Ancora un recupero in terra mapuche

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Capita sempre quel momento in cui si passa dalle parole ai fatti, e dare un seguito concreto alle tante esperienze di “recupero” che abbiamo visitato di persona e di cui ci hanno raccontato nelle lunghe serate trascorse al campamento climatico, sotto questo immenso cielo stellato d’Argentina, dove Orione è capovolta e brilla a sud est la Croce del Sud.
Potevamo rifiutarci di aiutare una comunità indigena a recuperare la terra ancestrale sottrattale dai latifondisti? Certo che no! La proposta che Mauro Millan, lonko mapuche e portavoce dell’associazione Once De Octubre (11 ottobre, come dire che loro erano là prima del 12 ottobre quando Colombo scoprì un continente che i popoli originari avevano già scoperto da qualche tempo prima) ha fatto ai carovanieri di Ya Basta Edi Bese era una di quelle che non si possono rifiutare. 
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Contra el terricidio está la vida

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Si chiude così, con un liberatorio corteo nella cittadina di Esquel, nel cuore del Chubut, il primo Campamento Climatico organizzato dalle Mujeres indigenas por el Buen Vivir. Tamburi e corni, gli strumenti che dettano i tempi della della spiritualità mapuche, bandiere colorate e tanti slogan contro il patriarcato, le discriminazioni nei confronti dei “pueblos originales” d’America, e soprattutto, contro le mina; lo sfruttamento minerario che, a queste latitudini del mondo, sono un vero e proprio paradigma dell’ultimo assalto del capitalismo alla terra: avvelenamento delle acque, devastazione dell’ambiente, espropriazione delle terre ancestrali alle comunità indigene, dirottamento delle ricchezze del Paese verso i mercati finanziari internazionali, in cambio di pochi posti di lavoro a tempo determinato e sfruttati e di un inquinamento della democrazia che attraversa tutti i partiti.
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Al via il primo "Campamento climatico de los Pueblos contra el Terricidio". È già un successo

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Per arrivare al Campamento Climatico del los Pueblos contra el Terricidio - appuntamento centrale della nostra carovana di Ya Basta Êdî Bese in terra d’Argentina -, bisogna arrampicarsi con l’auto lungo uno sterrato largo, ma ricco di sali scendi, che dalle quattro case in croce del paese di Corcovado ti porta sulle sponde a monte dell’omonimo rio. Quando neppure un 4 x 4 ce la farebbe più, non resta che pigliare gli zaini in spalla e proseguire a piedi. Il camp si trova su una grande pineta. Qui abbiamo piantato le nostre tende, non senza colorarle con le bandiere No Navi e del Leone di San Marcos.
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Come i diritti che risalgono all’età della pietra

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Lo dice un rapporto dell’Onu che invita gli Stati europei a soccorrere in mare i migranti e ad evitare qualsiasi collaborazionismo con le autorità libiche.“Lof Kurache” significa “gente della pietra”, pietre di cui sono fatte le montagne scure e imponenti che sovrastano le pianure della Patagonia; le stesse pietre che sono l’unica arma possibile contro la repressione poliziesca delle autorità argentine. Una comunità che parla anche solo attraverso gli occhi dei suoi componenti di montagne e di lotta: questo territorio è stato recuperato due mesi fa, il 25 dicembre 2019, proprio all’alba dell’insediamento del nuovo governo. Il recupero dei territori è la pratica principale di resistenza mapuche, perché essere mapuche significa essere parte integrante del territorio ancestrale a cui si appartiene: ecco perché è necessario rioccupare le terre che da sempre sono abitate dalla propria famiglia.
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El agua es de lo pueblos

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L’acqua che dona la vita a tutta la terra. L’acqua che scende impetuosa dalla grande cordigliera andina e che rappresenta la vera ricchezza della Patagonia. Proprio l’acqua è il tema centrale dell’incontro che ha portato a El Maiten i portavoce di tante comunità mapuche provenienti da territori resistenti o “recuperati” a grandi latifondisti tra cui l’azienda trevisana Benetton. Si è riunito così, tra sabato e domenica, il parlamento mapuche. Un incontro nato da un sogno. O, per meglio usare un termine mapuche, da un “peuma”. Cioè un sogno premonitore con il quale la Madre Terra comunica i suoi bisogni a chi la sa ascoltare. Il peuma di Mauro Millan, lonko – sciamano – della comunità mapuche era quello di un grande fiume che scendeva lentamente verso il mare e le cui acque, mano a mano, si incupivano sino a tingersi completamente di nero.
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Aquì mataron a Rafael

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Si chiamava Rafael Nahuel, aveva 21 anni, e lo hanno assassinato proprio qui, sulle sponde del lago Mascardi, il 26 novembre del 2017. Era solo un mapuche ribelle, Rafael. La sua uccisione non ha destato lo stesso scalpore della desaparición di Santiago Maldonado, l’attivista di Buenos Aires avvenuta solo un paio di mesi prima. Era solo un mapuche, Rafael Nahuel. Un poliziotto delle forze speciali federali gli ha sparato alla spalle durante il “recupero” di una terra che apparteneva alla sua gente da generazioni ma che il Governo argentino aveva deciso di “vendere” a privati stranieri. La sua morte non ha fermato il “recupero” della terra. Nella terra dove Rafael ha versato il suo sangue, la comunità Lafken Winkul Mapu continua a resistere.
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Memoria, verdad y justicia

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San Carlos de Bariloche, meglio conosciuta col solo nome di Bariloche, sorge sulle sponde del grande lago Nahuel Huapi, le cui limpide acque sono eternamente increspate dal gelido vento che scende dal massiccio andino del Tronador e del Cerro Central che circondano la città. Siamo nella regione della Patagonia nord occidentale d’Argentina, più precisamente nella lontana provincia del Rio Negro. Altre informazioni che ci regala Wikipedia è che Bariloche conta 110 mila abitanti, che fu fondata nei primissimi anni del ‘900 da migrati provenienti dalla Germania e dalla nostra Belluno, e che oggigiorno è una rinomata stazione di sport invernali.
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