Viaggio in Islanda lungo la Hringvegur
estate 2015


1 - 1 agosto
Garður - Scendiamo all’aeroporto internazionale di Keflavik che sono le nove di sera inoltrate. La prima cosa che ci colpisce è la luce, avvolgente e crepuscolare. Come se fosse filtrata da un diffusore di quelli che adoperano i fotografi in sala pose. Il sole, con i suoi tenui raggi, è ancora alto nel cielo e non tramonterà prima di mezzanotte per sorgere dopo nemmeno un’ora. Anche le ombre sono leggere ed evanescenti. Innaturali ai nostri occhi. Abbiamo prenotato un B&B a Garður, ad appena 14 minuti dall’aeroporto. Nessuno ci ha chiesto documenti. Neppure alla dogana. Anche per noleggiare la macchina, una piccola Volkswagen Up bianca, sono bastate due firme e uno striscio sulla carta di credito. Così per la Sim del mio hotspot. La compri in un qualsiasi supermercato senza bisogno di contratti. Che differenza con l’Italia!
Serata trascorsa in cerca di qualcosa da mangiare. Ma a Garður non c’è niente. Nella vicina Keflavik - che chiamano la “città dei fast food”, in virtù della pesante eredità lasciata dalla base Usa - i pochi locali erano tutti chiusi. E non erano che le 10 di una sera illuminata a giorno. Grazie a dio, recuperiamo qualcosa nell’unico Take Away ancora aperto.

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Reykholt - E’ la nostra prima mattina islandese e siamo ansiosi di cominciare il nostro viaggio. Prima tappa al vicino faro che guarda ad occidente, quindi seguiamo la costa e ci fermiamo a a Grindavík per il pranzo. Facciamo la conoscenza con le ottime zuppe islandesi di funghi e di mare. Il padrone non perde l’occasione di farci vedere un filmato sul suo cellulare con un tipo che cantava una canzone italiana nel suo locale. Gente socievole.
Continuiamo per la costa, seguendo la Hringvegur, la statale 1 che perimetra l’isola e che è l’obiettivo del nostro viaggio. Attraversiamo la spaccatura tra la placca euroasiatica e la placca americana che spacca in due l’Islanda, quindi visitiamo le due città gemelle di Eyrarbakki e di Stokkseyri prima di deviare a nord, per seguire il cosiddetto Circolo d’oro, ad est di Reykjavík. La strada ci porta sopra le spettacolari cascate di Gullfoss e ai grandi geyser di Geysir, dove si trova la bocca eruttante più precisa del mondo, lo Strokkur, che zampilla acqua bollente ogni sei minuti. Ci fermiamo per la notte a Reykholt, in una guesthouse. Domani abbiamo un appuntamento a Reykjavík.

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Reykjavík - Skálholt è la “città santa” d’Islanda. Per mezzo millennio è stata la sede del vescovo cattolico, prima che tagliassero la testa all’ultimo prelato ed a suo figlio durante la Riforma. Vi troviamo una chiesetta modesta, “ripulita” dal protestantesimo, cha spazia su una ampia vallata. Seguiamo una strada che ci porta ad attraversare una vasta area rurale, tra campi coltivati a frumento e grandi serre. A Laugarás visitiamo una fattoria didattiche che testimonia l’attenzione che gli islandesi nutrono per i bambini e la loro educazione. Quindi arriviamo ad una delle attrazioni principali dell’Isola: Laugarvatn, il lago bollente. Sulle sue sponde sorge l’omonima cittadina: 200 anime e tante, tante Spa.
Rotta alla pianura di Þingvellir, luogo-simbolo d’Islanda ed autentica patria della democrazia mondiale. Su questa piana, sorvegliata da un massiccio montuoso che le fa da imperiosa cornice sorse nel 930 d.C. l’Alþing, il primo libero parlamento d’Europa. Paesaggio da togliere il respiro sotto una conca che fa da anfiteatro naturale.
In serata, raggiungiamo Reykjavík e alloggiamo nella Guesthouse della Salvation Army, ad una tiro di sasso dall’attuale sede dell’Alþing.

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Hvolsvöllur - Il giorno della disavventura che puntualmente giunge in ogni viaggio che si rispetti. Ho dimenticato fuori della Volkswagen la valigia rossa con tutti i cambi! In più, ho esaurito il credito sulla scheda sim che una gentile signora ceca mi aveva regalato all’aeroporto, così che non riuscivo a connettermi con le mappe. La ricarica si è rivelata più complicata del previsto, sino a che non ho scoperto che il trattino della pass non va inserito nell’sms col codice! Alla fine tutto si risolve in gloria e troviamo la valigia al deposito oggetti smarriti della città. Non mancava nulla. Da non crederci! In attesa dell’orario di apertura dell’ufficio, abbiamo trascorso la mattinata al museo navale di Reykjavík, estremamente curato ma piccolo e focalizzato più sull’istruzione che sulla qualità dei reperti in mostra, come tutti gli altri musei dell’isola.
Nel pomeriggio, recuperata la valigia, partiamo lungo la statale 1 per Hvolsvöllur, dove la strada si biforca verso il grande parco nazionale di Þórsmörk. Nella guesthouse vicino al paese non c'erano posti letto, ma il proprietario, un gentilissimo tipo sciroppato con la casa piena di giocattoli e devastata dai bimbi, ha telefonato sino a che non ci ha trovato una sistemazione vicino. “Vicino” per modo di dire. A 40 chilometri, in un albergo, guesthouse, maneggio, perso in una prateria sconfinata, sul cui orizzonte appare la sagome del ghiacciaio Eyjafjallajökull, il “trattieni nuvole”. Prima di ritirarci per la chiara notte, abbiamo continuato per un po’ lungo la strada che porta a Þórsmörk, tra cascate, cascatelle, fattorie e chiesette, ma per arrivare al parco ci sarebbe voluto un 4x4.

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Skogar - A circa quattro miglia di distanza dalle costa sud dell’Islanda, si trova il piccolo arcipelago delle Vestmannaeyjar. L’unica isola abitata, e abitabile, è Heimaey. Qui troviamo una piccola cittadina dedita alla pesca. Poco più di 4 mila anime per un numero incalcolabile di uccelli marini. Solo i pulcinella superano gli 8 milioni di esemplari. Nel 1973 l’isola fu sommersa per metà dalla lava e dalle ceneri del vulcano Eldfell.
Ci imbarchiamo nel traghetto che parte da Hvolsvöllur. Andata alle ore 12,30, ritorno alle 18,30. Giusto il tempo per fare una passeggiata e visitare il campo di lava che ha allargato l’isola di oltre due chilometri quadrati, coprendo mezza città sino a sfiorare il porto, difeso a secchiate di acqua di mare gelida dagli abitanti.
Torniamo in terraferma, (si fa per dire perché non c’è niente di “fermo” in questo Paese), che è piuttosto tardi, per i criteri locali, e fatichiamo ma trovare un albergo nei pressi di Skógar. Per sistemarsi nel bel campeggio situato proprio ai piedi della grande cascata Skógafoss, fa troppo freddo ed io sono ancora costipato.
Procediamo verso Vík e tentiamo in altri alberghi ma è tutto “fully booked”. Questa è una zona molto appetita dagli escursionisti. Tutti cercano di aiutarci, telefonando e controllando su internet. Ci consigliano di tornare a Skogar dove l’hotel Edda ha attrezzato la palestra delle scuola per i saccopelisti. Bene. Eravamo stanchi ma ci spiaceva saltare questa tappa.

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Kalfatellsstadhur - Dopo la visita ai musei del folklore e dei trasporti, saliamo la cascata dei Due Arcobaleni, dove si narra che un contadino abbia nascosto uno scrigno d’oro che ancora oggi lancia furtivi bagliori. Seguiamo per una oretta il sentiero che si inerpica lungo il massiccio del vulcano Eyjafjallajökull, risalendo una dozzina di cascatelle spumeggianti, sino a scorgere il grande ghiacciaio che nemmeno la lava è riuscita a sciogliere.
Nel pomeriggio riprendiamo la Hringvegur verso Vík í Mýrdal. Le vallate che scendono a mare brillano di un verde smeraldo. Questo tratto di costa è il catino di pioggia d’Islanda. Il massiccio montuoso alla nostra sinistra è spaccato da centinaia di cascate e cascatelle. Di tanto in tanto, deserti di ghiaccio fanno capolino e si inchinano sino quasi a sfiorare la strada asfaltata.
A Vík visitiamo la fredda ma assolata spiaggia dalle inconfondibili scogliere, dove scendono i parapendio e i bambini si arrampicano sulle regolari colonne ottagonali di basalto ed entrano nella grande grotta che un tempo ospitava i navigatori vikinghi.
Ancora più vanti, sempre sulla statale 1, si aprono immense vallate di lava coperte di licheni o del tutto brulle, intervallate da prati verdi macchiati da cespugli di fiori viola.
Attraversiamo molti fiordi, disegnati da larghi fiumi che si sposano col mare oceano. Sono tutti bassi e sabbiosi.
Siamo ai piedi del parco nazionale Skaftafell. Andiamo sino all'entrata principale assediata da un camping pulito e ordinato - come sempre su quest’isola - ma non ci fermiamo. Proseguiamo alla ricerca di una guesthouse e maciniamo un bel po’ di chilometri ed è quasi per caso che capitiamo in uno dei luoghi più incredibili d’Islanda: il grande lago Jökulsárlón dove centinaia di iceberg staccatisi dal ghiacciaio del Breiðamerkurjökull, galleggiano in attesa di imboccare un fiume lungo poche decine di metri, lo Jökulsá, e precipitare nell’oceano artico. A far compagnia allo Jökulsárlón, troviamo due spettacolari lagune di ghiaccio: il Fjallsárlón e il Breiðárlón.
Alla fine della giornata, troviamo alloggio in una ospitale e grande guesthouse dai tetti blu, in un micro paese dall’impronunciabile nome di Kalfatellsstadhur.

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Eskifjörður - Höfn, ha un nome che si pronuncia ispirando. Quasi a voler mangiarsi la vocale. Con i suoi 7 mila e passa abitanti, sembra una vera metropoli dopo tanti paesi microscopici. Una metropoli sì, ma deserta. Più avanti, sostiamo al Caffé Vikingo e passeggiamo sino al vicino set cinematografico dove è stato ricostruito un villaggio vichingo. Alla nostra sinistra, le montagne sono frane. Il bianco dei ghiacciai è stato sostituito da terriccio franoso. A destra, lagune e spiagge di sabbia nera.
Siamo oramai nell’Islanda orientale. Scendiamo a Djupivogur con la speranza di imbarcarci per Papey ma il traghetto ha già salpato da poco.
Riprendiamo il viaggio dopo una zuppa di funghi, attraversando tutti i paesi che corrono lungo la Hringvegur: Breidavik, Stodvarfjordur dove visitiamo il centro artigianato e l’incredibile raccolta di minerali di una sbalconata “raccoglitrice di sassi”. I fiordi si fanno via va più lunghi e profondi. Continuiamo per il villaggio "francese" di Fáskrúðsfjörður e Reyðarfjörður, la città dell’ecomostro, quella che a parere della Lonely “non vincerà mai il premio per la città più bella dei fiordi” e dove l’Alcoa ha voluto costruito una inutile e mastodontica fonderia di alluminio. La statale 1 a questo punto prende per l’interno, ma noi seguiamo la costa e ci fermiamo nell’accogliente Eskifjörður.

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Torsrhofn - Risaliamo ancora il fiordo per dirigersi poi verso l’interno. In fondo ad una ampia valle, ci appare Egilsstaðir. Poco più di 2 mila abitanti. Per i criteri locali, una grande città. Non a caso è considerata la capitale dei fiordi orientali. La sfioriamo appena, perché prendiamo subito la  92 per Seyðisfjörður, che la guida descrive come una delle più belle cittadine della costa ovest.
La strada sale per un sentiero ammantato di nuvole. I monti sono nascosti, ma decine e decine di cascatelle appaiono dove la foschia si dirada e lascia spazio a prati di un verde intenso e brillante, intervallato da chiazze di neve, dove pascolano pecore bianche e nere, non in gregge, ma a gruppi di tre o quattro.
Seyðisfjörður è proprio come al descrive la Lonely Planet: pittoresca e pulitissima, con case colorate e ben tenute (non è una novità in Islanda). Spunta qualche bocca di cannone ancora a difesa dal fiordo. Sono reperti della seconda guerra mondiale, quando il paese era una agguerrita base inglese.
Facciamo ritorno ad Egilsstaðir che ci rivela la sua anima industriale con un paio di “palazzoni” condominiali di ben sei piani! Sono abitate dagli operai attirati da alcune industrie locali, in particolare dalla fonderia d’alluminio che è stata oggetto di una battaglia ambientalista persa.
Ritroviamo la nostra Hringvegur che ci porta ancora all’interno, attraverso una ampia vallata verde, rotta da ruscelli e crepacci. Siamo in una delle aree meno popolate d'Islanda. Presto deviamo ancora lungo la strada 85. La statale 1 infatti “taglia” i fiordi occidentali che noi vogliamo esplorare. Andiamo verso nord est, sino a Vopnafjörður, dove un tempo viveva un drago. La strada continua ma su uno sterrato pieno di buche che ci rallenta sino a Torsrhofn, uno sputo di paese che sta alla base di una penisola che pare la testa di un’oca.
Per trovare una guesthouse, tocca affrontare una altro sterrato fetente, tra montoni e pecore bianche e nere che ci guardano perplessi, sino a che arriviamo in una sorta di fattoria affogata in un mare d'erba.

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Reykjahlíð - Ci svegliamo dentro una bianca, spumosa ed umidissima nuvola! Non piove, ma tutto è bagnato, compresa l’aria che respiriamo. Abbandoniamo la guesthouse e rifacciamo i 15 chilometri di sterrato per tornare al paese e riprendere l’85. Adesso la pista è buona e procediamo veloci sul limite dei 90 orari indicato nei numerosi cartelli stradali che ci sorvegliano ai lati della strada.
Decidiamo di fare una deviazione Raufarhöfn, che è il paese più a nord dell'isola. Siamo quasi al circolo polare artico. In cima ad una collina intravvediamo delle pietre che vorrebbero simulare dei dolmen ma sono sono state in alzate da pochi mesi. L’idea iniziale era di seguire la strada che costeggia il promontorio, ma uno sterrato impervio ci consiglia di fare retromarcia. Tagliamo per l’interno e sbuchiamo su un altro fiordo, spettacolare anch’esso come tutti i fiordi occidentali. Attraversiamo Kópasker dove l’attrattiva principale sono i numerosi spaventapasseri - o spaventacorvi a queste latitudini - vestiti di tutto punto.
La strada 85 procede verso Húsavík, ma noi prendiamo la stradina bianca che porta alla cascata di Dentifoss. Il paesaggio si fa sempre più brullo sino a che siamo circondati da distese di rocce laviche nere. Costeggiamo un largo canyon dove, in una nuvola di vapore, si tuffa la grande cascata. Senza dubbio la più spettacolare d’Islanda. L’ammiriamo prima da lontano, arrampicandoci su un costone, poi, più avanti, abbiamo la possibilità di sporgerci proprio sopra il precipizio.
Riguadagniamo la 1, qualche chilometro più a sud, benedicendo l’asfalto stradale che fa scorrere la nostra Volkswagen senza scossoni da cammello. Attraversiamo il paesaggio a tinte aranciate e ocra di Hverir, che è per i geologi quello che le Galapagos sono per i biologi: una incredibile raccolta di bizzarrie geologiche. Ci addentriamo per sette chilometri, oltrepassando una grande centrale geotermica, sino a che sostiamo in una valle coperta di fumi. Saliamo su un cratere per scoprirlo coperto da un laghetto di un azzurro caraibico. Poco più avanti, una montagna piagata, bolle e fuma. Una strada porta alla famosa zolfatara ma la lasciamo al giorno dopo. Impossibile però non fermarsi alle pozze fumanti e solforose di Krafla che tolgono al viaggiatore tutte le certezze sulla solidità della terra che ha sotto i piedi.
Appena dopo Krafla, troviamo la città di Reykjahlíð che si affaccia sul lago Mývatn, uno dei siti turistici più importanti dell’Islanda. Reykjahlíð è la città più importante del lago ma non conta neppure 300 abitanti. La guida spiega che non è facile trovare un posto letto in alta stagione su queste sponde ma al secondo tentativo un camping ci propone posti letto in una stanza comune di una guesthouse. La sala comune, dove ceniamo, ha una bella vetrata da tre lati che spaziano su irti campi coperti di spruzzi di lava che sembrano le onde di un mare tempestoso.

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Húsavík - In mattinata torniamo nell’area geotermale di Hverir per vedere la celebre solfatara che ci offre una lunga ed inquietante camminata tra sbuffi di fumo e terreni bollenti in un paesaggio color ocra.
Abbiamo ancora la suola delle scarpe calda, quando cominciamo il giro in senso orario del lago Mývatn con prima tappa a Dimmuborgir che significa “castello tenebroso”. Nome quanto mai appropriato per questo gigantesco campo di lava nera tutto picchi aggrovigliati. Prima di arrivare alla sponda sud del lago, visitiamo la penisola di Höfði. E’ a pochi chilometri di distanza dal Castello ma è tutto un latro mondo. Su questo piccolo promontorio il microclima ha creato una sorta di macchia mediterranea ricca di vegetazione, ammantata di boschi e di fiori dove nidificano stormi di uccelli.
Sulla sponda occidentale, visitiamo un museo ornitologico in memoria di un giovane raccoglitore di uova scomparso nel lago. Più che le decine di uccelli impagliati, ci interessa la vasca con le alghe marimo dalla curiosa forma sferica che si trovano in pochissimi luoghi della terra.
Salutiamo il lago Mývatn, senza rimpianti per i suoi caratteristici e fastidiosissimi insetti che ci entrano in bocca attirati dal nostro respiro, e lasciamo ancora la statale 1 per salire a nord verso Húsavík, capitale indiscussa del whale watching, le escursioni alla ricerca delle balene. L’87 ci regala ancora uno sterrato che la nostra Volkswagen affronta con coraggiosa abnegazione.
A Húsavík troviamo posto un una guesthose familiare (pure essa ci accoglie con le porte spalancate e senza nessuno in casa. Cosa normale su quest’isola che non ha bisogno di chiavi e serrature). La città è grande, accogliente e colorata. C’è addirittura un caffè.
Impossibile saltare il bel museo dedicato alla balena. Anche qui dentro troviamo uno spazio per i bambini e molti supporti interattivi. Pensiamo al nostro Paese, incredibilmente ricco di reperti storico e artistici ma dove tutti sono convinti che un museo, se non è noioso, non è un vero museo.

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Akureyri - Da queste parti nessuno si ammazza di lavoro. La banca dove andiamo a cambiare qualche centinaio di euro, apre tardi e chiude presto. Le tre impiegate poi, se ne stavano stravaccate sul sofà a chiacchierare. Qui non ci sono sportelli divisori.
Scendiamo a sud per riprendere la Hringvegur ma seguendo la strada più a ovest, rispetto all’andata, e la troviamo ben asfaltata. Una volta sulla statale 1, facciamo qualche chilometro in senso orario, per non perderci le rombanti cascate di Goðafos che significa “cascata degli dei” perché, secondo la leggenda, nell’anno 1000, il lögsögumadur Þorgeir Ljósvetningagoði, di ritorno dall’Alþingi, gettò i simboli dei vecchi dei nordici, sancendo la conversione dell’Islanda al cristianesimo.
Quindi ripartiamo sulla statale 1 verso Akureyri ma con l’intenzione di deviare ancora a nord per visitare le cittadine situate sul versante orientale dell'Eyjafjörður, il fiordo più lungo dell'Islanda settentrionale, e in particolare Grenivík. Più che un fiordo, l’Eyjafjörður pare una laguna. Molto diverso dalle scoscese sull’oceano cui eravamo abituati sulla costa est. Dopo una tappa per vedere le vecchie case di torba circondate da cavalli dalla lunga criniera, arriviamo a Grenivík giusto per scattare qualche foto al paesaggio e vedere lo stoccafisso che secca sulle pareti di una colorata casa di marinaio.
Al pomeriggio, dopo una visita ad un museo ben curato dove trova spazio un po’ di tutto “purché siano cose oneste”, siamo già ad Akureyri, città del sole a mezzanotte e seconda area urbana dopo Reykjavík. Troviamo alloggio in una bella locanda con guesthouse al piano di sopra e trattoria al piano di sotto. Visitiamo la chiesa ed uno splendido e ricco orto botanico (come faranno col freddo invernale?) In serata, passeggiamo in cerca di una birra nella strada principale della città: due o trecento metri al massimo che è tutto il loro “liston”.

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Dalvík - Ancora, tra le strade possibile scegliamo quella che segue la costa. Prendiamo la pista che perimetra la penisola del Tröllaskagi e risaliamo l’Eyjafjörður.
Prima tappa ad Hauganes; un fitto bosco, due case e cassette postali nel niente.
Nel vicino villaggio di Árskógssandi saliamo sul traghetto per Hrísey, una piccola isola nel bel mezzo dell’Eyjafjörður che dista meno di meno di 20 miglia da Akureyri. Il viaggio dura poco più di 15 minuti. Seguiamo il sentiero naturalistico lungo 2,3 chilometri (qui sono precisi con i numeri). Quindi pranziamo in un supermarket, l’unico dell’isola, con yogurt, patatine e una sorta di malto di birra. L’acqua ce la portano in caraffa. Col traghetto delle 15 torniamo ad Árskógssandi e risaliamo nella nostra Volkswagen per proseguire solo di pochi chilometri perché ci fermiamo a Dalvík con l’intento di salpare l’indomani per Grimsey, l’isola che taglia il circolo polare artico. Purtroppo scopriamo che i traghetti salpano ogni due giorni e quello di oggi è appena partito!
Ci fermiamo in una accogliente guesthouse gestita da un simpatico giovanotto barbuto che gira in pantaloni corti e maglietta nonostante la bassa temperatura perché, dice, “I want my summer!” Ci racconta che sua figlia va a Folgaria a gareggiare nel Trofeo Topolino, che è stato a Venezia, all’isola di San Servolo a tenere un corso di pedagogia, e che suo nonno era un famoso pescatore dalle grandi mani.

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Dalvík - Per la prima volta in questo viaggio, decidiamo di fermarci altre due notti nella stesso paese. Non abbiamo nessuna intenzione di perderci l’isola di Grimsey. Così, scegliamo di farci oggi tutta la penisola di Tröllaskagi, per tornare a Dalvík la sera e salire sul traghetto del venerdì, domani. E’ una splendida giornata e dopo tanto tempo da neve, torniamo a specchiarci nell’azzurro di un cielo grande grande.
Prima tappa Ólafsfjörður, dove sbuchiamo dopo un tunnel a corsia unica di tre chilometri. La città sorge sopra un ponte che taglia il piccolo fiordo. Un vero posto da pescatori con tanto di ancore ad abbellire i giardini.
Più avanti, dopo alcune terrificanti gallerie a una sola corsia, con marcia a senso alternato ed obbligo di precedenza. giungiamo a Siglufjörður che ci pare una metropoli. Botteghe, gente per la strada… addirittura un caffè con l’insegna di una nota marca italiana, dove si fiondano come cammelli in una oasi, tutti gli italiani di passaggio - noi compresi - per una brioche con cappuccino. La Lonely descrive Siglufjörður come una cittadina in decadenza dopo la scomparsa delle aringhe di cui era regina, ma non è questa l’idea che ci comunica.
Ad Hofsós visitiamo un toccante museo dell’immigrazione cercando di immaginare mondi attraverso gli sguardi perduti dei migranti islandesi in terra d’occidente.
Il paese conta 190 anima ma non per questo non ha la sua piscina! Un gioiello di architettura realizzato sotto una collina verde che scompare nel paesaggio sino a respirare con una vasca termale all’aperto.
Prima di riprendere la statale 1 e di tornare a Dalvík deviamo per Hólar dove troviamo la chiesa più antica d’Islanda ed incrociamo una strana compagnie di… pellegrini (?) ognuno in rappresentanza di un lontano Paese del mondo.

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Dalvík - Stavolta Grimsey non ci scappa! Abbiamo acquistato i biglietti la sera prima e ci facciamo trovare puntuali al traghetto. Il viaggio dura quasi tre ore e ci porta nell’unica isola d’Islanda a cavallo del circolo polare artico. Diciamo la verità: tanti ci vanno solo per farsi la fotografia sotto il cartello “Polar Circle”. E forse è così anche per noi. Ma volete mettere la soddisfazione? Ma se abbiamo peccato, abbiamo anche pagato. Che il mare sarebbe stato agitato e la traversata affatto tranquilla, ce lo conferma il marinaio che distribuisce “a pacchi” sacchetti per il vomito ai passeggeri. Li riempiremo tutti. Quelli che sbarcano nel porticciolo dell’isola verso mezzogiorno, sono i miseri resti di una armata disfatta. Quasi tutti i passeggeri, si rintanano nell’unico locale del paese (che apre solo quando arriva il traghetto) a smaltire il mal di mare. Chi è ancora in piedi, sale lungo un sentiero che si snoda tra spettacolari scogliere dove si affaccia un numero incredibile di pulcinella di mare. Ce ne sono a milioni.
Si riparte alla 16 ma stavolta Poseidone è benevolo e sbarchiamo tutti sulle nostre gambe.

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Holmavik - Salutiamo Dalvik e riscendiamo il fiordo sino a riprendere la nostra Hringvegur. Ripercorriamo in senso opposto la strada fatta due giorni prima, sino a Glaumbær, un museo all’aperto con le sue antiche case in torba e la tea room stile “bambola”. Stavolta però non seguiamo il fiordo ma ci teniamo sulla statale 1. Nelle vicinanze di Blönduós, saliamo a nord per vedere un locale stile cow boy indicato dalla Lonely. Non lo troveremo ma, in compenso, capitiamo nel bel mezzo della festa del paese di Skagaströnd. Commovente! Teatrino, giochi per bambini, vendita di torte fatte in casa e lavori in lana delle signore locali.
Ancora sulla statale 1, ancora verso ovest. Abbandoniamo l'idea di perimetrale la penisola di Vatnsnes che ci porterebbe via troppo tempo e ci spingerebbe su strade sterrate.
Andiamo dritti verso i fiordi occidentali, quelle sorte di chele di granchio protese a pizzicare l'Artide. Seguiamo lo Hrútafjörður, uno strettissimo fiordo che nella parte finale pare quasi un fiume, e poi abbandoniamo la Hringvegur che taglia verso Reykjavík per la statale 68 e risaliamo il fiordo sull’altra sponda. Siamo nei fiordi occidentali che ci offrono un paesaggio bucolico tra acquitrini e verdi colline dove pascolano mucche, cavalli, pecore bianche e nere, al solito, non in gregge ma in gruppi di due o tre. Il tutto, alternato a grandi campi di balle di fieno perfettamente incellophanate per difenderle dall’umido.
Piano piano che il fiordo si allarga, ricomincia lo sterrato e noi ci fermiamo a Holmavik. Non vogliamo perderci il museo della stregoneria.

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Ísafjörður - Visitiamo il museo della stregoneria, ricco più di suggestioni che di reperti. Quindi prendiamo la strada per Drangsnes, dove i troll che volevano separare i fiordi occidentali dal resto dell’isola sono stati pietrificati dal sole nascente. Le loro sagome sono leggibili nelle rocce. Compresa la loro mucca. Indimenticabili, le tre vasche termali all’aperto a ridosso del fiordo, con la gente che si fa la doccia dall’altra parte della strada e poi si immerge nell’acqua calda. Per noi mediterranei però, anche queste belle giornate estive risultano troppo fredde per passeggiare in costume da bagno!
Concludiamo il “ring” del promontorio e ci immettiamo nella 61 che taglia la penisola proprio come sognavano di fare i poveri troll. Andiamo verso la costa occidentale. Viaggiamo sui 60 all’ora in un paesaggio che pare una coperta arruffata nella cui pieghe spuntano cascate gelide, polle d’acqua, cumuli di neve.
Giunti nella costa di ponente, seguiamo una strada che costeggia il grande fiordo Ísafjarðardjúp e che si arriccia su tanti piccoli fiordi che sembrano i denti di un pettine. Il mare azzurro si increspa e spruzza per il passaggio a fior di superficie di grandi cetacei. Colonie di foche si stendono pigre al sole nelle rocce.
Sostiamo su un centro naturalistico che studia le volpi artiche. Qualche esemplare di questi piccoli animali, ci guarda nervoso da dietro una rete. Ci fermiamo per la notte poco più avanti, nella cittadina di Ísafjörður che sorge su un promontorio che pare uncinare il mare. E’ ancora presto per pensare alla cena, e facciamo una puntata a Suðureyri, 350 anime arroccate nella propaggine estrema dello stretto fiordo Súgandafjörður. Questo paese è una sorta di Orgosolo locale. Mi riferisco al senso di isolamento. Prima della realizzazione della galleria sul promontorio, il paesino era collegato al resto dell’isola solo tramite una strada da muli, per lo più impraticabile durante i lunghi inverni, e, naturalmente, il mare. Suðureyri ci accoglie immerso in una nuvola bassa che ti bagna anche se non sembra piovere. Non ce lo aspettavamo. A Ísafjörður, neppure 20 chilometri prima, al di là della galleria, avevamo lasciato un cielo azzurro e terso.

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Reykhólar - Winter in coming. L’inverno sta arrivando. E senza preavviso. Ce ne accorgiamo bruscamente al risveglio. E’ una giornata piovosa e fredda, anche se la gente del posto continua a girare in calzoncini. Usciti da Ísafjörður prendiamo la statale 60 che peripla i fiordi occidentali sino a ricongiungersi con la 1, poco a nord di Reykjavík. La seguiamo sino a deviare verso Skrúður dove troviamo, perso in un verde niente, un fatato giardino botanico, tanto curato quanto deserto. Tagliamo il promontorio: la strada si fa di nuovo sterrata e procede come tra le spire di un serpente, tra valli spettacolari. Valichiamo cime innevate, scendendo nel versante opposto sino alla grande, magnifica cascata di Dynjandi.
Le chiazze di neve attorno alla nostra strada sono sempre più grandi. Non è la neve precoce del freddo a venire ma quella tenace dell’inverno trascorso.
Rinunciamo a seguire la 63, al bivio sopra l’ultimo valico, che ci porterebbe in fondo alla penisola più meridionale dei fiordi occidentali, e tagliamo verso Flokalundur, sul versante sud. Le montagne che ci accompagnano ora sono grandi pareti che sembrano le mura di enormi castelli di sabbia sul procinto di precipitare nel mare. Stiamo costeggiando il grande Breiðafjörður, più un mare che un fiordo, dove nessuno è mai riuscito a contare quante isole, isolette e scogli nasconda tra le sue gelide onde. Viaggiamo senza incontrare anima viva o segni di presenza umana, fatta salva qualche piccola fattoria isolata, e raggiungiamo il villaggio di Reykhólar, al confine tra la regione dei fiordi occidentali e l’Islanda occidentale. Il paesino è… niente. A parte le solite quattro case, con pista d’atterraggio, piscina riscaldata, chiesetta e distributore di benzina. Qui ci informano che la locale guesthouse è chiusa e ci indirizzano a nord, verso una fattoria che affitta camere, dove faremo amicizia con due ragazzini rustici attendendo l’anziana signora che gestisce la casa e che era andata a farsi una nuotata in piscina. La sera, ci conforta uno splendido panorama sulla baia di Breiðafjörður dove il sole accenna appena a tramontare.

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Grundarfjörður - Ancora sulla statale 60. Verso sud. Siamo nell'Islanda occidentale. Restii ad abbandonare la costa, facciamo tutto il giro della penisola di Skardstrond che si affaccia sulla splendida baia delle mille isole, Breiðafjörður. La prima tappa per un caffè con annessa fetta di torta, la facciamo a Búðardalur, in un centro informazioni turistiche che è anche l’unico bar, l’unico ristorante e l’unico museo della cittadina. Quindi seguiamo ancora la costa inoltrandoci nella penisola di Snæfellsnes, nella cui punta sorge il mitico vulcano Snæfell, nascosto dal ghiacciaio Snæfellsjökull. La statale 54 che fa il giro del promontorio è sterrata per i primi chilometri ma agilmente percorribile dalla nostra Volkswagen.
Attraversiamo la coloratissima Stykkishólmur dalla chiesa avveniristica, il cui porto è protetto da una isola di basalto nero. Il posto è bello ma troppo affollato. Continuiamo il periplo, passando sotto il monte dei tre desideri per allontanarci subito dopo dalla strada per seguire un’altro sterrato che attraversa un grande e spigoloso campo lavico, che neanche le capre non riuscirebbero ad attraversare, sino ad una puzzolente fattoria dove si mangia lo squalo putrefatto.
Sosta serale a Grundarfjörður, cittadina meno spettacolare di Stykkishólmur. La guida assicura che è circondata da splendidi monti e gode di una fantastica vista sulla baia di Breiðafjörður ma noi non ce ne accorgiamo perché tutto è avvolto nell’umida bambagia di una nuvola bassa. Non piove ma l’acqua ti bagna da tutte le parti. Ha ragione chi ha scritto che, in Islanda, l’ombrello è un accessorio inutile!

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Reykjavík - Quel che è rimasto nascosto la sera, si svela la mattina, quando la nuvola ha deciso che era il momento di riprendere il suo posto nel cielo. Purtroppo, è rimasta impigliata in una montagna! Così, se a nord ci si apre l’azzurro lucente della baia di Breiðafjörður, dagli altri punti cardinali, gli occhi si fermano sul verde dei versanti montuosi, senza riuscire ad ammirare le cime.
La statale 54 ci porta a ponente, verso il parco naturale dello Snæfellsjökull, che ci regale le suggestioni del viaggio al centro della terra narrato da Giulio Verne. Qui, le possibili escursioni sono tante. Prendiamo uno sterrato che arriva al faro più occidentale della penisola e che ci regala l’emozione di sporgerci da nere ed imponenti scogliere a picco sul mare. Nel tragitto, vediamo anche una piccola spiaggia di sabbia - cosa più unica che rara in Islanda - che potrebbe figurare in una cartolina tropicale. Freddo cane a parte. Sotto questa arena fu scoperta la sepoltura di un condottiero vichingo. Purtroppo, lo sterrato davvero da 4x4, ci obbliga alla retromarcia. Qualche chilometro più in là, proprio sotto il vulcano Snæfell, parzialmente coperto da una nuvola dispettosa, ci concediamo una ottima zuppa di funghi a Hellnar e visitiamo la grotta del gigante buono Baldur.
Lasciata alle spalle la penisola di Skardstrond, rimettiamo le ruote nella statale 1 e riprendiamo, dopo tanti giorni, la nostra Hringvegur, giusto in tempo per visitare l’imprescindibile museo della colonizzazione di Borgarnes, una strana cittadina costruita su una strettissima penisola che dà su un ponte. Già che ci siamo, vediamo anche il museo dedicato alla saga di Egil, un tipetto vispo come pochi al mondo!
Siamo oramai ad una 60ina di chilometri da Reykjavík. Ci si arriva direttamente attraverso un tunnel oppure, allungando un poco, perimetrando il fiordo. Scegliamo la seconda soluzione. Anche perché sarà l’ultimo fiordo del nostro viaggio.
Arriviamo a Reykjavík verso sera. Prendiamo alloggio nella solita pensione gestita dall’Esercito della salvezza, situata a due passi dalla piazzetta che è il ritrovo dei motociclisti locali e che i ragazzini sugli skateboard trasformano nella loro palestra di addestramento. Da qui, parte il “liston” cittadino cuore della “rutilante” vita notturna della capitale.

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Reykjavík - Il viaggio oramai è concluso. Passiamo la giornata a visitare la Hallgrímskirkja, l’incredibile cattedrale luterana, salire sul campanile, e gironzolare per i negozi della capitale, così pulita che ti fai scrupolo anche a gettare per terra le ceneri della pipa. Si è appena svolto il Gay Pride e la strada che porta alla Hallgrímskirkja è dipinta con i colori dell’arcobaleno. Vien da pensare al mare di retrograde polemiche che questo avvenimento suscita a casa nostra.

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Garður - Salutiamo la grande piccola Reykjavík con la promessa di tornarci in pieno inverno, per vedere anche il suo lato buio e gelato. Abbiamo tutta la giornata per raggiungere Garður e fermarci nello stesso B&B dell’andata. Ad Hafnarfjörður visitiamo la bella chiesa con bar annesso e il museo del gioco. Pomeriggio a pucciare il popò nelle calde e solforose acque della Blue Lagoon. Torniamo a casa puliti.


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Impressioni islandesi
Libri, li trovi in tutte le case, in tutte le guesthouse, nei locali pubblici e anche nelle chiese. illustrati per non far annoiare i bambini; yogurt denso, zuppe di funghi o di pesce “free refill”, pane nero ai cereali, cucine elettriche; strade che sembrano le piste per insegnare la circolazione agli scolari, auto che rispettano i limiti e non ti superano neppure nei rettilinei; punti informativi ricchissimi di mappe e di materiali in ogni paese anche piccolissimo; campeggi puliti, ben attrezzati con docce calde, spesso deserti anche in alta stagione; pecore bianche e nere che non pascolano in gregge ma in gruppetti di due o tre; cartelli informativi dappertutto, coperti di simboli e con indicazioni precise anche per case disabitate e perse nel niente, segnalatori di velocità con gli emoticon; panorami di monti e di mari che ti tolgono il respiro; cassette postali ai margini delle strade a servizio di fattorie lontane che non appaiono neppure all’orizzonte; musei, uno in ogni paese, con pochi reperti, tante curiosità e sempre con spazi giochi per i bambini; guesthouse sempre aperte, letti senza lenzuola che col sacco a pelo costa meno pernottare; bagni pubblici anche in mezzo ai boschi, sanitari sempre puliti, bidet sconosciuto; campi con balle di fieno incellophanate per l’umidità; grande attenzione al design in tutte le abitazioni con elegante recupero di oggetti inutilizzati; giardini curatissimi, zeppi di cianfrusaglie colorate e divertenti, col saltarello al posto delle piscine e le casette colorate per il piccolo popolo (che qui ci credono tutti anche se non lo ammettono. I miti, si sa, sono concreti), anche i nani da giardino qui hanno un loro perché; case sempre aperte, con ampie finestre per far entrare tutta la luce possibile; persone gentili e disponibili, con senso civico e maglioni di lana pesante a losanghe, i vestiti qui servono a vestirti; carte di credito, anche per i piccoli acquisti, anche per entrare nell’unico bagno a pagamento che abbiamo incrociato; saghe onnipresenti, ogni luogo ha i suoi eroi e le sue leggende; paesini di poche anime ma ciascuno con la propria personalità e curiosità, dagli spaventapasseri addobbati al finto dolmen, e poi spazi giochi attrezzatissimi per i bambini, piccolo aeroporto, supermarket, ufficio postale e ufficio informazioni, benzinaio, chiesetta, piscina termale frequentatissima da tutte le età, aiuole in ogni angolo piene di fiori destinati a morire ai primi freddi autunnali che in questa isola scendono presto.

Panchine solitarie
La prima impressione dell’Islanda mi ha riportato alla mente la lontana Ushuaia. Al nord come al sud del mondo, case e paesi interi che sembrano volersi buttare con l’anima dentro quel mare oceano, vivo ed onnipresente ma gelido e senza estate. Ma a differenza dei caciarosi e coloriti paesi d’Argentina, in quest’isola non incontri un’anima viva. Dove sono tutti? ti sorprendi a chiederti. Per chi sono queste strade curate con tanto di aiuole fiorite? E queste aree di gioco perfettamente attrezzate? Per chi sono quelle sdraio vuote, sistemate davanti alle case, in quei giardini curati ed arredati con spirito?
In Islanda, la geologia batte il tempo della storia. Gli islandesi sono pochi e vivono in un’isola geologicamente nuova, con un breve passato storico e proiettati verso il futuro. Un futuro breve, come si conviene ad una terra ballerina. Un futuro che è più che altro una speranza. Attrezzano grandi aree di campeggio per dei viaggiatori che non arriveranno mai e per una bella stagione che dura poche settimane. Si coltivano lunghe aiuole per una fioritura che dura lo spazio di pochi giorni. Le famiglie preparano tavolini e sedie all’aperto per un sole che scalda poco e solo per poche ore all’anno. L’estate in quest’isola è un desiderio. Meglio, un auspicio. Ce lo raccontano le tantissime panchine pubbliche, eleganti, comode e ben curate che ti accolgono dappertutto. Camminando lungo strade e sentieri, sotto i ghiacciai perenni, negli angoli più spettacolari e sperduti della costa. Non ci ho mai visto seduto neppure un cane. Anche in pieno agosto, fa sempre troppo freddo a queste latitudini. Ma quelle ostinate panchine sono sempre là, coccolate come un bene prezioso, come una speranza. Quasi avessero il potere di catturare una briciola di un’estate che non arriva mai.