco – commenta Caccia-. Ma entrambe le notizie dimostrano come tutti siano ormai pienamente consapevoli di una situazione insostenibile, sia per l’inquinamento dell’aria, sia per i danni che provoca e i rischi che crea il passaggio di questi mostri del mare”.
“Gli unici che restano sordi e inadempienti, ma nelle cui mani sta la soluzione del problema, sono, a livello locale, l’Autorità Portuale e Venezia Terminal Passeggeri e, a livello nazionale, il governo Letta – continua il consigliere della lista In Comune-. I primi si ostinano a difendere l’indifendibile o a proporre interventi addirittura peggiorativi, come lo scavo di nuovi canali. Il secondo lascia inapplicato il decreto che vieta il passaggio a San Marco e non ha mosso un dito per l’individuazione delle alternative necessarie a difendere la laguna, rilanciando una portualità sostenibile”.
“La città – conclude Beppe Caccia – non può aspettare oltre: il Governo deve impegnarsi subito per dare soluzione al problema, mantenendo la promessa di una urgente convocazione del Comitatone”.

Ca’ Farsetti: una commissione di inchiesta per far luce sul caso Mantovani

Una commissione di inchiesta sul caso Mantovani col Comune pronto a costituirsi parte civile. Ca’ Farsetti vuole a tutti costi fare luce sugli intrecci tra la politica e il malaffare portato alla luce dalla recente inchiesta della Guardia di Finanza che ha portato all’arresto cautelativo del presidente della spa Piergiorgio Baita con l’accusa di “associazione a delinquere finalizzata alla frode fiscale”. Intrecci che, di fatto, negli ultimi anni hanno costretto l’amministrazione comunale ad abdicare alla funzione di governo del suo territorio a favore di una lobby affaristica che si era assunta il potere di operare scelte urbanistiche e strategiche.
“Non è nostra intenzione sostituirci alla magistratura - ha puntualizzato il consigliere della lista In Comune Beppe Caccia - ma vogliamo capire come ha potuto consolidarsi un vero e proprio sistema fondato sul concessionario unico che esercita un ruolo di monopolio delle opere pubbliche della salvaguardia. Un sistema che riguarda non solo Venezia ma anche tutto il Veneto».
La Mantovani spa infatti non è solo la principale azionista del Consorzio Venezia Nuova, concessionario unico del Ministero per le Infrastrutture e del Magistrato alle Acque di Venezia dei lavori per la realizzazione delle opere per la salvaguardia fisica della città di Venezia e della Laguna. La società fatturava ad oltre una ventina tra Enti e Società operanti nel territorio regionale tra cui Veneto Acque e Veneto Strade, oltre a al Consorzio Venezia Nuova, all’Autorità Portuale di Venezia, al Thetis e al Passante di Mestre.


La proposta di istituire una commissione comunale ad hoc dalla durata di 18 mesi prorogabile per raccogliere informazioni utili in prospettiva di costituire il Comune quale parte civile in sede processuale è stata lanciata questa mattina dai consiglieri dei partiti di maggioranza (Pd, Psi, Federazione della Sinistra, Idv, Udc e In Comune,) e dal Movimento 5 Stelle. Di conseguenza la sua approvazione in sede consiliare è da considerarsi pressoché scontata.
“L’impresa di costruzioni Mantovani spa - si legge nella proposta già protocollata - ha assunto negli ultimi anni un ruolo preponderante nella progettazione e costruzione di importanti opere pubbliche previste nel territorio veneziano, promosse da diversi Enti e Istituzioni tra cui la stessa Amministrazione Comunale”. E ancora, va considerato che “risultano di eccezionale gravità gli addebiti contestati dalla Procura della Repubblica di Venezia nell’ambito dell’inchiesta penale ... tra le ipotesi di reato contestate vi è la distrazione dei risorse pubbliche destinate alla realizzazione di opere previste nel territorio comunale e finalizzate invece alla costituzione di ‘fondi neri’, a loro volta utilizzati per alimentare meccanismi corruttivi”. E conclude: “La ricostruzione della Magistratura inquirente mette in luce l’esistenza di una grave e intollerabile situazione di illegalità in grado di condizionare l’intero sistema di realizzazione delle opere pubbliche nel territorio veneziano, a discapito dei più elementari principi di trasparenza, legalità e di effettiva libertà di mercato e concorrenza; è interesse prioritario dell’Amministrazione Comunale e della Città nel suo insieme che sia fatta piena luce sulla vicenda, in primis per quanto attiene ai progetti e alle opere di propria competenza, ma anche e soprattutto relativamente al ruolo svolto nella vita economica e produttiva, politico e amministrativa della Città, da parte delle Imprese e degli Enti a vario titolo coinvolti”.
Niente di più e niente di meno di quanto gli ambientalisti, i movimenti di base ed i comitati cittadini sorti a tutelare il loro territorio hanno sostenuto da tanti anni. Peccato che, anche in questo caso, la condanna politica di un sistema di grandi opere utili solo ad avvantaggiare chi le realizzava, arrivi a rimorchio di una inchiesta della magistratura.

I consiglieri della lista In Comune: “Stop alla Romea in attesa del nuovo Governo”

Fermate le ruspe. Fermate tutti i cantieri della Romea Commerciale perlomeno sino a che non ci sarà un nuovo governo. Un nuovo governo, ci si augura, magari capace di prestare più attenzione agli enti locali e ai comitati cittadini che alle lobby del cemento. E’ quanto chiede il consiglio comunale di Venezia tramite un ordine del giorno che ha avuto come primi firmatari Giuseppe Caccia e Camilla Seibezzi, consiglieri della lista In Comune. “Oggi, lunedì 18 marzo, a Roma è prevista una riunione del Comitato Interministeriale per la Programmazione Economica, il cosiddetto Cipe - ha spiegato Caccia -. L’ordine dei lavori prevede proprio una discussione in merito all’approvazione del progetto preliminare del nuovo corridoio autostradale Orte-Mestre. Noi riteniamo che un'opera autostradale così imponente, sia dal punto di vista dei costi che dell’impatto ambientale, non può in alcun modo essere considerata come ‘ordinaria amministrazione’, e tantomeno venire annoverata tra gli atti di particolare necessità e urgenza. Il consiglio comunale di Venezia chiede quindi che il Cipe attenda l’insediamento del nuovo Governo prima di procedere oltre. L’attuale Governo, che dopo lo svolgimento delle elezioni politiche è costituzionalmente ancora in carica soltanto per il disbrigo dell’ordinaria amministrazione e l’approvazione di una nuova autostrada come è la Romea Commerciale non rientra certo tra i suoi compiti”.
Un vero e proprio “colpo di mano” che, perlomeno questa volta, pare sia stato sventato grazie anche alla continua attenzione dei comitati. Fonti regionali garantiscono che il punto relativo alla Romea Commerciale è stato stralciato dall’ordine del giorno in discussione al Cipe e rinviato per l’ennesima volta a data da destinarsi.
Il documento portato in Consiglio da Caccia e Seibezzi ha comunque sottolineato le ragioni che hanno già portato l’amministrazione veneziana, così come tante altre amministrazioni interessate al tracciato della Romea, ad esprimere un parere decisamente contrario a questa ennesima grande opera lanciata nel ben noto Programma delle Infrastrutture Strategiche. Programma che alla fin fine si è rivelato solo come un sistema utile solo a bypassare le tutele ambientali per imporre dall’alto opere inutili, devastanti e sgradite tanto ai residenti quanto alle amministrazioni locali.
L’augurio, come abbiamo già detto, è che il nuovo esecutivo presti più attenzione alla voce dei cittadini e meno alle lobby del cemento.

Laguna nord: un passo decisivo verso il parco

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Ci siamo. Dieci anni di battaglie su tutti i fronti istituzionali. Dieci anni di discussioni nelle calli e nelle sedi istituzionali tra entusiasmi, dubbi e polemiche. Ma oggi il parco della laguna nord di Venezia è una realtà. La delibera istitutiva è stata approvata dalla giunta del Comune di Venezia e ora si attende solo la prevedibile ratifica del consiglio comunale.
Sarà, burocraticamente parlando, un “parco regionale di interesse locale”. Il Comune infatti, ha spiegato l’assessore all’Ambiente, Gianfranco Bettin, non ha competenze per istituire un parco regionale e tantomeno per uno nazionale. Questa era l’unica forma possibile. “In un ambiente in cui, per fortuna, ci sono già molti vincoli - ha commentato Bettin - non era in nostro potere e neppure nel nostro interesse imporne di altri. Il parco, come lo intendiamo noi, sarà uno strumento per valorizzare le straordinarie possibilità di un ambiente unico al mondo, non solo dal punto di vista paesaggistico, ma anche da quello storico, culturale ed artistico”.
La storia del parco viene da lontano, da quando in casa ambientalista si cominciò a pensare ad una forma di tutela adatta a salvaguardare non solo l’ambiente lagunare ma anche la gente che ancora, tra mille difficoltà oggettive, continua ostinatamente a vivere “in” quell’ambiente e “di” quell’ambiente, con mestieri e tradizioni che non hanno uguali in nessun posto della terra. Non è stato un percorso agevole.



“Purtroppo in Italia le cose vanno così - spiega Bettin -. In tutto il mondo la costituzione di un parco si saluta festeggiando, da noi invece ci si preoccupa”. Per vincere le resistenze e rispondere ai dubbi di categorie tradizionalmente poco inclini ai cambiamenti, l’assessorato ha messo in moto un meccanismo partecipato che ha pazientemente riunito attorno ad un unico tavolo tutti i soggetti interessati, dai commercianti agli albergatori, dai residenti ai pescatori, dagli artigiani agli ambientalisti. Il risultato è questa delibera istitutiva che conclude l’iter istitutivo cominciato nel 2004 con una variante al piano regolatore regionale.
I confini del parco saranno pressapoco quelli disegnati in quell’anno e che comprendono praticamente l’intera laguna nord. Sedicimila ettari complessivi che rappresentano più o meno un terzo dell’intera laguna. Perché la laguna nord? Perché è l’ultima laguna che ci è ancora rimasta. A sud, da Venezia a Chioggia, quella che un tempo era la laguna viva dei dogi tutelata da una severa legge della Serenissima che prevedeva l’affido ai “remi di galera” per chiunque si fosse azzardato ad attentare alla sua incolumità, oggi non esiste più. Grandi opere inutili, fallimentari e dissennate l’hanno ridotta ad un braccio di mare aperto, battuto dalle onde ed invaso dalle maree dell’Alto Adriatico.
Niente vicoli ulteriori, abbiamo detto, per il nostro parco. Ma allora, hanno chiesto i giornalisti durate la conferenza stampa di presentazione, venerdì a mezzogiorno a Ca’ Farsetti, cosa potrà fare questa nuova istituzione per tutelare un territorio dove ci sono oltre trenta diversi enti competenti e che, se da un lato ad un residente risulta praticamente impossibile mettere le controfinestre a casa sua, dall’altro si autorizza, ad esempio, la costruzione di barene artificiali dove non ce ne sono mai state.
“Il parco serve proprio a semplificare le fin troppo normative esistenti - ha risposto Bettin -. Uno dei suoi scopi istitutivi è proprio quello di aiutare chi, coraggiosamente, vive in laguna a districarsi tra i vicoli burocratici, tutelando anche la residenzialità favorendo il prosieguo dei mestieri tradizionali come la cantieristica e la pesca, e incentivando un turismo intelligente e sostenibile”. E conclude l’ambientalista: “Le barene in cemento? Sono opere sulle quali il Comune, sino ad oggi, non ha potuto dire una parola perché sono di competenza di altri enti. Col parco le cose cambieranno. Potremo finalmente intervenire. Ci troveremo, discuteremo, se necessario ci scontreremo anche. Difendere Venezia significa difendere la sua laguna. Perché Venezia è la sua laguna”.

Venezia in campo per il suo Arsenale

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Una bella domenica di festa e di partecipazione, a Venezia. La città si è ritrovata davanti al suo arsenale per manifestare tutto il suo sdegno di fonte allo “scippo” a firma del ministro delle Sviluppo Economico Corrado Passera. Poche righe inserite di frodo in un testo che tratta di tutta un’altra questione - l’agenda italiana sul digitale - me che nei fatti annulla il passaggio dell’arsenale alla città di Venezia sancito dal governo Monti con un apposito emendamento al cosiddetto decreto legge sulla “spending review”. Un’operazione tutta giocata sulle famose “righe piccole” e sulla speranza che gli interessati se ne accorgano solo quando è troppo tardi per rimediare. Stavolta l’operazione gli è andata buca. La città lo ha saputo ed ha reagito con prontezza. Ma quello che più ha fatto urlare allo scandalo è che lo “scippo” sarebbe manovrato dal Magistrato alle Acque, dal Consorzio Venezia Nuova e dalle imprese a lei legate che vogliono impedire il trasferimento al Comune dell’area dei Bacini e delle Tese dell’Arsenale, già destinate ai costosissimi lavori di manutenzione di quella disgrazia per Venezia e per la sua laguna che è il Mose.

In altre parole, il Consorzio e il Magistrato, braccio operativo del ministero a Venezia, avrebbero fatto pressione sul ministro Passere - più propenso a far andare avanti i lavori del Mose che a favorire Venezia - per inserire questo contestato codicillo che consente al demanio di mantenere il possesso di circa il 70% dell’area dell’Arsenale, lasciando alla città solo un’elemosina.
Il che ha improvvisamente fatto tabula rasa di circa trent’anni di discorsi, sogni e progetti che tra calli e campielli si sono sempre fatti a tutti i livelli - dalle stanze di Ca’ farsetti ai tavoli di osteria tra uno spritz e l’altro - su “cosa faremo quando finalmente torneremo in possesso del nostro Arsenale?”



Si capisce che la faccenda sia andata di traverso ai veneziani che, per l’appunto, hanno accolto in gran numero l’invito lanciato da una ventina di associazioni a partecipare a questa prima giornata di mobilitazione per chiedere che l’arsenale dei veneziani venga dato ai veneziani. La partecipazione all’iniziativa infatti, è stata numerosa e pittoresca con le remiere e le associazioni di vela ad occupare pacificamente il canale con caorline e bragozzi dalle vele coloratissime, sandoli e gondolini da regata e persino una “bissona” da parata sulla quale lo stesso sindaco Giorgio Orsoni ha preso la parola per denunciare questa sorta di furto con destrezza. “La nostra mobilitazione è la prova concreta di quanto la città abbia a cuore una parte importante della sua storia come l’arsenale” ha dichiarato il primo cittadino che ha poi lanciato un appello al presidente della Repubblica perché non firmi il decreto “truccato”.
Una partecipazione, dicevamo, a 360 gradi che ha coinvolto oltre al sindaco anche altri esponenti del consiglio comunale come il capogruppo della lista in Comune, Beppe Caccia, uno dei primi a denunciare la vergogna del “codicillo fraudolento”. Caccia ha chiesto al sindaco Orsoni la convocazione di un consiglio comunale straordinario dedicato all’Arsenale ed inoltre ha depositato una interrogazione urgente in cui chiede che siano avviate le procedure per rimuovere dal suo incarico il presidente del Magistrato alle Acque di Venezia, Ciriaco D'Alessio. Personaggio già noto alle cronache di Tangentopoli e ora protagonista di questo tentativo di strappare alla città di Venezia un pezzo della sua tradizione per consegnarlo alla lobby del Consorzio Venezia Nuova. "Considerato che i gravi precedenti penali, la discutibile gestione dell’intera vicenda legislativa relativa al passaggio del compendio dell’Arsenale e l’inaccettabile atteggiamento tenuto nei confronti delle Istituzioni locali dimostrano una complessiva inadeguatezza di Ciriaco D’Alessio a ricoprire l’importante e delicato incarico di Magistrato alle Acque per Venezia, - spiega l’ambientalista -e inoltre configurano una condizione di vera e propria ’incompatibilità ambientale’ di tale indegno funzionario dello Stato con la nostra città, chiediamo al sindaco di intervenire presso il presidente del Consiglio dei ministri per rimuoverlo dal suo incarico”.
“Questo colpo di mano fatto dal ministro Passera su ordine del Consorzio e con l’arma meno democratiche che esiste, che è quella del decreto, è assolutamente inqualificabile ed inaccettabile - ha concluso Tommaso Cacciari del laboratorio Morion -. Il ministro ci ha letteralmente scippato l’Arsenale per girarlo al Consorzio Venezia Nuova che, ricordiamolo, è un cumulo di imprese private di emeriti cementificatori che dagli anni ’80 hanno il monopolio delle grandi opere di salvaguardia della città, spesso inutile e dannose come il Mose, e per questo hanno dragato tutto i fondi della legge speciale. Adesso vorrebbero mettere le mani anche sull’Arsenale, anche in vista del business della manutenzione del Mose stimata sulla ventina di milioni all’anno. E per far questo hanno bisogno degli spazi dell’Arsenale che stanno cercando di sottrarre alla città”. Il tutto, al di là di qualsiasi percorso partecipativo dei cittadini su scelte che coinvolgono la loro città.
Ancora, come per l’acqua e per le grandi opere, si scrive Arsenale ma si legge democrazia.

Di seguito, intervista con Beppe Caccia




Intervista con Tommaso Cacciari



No Grandi Navi, No Grandi Opere per un futuro di pace e di sostenibilità

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Una volta, questa domenica di settembre, era il giorno della Lega e di Roma ladrona. Arrivavano con le bandiere del sole padano e la “sacra ampolla” d’acqua del Po. Se andava bene, raggiungevano Riva degli Schiavoni senza incidenti per ascoltare il Bossi urlare contro meridionali e migranti. Se andava male, si fermavano per strada a menare qualche disgraziato cameriere con la pelle di un colore, a sentir loro, poco “padano”.
Ma oggi invece, è stata una bellissima domenica di festa. Festa vera. Una Venezia più incantevole del consueto, un cielo terso, un tiepido sole settembrino... anche l’acqua del canale della Giudecca sembrava incredibilmente più azzurra del solito! E poi tanta, tanta gente, tante bandiere e tante barche. Donne, uomini e bambini venuti da tutto il Veneto non per vomitare insulti e minacce secessionistiche, ma per chiedere un futuro senza Tav, senza basi militari, senza quelle grandi navi che ad ogni passaggio inquinano come 14 mila auto. Un futuro di pace e di sostenibilità. Una manifestazione pacifica cui hanno aderito pressoché tutti i comitati contro le grandi opere che minacciano di cementificare quel poco che ancora rimane della nostra Regione. Molti sono arrivati a Venezia in bicicletta sciroppandosi un bel po’ di chilometri, senza contare i tanti ponti e le tanti calli da percorrere con la bici a mano, della città lagunare.

Purtroppo la manifestazione ha suscitato una reazione assolutamente spropositata da parte dell’autorità portuale che, dopo aver ritardato la partenza di tre grandi navi (accampando la scusa di una esercitazione antincendio per non ‘turbare’ l’animo dei crocieristi), ha chiesto l’intervento in forze della polizia che ha fatto cordone per impedire alle barche - almeno un centinaio - di chiudere il canale della Giudecca ai mostri del mare. Addirittura, un elicottero della polizia si è calato più volte quasi a pelo d’acqua nel tentativo di spaventare la gente sui natanti. Tentativo del tutto inutile, che non ha fatto cedere il passo a nessuno.



E’ stata dunque una grande domenica di festa e di lotta che ha lanciato un segnale non ignorabile a chi, come il ministro dell’ambiente Corrado Clini, ha dichiarato che è “impossibile” togliere le grandi navi dalla laguna di Venezia. Impossibile difendere la città più fragile del mondo dagli appetiti delle compagnie di crociera. Impossibile difendere quello che rimane dell’antica laguna dei dogi da una economia tumorale che oramai, dopo aver fagocitato e cacato tutto quello che riusciva a trasformare in merce, sta mercificando come ultima frontiera diritti e ambiente.
Le centinaia di persone che si sono trovate alla Punta della salute hanno dimostrato che non solo non è impossibile difendere l’ambiente ma è anche l’unica strada da percorrere per uscire da una crisi che non è mai stata nostra.

Non è solo un treno!

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Grandi navi e non solo. Progetti di revamping di rifiuti speciali, di tracciati in gronda lagunare contro puntuali promesse di riconversioni industriali che vengono puntualmente disattese. Anche Venezia ha le sue Tav, ha ricordato Beppe Caccia in apertura dell’incontro organizzato dall’associazione In Comune per presentare il libro “Non solo un treno .. la democrazia alla prova della Val di Susa” curato da Marco Revelli e Livio Pepino edito da Edizioni Gruppo Abele. L’iniziativa si è svolta giovedì 13 settembre, nel municipio di Mestre. Presenti in sala i due autori circondati da una ricca cornice di pubblico.
Livio Pepino, già presidente di Magistratura Democratica, ha spiegato così il titolo del libro: “Certa politica liquida la questione della Val di Susa raccontando che alla fin fine si tratta solo di un treno. Mica di un bombardiere! La verità è un’altra. La vicenda della Tav non può essere ridotta alla linea ferroviaria ma investe tutta una serie di temi non ultimi quelli della legalità e della democrazia”. Pepino fa un sunto di come il progetto dell’alta velocità sia nato da un convegno in casa Fiat più di trent’anni or sono e di come sia mutato nel tempo da linea veloce per il trasporto di passeggeri a trasporto merci, mantenendo però la costante della devastazione ambientale. L’ex magistrato affronta la questione Tav dal punto di vista della legalità discorrendo, in particolare sul diritto alla salute. “Un diritto che la Costituzione sancisce come assoluto - spiega -. Al contrario, per fare un esempio, del diritto alla proprietà privata che può essere subordinato al principio dell’interesse generale”. Nel caso del diritto alla salute invece non ci sono ‘se’ o ‘ma’. Va salvaguardato a tutti i costi. La presenza di amianto nelle montagne destinate allo scavo risulta quindi un elemento del quale non si può - anche da un punto di vista legale - non tenere conto. “Bisogna accertare oggi con metodi scientifici la pericolosità dei lavori per non dover affrontare domani un processo di risarcimento delle vittime. Non bastano le assicurazioni dei sostenitori del progetto”.



Un altro principio di legalità messo in discussione dall’opera è quello del governo della maggioranza. “Chi vuole la Tav afferma: ‘in fondo l’opera è stata voluta dai maggiori partiti che sono stati eletti democraticamente. Non ha senso e non è corretto contestare quello che ha deciso la maggioranza del Paese’. Ma chi dice così ha un concetto di democrazia alquanto rustico. La democrazia infatti non si esaurisce in una sorta di tirannia della maggioranza, per citare Toqueville. La maggioranza decide chi governa ma non con che criteri o con che limiti”. Senza scomodare Toqueville, ricordiamo Platone che scriveva di come i probi cittadini ateniesi avessero votato “a grande maggioranza” di conquistare l’isola di Samo e massacrarne tutti gli abitanti. Se questa è la democrazia che vi piace...
“Al contrario - ha concluso Livio Pepino - sulla questione della Tav, proprio la nostra democrazia ha abdicato. Un problema che era davvero di democrazia è stato trasformato in un problema di ordine pubblico e dato il gestione alle forza di polizia che hanno militarizzato il territorio sino a far diventare reato dei comportamenti e delle manifestazioni di protesta che, al di fuori della val di Susa, non sono reato”.
Dal canto suo, Marco Revelli, esamina la questione Tav sotto la lente del politologo. “La vicenda della val di Susa è stata in questi anni il mio buco della serratura attraverso il quale leggere i cambiamenti in atto, dalla crisi dei partiti al baratro in cui è precipitata l’economia”.
L’Alta Velocità, spiega, è un progetto concepito in un’altra epoca e in un altro mondo, quando si faceva un gran parlare di crescita infinita e le merci e la loro circolazione erano dei dogmi che nessuno poteva contestare. “Un modello nichilista e retorico che ha mostrato presto i propri limiti”. Revelli snocciola qualche dato sulle previsioni fatte dai sostenitori della Tav sul traffico di merci che avrebbe dovuto viaggiare sulla linea ferroviaria. Numeri spropositati legati ad una idea infinita di crescita. “Non solo le previsioni non si sono avverate neppure lontanamente, ma il traffico è regredito, sia per la rotaia che per la gomma”.
Una storia che oramai abbiamo imparato a conoscere. Solo due categorie di persone, è stato scritto, sono convinte che un mondo finito possa supportare uno “sviluppo” infinito: i pazzi e gli economisti.
Revelli, con la vivacità di spirito che lo contraddistingue, incanta la platea tracciando audaci parallelismi tra il Marinetti futurista e politici come Fassino “che ripete le stesse retoriche ma senza avere né il genio né l’intelligenza del poeta”. Soprattutto, lo fa quasi cento anni dopo.
Nella sua analisi, Revelli individua alcuni elementi portanti nella questione della Val di Susa. Il primo è la commistione tra le grandi costellazioni di interessi economici e la politica. le stesse costellazioni che in questi anni hanno depredato l’Italia. “Lo stesso Pd, o come si chiamava allora, sino al 2004 era molto cauto sulla Tav. Si trasforma improvvisamente un pasdaran dell’Alta Velocità quando entra in gioco la cooperativa rossa Cmc (la stessa che sta ristrutturando la stazione di Venezia.nrd). Solo a questo punto arriva a chiedere che i cantieri diventino un sito strategico militare”. Nessuno vuole nascondere che i soldi servono alla politica - sospira Revelli - ma sono sempre stati un mezzo per un fine. La Tav ha rovesciato il concetto: la politica è il mezzo e i soldi il fine.
Un altro punto focale della questione, commenta ancora Revelli, è l’informazione. Gli stessi gruppi economici impegnati nell’opera sono proprietari dei maggiori quotidiani italiani. Il che spiega come mai l’informazione segua sempre una sola direzione, quella della Torino Lione. Mai come nella Tav i giornali hanno raccontato tante balle e per tanto tempo. Quali sono i limiti alla manipolazione della realtà? si chiede Revelli, sostenendo che la Val di Susa ha comunque dimostrato di essere impermeabile e di essere sempre riuscita a non farsi condizionare dai media.
“Ma la Tav ha segnato soprattutto la crisi del rapporto tra i cittadini e le istituzioni. E’ una crisi di democrazia e di rappresentanza. La questione che c’è sotto è grossa. I valsusini difendono non solo il loro diritto alla salute ma un sistema relazionale. Difendono il loro territorio e un modo di vivere in questo loro territorio. Se vogliamo vederla così, difendono un bene comune”. Revelli parla del referendum su acqua e nucleare e di come questo abbia stabilito un principio fondamentale: c’è uno spazio pubblico che non può essere invaso da uno spazio politico. Il parlamento può legiferare quello che gli pare, ma i beni comuni non li può toccare.
Revelli conclude parlando del movimento No Tav. Movimento che forse sarebbe più esatto definire una resistenza di popolo trasversale alle generazioni e alle precedenti convinzioni politiche. Ma comunque la si chiami, la resistenza della gente della val di Susa ad una economia e ad una politica in profonda e irreversibile smarrimento, sta tracciando il futuro dell’Italia che vogliamo. “In Val di Susa - conclude Revelli - è in gioco sì la nostra democrazia in crisi, ma anche una sua auspicabile metamorfosi salvifica”.

Cambiare davvero. Camminando sulla strada che ci ha portato ai referendum

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All’incontro organizzato allo Sherwood Festival sul tema “Verso le elezioni politiche del 2013, tra crisi europea e necessità dell’alternativa”, lunedì sera nell’area del parcheggio dello stadio Euganeo di Padova, c’era più gente che davanti al maxi schermo per quella disgraziata finale Spagna Italia. Il che è senza dubbio un bel segnale per la politica, favorito se vogliamo, dalle personalità presenti sul palco. Il sindaco di Napoli, Luigi De Magistris, un pezzo grosso della segreteria nazionale di Syriza, il partito di sinistra che nelle ultime elezioni ha sfiorato il botto totalizzando un ottimo 26,9%, Panos Lamprou, accompagnato dal giornalista di Manifesto nonché corrispondente dal Paese ellenico, Arigiris Panagopulos. E ancora Niki Vendola nella sua doppia veste di segretario di Sel e presidente della Regione Puglia (lotta e governo). A fare gli onori di casa, Vilma Mazza di Ya Basta! e Gianfranco Bettin, assessore alla pace del Comune di Venezia col compito di stimolare il dibattito.


L’obiettivo dell’incontro, come era evidente dallo stesso titolo, era quello di provare, per dirla con le parole di Vilma Mazza, “a costruire una alternativa di sistema che non sia solo una sommatoria elettorale di partiti e partitini ma che sia capace di parlare anche ai movimenti. Consapevoli come siamo che la strada del voto non potrà mai da sola portare ad un reale cambiamento e risolvere la profonda crisi della rappresentanza che stiamo attraversando”. A questo proposito, in allegato a questo
link, potete scaricare il testo integrale dell’appello presentato durante l’incontro e che ha avuto come primi firmatari – ne citiamo solo alcuni – Valter Bonan, Cinzia Bottene, Federico Camporese, Francesco Miazzi e Gianfranco Bettin.Il dibattito si è dipanato lungo un filo che partiva da Genova. Vendola ha rimpianto come, in quell’occasione, il suo partito di Rifondazione abbia perso l’opportunità di sciogliersi dentro il movimento e ha quindi ricordato le tante, troppe, contraddizioni che ha vissuto il movimento operaio nella sua storia otto e novecentesca. Le cose più importanti le ha rimarcate alla fine del suo intervento: “se il Pd rimarrà incastrato sull’asse D’Alema – Casini, noi non ci stiamo neanche alle primarie. Non possiamo essere complici di questa macelleria sociale”. Avremo una sinistra che corre da sola quindi? E’ quanto augura all’Italia anche il greco Panos Lamprou: “Non è che in Grecia la gente sia diventata improvvisamente comunista. E’ che sono diventati improvvisamente poveri. Così tutte le realtà alternative, dai comunisti ai verdi, dai leninisti ai movimenti si sono messi insieme in quella strana cosa che è Syriza”. La conclusione di Lamprou potrebbe essere sintetizzata, ci perdoni l’amico greco, così: “Fatelo anche voi in Italia, altrimenti questo devastante sistema neo liberista vi farà un didietro tale”.
Ma la sinistra italiana, lo sappiamo bene, da questo orecchio ci sente poco. Eppure è per questa strada che si arriva al famoso
otro mundo che, mi dicono gli ottimisti, es siempre posible. Un ottimista è per l’appunto il sindaco di Napoli. Un ottimismo tutto partenopeo. “A Napoli governo senza soldi. E va bene così. Le più grandi disgrazie che affliggono la mia città risalgono appunto ai periodi in cui arrivavano finanziamenti a pioggia”. De Magistris invita (Vendola?) a non aspettare il Pd e a smettere di correre dietro ad un partito che sta portando avanti le politiche berlusconiane senza Berlusconi oggi in maniera più spudorata di quando era alla, chiamiamola così, opposizione. L’ex magistrato invita a difendere i beni comuni e a dimostrare che il pubblico, se ben gestito, può essere efficace e conveniente. Attenzione quindi al tentativo in corso del Governo che, alla faccia dei referendum, mira a privatizzare e a svendere tutto quello che resta del pubblico continuando quella terrificante operazione di mercificazione avviata da Berlusconi. Non parliamo solo dell’acqua o del ciclo dei rifiuti ma anche di cose non esattamente di poco conto come la Giustizia, i diritti e la politica in generale. Proprio i referendum sono stati il focus dell’intervento di Gianfranco Bettin. L’unico, va rimarcato, che sul palco abbia pronunciato la parola “ambiente” ricordando come pochi giorni prima sia fallito il vertice di Rio nell’indifferenza dei media. “Eppure, la cosa più importante che sta accadendo alla Terra negli ultimi diecimila anni sono proprio i cambiamenti climatici”.
L’ambientalista ha sottolineato come la stagione dei referendum sia stata la più bella vissuta dall’Italia negli ultimi anni “ciò nonostante non siamo riusciti a capitalizzare questa vittoria e oggi stiamo combattendo una battaglia di retroguardia per difendere un risultato referendario che dovrebbe essere acquisito, dagli attacchi continui del governo Monti. Siamo arrivati in finale ma non riusciamo a vincere l’ultima partita. Come assessore mi trovo a sprecare energie e lavoro per superare ostacoli messi appositamente per impedire una soluzione alternativa, semplice ed efficace dei problemi. Eppure proprio dai referendum in difesa dei beni comuni nasce una alternativa, semplice ed efficace gestione di questa crisi. La famosa strada che porta all’
otro mundo che tutti auspichiamo, l’abbiamo già imboccata con la vittoria referendaria. Tocca a noi percorrerla”.
Il video integrale degli interventi è visibile nella pagina del sito Global Project al seguente
link.

Catena antirazzista a palazzo Ducale

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Una lunga catena umana ha abbracciato questa mattina palazzo Ducale. Una lunga catena antirazzista composta da studenti delle scuole superiori, cittadini migranti e cittadini indigeni. Al centro, in un improvvisato palcoscenico costruito sopra un catasto di tavole per l’acqua, il poeta ed attore Giancarlo Ratti, celebre voce della trasmissione del Ruggito del Coniglio, alternava poesie e battute, invitando i passanti - turisti, scolaresche, veneziani, comitive di giapponesi e gondolieri - ad unirsi alla catena umana. C’è riuscito con tutti, tranne che con i gondolieri. Ma è stata comunque una bella mattinata primaverile di festa, allietata dalle percussioni di un gruppo di migranti africani costituitosi per l’occasione. Più che le parole, parlano le fotografie che alleghiamo alla pagina.


La catena umana contro il razzismo è solo uno dei tanti appuntamenti che l’Osservatorio contro le Discriminazioni e l’assessorato alla Pace del Comune di Venezia, hanno organizzato nell’ambito dell’ottava edizione della Settimana Antirazzista che si sta svolgendo in contemporanea in tante piazze d’Italia.
Ricordiamo, tra le numerose iniziative, la mostra “Io Tu Lui Lei” alla fondazione Bevilacqua La Masa, Dorsoduro 2865, ingresso libero tutti i giorni dalle 10,30 alle 17,30. Domenica 25 ci attende la marcia non competitiva Corri in via Piave. Tre chilometri e 200 metri pronti per quelli che hanno i polmoni per farseli. Giovedì 29, alle ore 20, Cena senza confini al Rivolta, via Fratelli Bandiera, con gli studenti della scuola Liberalaparola. Sabato 31 marzo e domenica 1 aprile, a partire dalle ore 15,30, si svolgerà nei campi sportivi di via Bissuola, il torneo Un calcio al razzismo.
Particolarmente significativa sarà l’appuntamento in programma sabato 24, alle ore 10, a Santa Maria delle Grazie, Mestre, l’incontro Parole che discriminano, in cui il gruppo stampa dell’Osservatorio contro le discriminazioni presenterà i risultati del monitoraggio sui giornali locali e sull’uso di parole quanto meno improprie come “clandestino”, “nomade” . Parole che alzano muri, che non descrivono la realtà dei fatti e che, alla fin fine, sono solo indice di cattivo giornalismo. All’incontro, parteciperanno il presidente dell’Ordine dei Giornalisti del Veneto, Gianluca Amadori, il direttore del Corriere del Veneto, Alessandro Russello, il giornalista del Gazzettino Maurizio Dianese.

Acqua pubblica: Venezia obbedisce

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Vinto il referendum per la ripubblicizzazione dell’acqua, adesso bisogna rispettare la volontà dei cittadini e cancellare dalle bollette la percentuale del 7% che la norma abrogata indicava con la voce “remunerazione del capitale”. Un passo indispensabile per completare quel processo avviato dalla campagna Acqua Bene Comune, ribadire che sull’acqua non si può speculare e avviare finalmente quella gestione pubblica, trasparente e partecipata del servizio idrico cittadino che è stato il vero obiettivo del referendum.
Eppure, otto mesi dopo l’apertura delle urne e la schiacciante vittoria dei Sì, tutti i gestori dei servizi idrici italiani, non ultimo l’Aato veneziano, hanno scelto di ignorare l’esito del referendum, trincerandosi dietro una politica volta a rifiutare ogni cambiamento e ogni confronto. Una politica che umilia non soltanto quei 27 milioni e passa di cittadini che il 12 e il 13 giugno si sono recati ai seggi, ma che mortifica la stessa parola “democrazia”.



Per questo a livello nazionale è stata lanciata una campagna definita di Obbedienza Civile. Una campagna che quest’oggi, venerdì 16 marzo, è arrivata anche in laguna con un presidio organizzato dai movimenti per l’acqua proprio davanti alla sede di Veritas, la multiutility che gestisce il ciclo integrato dell’acqua di Venezia, a due passi da piazzale Roma.
“Il percorso che abbiamo cominciato come movimenti per l’acqua pubblica - ha spiegato Francesco Penzo, portavoce del comitato Abc, acqua bene comune - non si è concluso con il referendum. Uno dei due quesiti abrogati era quello riguardante la gestione dell’acqua che per noi è incompatibile con la produzione di profitti, tanto meno se questi profitti vanno in mano ai privati. Eppure, questo principio affermato dal referendum in Italia non è ancora stato applicato. Noi chiediamo che il nostro voto sia rispettato e che dalle nostre bollette venga tolta la voce di remunerazione del capitale investito fissata per il 7 per cento. Oggi siamo di fronte ad una illegittimità. Perché se il referendum ha abrogato una norma, questa deve essere abrogata senza se e senza ma”.

“27 milioni di voti hanno sancito il principio che sull’acqua non si possono ricavare profitti- ha ribadito Tommaso Cacciari della casa dei beni comuni Laboratorio Morion -. Abbiamo organizzato questo presidio per dire a tutti che vogliamo obbedire al referendum e che siamo pronti a farlo anche autoriducendoci la bolletta. Se l’esito referendario non lo vogliono rispettare dall’alto, lo rispetteremo noi dal basso. Presto organizzeremo punti informativi per spiegare ai cittadini, anche dal punto di vista tecnico, come autoridursi la bolletta e rispettare l’esito democratico del referendum”.

Gigi Lazzaro, presidente di Legambiente, invita i cittadini ad aderire alla campagna di obbedienza civile e autoriduzione “perlomeno sino a che le aziende non prenderanno degli impegni concreti e spiegheranno ai cittadini dove finisce questa percentuale che, come ha stabilito il referendum, non può andare a creare profitto privato”.

Da sottolineare, la presenza al presidio dello stesso amministratore delegato di Veritas, Andrea Razzini, e del consigliere Alberto Ferro, venuti ad incontrare gli attivisti, sposandone, per buona parte, le ragioni, e spiegando che, “anche per Veritas, l’esito del referendum va rispettato. Le nostre tariffe sono probabilmente le meno costose d’Italia proprio perché noi siamo e ci consideriamo una azienda pubblica che non trae profitti dall’acqua che gestisce. Noi non abbiamo paura dell’esito di un referendum che abbiamo sostenuto sin dall’inizio. Devo osservare però che trovo troppo semplicistico risolvere tutto con una autoriduzione del 7 per cento della bolletta. Comunque... se questa è una strategia di lotta... fatti vostri. Più importante, a nostro avviso, sarebbe rivisitare la costruzione del metodo tariffario alla luce dei risultati del referendum, E va detto che è quanto meno singolare che nessun legislatore lo abbia fatto a tanti mesi di distanza”. “Un’ultima osservazione - conclude Razzini, dopo aver dato agli attivisti dei movimenti ampia disponibilità ad un confronto -; nel cuore di chi ha votato, il referendum avrebbe scritto la parola fine al processo di privatizzazione. Ma questo non è vero purtroppo. Siccome dopo il referendum nessuno si è occupato di riscrivere la legislazione che regge il settore idrico italiano, non è vero che le gestioni non siano più privatizzabili. Al contrario, quando scadono le concessioni, la legislazione che entra in vigore sarà quella comunitaria, che per l’acqua è ancora più liberale di quella sull’immondizia. Inoltre, siccome il sistema della banche è quello che è, dopo il referendum, proprio in virtù di questa oscurità normativa, questi non fanno più credito alle aziende pubbliche come la nostra, mettendoci in una situazione piuttosto problematica. E quindi pensateci bene prima di ridurvi la bolletta”. E’ il caso di dire che le banche hanno chiuso i rubinetti anche a quelli dell’acqua e li hanno lasciati in bolletta!

“Sappiamo bene che quello che va fatto è di intervenire a livello di legislazione nazionale e di gestione degli Aato, più che su aziende come Veritas -ha concluso il consigliere della lista In Comune Beppe Caccia - . La campagna di obbedienza è stata pensata proprio per rendere visibili questi problemi. I referendum hanno dimostrato che tra i cittadini c’è una grande domanda di partecipazione, specialmente su un tema di interesse comune come l’acqua. Questo, gli amministratori non lo possono risolvere solo facendo bene i propri compiti ma aprendosi ad una gestione partecipata anche su temi che sono dannatamente complicati come la costruzione di un sistema tariffario. Siamo di fronte ad un problema politico che è quello di come evitare che, incuranti dell’esito referendario, i processi di privatizzazione vedano avanti, ma siamo anche di fronte ad una entusiasmante sfida che è quella di sviluppare modelli di gestione integrati e originali, ragionando sulle specifiche problematiche territoriali. Modelli che devono essere pubblici, partecipati e soprattutto trasparenti. Come l’acqua, appunto”.

L’eco rivoluzione della luce

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A Venezia arriva la rivoluzione della luce. Anzi, l’eco rivoluzione della luce perché, come ha ricordato l’assessore all’Ambiente, Gianfranco Bettin, “queste innovazioni permetteranno al nostro Comune di rientrare con largo anticipo nei parametri imposti dal Protocollo di Kyoto”. Sarà davvero un cambiamento radicale per la Città dei Dogi e la sua laguna, paragonabile soltanto a quel lontano inverno del 1922 quando l’allora amministrazione decise di sostituire il gas con l’elettricità per illuminare la città. Le vecchie e inquinanti lampade ai vapori di mercurio dei lampioni che illuminano calli, canali e fondamente, oltre a strade e piazze della vasta città di terraferma tra Mestre e Marghera (e lo stesso sistema di illuminazione del grande parco di san Giuliano), infatti, stanno per avviarsi all’attesa pensione per essere sostituite dalle nuove e performanti lampadine a led. Ricordiamo che la tecnologia a led consente un risparmio energetico valutabile tra il 50 e l’80% rispetto al mercurio.


I costi di manutenzione di questi impianti inoltre, anche mettere in conto la maggior durate delle nuove lampadine, sono valutati nell’ordine di un decimo rispetto agli impianti attualmente in uso. Il tutto senza che ne risulti minimamente compromessa la qualità dell’illuminazione. Anzi, luce bianca e fredda tipica dei led ha la proprietà di garantire un’illuminazione efficace e sicura per gli utenti della strada e la sua capacità di emettere un fascio luminoso concentrato consente di limitare al minimo tutti i fenomeni di inquinamento luminoso. Torneremo in altre parole, a riveder le stelle senza rischio di precipitare in un buio canale.
E questa è solo una delle tante eco rivoluzioni che presto ci faranno vedere Venezia sotto una luce completamente nuove. Il panorama completo delle luminose innovazioni è stato presentato questa mattina nella cornice del municipio di Mestre dagli assessori Gianfranco Bettin per l’Ambiente e Alessandro Maggioni per i Lavori Pubblici. Presenti anche i vertici delle società che si sono aggiudicate il nuovo appalto dalle durata di 9 anni per la gestione e il rinnovo della pubblica amministrazione: Citelum sa, Gemmo spa e consorzio Cooperative Costruzioni. I termini della gara d’appalto, hanno spiegato i due amministratori, contenevano espressamente la richiesta di migliorare entro il primo anno di gestione (che sarà per l’appunto questo 2012) l’intero sistema di illuminazione pubblica nell’ottica di migliorare il servizio, risparmiare energia e mettere in sicurezza aree ai margini. Tutti criteri rispettati dalle ditte vincitrici. “Per Venezia, questa rivoluzione dell’illuminazione rappresenta un salto di sistema radicale - ha commentato l’assessore all’Ambiente (e ambientalista) Gianfranco Bettin -. L’amministrazione in questi ultimi anni ha già operato dei passi in avanti nel settore del risparmio energetico ma con questo appalto facciamo un vero e proprio salto nel futuro, passando da una situazione che per molti versi era di arretratezza ad una di eccellenza, allineandoci su questo tema alle più avanzate città europee”. I dati parlano da soli: i led consentiranno un risparmio di 6 milioni e mezzo di kilowatt ora l’anno, che si traducono in 4 milioni e mezzo di chili di Co2 in meno nell’atmosfera per un totale di risparmio di mille e 200 tonnellate equivalenti di petrolio. Il tutto, come abbiamo detto, senza cedere nulla sul fronte della qualità dell’illuminazione ma conquistando terreno su quello del contrasto all’inquinamento luminoso e del risparmio energetico. Va tenuto presente inoltre che una parte sempre maggiore dell’energia che sarà adoperata verrà da fonti non inquinanti e rinnovabili. Un esempio sono le tradizionali “bricole” che in laguna segnano il corso dei canali navigabili e che presto non solo saranno illuminate dai led ma che saranno alimentate ciascuna da un piccolo impianto fotovoltaico. Una speciale cellula inoltre, sempre alimentata dalla luce del sole, segnalerà gli eventuali “fuori asse” dei pali - il momento in cui la “bricola” sta per cadere consumata dell’eterno andare delle maree - permettendo la sua pronta sostituzione e prevenendo ogni rischio ai naviganti.
Insomma, una vera e propria rivoluzione verde quella che sta per illuminare Venezia e la sua Terraferma.
Ma questi nuovi lampioni con i led non saranno troppo tecnologici per una Venezia che viene tutt’ora indicata nelle guide come la città più romantica del mondo? In altre parole, gli innamorati potranno ancora godere dei chiari di luna lagunari? “Nessun dubbio al riguardo - conclude Bettin -. Anzi, l’illuminazione a led si presta ancora di più per sottolineare i chiaroscuri tipici dei nostri canali e per aiutarci a riconquistare quelle dimensioni, come quella del buio, che stiamo rischiando di dimenticare”.

Il parco della laguna sbarca a Burano

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Solo fino a qualche anno, azzardarsi a ventilare di un “parco della laguna”, in quest’isola dalle case colorate, significava scatenare una rissa in stile far west. I buranelli, si sa, è gente che va per le spicce e che non te le manda a dire per interposta persona. Un po’ come parlare di un certo gatto al quale, vai a capire il perché, hanno innalzato un monumento dall’altra parte della laguna di Venezia. Uno di quegli argomenti insomma, di cui puoi parlare a casa tua ma non a casa loro, se tieni ai denti e al quieto vivere. Altri assessori, altri parchi, in quest’isola dipinta come un arcobaleno non sono nemmeno riusciti a sbarcare. Gianfranco Bettin invece ce l’ha fatta. Non soltanto è riuscito a parlare del parco a due passi da piazza Galluppi, ma si è preso pure i suoi applausi finali, dopo aver sostenuto un lungo dibattito dentro una ex chiesa delle Cappuccine strapiena di gente. Un dibattito, e non poteva essere altrimenti, acceso e... colorato proprio come le case di Burano.


Un incontro, questo svoltosi nel pomeriggio di giovedì primo marzo, cui l’assessore all’Ambiente del Comune di Venezia arriva dopo un lungo e, immaginiamo, faticoso lavoro di cucitura con le tante realtà che, direttamente o indirettamente, avranno a che fare col futuro parco. “Il percorso per la costruzione del parco della laguna nord - dirà all’assemblea l’ambientalista - non può che essere un percorso partecipato. Non vogliamo lasciare ai margini nessuno se non coloro che vedono la laguna solo come un oggetto di speculazione”.
Un lavoro, dicevamo, lungo e paziente che alla fine è sbocciato come un fiore in questo anticipo di primavera. Infatti,, E’ stata la stessa cooperativa San Marco che riunisce i pescatori di Burano - e già questa sarebbe una notizia da prima pagina - ad invitare Bettin ad un dibattito in isola per avere chiarimenti sulle varie ipotesi che ruotano attorno al parco.
“Sino a ieri, l’idea di un parco non ci è mai piaciuta troppo - ha ammesso il presidente della cooperativa, Luigi Vidal -. Temevamo pesanti ripercussioni e ulteriori vincoli sulla nostra attività lavorativa. Adesso cominciamo a vedere le cose in maniera differente grazie alle ampie rassicurazioni che l’assessore Bettin ci ha dato. E’ sotto gli occhi di tutti che la nostra isola vive un periodo di crisi. Lo spopolamento, innanzitutto. Quando ero un ragazzino, qui vivevano 6 mila e 500 persone. Oggi siamo in meno di 3 mila. Anche la pesca è in crisi, pur se continuiamo a mantenere un fatturato di 5 milioni di euro all’anno. In questo contesto, se il parco potrà essere non un ostacolo ma un vantaggio... allora ben venga”.
“Il problema sta tutto su quale parco vogliamo costruire - ha argomentato Bettin -. Il 2 novembre 2010, con il Piano Regolatore Generale, La Regione Veneto ha approvato solo il perimetro del parco ma i contenuti dobbiamo deciderli assieme. Dentro il termine ‘parco’ oggi ci sono solo attese, speranze e anche paure. E’ evidente che il parco della laguna nord non può essere un parco tradizionale come, ad esempio, quello realizzato in un’area selvaggia e scarsamente abitata come le Dolomiti. Qui il parco deve essere uno strumento adatto a valorizzare quello che già c’è e che corre il rischio di scomparire. Non mi riferisco solo al paesaggio o all’ecosistema ma anche alla cultura, alle tradizioni della gente che da secoli ha vissuto la in questo ambiente e che qui vuole continuare a vivere. Ho sempre pensato al parco come un sistema capace di fornire opportunità e non nuovi problemi. Oggi la laguna vive una situazione paradossale: di vincoli e di strumenti di tutela ce ne sono a bizzeffe, vuoi di matrice comunitaria o vuoi regionale o statale. Strumenti di tutela che, alla fin fine, sono spesso raggirati e che, non soltanto finiscono per non tutelare nulla, ma che non offrono nessuna reale opportunità. Il parco serve proprio a sbloccare questa situazione. Non mi interessa costituire un nuovo marchio per portare lance colme di turisti e ricreare anche qui quel meccanismo perverso che ha snaturato tanti quartieri di Venezia. Il parco deve essere uno strumento di crescita e di difesa della gente che qui abita e che è parte integrante della sua laguna”.
Se i cacciatori o i pescatori, spiega l’assessore, temono per le loro attività, si mettano il cuore in pace. Nel futuro parco della laguna nord, caccia e pesca saranno regolati, domani come oggi, dagli appositi piani, faunistici e di gestione delle risorse alieutiche che, nel bene o nel male, la Regione Veneto vara ogni anno.
“La laguna nord è l’unica laguna ancora rimasta quasi intatta - continua Gianfranco Bettin -. Il canale dei petroli e altre grandi opere hanno oramai trasformato le barene a sud di Venezia in un braccio di mare aperto. Tutelare e sostenere quest’area nel suo complesso, intendo non solo preservarne la flora o la fauna, ma anche le antiche comunità che vivono al suo interno, è un’operazione che non può più essere rimandata”. “Il parco deve darci l’opportunità di consentirci interventi eccezionali in un contesto che è eccezionale ma che negli ultimi cinquant'anni, di eccezionale ha avuto solo una serie di leggi di tutela ambientale non sempre rispettate - sostiene l’assessore -. Dobbiamo utilizzare uno strumento di fortissimo impatto per spostare in questo territorio risorse che ci consentano di rigenerare la laguna e la civiltà lagunare. Ecco perché affermo che i primi custodi e i primi gestori del futuro parco dovrà essere la gente che dentro il parco ci vive e che, proprio grazie a questo nuovo strumento, potrà veicolare bisogni e ragioni, e farle valere anche nei confronti di una autorità regionale o statale non sempre disponibile ad ascoltare la loro voce”.
Il parco della laguna nord, concludendo, non sarà un museo ma uno strumento per difendere quello straordinario ed unico patrimonio di ambienti, di arte, di cultura, di conoscenze, di storie, di vita che è la laguna di Venezia. Quel che ne rimane.

Un Pat(to) con la città

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Parafrasando Leibnitz, potremmo scrivere che quello che si va a votare lunedì prossimo in consiglio comunale "è il migliore dei Pat possibili". Il che non significa che, in linea teorica perlomeno, non si poteva fare di meglio ma che tra tutti i Pat che poteva produrre l'attuale maggioranza che governa la città, questo, ripulito dal maxi emendamento che ha visto tra i suoi promotori i consiglieri della lista In Comune, Camilla Seibezzi e Beppe Caccia, è senza dubbio il migliore. Un Pat quindi che "andremo a votare convinti - ha commentato Caccia - pure se sappiamo bene che molti nodi rimangono irrisolti e che molte scelte fondamentali sono state demandate alla stesura dei piani di intervento. A questo proposito, invitiamo tutte le associazioni e gli ambientalisti che ci hanno sostenuto sino ad oggi con proposte, consigli e critiche, a non abbassare la guardia. Sull'assetto definitivo del Quadrante la battaglia è ancora aperta e dovremmo mobilitarci ancora per difendere il nostro territorio".


Ieri mattina, mercoledì 25 gennaio, nella sala consigliare di Ca' Farsetti, Camilla Seibezzi e Beppe Caccia hanno incontrato la stampa locale per fare il punto sul Piano di Assetto Territoriale la cui votazione è slittata a lunedì prossimo proprio per dare la possibilità alla maggioranza di varare il cosiddetto "maxi emendamento" (in allegato in fondo alla pagina) che recepisce molte delle osservazioni critiche avanzate dalla lista ambientalista. Proprio la lista e l'associazione In Comune hanno avuto una parte da protagonisti nella stesura di questo maxi emendamento finale, risultato di sei mesi di attento lavoro sia in fase istituzionale, con i due consiglieri eletti e l'assessore all'Ambiente Gianfranco Bettin, che in fase di incontri pubblici e di confronto, non di rado anche violentemente polemico, con cittadini e associazioni.
"Quello che ne è risultato alla fine - ha dichiarato Caccia - è uno strumento di transizione tra la città novecentesca che non c'è più e la città del duemila che non c'è ancora. Certo, nel documento non è ancora tratteggiata con chiarezza quella città che noi ambientalisti vorremmo, una città sostenibile ed orientata verso la green economy, ma il Pat rimane comunque uno strumento che ci aiuterà a governare questo passaggio riportando, e questo è il filo condutture delle scelte prese dal maxi emendamento di giunta, il governo del territorio all'interno del consiglio comunale democraticamente eletto, sottraendolo ai diktat di commissari esterni". Il riferimento, neanche tanto velato, è all'autorità aeroportuale.
"L'emendamento - continua Caccia - recepisce le nostre proposte sull'alta velocità dicendo che questa non deve essere intesa come una nuova e devastante infrastruttura fisica ma come una serie di scelte gestionali volte a migliorare il servizio partendo in primis dall'auspicato sistema ferroviario metropolitano regionale su cui la Regione è in ritardo da vent'anni anni. Sulla Tav l'emendamento ribatte che esiste una valutazione di impatto ambientale negativa e che questa rimane la posizione del Comune di Venezia. Siamo convinti che si possono spostare tante merci e tante persone tra Venezia e Trieste usando le linee esistenti. Senza bisogno di altre infrastrutture ma potenziando l'esistente. La tanto discussa quanto inutile stazione di Tessera è cancellata dalla mappa. E con la stazione, il maxi emendamento cancella anche il tracciato di gronda, ribadendo la necessità che l'aeroporto sia raggiungibile velocemente da Mestre grazie al sistema ferroviario metropolitano regionale. Sulla cosiddetta Terza Pista, il Pat afferma che il Marco Polo non ha un carico di viaggiatori tale da giustificare un investimento che comporterebbe per di più un surplus di inquinamento su un'area delicata che ha già raggiunto la soglia limite". Cosa dice il Pat a proposito di Tessera City?
"Il maxi emendamento è il funerale di Tessera City. Un pregio di questo Pat è la stretta definizione funzionale dello sviluppo del territorio e di aver superato la genericità di definizione del Quadrante che lasciava aperta la strada al rischio concreto di una colata di cemento. Oggi dall'emendamento esce una cosa ben diversa: una città dello sport legata a funzionalità sportive e al tempo libero con secondarie funzioni commerciali e ricettive ma solo se legate alle prime. Con questo emendamento, insomma, la giunta compie una scelta ben precisa affermando che quell'area non sarà edificata per 105 ettari per costruire una improbabile e speculativa Tessera City ma per una città dello sport la cui superficie occupabile è di 52,5 ettari. Non di più". Un altro punto focale, spiegano i due consiglieri, è il passaggio sulla proprietà delle aree. Affermare che la città dello sport deve essere fatta su aree prevalentemente comunali, significa riconsegnare il governo del territorio al Comune e sottrarlo ai ricatti e alle speculazioni. "Rimangono ancora delle perplessità - non si nasconde Caccia -. Se è vero che abbiamo messo una argine ad ipotesi di carattere speculativo, è anche vero che le quantità edificabili ci paiono ancora eccessive e, come dicevo all'inizio, la localizzazione delle aree è ancora tutta da decidere. La bretella, a nostro parere, dovrebbe essere il limite estremo dell'urbanizzazione. E su questo punto si prepariamo ad affrontare una dura battaglia. Ma l'importante è che Tessera City, il gemello mostruoso di veneto City, sia scomparsa dai nostri incubi così come il tracciato in gronda della Tav".
"Il Pat, come risulta dopo la ripulitura operata dal maxi emendamento - ha spiegato Camilla Seibezzi - presenta dei punti di forza che sono il frutto di un attento ascolto della città e delle associazioni. Non mi riferisco solo al problema delle Grandi Navi sulle quali il Comune, per quanto limitato nelle sue competenze, ha predisposto uno studio per valutarne l'impatto ambientale. Il Pat apre un discorso sullo sviluppo sostenibile e riporta il discorso sui flussi turistici definendo standard di servizi distinti tra i residenti e i turisti. Ritengo anche molto importante il capitolo che apre i bandi pubblici al terzo settore, mi riferisco alle cooperative edilizie no profit. Un modo per garantire trasparenza e aprire ad una residenzialità estesa. In poche parole, questo Pat sul quale avevamo nutrito tante preoccupazioni, alla fine, grazie al lavoro nostro, dei colleghi di maggioranza e, soprattutto, delle associazioni cittadine, si è trasformato in uno strumento capace di dare un governo alla città orientato anche verso la sostenibilità e la green economy. Un primo passo di una lunga strada che ora dobbiamo percorrere sino in fondo".

Giù le mani dalla città

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Ambientalisti, attivisti dei movimenti, sindacalisti. Tutti insieme per un Pat che sia uno strumento capace di difendere e di costruire la città che vogliamo. Un Pat che sia uno scudo e non una porta aperta per le devastanti speculazioni legate alla Tav, all’ampliamento dell’aeroporto e a Tessera City. Srotolando due enormi striscioni con al scritta “Marchi, giù e mani dalla città”, questa mattina, venerdì 13 gennaio, una trentina di giovani ha simbolicamente occupato per un paio di ore circa la sala partenze dell’aeroporto Marci Polo. L’iniziativa che si è svolta pacificamente e senza causare intoppi ai passeggeri in procinto di imbarcarsi, è stata organizzata non soltanto da varie associazioni dell’ambientalismo lagunare come Legambiente, Vas e assemblea contro il Rischio chimico, o da centri sociali come il Rivolta o il laboratorio Morion, ma anche dalla Filt Cgil.


Tra gli manifestanti, anche il segretario provinciale Umberto Tronchin.Significativo che un sindacato che si occupata di tutelare i lavoratori dei trasporti, si trovi a condividere in toto, sul tema del piano di Assetto territoriale che sta per andare in discussione in consiglio comunale, le posizioni degli ambientalisti e dei movimenti sociali. Un segno forte di come una certa politica di “sviluppo” indiscriminato a spese del territorio, dei beni comuni e della stessa democrazia sia oramai arrivata ad un punto di rottura e si sia rivelata socialmente e ambientalmente insostenibile. Tra i partecipanti all’iniziativa al Marco Polo anche il consigliere della lista In Comune Beppe Caccia. “Vorremmo che qualcuno ci spiegasse che senso ha portare una stazione della Tav a Tessera - ha dichiarato l’ambientalista -. Per degradare a stazioni periferiche Mestre e Venezia? E per quale motivo un passeggero che sbarca al Marco Polo, presumibilmente per visitare Venezia e la sua laguna considerando che è questo lo scopo della gran parte dei viaggiatori che transita per questa sala, dovrebbe poi prendere il treno e non il bus o il motoscafo? Per andare dove? La verità è che il signor Enrico Marchi, presidente della Save, sa bene che nei prossimi vent’anni non si farà proprio niente di tutto ciò che lui propone. Non si farà la famosa terza pista dell’aeroporto, non si farà la Tav, né altre grandi opere tanto inutili quanto assurde. Tutta questo fantasticare serve solo a giustificare una lunga serie di infrastrutture speculative, di centri commerciali, di grandi alberghi legati a Tessera City che sono il vero pericolo per il nostro territorio”. Un disegno che Caccia non esita a definire megalomane. Un disegno che non ha nulla a che cedere con i problemi di mobilità dello scalo veneziano e che non si rapporta con la crisi che stiamo attraversando. Crisi peraltro legata proprio a questo idea di “sviluppo” economico. Un disegno che risucchierebbe centinaia di milioni di euro di risorse pubbliche a solo vantaggio di interessi finanziari privati per lasciare al pubblico solo una colata di cemento sopra quel che rimane delle ultime aree verdi della gronda lagunare. Una cementificazione che, tra le altre cose, aumenterebbe il rischio di allagamenti nell’entroterra veneziano. “Non dimentichiamoci però - conclude il consigliere della lista In Comune che ha annunciato una serie di emendamenti al Pat di prossima discussione - che non di sola difesa del territorio stiamo parlando. Qui è in gioco la nostra democrazia. Marchi incarna i poteri forti degli industriali e della Regione Veneto. Poteri con i quali ha bypassato il Consiglio Comunale di Venezia. Le infrastrutture che ha pomposamente presentato nel suo studio di fattibilità per il nodo intermodale di Tessera non sono mai state discusse in nessuna sede istituzionale. Nessuno le ha mai votate e nessuno ha mai potuto discuterle. Nessuno tantomeno le ha mai approvate. Questa non è democrazia. La gestione del territorio deve essere riportata nelle mani di chi lo abita e dei suoi diretti rappresentanti. Soprattutto va strappato dagli artigli di commissari speciali o di presidenti di carrozzoni che nessuno ha mai eletto e che fanno solo gli interessi degli speculatori”.
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