In questa pagina ho riportato gli ultimi articoli che ho scritto per il quotidiano ambientalista Terra, il settimanale Carta, Manifesto, per siti come Global Project, FrontiereNews o siti di associazioni come In Comune con Bettin e altro ancora.

I comitati ambientalisti veneti esultano: «Chi ci ha avvelenato paghi»

Eco-reatiQuindici manager di multinazionali andranno a processo per disastro doloso e inquinamento ambientale


Il rinvio a giudizio dei quindici manager della Miteni, l’azienda vicentina responsabile di aver avvelenato con i Pfas le acque di mezzo Veneto, è stato accolto con grande entusiasmo dalle 226 tra associazioni ambientaliste, comitati cittadini e pubbliche amministrazioni, che si erano costituite parte civile e che, per tutto lo scorso fine settimana hanno assediato il tribunale con un presidio permanente che si è concluso alla lettura della sentenza.
«Stiamo piangendo di gioia – ha commentato Patrizia Zuccato delle Mamme No Pfas – Temevamo che ancora una volta il potere e il denaro mettessero tutto a tacere, ma questa sentenza ci apre una strada. Sappiamo che sarà tutta in salita ma ora è una strada aperta e vi assicuro che la percorreremo sono in fondo». Anche Luigi Lazzaro, presidente di Legambiente Veneto, parla di «una prima grande vittoria». «Ci aspettiamo che venga applicato il principio che sta alla base degli ecoreati: chi inquina paga. La difesa delle falde e della salute deve stare al centro del Piano nazionale di ripresa».
La decisione del giudice per l’udienza preliminare Roberto Venditti ha accolto in toto l’impianto accusatorio dei pubblici ministeri vicentini Barbara De Munari e Hans Roderich Blattner. I quindici manager sono stati rinviati a giudizio con le accuse di disastro doloso, avvelenamento delle acque, inquinamento ambientale ed anche di bancarotta fraudolenta per il fallimento della società Miteni nel 2018. Si tratta di quindici dirigenti d’azienda di rilevanza internazionale che fanno riferimento a importati multinazionali come la Mitsubishi e l’Icig, proprietarie della Miteni negli ultimi decenni in cui l’avvelenamento è stato più pesante per l’utilizzo di Pfas di ultima generazione, come GenX e C6O4.
Dunque, il primo luglio prossimo in Corte d’Assise ci sarà il più grande processo per crimini ambientali mai svoltosi nel Veneto, e probabilmente anche in Italia, sia per la pericolosità dei materiali versati che per l’ampiezza dell’area interessata dall’inquinamento e che investe le provincie di Vicenza, Verona, Padova. Mezzo Veneto, per l’appunto. Senza contare che l’area inquinata si sta tutt’ora espandendo e che la presenza di Pfas è stata rilevata recentemente anche nella laguna veneziana. Solo nei prossimi anni riusciremo a quantificare con precisione l’impatto causato dallo sversamento di queste molecole killer nelle falde acquifere. Gli effetti sulla salute dei cittadini che hanno bevuto l’acqua inquinata o che si sono nutriti di verdure locali è già testimoniato da varie ricerche mediche che hanno riscontrato un forte aumento di patologie come tumori ai reni e ai testicoli, coliti ulcerose sino a ictus, osteoporosi precoce, diabete, Alzheimer. I Pfas colpiscono in particolare i bambini e le donne in stato di gravidanza causando aborti e malformazioni nei feti. Un disastro ambientale e sociale le cui conseguenze le pagheremo anche negli anni a venire, in quanto questi acidi perfluoroacrilici agiscono come una sorta di bomba ad orologeria. Una «pandemia chimica» che si accumula nel metabolismo e i cui effetti possono manifestarsi anche a decenni di distanza.

La soddisfazione per questa primo pronunciamento che riconosce le pesanti responsabilità della Miteni non riuscirà ad allontanare la paura di ammalarsi in un prossimo futuro. Così come non diminuirà i disagi di chi non potrà ancora bere l’acqua del rubinetto, continuerà a guardare con sospetto le verdure in vendita nei mercati ed a rinunciare a coltivare l’orto sotto casa. Allo stesso mmodo, il processo non può rimediare i ritardi di una amministrazione regionale che per tanti anni si è dimostrata sorda alle denunce dei residenti che sin dai primi anni del nuovo secolo chiedevano come mai nei prati di Trissino le margherite nascessero con due corolle o con i petali raggrinziti. Solo nel 2013, l’Arpa ha cominciato a studiare il fenomeno, riscontrando ufficialmente la presenza di Pfas nelle falde. Per il rinvio a giudizio, ci sono voluti altri 8 anni. I tempi della giustizia non sono mai quelli della salute e dell’ambiente. Tanto più che nella maggioranza che guida la Regione, di bonifiche ancora non se ne parla.

A Trapani è stata intercettata la democrazia

Lo scandalo delle intercettazioni ai giornalisti

La domanda da farsi è come intendeva utilizzare queste intercettazioni?


La losca vicenda delle intercettazioni ai giornalisti che si occupano della Libia non può essere circoscritta ai colleghi spiati che pure sono stati profondamente lesi nei lori diritti di cittadini, oltre che nell’aperta violazione della loro carta deontologica che gli impone la tutela delle fonti. Questa storia non può neppure riguardare, più in generale, la sola categoria professionale degli iscritti all’Ordine, ma investe la stessa tenuta democratica del nostro Paese perché nasconde un preciso piano di insabbiamento della verità, colpendo chi questa verità ha il dovere di scoprire e diffondere. Un modus operandi che non è nuovo a chi segue le vicende della politica italiana e che ci ricorda tanti altri insabbiamenti il cui fine è sempre stato quello di ingabbiare la democrazia del nostro Paese. Mi riferisco, per fare un esempio, alle stragi fasciste ma anche a casi celebri come l’abbattimento di Ustica o all’assassinio di Ilaria Alpi. Tutte vicende che hanno visto interi apparati militari e polizieschi operare per coprire sanguinosi segreti di Stato. 
Le centinaia e centinaia di pagine di intercettazioni finite nei brogliacci che gli inquirenti hanno depositato alla procura di Trapani nell’ambito dell’inchiesta su presunti traffici di migranti compiuti dalle navi delle ong, non possono essere giustificate come errori o verifiche eccessive attuate al solo scopo di completare le indagini in corso. I giornalisti intercettati non erano e non sono indagati per questa vicenda, e nessuno aveva motivo di ritenere che potessero essere implicati nei reati contestati alle ong. Reati che, tra l’altro, non ci sono. 
Perché, diciamolo come va detto, siamo davanti soltanto all’ennesima montatura politica per criminalizzare il lavoro di chi salva i migranti in mare. Ma proprio per questo, proprio perché siamo di fronte ad una persecuzione giudiziaria usata come arma per far politica, l’inchiesta pubblicata su Domani del giornalista Andrea Palladino, fa ancora più paura. Fa paura perché siamo di fronte ad un potere che sa benissimo da che parte sta la ragione. Lo sappiamo noi e lo sa anche chi governa che non sono le ong che violano i trattati internazionali sul soccorso in mare. Non  sono le ong che finanziano politiche assassine di esternalizzazione delle frontiere. Non sono le ong che finanziano bande di delinquenti come la guardia costiera libica o che sostengono regimi corrotti, fascisti e massacratori in cambio degli ultimi barili di petrolio rimasti su questo pianeta agli sgoccioli. 
Non sono le ong ma le politiche migratorie dell’Unione Europea che dovrebbero finire nel banco degli imputati per violazione dei diritti fondamentali dell’uomo sanciti dalle convenzioni i internazionali. Intercettare i giornalisti che, inseguendo quella che il codice deontologico chiama la “verità sostanziale dei fatti”, non possono fare altro che raccontare quanto accade in Libia e nel Mediterraneo, non può nascondere altro che un tentativo del potere di nascondere o tacitare questa verità. E nascondere e alterare la verità, lo sappiamo bene, è la prima regola di uno Stato fascista. Perché la libera informazione è uno degli scudi più potenti a difesa della democrazia. 
Ma c’è anche un secondo aspetto, ancora più pericoloso che va messo in luce. L’inchiesta della procura di Trapani è cominciata nel 2017 su pressione del Servizio Centrale Operativo (Sco) alle dipendenze dell’allora ministro Marco Minniti. Un nome che non ci tranquillizza affatto, considerando che la “stretta” sulle politiche migratorie, perseguita poi da Matteo Salvini, è avvenuta proprio con questo egregio rappresentante del Pd. 
Vien da chiedersi allora come lo Sco intende o intendeva usare queste intercettazioni. Scoprire le fonti che fornivano informazioni ai giornalisti? Per lo più si tratta di persone che vivono situazioni già pericolose che hanno un rapporto fiduciario col giornalista professionista che ha l’obbligo deontologico di tutelarli. Far trapelare questi nomi significa mettere loro, e spesso anche le loro famiglie, a rischio della vita. 
Nello Scavo di Avvenire, è stato intercettato mentre chiedeva ad un migrante detenuto in un lager libico se fosse possibili avere dei video che denunciavano le brutalità commesse dagli aguzzini. Altri giornalisti sono stati intercettati mentre pianificavano con contatti locali un viaggio in Libia. 
L’aspetto più inquietante della faccenda è che i giornalisti non sono stati soltanto intercettati ma ne sono stati rilevati anche gli spostamenti. Davvero queste sono informazioni “basilari” nell’ambito di una indagine farlocca sulle ong? No. Questa giustificazione non è assolutamente sostenibile. Sottolinea Beppe Giulietti in un suo tweet “Non abbiamo risposta alla domanda essenziale: perché venivano registrati i colloqui tra una cronista come Nancy Porsia e la sua legale Alessandra Ballerini (l’avvocata della famiglia Regeni.ndr) e perché sono state trascritte le parti relative ad un prossimo viaggio in Egitto “senza scorta” dell’avvocata?” La risposta fa paura. 

La Capitaneria di porto «punisce» il comitato No Grandi Navi

Venezia, multa di ventimila euro.

Ventimila euro di multa per affondare il comitato No Grandi Navi. Ventimila euro di multa per fatti accaduti quattro anni fa e che, non hanno dubbi a proposito le attiviste e gli attivisti veneziani, hanno solo lo scopo di stroncare le proteste degli ambientalisti contro questi mostri del mare. Le ingiunzioni inviate dalla Capitaneria di Porto sono datate 4 marzo 2021 ma riguardano fatti accaduti il 24 settembre del 2017, quando centinaia di attivisti si mobilitarono in barca o a piedi, lungo la fondamenta del canale della Giudecca, per protestare contro il via vai delle grandi navi. «Fu una importante manifestazione cittadina ricorda Federica Toninello, portavoce del comitato -. Per l’occasione avevamo costruito un palco galleggiante dove si esibirono molti artisti e dove suonarono vari gruppi musicali. Fu una manifestazione di protesta pacifica e senza violenze. Le grandi navi scelsero di rimanere in porto e ritardarono la partenza, evidentemente vergognose di uscire dalla Marittima, e di ‘inchinarsi’ di fronte alla rabbia delle migliaia di residenti presenti sulle rive e nelle barche». Il canale della Giudecca fu invaso da decine di imbarcazioni a remi, a vela e a motore.

Per dare una risposta a quanti desideravano protestare dall’acqua, il comitato noleggiò sette capienti imbarcazioni. Proprio ai sette ragazzi che avevano preso il timone di queste barche sono arrivate, quattro anni dopo, le multe. Duemila euro a testa più circa sei mila euro di spese legali pendenti per un totale di 20 mila euro da pagare entro fine marzo. «Multe che colpiscono dei ragazzi, tutti ventenni, che svolgono lavori precari e che stanno attraversando un periodo particolarmente difficile a causa della pandemia. Ragazzi che non hanno fatto nulla di male e che, se hanno violato i divieti della Capitaneria, lo hanno fatto assieme a tantissime altre barche al solo scopo di difendere la nostra città e la nostra laguna».

La pandemia e le misure per evitare il diffondersi del contagio rendono difficile organizzare iniziative di sostegno e di autofinanziamento. Per questo il comitato ha deciso di affidarsi alla rete e per aiutare i sette ragazzi a pagare le ingiunzioni, ha aperto un crowdfunding sul sito Produzioni dal Basso col nome «Aiutaci a difendere Venezia Sostieni il Comitato No Grandi Navi».

«Invitiamo tutti coloro che possono contribuire a dare il loro sostegno conclude Federica Toninello -. Come decine di piccole barche hanno fermare i colossi del mare, migliaia di piccole donazioni possono rispondere a questa sorta di vendetta amministrativa che colpisce la parte più giovane e generosa del comitato. Aiutateci a continuare a lottare per Venezia, perché la nostra città non ceda agli speculatori, ma continui ad essere di chi la vive e di chi, pur non vivendoci, la ama».

Le multe non fermeranno le lotte del comitato che ha annunciato per il 10 aprile una iniziativa in Campo Santa Maria Formosa e la costituzione di un «tavolo cittadino» per consentire a residenti e istituzioni di dialogare su un futuro che vada oltre la monocultura turistica.

Condizioni inumane all'hotspot di Pozzallo. La denuncia in due video

 

di Yasmine Accardo e Riccardo Bottazzo – Hotspot di Pozzallo. Da sempre luogo impenetrabile a giornalisti ed attivisti dei diritti umani. Per sapere come si vive dentro quelle mura, diamo voce ai migranti trattenuti, alle foto e ai video che vengono inviati a LasciateCIEntrare. Qui i migranti vengono rinchiusi per quarantene che durano ben oltre i 14 giorni previsti dalla normative anti Covid. E spesso accade che l’annuncio della fine della quarantena coincida con quello dell’espulsione forzata dall’Italia. Decisione che arriva senza che abbiano avuto accesso ad alcune informazione sui loro diritti e sulle procedure per la richiesta di protezione umanitaria.
Così, in questi nudi casermoni di sbarre e cemento, i migranti, in particolare coloro che provengono dalla Tunisia, vedono infrangersi il sogno di una vita lontana dalle violenze e dalla povertà. Inevitabile che l’annuncio dell’espulsione generi proteste e anche scatti di violenza ai quali la polizia risponde con durezza. Scatti di di violenza dettati dalla disperazione che, in molti casi, sono rivolti contro la loro stessa persona. Gli episodi di autolesionismo e i tentati suicidi sono frequenti tra queste mura.

L’hotspot di Pozzallo si conferma un luogo fuori da ogni giurisdizione dove i diritti umani pesano meno di una piuma. Le persone sono ospitate in grandi stanzìni, dove il tetto non riesce a fermare la pioggia, gli impianti idrici e fognari dei bagno sono devastati. Uomini, donne e bambini condividono gli stessi spazi. Ci sono famiglie con bambini anche piccoli. Una donna in stato interessante ci invia messaggi in cui ripete di sentirsi trattata peggio delle bestie, che il cibo è insufficiente: “Vi prego fateci uscire di qui. Fateci uscire di qui. Io sto da oltre un mese non abbiamo alcuna assistenza e guardate in che condizioni viviamo”.

Tra loro anche un minore con il padre con una grave patologia invalidante che dorme su un letto su cui cade l’acqua. Così sono costretti a trascorrere una quarantena che avrà fine solo con l’espulsione.

Fuori da quelle grigie mura c’è una società “civile” alla quale sembra non importare nulla del trattamento inumano e degradante imposto a questa umanità in fuga dal nostro stesso Governo. Così funziona la macchina di questa accoglienza carceriera che è solo un prolungamento delle sofferenze che questi migranti hanno subite in precedenza, nel lungo viaggio che li ha portati a rischiare la vita in mare. A noi rimane il peso di vivere in un Paese dove l’abuso di potere nei confronti dei più deboli e disperati è legge indiscussa da troppo, troppo tempo.

A Mestre in piazza per chiedere reddito e salute


Proteste. 
A manifestare circa 250 persone tra i quali molti attivisti di Fridays For Future che nei loro interventi hanno sottolineato come la pandemia sia solo una delle conseguenze dei cambiamenti climatici

C’è anche una piazza che va in un’altra direzione. Una piazza dove non si fanno saluti romani, non si urla “non c’è il coviddì”, e non si sfasciano le lapidi dei partigiani. Una piazza dove la prima regola è indossare la mascherina e rispettare la distanza di sicurezza. Questa piazza si è riunita alle 19 di ieri a Mestre, nel piazzale Donatori di Sangue, per ribadire che dalla pandemia non se ne esce se non si cambia quel sistema che è la causa stessa dell’epidemia. Quel sistema che ha mercificato la terra, inquinato l’aria ed in mari, innescato i cambiamenti climatici e che oggi ci pone davanti al ricatto “reddito o salute”.

La manifestazione regionale è stata preceduta, giovedì 29, in piazza Antenore a Padova, da una iniziativa organizzata dalle maestranze dello spettacolo, uno dei settori più colpiti dalle chiusure del Governo ed esclusi dalle misure di sostegno che Regioni ed enti locali hanno varato per fronteggiare la crisi. La protesta si è conclusa con la simbolica “muratura” del portone della prefettura con decine di quei bauli solitamente usati dai tecnici dello spettacolo per riporre le strumentazioni.

Una manifestazione pacifica e colorata, proprio come questa svoltasi oggi nel cuore di Mestre per chiedere “Reddito, salute e futuro per tutt*”. Una manifestazione quest’ultima, lanciata da giovani e giovanissimi, per lo più studenti e studentesse delle scuole superiori o dell’università, e rimbalzata nei social a livello soprattutto individuale per ribadire che ci sono altre ragioni per scendere in strada, oltre quelle delle categorie economiche o dei negazionismi alle quali i media danno ampio spazio, ignorando la complessità di una protesta che va ben oltre la spaccata alla vetrina di Gucci.

“Reddito e salute per tutti!”, “Nessuna va lasciata indietro” “Vogliamo trasporti, sanità e istruzione pubblici e gratuiti per tutte e tutti”, sono alcuni degli slogan che si sono sentiti nella manifestazione. Slogan ben diversi da quelli che si sentono nelle piazze negazioniste o nelle iniziative gestite da organizzazioni di categoria che si limitano a chiedere sostegno per i propri affilati. “Reddito e salute non sono in contrapposizione ma diritti che devono essere garantiti a tutte e tutti spiega la giovane studentessa Anna, attivista del Loco, il Laboratorio Occupato Contemporaneo di Mestre Nei mesi che ci hanno separato dalla prima ondata, il Governo e gli enti locali non hanno fatto nulla per garantire la salute e per salvaguardare il diritto allistruzione in sicurezza e per tutelare lavoratori e lavoratrici.

Non sono stati potenziati i trasporti pubblici, non sono stati individuati altri spazi per la didattica che oggi ritorna ad esserci riproposta on line. Noi chiediamo un cambio di rotta che non è solo funzionale al contrasto del Covid. Chiediamo lo stop degli affitti e delle utenze. Vogliamo reddito per tutte e tutti e l’imposizione della patrimoniale per i ricchi e soprattutto per coloro che hanno approfittato della pandemia per arricchirsi ancora di più”.

Alla manifestazione hanno partecipato circa 250 persone tra i quali molti attivisti di Fridays For Future che nei loro interventi hanno sottolineato come la pandemia sia solo una delle conseguenze dei cambiamenti climatici e probabilmente neppure la più grave che ci attende e di una crisi

globale che investe l’intera economia di un pianeta ancora fondata sul capitalismo fossile. Una crisi in cui nessuno ha la ricetta risolutiva in mano ma che apre interi orizzonti di lotta da costruire.

Venezia, operazione di polizia contro il centro sociale Rivolta. Gli attivisti: «È una ritorsione»

Movimento. Alle prime luci dell'alba un ingente schieramento di agenti e blindati intorno allo storico spazio sociale di Marghera per un'azione in difesa dell'ambiente


Non hanno dubbio alcuno, le attiviste e gli attivisti del Rivolta. La maxi operazione di polizia svoltasi questa mattina, martedì 20 ottobre, dentro la sede dello storico centro sociale di Marghera, non era una perquisizione ma una vera e propria ritorsione per le iniziative portate a termine dalla neonata rete Rise Up 4 Climate Justice. Come quella avvenuta il 10 settembre scorso, con il blocco dell’ impianto Eco-progetto di Veritas dove Regione e Comune vogliono realizzare un nuovo e contestatissimo inceneritore. Oppure quella del 12 settembre che ha visto i Fridays For Future entrare e appendere striscioni dentro gli spazi della raffineria Eni di Fusina. Iniziative che sono state accolte con la massima durezza non soltanto da parte di Eni e Confindustria ma anche dei sindacati confederati che, in un testo congiunto, hanno invocato «tolleranza zero» verso gli attivisti climatici.

Gli effetti di questa «tolleranza zero» si sono visti ieri mattina alle sette quando un nutrito contingente di 150 tra poliziotti, guardie di finanza e carabinieri in assetto antisommossa, supportati da otto mezzi blindati, ha fatto irruzione nel centro sociale, sfondando le porte di accesso e per tre ore hanno messo a soqquadro tutto l’edificio, impedendo ai numerosi attivisti corsi in difesa del loro spazio di entrare.

Alla fine della perquisizione, le forze dell’ordine hanno sequestrato striscioni, vernici e qualche maschera antigas. Come dire: tutto quello che ti aspetteresti di trovare in un centro sociale che fa attività politica.

Il cso Rivolta, i cui spazi sono di proprietà del Comune di Venezia e regolarmente, è il cuore dei movimenti ambientalisti della città, come i Fridays for Future. «Non ci lasceremo certo intimidire da queste operazioni ha dichiarato Vittoria Scarpa, portavoce del cso È chiaro che i grandi movimenti che da tempo stanno chiedendo a gran voce un cambio radicale dell’attuale modello di sviluppo fanno paura. Il tentativo di criminalizzarci risponde ad un tentativo di ribaltare la realtà, indicando come responsabili della devastazione del territorio proprio quei movimenti ambientalisti che hanno avuto il coraggio di puntare il dito sui veri colpevoli».

L’epidemia che tutti stiamo affrontando è emblematica di questo tentativo di distorcere le colpe. «Sappiamo tutti che la pandemia è una conseguenza delle crisi climatica conclude Vittoria Scarpa eppure qualcuno sta gestendo questa crisi in corso proprio tentando di cancellare quei movimenti che continuano a mettere in luce il nesso tra estrattivismo selvaggio, mutamento degli equilibri ecosistemici e diffusione dei virus». Solidarietà al Rivolta è arrivata da tutti i movimenti ambientalisti del Veneto che hanno organizzato presidi davanti alle sedi Eni.

Fridays for Future vs Eni, gli ambientalisti rispondono alle accuse dei sindacati

Ambiente
. Dopo l'irruzione degli attivisti nella Bioraffineria di Marghera è arrivato il comunicato di condanna di Confindustria Veneto, sottoscritto anche dai confederali. Gli ambientalisti rispondono con una nuova azione «Il vero crimine è il green washing di Eni»


Non si è fatta attendere la risposta degli attivisti di Fridays For Future del Veneto al comunicato firmato congiuntamente da Confindustria e dai sindacati confederali Filctem Cgil, Femca Cisl e Uiltec Uil, che hanno bollato come “fatto criminoso” l’occupazione della Bioraffineria Eni di Marghera.

Il fatto era accaduto il 12 settembre scorso, quando un nutrito gruppo di ragazze e ragazzi del Climate Camp che si svolgeva al vicino cso Rivolta, ha simbolicamente invaso l’area dell’impianto industriale appendendo striscioni in cui si denunciava le attività inquinati e climalteranti dell’Eni in Paesi come il Niger, il Mozambico e la stessa Italia. Basti pensare alle 400 tonnellate di petrolio fuoriuscite dal Centro Olio Val D’Agri che hanno contaminato le falde acquifere della Basilicata.
L’iniziativa dei FfF non è stata digerita dal presidente di Confindustria Venezia, Vincenzo Marinese, che ha scritto una dura lettera al prefetto, per chiedere tolleranza zero verso queste azioni. Lettera sottoscritta anche dai sindacati confederali. «Vogliamo difendere tutti insieme il lavoro, la sicurezza dei nostri dipendenti, le imprese e la tradizione manifatturiera di questo territorio. Per questo motivo condanniamo i fatti criminosi avvenuti alla Bioraffineria Eni» dichiara il Presidente di Confindustria Venezia Vincenzo Marinese. «Azioni pretestuose come questa finiscono per nuocere sia al tessuto produttivo che a quello sociale ha dichiarato Marinese- La vera battaglia oggi in corso vede due schieramenti contrapposti: uno pro e l’altro contro il lavoro. Noi, insieme alle organizzazioni sindacali siamo a favore del lavoro».

Chi non ci sta a considerare l’inquinamento come una inevitabile conseguenza del lavoro, sono la ragazze e i ragazzi di FfF che sabato pomeriggio hanno risposto per le rime alla presa di posizione di sindacati e Confindustria rimettendosi la tuta bianca ed occupando l’entrata dell’associazione industriali, al Vega di Marghera, alzando un lungo striscione con la scritta Eni distrugge il pianeta. Stop climate change. Una ottantina i presenti.

«Se il nostro gesto è ‘criminoso’ che dire allora delle azioni di multinazionali come Eni e Shell le cui politiche estrattive sono alla base della crisi ecologica che stiamo vivendo? ha commentato il giovane Sebastiano Bergamaschi A chi ci accusa di aver messo in pericolo i lavoratori, ribadiamo che la nostra azione alla Bioraffineria si è svolta senza arrecare nessun danno agli impianti e senza mettere a rischio la salute delle lavoratrici e dei lavoratori. Lo stesso non si può dire di Eni, che non esita a minare la salute dell’intero pianeta».

Se si entra nell’home page del sito della multinazionale, hanno spiegato i giovani durante la conferenza stampa svoltasi sotto le finestre di Confindustria, l’impressione è quella di una associazione ambientalista come Greenpeace o Legambiente. Non c’è traccia di petrolio ma solo link ad iniziative ecologiche.

«È soltanto un ipocrita tentativo di green washing ha commentato Sofia Demasi. «Le fonti fossili restano il core business dell’azienda: nel 2018 gli investimenti nellʼupstream costituivano il 74% del totale, con un incremento costante della produzione dal 2016 e un ulteriore picco previsto per il 2025. Ma il futuro che vogliamo, l’unico futuro che può avere il pianeta, è un futuro senza fossili. Eni continua a marciare ella direzione opposta. Non è questo il vero crimine?».

A Venezia il ciclone Brugnaro travolge Baretta e resta sindaco


Comunali. Con il 54 % dei consensi l’imprenditore «del fare» guadagna il suo secondo mandato. I 5 stelle sotto il 4% perdono 8 punti. La candidata Visman superata dalla lista civica ecologista

La valanga Zaia trascina con sé anche la slavina Brugnaro. La destra conquista Venezia e lo fa al primo turno, riconfermando il sindaco uscente. La coalizione a supporto di Luigi Brugnaro si è portata a casa quasi il 55 per cento delle preferenze, lasciando il candidato del centro sinistra, Pier Paolo Baretta (sottosegretario Pd all’economia), poco sopra il 29 per cento. Sotto il 4 per cento la candidata sindaca dei 5 Stelle, Sara Visman, superata anche dalla civica ecologista Terra e Acqua di Marco Gasparinetti (4 per cento netto).

Visman si è detta comunque contenta per i risparmi sulla spesa pubblica di cui gli italiani potranno godere grazie alla vittoria sul referendum per il taglio dei parlamentari. Cinque anni fa i grillini avevano portato a casa il 12,8 per cento. Altri tempi, per il partito della Casaleggio & figli che nel resto della Regione hanno fatto ancora peggio, scendendo al 3 per cento e rimanendo fuori dal Consiglio,

Tutta un’altra musica per Brugnaro che, come Luca Zaia, è volato nel conteggio dei voti grazie alla sua lista «fucsia». Una lista che, sempre secondo il sindaco imprenditore di Venezia, non sarebbe né dei destra né di sinistra ma caratterizzata dal «fare».
I fucsia si sono confermati il primo partito in città col 31 per cento dei consensi. Secondo partito in laguna, il Pd con il 19 per cento. In crescita di due punti e mezzo rispetto al 5 anni fa. Costante la Lega al 13 per cento e balzo in avanti per Fratelli d’Italia, dal 2 al 7 per cento. Con un 5 per cento di voti, tornano in consiglio comunale i Verdi dentro la lista Venezia Verde e Progressista che si era schierata a sostegno di Baretta.

Come per le scorse amministrative, i voti all’imprenditore milionario Brugnaro è titolare dell’agenzia di lavoro interinale Umana spa sono venuti soprattutto dalle terraferma. La città d’acqua infatti anche in questa occasione si è schierata per il centro sinistra (52 per cento) confermando che tra il colore fucsia ed il popolo delle calli l’amore non è mai sbocciato.

Popolo delle calli che oramai è ridotto ai minimi termini. L’emorragia dei residenti per far spazio a nuovi alberghi e B&B, durante l’ultima amministrazione 5 mila nuovi abitanti in meno. In compenso, è triplicato il numero di locazioni turistiche, senza contare il nuovo e mastodontico «fronte alberghiero» realizzato con la benedizione di Brugnaro a ridosso della stazione di Mestre.

Favorevole alle grandi navi, al nuovo inceneritore di Fusina imposto da Zaia per bruciare i rifiuti contaminati da Pfas provenienti dal vicentino, il sindaco fucsia è per le «soluzioni facili» e misura il suo operato col solo metro dei «schei». Il suo concetto di democrazia lo ha spiegato lui stesso: «Ho fatto piazza pulita col napalm delle municipalità perché mi avrebbero votato contro».

Vuole una città sicura, spiega. In campagna elettorale si è vantato di essere «quello che ha dato il mitra ai vigili» dimenticandosi di sottolineare che sotto la sua amministrazione Mestre è diventata la capitale veneta dello spaccio e dei morti per droga.

Omofobia no grazie. «Noi non ci stiamo più»


Manifestazione a Padova. Centri sociali e associazioni domani in piazza insieme a Mattias e Marlon, picchiati per un bacio gay

Torneranno là, Mattias e Marlon, colpevoli solo di essersi scambiati un bacio. Torneranno entrambi nello stesso posto in cui hanno subito l’aggressione omofoba. E lo faranno domani sera, con tutte le amiche e gli amici che vorranno dimostrare solidarietà per la violenza subita dai giovani e, soprattutto, per ribadire che episodi come quello accaduto venerdì sera a Padova, non saranno più tollerati.

In tanti hanno già aderito alla mobilitazione lanciata a sostegno dell’appello «Noi non ci stiamo più!», che si svolgerà domani a Padova, nella centralissima piazza delle Erbe, a partire dalle 18,30. Tra i firmatari troviamo Non una di meno, l’Arcigay, i centri sociali del nord est, coalizione civica per Padova (la formazione che ha sostenuto Arturo Lorenzoni, il candidato anti Zaia, sconfitto nelle elezioni di ieri), Europa Verde, Potere al Popolo, vari collettivi universitari di Padova e Venezia e tante associazioni per i diritti umani.
Tra gli onorevoli che si sono esposti per primi a solidarizzare con i due ragazzi, ricordiamo Alessandro Zan, padovano doc e primo firmatario della proposta di legge contro l’omofobia attualmente in discussione in Parlamento. «Da padovano sono profondamente scosso, perché Padova è una città che, in particolare negli ultimi anni, ha fatto dei diritti e dell’inclusione una bandiera ha dichiarato il deputato -. Questo ennesimo attacco, nel cuore di una città all’avanguardia sul rispetto dei diritti, dimostra come la legge contro l’omotransfobia e la misoginia non sia davvero più rinviabile: per questo in ottobre l’approveremo alla Camera, e poi passerà al Senato, dove verrà approvata definitivamente in tempi rapidi».

Proprio la volontà di rispondere a chi continua a dire che nel nostro Paese non esiste un problema di razzismo, è stata la molla che ha spinto Mattias Zouta, 26 anni, di professione pizzaiolo, e Marlon Landolfo, 21 anni, studente universitario, a denunciare l’accaduto ai carabinieri ed a lanciare l’appello alla mobilitazione. «Abbiamo deciso di denunciare l’episodio alle forze dell’ordine e di raccontare a tutti quello che è avvenuto perché siamo stanchi di dover subire violenze omofobe. Vogliamo fare in modo che queste manifestazioni di odio e discriminazione non ci siano più», spiega Marlon in un video postato su Facebook.

Mattias racconta così l’episodio accaduto a lui e al suo compagno, colpevoli solo di essersi scambiati un bacio: «Stavamo passeggiando mano a mano sul Liston, all’altezza del Comune, quando siamo stati avvicinati da quattro ragazzi e due ragazze che hanno cominciato a seguirci insultandoci. Quando gli abbiamo risposto di andarsene e di lasciarci in pace, siamo stati aggrediti fisicamente. Ci hanno gettato a terra e dato pugni in faccia. A Marlon hanno pestato la caviglia e gli sono saltati addosso pestandolo al grido di ‘frocio di merda’. Un nostro amico intervenuto a difenderci ha ricevuto una bicchierata in testa».

Il ragazzo è stato portato in ospedale dove ha ricevuto 5 punti di sutura. Gli inquirenti stanno indagando per identificare gli aggressori tramite le immagini delle telecamere presenti sulla piazza. «Pensiamo anche a quanto accaduto a Willy, ucciso dalla mascolinità tossica e dai comportamenti menefreghisti della collettività e alla diversità ha aggiunto Mattias -. Di episodi di questo genere ne abbiamo visti fin troppi ed è giunto il momento di dire basta». Piena solidarietà ai due giovani, è stata espressa anche dal sindaco di Padova, Sergio Giordani. «Nella speranza che vengano al più presto individuati i responsabili va ribadito che Padova è una città libera che non tollera prevaricazioni. Va confermato l’impegno a ogni livello per combattere ogni discriminazione e forma di violenza anche con adeguati strumenti normativi».

La necessità di una legge contro l’omofobia è stata ribadita anche nell’appello lanciato dai due giovani in cui si sottolinea come ci si trovi oggi ad affrontare un problema che per anni è stato nascosto come polvere sotto il tappeto sino a sviluppare un sistema che educa all’intolleranza ed abitua all’indifferenza. «Un tumore sociale nutrito da chi, ogni giorno, si schiera contro la visibilità e i diritti delle persone non eterosessuali. Ma da oggi, noi non ci stiamo più».

Ciclone Zaia, il governatore stravince. E affossa Salvini


Veneto
. Il governatore uscente prende tre voti su quattro e la sua lista triplica le preferenze della Lega. Oggi spoglio delle comunali di Venezia

Zaia come l’acqua alta. L’onda leghista ha sommerso il Veneto. Un successo superiore alle previsioni, quello registrato in queste amministrative per il governatore in carica. Un successo avallato soprattutto dalla pratica del voto disgiunto. In poche parole, moltissimi elettori avrebbero indicato Luca Zaia come presidente, pur assegnando il loro voto a partiti inseriti in altre coalizioni. «Se l’andamento continua così ha spiegato Paolo Feltrin, responsabile dell’Osservatorio elettorale del Consiglio regionale avremo un numero di voti al solo presidente nettamente superiore ai voti dati alla coalizione». Il che, secondo il tecnico, spiega anche il rallentamento dello spoglio delle schede e nel conteggio dei voti.
I GIOCHI COMUNQUE appaiono chiari. Le ultime proiezioni della Rai, effettuate da Consorzio Opinio, Luca Zaia è dato al 74,2 per cento mentre Arturo Lorenzoni, candidato del centrosinistra, si ferma al 16 per cento. Come dire che sette veneti su dieci hanno votato Zaia presidente. Distanti gli altri candidati. Paolo Girotto di Potere al Popolo è all’1,2 e il pentastellato Enrico Cappelletti non supera il 4 per cento. Una debacle senza scusanti, questa dei Cinque Stelle che nelle precedenti regionali del 2015 erano al 12 per cento e che sembrano arrivati alla fine della pista. Sotto l’uno per cento le altre civiche in lizza, ben lontane dal superare lo sbarramento del 3 necessario per entrare in Consiglio. La valanga Zaia, forte di quasi 25 punti percentuali in più rispetto al 2015, era largamente prevista dagli osservatori. Ci si attendeva di più dal candidato Lorenzoni, la cui campagna elettorale è stata penalizzata dall’essere risultato positivo al Covid a due settimane dal voto.

SCONTATA LA VITTORIA del governatore in carica, favorita anche dalla sua massiccia presenza nei media per l’emergenza Coronavirus, ma va sottolineato come la sua personale vittoria non farà certo piacere a Matteo Salvini. La lista del governatore infatti è data sopra il 47 per cento, come dire che avrebbe vinto anche da solo, mentre la Lega di Salvini non raggiunge il 15. In un comunicato stampa diffuso della segreteria della Lega si afferma che «non ci sono problemi di dualismo» e si plaude la vittoria di Zaia ma, dopo questi risultati, la battaglia per la leadership all’interno del Carroccio rimarrà più che mai aperta. Lo si è visto anche durante la campagna elettorale, quando sostenitori degli opposti schieramenti leghisti sono venuti alle mani, durante la distribuzione dei volantini.

PER QUANTO RIGUARDA il centrosinistra, il Pd risulta il partito più votato con il 17,3 per cento. Un punto in più rispetto al 2015. La lista personale di Lorenzoni ha ottenuto soltanto l’1,6 per cento, sempre secondo le citate proiezioni. Nel flop complessivo del centrosinistra, va sottolineato il successo dei Verdi. Europa Verde si porta a casa un 2,4 per cento che gli frutterà, presumibilmente, il primo consigliere regionale. Ultima nota sulla partecipazione. L’affluenza nel Veneto è stata tra le più alte d’Italia: oltre il 60 per cento, addirittura superiore di 5 punti quella delle precedenti consultazioni. La paura della pandemia non ha scoraggiato gli elettori veneti.

INCASSATA la sconfitta elettorale, al centrosinistra non rimane che attendere i risultati delle Comunali. Una partita importante si giocherà in laguna dove è in palio la poltrona di sindaco di Venezia. Il primo cittadino uscente, il fucsia Luigi Brugnaro, se la gioca con lo sfidante di sinistra, Pier Paolo Baretta. L’obiettivo del centro sinistra è quello di raggiungere il ballottaggio per tentare di aggregare in seconda battuta tutte le altre coalizioni anti Brugnaro che si sono presentate con propri candidati. Se i voti assegnati al consiglio regionale rispecchieranno quelli dati al Comune (lo spoglio inizierà solo domani mattina), Brugnaro dovrebbe farcela ad essere rieletto al primo turno. Ma sarà comunque una sfida all’ultimo consenso, anche in virtù della pratica del voto disgiunto e Brugnaro, in laguna, non è amato quanto Zaia.

INTANTO A TREVISO, feudo dell’elettorato di Luca Zaia, i sostenitori del governatore hanno alzato un grande palco per festeggiare il loro «doge». Chiamavano così anche Giancarlo Galan. Non è finita bene.
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