Ritorno degli Pseudo-cripto-ebrei

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Le radici non esistono

Bobby Wheelock: I feel different from everyone sometimes.
Dr. Josef Mengele: You are infinite different. Infinite superior. You are born of the noblest blood in the world.

Le persone vorrebbero avere radici. Questa è una cosa che non smette di stupirmi. Invece vedo che molti ormai la danno per scontata.
Allora adesso vi spiego cos'è scontato per me: queste radici, che le persone vorrebbero avere, in realtà non esistono. Le persone non hanno mai avuto radici, e mai le avranno. Hanno i piedi, per spostarsi. Sembra banale, evidentemente non lo è. Il discorso delle “radici” è una vecchia metafora. Quanto vecchia? C'è già nella Bibbia. È una metafora efficace e condivisa. Però resta una metafora. Finché ci serve a capire un concetto, bene. Se comincia a ostruire la via dei ragionamenti, è il momento di farla fuori.

Perché appendiamo i crocefissi alle pareti delle scuole? A cosa servono, concretamente? I ragazzi diventano più cristiani? Non sembra. L'occhio di Dio vi si posa più volentieri? Eh, sostenerlo sarebbe idolatria. E allora? È per via delle radici. Alt. Di cosa stiamo parlando?

Perché ci scandalizziamo se alla maturità viene proposto un tema su Mussolini o sulla vita extraterrestre, e troviamo normalissimo che si traduca ancora un pezzettino di Greco antico? Perché insistiamo a privilegiare nelle scuole l'insegnamento delle lingue classiche rispetto alle lingue vive e alle materie scientifiche? È quello che abbiamo fatto, da Gentile fino alla Gelmini. Con risultati che oggi appaiono scarsi. E allora perché insistiamo? Per via delle radici. Alt.

Sono senz'altro una persona strana, ma ogni volta che sento parlare di radici mi vengono in mente gli pseudo-cripto-ebrei del Nuovo Messico. Li scoprii grazie a un vecchio pezzo di Marco D'Eramo sul Manifesto. La storia è un po' complicata, ma in tre righe si tratta di questo: negli anni Ottanta uno storico di origini ebraiche si trasferì a Santa Fé, New Mexico. Qui, senza nemmeno mettersi a cercarle, s'imbatté in una serie di testimonianze che lo convinsero che diverse famiglie del posto erano di origine ebraica sefardita. Probabilmente si trattava di criptoebrei (ebrei che fingevano di essersi convertiti) scappati dall'Inquisizione spagnola ai tempi in cui il Nuovo Messico era la più lontana terra a disposizione, che poi erano restati lì, evitando di mescolarsi troppo coi locali e mantenendo alcune usanze (il sabato, l'astinenza dal maiale). E così nel giro di pochi anni un certo numero di newmexicani si convinsero di essere di origine ebraica, e in molti casi decisero di riprendere le usanze di cui genitori e nonni conservavano soltanto un labilissimo ricordo: si circoncisero, si misero a leggere la Torah, andarono a Gerusalemme in pellegrinaggio... qualche anno dopo passò un altro studioso: guardò meglio e smentì tutto quanto. Non c'erano mai stati tutti questi criptoebrei in New Mexico: non c'era motivo per cui avrebbero dovuto scegliere un luogo lontano dai traffici commerciali, e tutt'altro che snobbato dall'Inquisizione.

E il Sabato? Il maiale? I nomi biblici? Le stelle di David sulle tombe? Quel che restava di una setta protestante che si era infiltrata nel New Mexico nell'Ottocento. Tutto chiaro? No, perché i discendenti degli pseudocriptoebrei si erano convinti di essere ebrei, e riconvertirsi è sempre più difficile. Scoppiò una lunga diatriba, che continua tuttora. Io ogni tanto sono così folle da dare un'occhiata su google. L'ultima cosa interessante che ho trovato è questo articolo, che in sostanza rifiuta di porsi il problema centrale: forse non sapremo mai se i criptoebrei siano mai stati in New Mexico. A questo punto per l'articolista la cosa interessante diventa capire come mai l'ipotesi criptoebraica piace più delle altre: come mai molti abitanti del New Mexico hanno deciso di diventare ebrei appena uno studioso gli ha fatto intravedere la traccia di una radice. Nell'articolo si suggerisce tra l'altro che l'ipotesi criptoebraica 'funzioni' perché si appoggia su una struttura dell'immaginario tutta novecentesca: l'olocausto. Non importa che il paragone tra Inquisizione spagnola e nazismo sia stato smontato dagli storici: i criptoebrei piacciono più dei protestanti perché sono un esempio di ebrei scampati a una persecuzione.

A osservarla dall'alto la cosa rimane buffa: convertirsi all'ebraismo perché forse il tuo bisnonno lo era. Il problema è che noi appendiamo croci e studiamo (fingiamo di studiare) Platone per lo stesso motivo: radici. Questa idea per cui i nostri bisnonni, che da tempo sono cenere e fango, comunque esistono. Comunque ci appartengono. Se fossero vivi probabilmente non riuscirebbero a capirci, né noi capiremmo loro: non importa, abbiamo qualcosa in comune. Ma allora delle due l'una: o si ammette di credete in una qualche forma di trasmigrazione o metempsicosi o aldilà, oppure questo è uno dei classici casi in cui le metafore ci hanno dato alla testa. I nostri bisnonni non esistono più. Quello in cui loro hanno creduto non è poi così rilevante. Un po' di dna, nemmeno tanto.

Eppure ci avvinghiamo a loro. Soprattutto quando diventa evidente che non ci assomigliano nemmeno (Platone, Socrate, Gesù Cristo): meno cose abbiamo in comune, meglio è. Siamo tutti così, specie a una certa età. Ci crediamo tutti diversi, speciali. Aspettiamo tutti che arrivi il profeta o lo studioso che ci dimostri quello che oscuramente intuiamo già: siamo i discendenti di un popolo eletto. Abbiamo un sangue diverso. Siamo di una nobile stirpe. A quel punto molti di noi si ritrovano iscritti a un classico. E si avvinghiano a quel che trovano: Platone, Livio, Orazio. Se dessimo loro per cinque anni soltanto Pinocchio, si attaccherebbero a Pinocchio. Diventerebbero studiosi collodiani appassionati e cerebrali. Citerebbero il sacro testo a memoria, appenderebbero alle pareti icone della Fata Turchina, crederebbero nella resurrezione dei morti perché Pinocchio è pur tornato dalla balena, saluterebbero nei rari interventi del Grillo Parlante la base della sapienza occidentale. Sognerebbero un aldilà dove non saremmo più burattini di legno, ma bambini perbene di vera carne e vero sangue. Si può spremere una radice da qualsiasi cosa.

Ho scritto che la metafora delle radici ha origine nella Bibbia. Il profeta Isaia nel secondo Libro dei Re consola il re Ezechia, che teme il massacro del suo popolo da parte degli Assiri: il massacro magari ci sarà, ma “il rimanente della casa di Giuda che sarà scampato, metterà ancora radici in basso e porterà frutto in alto” (2 Re 19,30). Le radici – se proprio vogliamo parlar metaforico – crescono verso il basso. Tremila anni fa Isaia aveva già capito qualcosa che non ci entra in testa: noi non veniamo dopo le nostre radici o a causa delle nostre radici: le radici sono roba nostra, che spingiamo verso il basso, alla ricerca di nutrimento. Siamo liberi di spingerle dove vogliamo: di sentirci ebrei o protestanti o antichi Greci. Fuor di metafora: siamo liberi di scegliere e coltivare il passato che vogliamo. I bisnonni non hanno nessuna autorità su di noi. Ma i loro spettri, è evidente, mettono ancora molta soggezione.
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