El agua es de lo pueblos

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L’acqua che dona la vita a tutta la terra. L’acqua che scende impetuosa dalla grande cordigliera andina e che rappresenta la vera ricchezza della Patagonia. Proprio l’acqua è il tema centrale dell’incontro che ha portato a El Maiten i portavoce di tante comunità mapuche provenienti da territori resistenti o “recuperati” a grandi latifondisti tra cui l’azienda trevisana Benetton. Si è riunito così, tra sabato e domenica, il parlamento mapuche. Un incontro nato da un sogno. O, per meglio usare un termine mapuche, da un “peuma”. Cioè un sogno premonitore con il quale la Madre Terra comunica i suoi bisogni a chi la sa ascoltare. Il peuma di Mauro Millan, lonko – sciamano – della comunità mapuche era quello di un grande fiume che scendeva lentamente verso il mare e le cui acque, mano a mano, si incupivano sino a tingersi completamente di nero.
Una visione che non ha bisogno di grandi sforzi di immaginazione, per tradurne il significato. Ed è stato proprio Mauro Millan ad aprire il parlamento mapuche con queste parole. «Purtroppo ci tocca parlare nella lingua dei conquistatori. Facciamo in modo che almeno ne escano buone parole». Siamo sulle sponde del Rio Chubut dove è in corso da anni una lotta per difendere l’acqua, la terra e i diritti dei popoli originari. Non solo mapuche, al parlamento dell’acqua: assemblee ambientaliste dei territori del Rio Negro e di Chubut, radio comunitarie, collettivi femministi, la rete No alle miniere e persone singole, per due giorni hanno provato – attraverso un confronto serrato – a tracciare una linea comune rispetto alla difesa del territorio. La giornata di sabato mattina è cominciata presto, alle prime luci dell’alba, con un rito propiziatorio sulle rive del fiume al quale i mapuche hanno chiesto le energie necessarie per affrontare le lunghe ore di assemblea. Sono tante le testimonianze di chi è venuto anche dai villaggi più lontani della Patagonia e di chi a fronte del capitalismo estrattivista non ha abbassato la testa. La convinzione è che la democrazia rappresentativa non sia sufficiente per difendere l’ambiente e provvedere ai bisogni delle comunità. Non è stato facile, per tanti mapuche, arrivare sino a El Maiten. Spostarsi lungo le infinite praterie della Patagonia non è affatto semplice. Molti indigeni non possiedono mezzi propri. Le vie che consentivano di spostarsi con percorsi brevi e lineari sono state interrotte dalle recinzioni delle tante “privatizzazioni”, migliaia di ettari alla volta, che il parco nazionale continua a concedere. Nelle discussioni, molti interventi sottolineano quanto sia importante rispetto alla cosmovisione mapuche l’uso della lingua originaria invece di quella spagnola imposta con la colonizzazione. L’altro tema ricorrente è la necessità di smarcarsi dal sistema istituzionale e dalle logiche capitaliste. Viene spesso ripetuto che l’obiettivo finale non è raggiungere il “controllo” del territorio inteso come proprietà, ma come autodeterminazione e recupero delle terre ancestrali. Nonostante le questioni pratiche riguardino situazioni specifiche come il diritto all’acqua, la contaminazione dei fiumi e la costruzione di una miniera, lo sguardo è più ampio: «Difendiamo tutto il territorio, le nostre lotte sono interconnesse e dobbiamo lottare per la Terra tutta», interviene una donna mapuche. Sabato sera il Parlamento si ferma. Il giorno dopo, la giornata sarà interamente dedicata alla stesura di un documento comune di intenti che farà da guida alle lotte comuni. Ma, prima di concedersi una parca cena, i mapuche scendono per le strade de El Maiten per una manifestazione improvvisata che ha anche lo scopo di stemperare le tensioni e fare comunità. Cartelli colorati e cori, movimentano la serata di El Maiten: “El agua es de los pueblos” urla sotto un cielo rischiarato dalla Croce del Sud il popolo originario. “La tierra no se vende, se defiende!”
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