In questa pagina ho riportato gli ultimi articoli che ho scritto per il quotidiano ambientalista Terra, il settimanale Carta, Manifesto, per siti come Global Project, FrontiereNews o siti di associazioni come In Comune con Bettin e altro ancora.

A Venezia tornano le navi-crociere, ma in Laguna scatta la protesta

È un vero proprio “no pasaran” quello lanciato dal comitato No Grandi Navi di Venezia contro l’ipotesi del Governo di riaprire la laguna al traffico crocieristico. “Non abbiamo mai accettato prima la presenza di questi megamostri che hanno devastato il fragile ecosistema lagunare spiega Tommaso Cacciari portavoce del comitato -, la accettiamo ancora meno in questo momento di grave crisi sanitaria in cui le navi si sono rivelate bombe ad orologeria del contagio. Ci siamo già dimenticati di quando questi lazzaretti galleggianti navigavano di porto in porto alla disperata ricerca di un approdo che gli veniva costantemente negato?”.

Il decreto del Governo (Dpcm) volto a disciplinare la proroga dello stato di emergenza sanitaria sino al 15 ottobre prevede infatti la riapertura di spazi considerati vitali per l’economia come discoteche, fiere e crocieristica. Il Dpcm doveva essere varato in questi giorni, ma il Governo si è preso una settimana di tempo per valutare l’andamento della curva dei contagi che ha registrato in Italia come in Europa un preoccupante incremento. Ma tutto lascia presagire che il nuovo Dpcm sarà approvato entro il 9 agosto, dando il via libera alle sopracitate attività.

Lo ha auspicato lo stesso ministro dello Sviluppo economico, Stefano Patuanelli (5stelle): “Credo che le crociere possono ripartire e dare un segnale per tutta l’economia ha dichiarato il ministro -. Attualmente ci sono quattro navi pronte a ripartire seguendo il protocollo di sicurezza”. Chi non ha dubbio alcuno che le Grandi Navi avranno presto il via libera, è il comitato No Navi. D’altra parte, basta cliccare sui siti delle grandi compagnie come la Costa o la Msc Cruises per constatare che sono già in vendita biglietti per le crociere in partenza da Venezia sin da sabato 15 agosto.

“Queste compagnie multimiliardarie hanno i tentacoli ben estesi dentro le cosiddette stanze del potere continua Cacciari e, pur di non perdere gli introiti della stagione, sono pronti ad andare in deroga ai più elementari protocolli di sicurezza. Come si fa a far mantenere le distanze a 4500 passeggeri più l’equipaggio che si muovono in corridoi larghi poco più di un metro? Per non parlare degli sbarchi nei porti. Dovrebbero fare il tampone e tutti ogni volta che scendono o risalgono nella nave”.

La ventilata decisione del Governo di riportare le grandi navi in laguna, senza curarsi degli incidenti che avevano caratterizzato la scorsa stagione e del rischio di ripresa della pandemia, mette in difficoltà tutto il centro sinistra veneziano che si sta avviando ad una difficile competizione elettorale per le amministrative. Se l’attuale sindaco fucsia, Luigi Brugnaro, che sul Covid la pensa come Bolsonaro e Trump, si è detto “felicissimo” per la riapertura della stagione crocieristica, non è così per il suo rivale Pier Paolo Baretta, parlamentare del Pd e sottosegretario al ministero dell’Economia, che si è espresso in molte occasioni contro la presenza della grandi navi in laguna e che è sostenuto da una coalizione che comprende anche verdi e ambientalisti.

L’imbarazzo si allarga anche ai 5Stelle locali che, se stanno ancora litigando sul candidato da opporre a Brugnaro, sono comunque tutti d’accordo che le grandi navi se ne devono stare lontane da piazza San Marco, contraddicendo la posizione del loro stesso ministro.
Chi non chiede voti ma offre mobilitazione è il comitato No Navi. “Non possiamo e non vogliamo tornare come eravamo prima. annuncia in una conferenza stampa svoltasi ieri mattina una ragazza

col volto coperto da una passamontagna colorato -. Pretendiamo una progettualità diversa ed una economia equa e compatibile con lambiente. Ma se si ostinano a non ascoltarci promettiamo un ferragosto rovente. Impediremo alla Costa Deliziosa di attraccare a Venezia sbarrandole l’ingresso in laguna con le nostre barche ed i nostri corpi. Arriveremo anche a compiere azioni di sabotaggio contro la nave. Stavolta non passeranno”

I decreti sicurezza dietro il focolaio dell’ex caserma di Treviso

Covid-19. I migranti hanno manifestato per il rischio contagi. Ora la Lega li accusa. E già a giugno le ong denunciavano il sovraffollamento nel centro, dovuto all'abolizione degli Sprar

Succede quando l’accoglienza finisce in caserma, quando il Covid non esiste e, se esiste, lo diffondono i migranti. Succede al centro di accoglienza situato nell’ex caserma Serena di Dosson di Casier, piccolo borgo a ridosso di Treviso, oggi trasformatosi in uno dei più pericolosi focolai di infezione del Veneto.

Gli ultimi tamponi effettuati dall’Ulss tra venerdì e sabato mattina hanno accertato la presenza di 137 positivi su 297 ospiti testati della struttura.

IL FORTE RISCHIO di diffusione della pandemia tra i migranti ammassati nei dormitori comuni dell’ex caserma era già stata denunciata dalle associazioni per i diritti umani sin da metà giugno. Un operatore della struttura appena rientrato dal Pakistan era stato spedito a lavorare senza fargli rispettare il periodo di quarantena.

Per paura di perdere il lavoro, nella mensa della struttura, l’uomo nascondeva la febbre con le Tachipirine. Solo al momento del suo ricovero in ospedale, è stato scoperto positivo al Covid-19.

I MIGRANTI HANNO organizzato anche alcune manifestazioni di denuncia del rischio di diffusione della pandemia, ma non sono stati ascoltati dal sindaco di Treviso, il leghista Mario Conte, che si è opposto a qualsiasi ipotesi di trasferimento e di smistamento degli ospiti in strutture più piccole, minimizzando la questione, invocando un impossibile coprifuoco e tacciando gli ospiti di ingratitudine.

Il risultato è quello che oggi è sotto gli occhi di tutti. L’infezione si è propagata e ora quasi metà degli ospiti dell’ex Serena sono stati contagiati.

«Ma i migranti costretti a vivere in quel posto orribile che è l’ex caserma Serena non sono untori ha commenta Monica Tiengo dell’Adl Treviso Sono le vittime dei decreti sicurezza voluti da Salvini. Le vittime di un sistema che li vuole prigionieri in uno dei più grandi hub della regione. Fin dalla sua apertura chiediamo che quel posto venga chiuso e che i richiedenti asilo vengano distribuiti in strutture più piccole e dignitose. E invece hanno fatto di tutto per favorire la diffusione del virus, così che oggi possono dare la colpa del Covid ai migranti e trasformare la paura in voti».

Il centro situato negli spazi dell’ex caserma Serena è gestito dalla srl Nova Facility, una società sorta sulle ceneri dell’impresa di costruzione Pio Guaraldo spa, chiusa nel 2017 per fallimento con un buco di svariati milioni di euro dopo aver gettato nel lastrico centinaia di creditori.

Un anno fa, la gestione del centro gli era stata soffiata da una cooperativa napoletana, la Marinello. La faccenda finì in tribunale. Il giudice diede ragione alla Nova Facility che tornò a gestire l’ex caserma. La nuova amministrazione di Treviso le ha affidato anche tutti i servizi sociali della città.

I MIGRANTI POSITIVI dell’ex Serena sono diventati in Veneto un fertile terreno di battaglia elettorale e hanno scatenato nei social la rabbia delle destre che imputano la diffusione del contagio ai migranti. Lo stesso presidente della Regione, Luca Zaia, ha dichiarato: «All’ex caserma Serena c’è

un focolaio di coronavirus perché ci sono delle persone che hanno dato vita al focolaio».

Il presidente uscente ha invocato l’immediata chiusura del centro, dimenticandosi che la struttura era stata fortemente voluta da una amministrazione comunale leghista, da una giunta regionale leghista e da un ministro leghista.

Glielo ha ricordato il suo antagonista alla carica di presidente del Veneto, Arturo Lorenzoni: «L’abolizione del sistema Sprar, per cui vanno ringraziati Salvini e la Lega, ha creato i presupposti per questi mega centri di assembramento e le condizioni per potenziali situazioni di conflitto. Io credo sia urgente lo svuotamento in sicurezza della caserma Serena, che rappresenta un modello di accoglienza superato e foriero di problemi per chi è accolto e per chi accoglie. Mettiamo in atto un’accoglienza diffusa, gestibile e a misura della dignità delle persone che è anche l’unica capace di fermare la diffusione del virus».

Com’è cambiata Ferrara dopo un anno di Lega

Ruspe, tagli al welfare e acquisti sproporzionati di crocefissi. Viaggio a Ferrara un anno dopo l’elezione della prima Giunta leghista. Cosa hanno fatto finora gli amministratori guidati dal volto rassicurante di Alan Fabbri e dal “metodo Naomo” del suo vice Nicola Lodi? 


Ferrara è esplosa di odio e di rabbia poco dopo la mezzanotte. Lo spoglio delle urne non è ancora concluso ma bastano i primi exit poll a far capire che tutto era andato come doveva andare. Il capoluogo della provincia emiliana è conquistato alla Lega che spazza via un centro sinistra frammentato, presuntuoso e rancoroso.

E così, quel 9 giugno di un anno fa, la notte ferrarese si accende di urla, schiamazzi, saluti romani, slogan violenti contro “i negri, i froci e gli zingari”. Le solite categorie “colpevoli” di tutto quanto accade di male in Italia. Qualcuno spara in aria colpi di pistola e nemmeno la polizia interviene. Erano solo “festeggiamenti”, racconteranno il giorno dopo. La cagnare legaiola arriva sino allo scalone del municipio e copre con la bandiera di “Salvini premier” lo striscione di Amnesty dedicato a Giulio Regeni. È soltanto il “trailer” di quanto sta per andare in scena a Palazzo Municipale.

Per la prima volta dalla Liberazione, Ferrara – la colta Ferrara, la città scelta da Internazionale come sede del suo festival, la città dei Finzi Contini, dell’università e della biblioteca Ariostea – cade in mano alla  destra più becera ed ignorate, quella sovranista della lega salviniana.

Più che una caduta, un crollo. Il candidato della destra, Alan Fabbri, ha staccato con più di 13 punti percentuali il rivale Aldo Modonesi schierato dal centro sinistra: 56,8 per cento contro il 43,2.

Del nuovo sindaco di Ferrara c’è da dire che è uno che fa la sua figura. Anzi, che fa solo quella. Barbetta finto-incolta, codino sbarazzino e un po’ ribelle dietro la nuca, aspetto giovanile e piacente. A vederlo sui manifesti elettorali, gli davi pure del progressista. E il progressista, il nostro Alan Fabbri, prova pure a farlo. Appena eletto incontra la madre di Federico Aldrovandi, per dare una impressione di riappacificazione con la città. Gira per le numerose biblioteche cittadine – dove certo non rischia di incontrare i suoi elettori – assicurando che le attività culturali continueranno come prima. Anche il festival di Internazionale continuerà ad essere il fiore all’occhiello della città.

Non alza mai la voce, Alan Fabbri, neppure in consiglio comunale. Con i cittadini che incontra per strada è comprensivo, ti dà sempre regione e, qualsiasi cosa gli si chieda, promette che la sua amministrazione si occuperà del problema. Interpreta il suo ruolo di primo cittadino con un tono talmente sottomesso che ben presto anche i giornalisti locali cominceranno ad ignorarlo e il suo nome scomparirà dai titoli alti dei giornali.

Ma le notizie da pubblicare negli spazi della Cronaca Cittadina non mancheranno di sicuro, soltanto che il protagonista non sarà Alan Fabbri, ma colui che è il vero “sindaco” di Ferrara, il fiore all’occhiello della nuova amministrazione. E qui, ci vorrebbe un bel rullo di tamburi, perché entra in scena lui: il (vice) sindaco Nicola Lodi, meglio conosciuto come “Naomo” per le sue capacità imitative di Panariello.

Naomo è il classico “impresentabile” che si è presentato ed ha vinto. Anzi, stravinto. Con più di mille preferenze è lui il più votato di Ferrara.

Perché abbiamo scritto “impresentabile”? Perché il passato del nostro Naomo ha ben più di un’ombra, con ben quattro sentenze penali e una ammonizione del giudice a suo carico. È stato condannato per furto, sottrazione di beni sottoposti a pignoramento, usurpazione di funzioni pubbliche (fermava i passanti con la pelle scura per chiedere loro i documenti come fosse un carabiniere), una manifestazione non autorizzata, falsa denuncia di infortuni sul lavoro (condanne patteggiate e con il beneficio della non menzione nel casellario giudiziale, stando a quanto ricostruito dal quotidiano ferrarese estense.com). Non che queste faccende gli tormentino la coscienza. “I miei sono solo reati comuni” spiega facendo spallucce ai giornalisti che gliene chiedono conto. E se il giornalista fa notare che non è mica obbligatorio, per una persona perbene, rubare o frodare, arrivano gli insulti. Già, perché il nostro Naomo è un grande moralizzatore di giornalisti. Quelli cui va bene vengono solo etichettati come “vermi”. Quelli a cui va male, come ai colleghi di La7, si sentono minacciare: Vi faremo un culo così. Vi farò male, vi colpirò politicamente. Da lunedì sparirete, tornerete nei meandri da cui siete venuti”.

Avrete capito che il nostro rancoroso pitbull dell’Emilia Romagna, come lo hanno chiamato alcuni colleghi insultati, non è uno che te le manda a dire ma anzi che corre volentieri a cantartele di persona se appena appena gli stai sulle palle o se osi criticare il suo operato. È finita la cuccagna, vedrai il prossimo anno dove ti manderemo!” si è sentita dire la segretaria del Comune, Graziana Bersanetti.

Ma se continuiamo col capitolo “Gli insulti di Naomo” non la finiamo più. Vediamo invece chi è questo personaggio. E, già che ci siamo, saltiamo a piedi pari anche il capitolo “Scuola ed istruzione” dove c’è poca ciccia da mettere sul fuoco. Cominciamo quindi col raccontare che il nostro Naomo di professione è barbiere e, se avete presente i discorsi che si sentono quando si va a tagliarsi i capelli, vi siete già fatti una idea della scuola politica in cui il nostro si è specializzato. Vita travagliata, la sua, perlomeno prima di trovare la fortuna nella politica. Per un periodo della sua storia si è trovato senza dimora ed è stato aiutato da un prete di strada, don Bedin, che ha una associazione che si occupa di poveri e disagiati. La gratitudine non ha mai impedito al nostro Naomo di insultare anche don Bedin quando costui lo ha implorato di risparmiare le ruspe sul campo nomadi. La memoria corta è una qualità molto utile in politica.

A merito del nostro Naomo va sottolineato che, pur senza aver fatto grandi studi di comunicazione, è uno che alla gente sa parlare. E sa anche offrire soluzioni. Anzi, una sola è la soluzione che offre, ma che risolve tutti problemi. L’ha chiamata lui stesso “metodo Naomo” e consiste nel dare “pedate sul culo”. Proprio così! Trovate una sintesi di questo metodo sulla cui efficacia è lecito nutrire qualche dubbio, nel banner della sua pagina Facebook dove lo si vede col piedone alzato rivolto contro i malcapitati di turno. Che poi son sempre gli stessi: “zingari” (rom o sinti, per lui non fa differenza), “clandestini” (il termine “irregolari” è troppo difficile e non rende altrettanto bene lidea), “poveri e senza dimora” (dei vantaggi della memoria corta abbiamo già accennato), “miscredenti” (Naomo è un grande difensore della Romana Chiesa Santa e Apostolica, salvo poi bestemmiare quando pensa che le telecamere non lo stiano registrando).

In una città in cui il centrosinistra ha perso la sua capacità di dialogare con i cittadini, lui piazza nella sua bottega da barbiere un tavolino con una risma di carta sotto la scritta “Ditelo a Naomo” che raccoglie centinaia e centinaia di segnalazioni. Lui risponde a tutti. Per ogni paura, per ogni rancore, per ogni malessere, lui risponde con la sua panacea: il “metodo Naomo”. Quello del “calcio in culo”. Gli slogan che riesce ad inventarsi, corrono sulla bocca di tutta Ferrara. Anche di chi lo contesta. E lui li sfoggia orgogliosamente anche sulle magliette che si fa stampare e con le quali si pavoneggia per le piazze mentre si concede ai selfie dei suoi aficionados, come un generico di Salvini. Celeberrimo è il suo “Più rum e meno rom”. La promozione di se stesso e del suo personaggio è la sua specialità. Le forze dell’ordine multano o chiudono un negozio di stranieri per un qualsiasi motivo? State certi che arriva subito Naomo a fargli una foto, postarla su Fb e scrivere che è tutto merito suo!

E cose da dire ce ne sarebbero tante altre: dal pass per invalidi che usava in maniera quanto meno impropria, alla vasca di idromassaggio che si è fatto montare nel suo alloggio Acer dove non poteva fare modifiche e di cui non aveva neppure diritto ma che ha mantenuto mentendo sulle proprietà immobiliari della compagna.

Ma noi ci fermiamo qua. Anche perché Naomo è solo il domatore di quel vero e proprio circo delle meraviglie che oggi amministra Ferrara. Da raccontare ce ne sarebbero un bel po’ anche su Stefano Solaroli, capogruppo della Lega in consiglio, che si filma su You Tube con la pistola in mano e le piazza sotto il cuscino prima di andare a dormire. “Ho lei con me. So che qualcuno mi criticherà, ma spero che questo video venga condiviso e diventi contagioso”. Fedelissimo di Naomo, Solaroli è usato dal (vice) sindaco per fare pulizia all’interno del suo stesso partito ed espellere chi gli rema contro. Emblematico il caso della consigliera leghista Anna Ferraresi alla quale il capogruppo ha spudoratamente offerto un lavoro a tempo pieno in cambio delle sue dimissioni. La proposta indecente è finita anche su Piazza Pulita ed è costata alla consigliera, poi approdata al Gruppo Misto, una pesante bullizzazione da parte di Naomo e dei suoi fedelissimi.

E che dire dell’assessora alle pari opportunità Dorota Kusiak che pretenderebbe di essere chiamata alla maschile, “assessore” ma che ci perdonerà se diamo più credito all’Accademia della Crusca che alle sue competenze linguistiche e continueremo a declinare al femminile il sostantivo? Il suo unico contributo è stato quello di far acquistare al Comune 385 crocifissi per portarli in processione nelle scuole pubbliche con tanto di fanfare mediatiche al seguito. Altro per le scuole, il Comune non ha fatto. C’è da sperare che ci pensino i Gesù Cristi alla riapertura!

Poi c’è la storia delle panchine del Gad. Che le giunte leghiste come primo provvedimento sradichino le panchine dai parchi è una prassi consolidata. Gli spacciatori, ovviamente, continuano a spacciare esattamente come prima ma perlomeno si devono portare le sedie da casa. E va bene così. L’incredibile è che il quartiere Giardino Arianuova Doro, meglio conosciuto come Gad, è uno dei più tranquilli del mondo. È vero che è la zona di Ferrara in cui molti migranti sono andati a vivere e vi ci trovate botteghe gestite da pakistani, negozi cinesi e sale di preghiera protestanti. Qualcuno spaccia? Può anche essere. Esattamente come in tutto il resto della città. Fatto sta che, scorrendo le cronache nere ferraresi, non ci beccate un episodio di malavita in più che negli altri quartieri neanche a pagarlo oro. Bisogna dare merito alla propaganda leghista se il quartiere è diventato nell’immaginario dei ferraresi uno slum di Città del Capo.

In campagna elettorale ci han pestato duro, sul Gad. Sono scoppiate anche delle risse appositamente provocate da elementi di destra. Anzi, tentativi di rissa, perché la gente del quartiere non mai ha accettato la zuffa. Ma le tv Mediaset ci hanno cucito sopra intere trasmissioni urlate come solo loro sanno urlare. Per la cronaca, un mese fa, il 25 giugno, il Gad è stato oggetto di una maxi-operazione di polizia fortemente voluta dall’amministrazione comunale. Cento uomini con mezzi blindati a supporto hanno perquisito l’area dell’ex grattacielo. Ci hanno trovato circa cento grammi di marijuana, una discreta quantità di affittanze in nero ai danni di famiglie migranti praticate da rispettabilissimi cittadini ferraresi e hanno applicato qualche fermo. Ma c’è speranza che, continuando così, emarginando e ghettizzando, il Gad diventi davvero quel ricettacolo di violenza che i leghisti si augurano.

Che altro rimane da dire per completare la descrizione di questo circo estense? Magari rispondere alla domanda: che cosa ha combinato questa amministrazione nel suo primo anno di attività? A parte le panchine, con la rimozione delle quali hanno sconfitto la mafia, e l’acquisto dei crocifissi che ha riportato nella retta via le traviate scuole ferraresi, non c’è altro da registrare se non lo sgombero di un campo rom che ha avuto come unico effetto lo spostamento delle famiglie nei comuni adiacenti e una invidiabile collezione di selfie di Naomo che ghignava a bordo delle sue amatissime ruspe.

Che Naomo & Co. non fossero dei grandi amministratori, lo si sapeva già dall’inizio e ne hanno dato prova durante l’emergenza coronavirus quando la Giunta ha preteso di gestire da sola l’erogazione dei buoni spesa, imponendo per l’accesso dei personalissimi criteri di cittadinanza che lo stesso Tribunale ha poi bocciato definendoli “discriminatori“. Ma il risultato è stato che 34 mila euro già assegnati dalla Regione non sono stati distribuiti e tante famiglie di migranti – ma anche di italiani perché la procedura di richiesta è stata inutilmente complicata – hanno patito la fame, e si son dovute affidare al buon cuore dei vicini o ad associazioni di carità.

A compensare i tagli sul welfare, ci hanno pensato le spese infilate sotto la voce “Rilancio di Ferrara” e che riguardano l’assunzione di portaborse e comunicatori che si son fatti le suole nella Bestia di Salvini. Assunzioni che non destano sorpresa, considerando l’importanza che la destra sovranista giustamente dà alla comunicazione. Soprattutto a quella che fabbrica fake news. Così come non desta sorpresa il primo provvedimento che la Giunta appena insediatasi ha varato. Prima ancora di far rimuovere le infide panchine, sindaco e assessori si sono aumentati lo stipendio del 10 per cento. La neo-assessora al Personale, Lavoro e Attività Produttive, Angela Travagli, ha giustificato l’aumento dovuto alla necessità di avere una “visione macroeconomica molto più ampia, positiva e sistemica da parte di chi amministra”.

Venezia, giovane manganellato per una battuta

Abusi in divisa . Un riferimento ironico ai fatti di Piacenza è bastato a scatenare la reazione di due Carabinieri che hanno inseguito e manganellato un ragazzo. Lanciato per martedì un presidio per denunciare i fatti

“Prossima fermata Piacenza!” E’ bastata questa battuta per scatenare la reazione violenta e la manganellate di due carabinieri. E’ accaduto a Venezia, nella notte tra il 24 e il 25 luglio.

Il giovane che ha denunciato il fatto è Jacopo Povelato, 27enne attivista del Laboratorio Morion, che rincasava dopo aver trascorso la serata al centro sociale di Venezia. Il fatto è accaduto all’imbarcadero della Palanca, all’isola della Giudecca. Il canale noto al mondo perché porta le contestatissime Grandi Navi a fare l’inchino a piazza San Marco.

Il giovane, accompagnato da due amiche, e due militari dell’arma, uno dei quali è il maresciallo Buttà di stanza all’isola di Sacca Fisola (che si trova una fermata dopo), erano a bordo del vaporetto della Linea Notturna che collega la Giudecca a Venezia. I cinque si conoscono e si salutano. Alla Palanca, i tra ragazzi scendono. Jacopo si gira e sorridendo dall’imbarcadero si rivolge ai carabinieri rimasti a bordo. “Prossima fermata Piacenza!” gli dice sorridendo, alludendo ovviamente ai noti fatti di cronaca della caserma emiliana che ha portato all’arresto di quelle che sono state chiamate le “mele marce dell’Arma”.

Una battuta magari discutibile ma che ha causato una reazione spropositata da parte dei militari che sono saltati giù dal battello prima che il marinaio chiudesse il barcarizzo e hanno rincorso il ragazzo, placcando letteralmente il sorpreso Povelato che ha provato a divincolarsi. Un militare gli ha chiesto i documenti, l’altro, il maresciallo Buttà, più sbrigativo, ha estratto il manganello e gli ha rifilato una violenta manganellata alla schiena. 

Un colpo inaspettato ed a tradimento quello del maresciallo – spiega Chiara Buratti, che rincasava con il giovane – Jacopo non aveva reagito all’aggressione dei carabinieri. Inoltre, era girato di spalle perché si era divincolato dalla presa e stava procedendo verso casa”.

Dopo il colpo, i due militari si sono allontanati senza procedere con l’identificazione del ragazzo. “Si sono immediatamente resi conto di aver fatto una grandissima fesserie, picchiando un ragazzo che non aveva fatto niente se non lanciare una battuta” sostiene Chiara che con l’amica ha subito accompagnato Jacopo al pronto soccorso dove il giovane è stato medicato e gli è stato refertato un “trauma da aggressione”.

“Nei prossimi giorni andrò in Procura a denunciare quanto accaduto – ha dichiarato ai giornalisti il giovane -. Questo episodio dimostra, caso mai ce ne fosse bisogno, che non è un problema di mela marce e che gli abusi in divisa non accadono solo a Piacenza. Tra l’altro, la mia era solo una battuta fatta ad una persona che abbiamo conosciuto in molte manifestazioni, si era sempre dimostrata amichevole e con la quel ci siamo spesso scambiati sfottò a vicenda. Il mio battuta poteva anche non essere gradita, ma la reazione a manganellate è stata di sicuro esagerata. Senza contare che mi è stata data a freddo ed alle spalle”.

Martedì, il Laboratorio Morion ha chiamato un presidio a sostegno di Jacopo Povelato con la parola d’ordine “Prossima fermata Piacenza?”

Vogliamo continuare a raccontarci la storia di qualche caso raro, isolato, quando parliamo di abusi in divisa? – si legge nel comunicato stampa diffuso dal Morion – Vogliamo continuare a berci la favola per cui gli assassini di Cucchi, di Uva, di Aldrovandi, i macellai di Genova hanno agito per cause di forza maggiore? Una reazione come quella contro un nostro compagno ieri sera non è in alcun modo tollerabile, è un fatto agghiacciante e di una gravità estrema, che testimonia il sentimento di onnipotenza e impunità che provano le forze dell’ordine”.

“Manganellare un ragazzo per strada – continua il comunicato – perché ha osato fare una battuta su quello che è successo a Piacenza non è normale, non può succedere: il prossimo passo quale sarà, estrarre la pistola? Quanto dobbiamo sopportare ancora prima di renderci conto che la storia degli abusi in divisa è un fatto endemico, una malattia da estirpare con decisione una volta per tutte? Non siamo più disposti a tollerare in silenzio fatti di questa gravità: quello che è successo non può accadere ancora e non può passare per un errore!”

«Venezia merita di più. E non un uomo solo al comando»

Intervista. Il sottosegretario Pier Paolo Baretta, candidato sindaco del centrosinistra: «Brugnaro ha fallito. Il lockdown ci ha insegnato molte cose. Una su tutte, che il modello economico precedente non sta più in piedi e che è impossibile pensare di ritornare come eravamo prima»

Pier Paolo Baretta, sottosegretario all’Economia del governo Conte, a lungo dirigente sindacale della Fim Cisl e poi della Confederazione, è il candidato sindaco di Venezia di una coalizione che comprende il Partito democratico, Italia viva, Azione e altri “moderati”, un gruppo di liste civiche e la lista Verde e Progressista (che unisce i civici di sinistra, Europa Verde I Verdi, Art. Uno, Sinistra Italiana, Possibile, Rifondazione, Volt e Italia In Comune). Un’alleanza motivata dalla necessità di opporre un fronte solido e articolato al rampante padrone-imprenditore e sindaco uscente Luigi Brugnaro, sostenuto dalla Lega di Salvini e Fratelli d’Italia. Si vota domenica 20 e lunedì 21 settembre, in concomitanza con le regionali. In lizza ci saranno altri candidati outsider come Marco Gasparinetti per la civica Terra e Acqua e Giovanni Andrea Martini per Tutta la Città Insieme. Tutto da decidere per i 5 Stelle che non hanno ancora indicato il loro candidato.

Quale è il suo giudizio su questi 5 anni di amministrazione Brugnaro?

Di inadeguatezza. Anche a voler prescindere dall’evidente scarto tra programma e risultati, Brugnaro non è mai andato oltre una gestione quotidiana della città, insufficiente per una realtà complessa come quella di Venezia. Il fallimento è evidente proprio nei punti più marcati della sua campagna elettorale come la sicurezza. Vogliamo poi parlare del turismo? Brugnaro ha assecondato e favorito una fruizione di massa senza gestire i flussi. Questo turismo mordi e fuggi ha asfissiato Venezia e causato disagi a non finire ai residenti. La tutela dell’ambiente è stata ignorata mentre dovrebbe essere una priorità assoluta. Ma il fallimento lo si può misurare anche sul piano economico, dalle mancata rigenerazione di Porto Marghera, dove tutto è ancora bloccato per responsabilità del Comune oltre che della Regione Veneto, alla mancata valorizzazione di una risorsa potente come l’artigianato locale.

La popolarità di Brugnaro è calata soprattutto durante il lockdown, proprio nel momento in cui gli amministratori sono stati beneficiati da una visibilità mediatica senza precedenti. Come lo spiega?

Il lockdown ci ha insegnato molte cose. Una su tutte, che il modello economico precedente non sta più in piedi e che è impossibile pensare di ritornare come eravamo prima. Durante questo periodo emergenziale, la giunta ha dimostrato tutta l’inadeguatezza cui accennavo prima. Per esempio nella gestione confusa del trasporto pubblico che ha causato non solo disagi ma anche rischi per la salute dei residenti. Il problema di fondo è sempre lo stesso. Venezia merita una strategia complessiva ed una visione prospettica che va oltre le capacità dell’attuale amministrazione. Pensiamo solamente alla produzione culturale. Un capitolo completamente trascurato ma che rappresenta un realtà viva, naturalmente presente nel nostro territorio, che va sostenuta e valorizzata.

Lei proviene da una lunga militanza nel sindacato metalmeccanico. Che futuro vorrebbe dare a Marghera?

Marghera è una grande risorsa per tutti, soprattutto in funzione del suo porto. Oggi non possiamo

certo pensare di scavare nuovi canali l’equilibrio idrogeologico della laguna è imprescindibile ma ci sono tanti spazi liberi da valorizzare e che possono diventare poli di attrazione per industrie green come quella digitale. Per rinnovare ed attrarre investitori sia italiani che stranieri, sarà utile lo strumento delle Zone Logistiche Speciali che il governo ha istituito a Marghera ed esteso a Murano. Il comune non ha mai dato un ruolo a questa agenzia che è invece uno strumento indispensabile per potenziare l’identità produttiva della città. In prospettiva, vedo Venezia come il polo della cultura, Marghera quello dell’innovazione e Mestre quello della città metropolitana.

Un problema molto sentito a Venezia è quello delle Grandi Navi. Lei quale soluzione propone?

La prima cosa da sottolineare è che il Covid ha, per ora, ridimensionato il problema. Tutti gli studi affermano che il mercato difficilmente riprenderà come prima. La mia proposta, circa le alternative all’attuale situazione, è quella di comparare i progetti alternativi per trovare la soluzione migliore tenendo fermo che non si scavano nuovi canali, si rispetta l’idrogeologia della laguna e si pone attenzione all’inquinamento.

Altro capitolo dolente: il Mose.

A questo punto molti pensano che ci sia da sperare che funzioni. Ci sono problemi ancora aperti che vanno affrontati e risolti. In via preliminare servono serie indagini sull’aspetto tecnologico e sull’impatto ambientale, anche alla luce dei mutamenti climatici in corso. Anche un suo eventuale funzionamento a regime dovrà essere continuamente monitorato sotto questi aspetti.

Una delle prime azioni di Brugnaro, è stata quella di togliere tutte le deleghe alle municipalità dopo decenni di sviluppo del decentramento.

La mia idea di amministrazione non è certamente quella di ‘un solo uomo al comando’. Le municipalità sono centrali, vanno ripristinate e valorizzate, come le consulte e i forum, anch’essi tranciati da Brugnaro, e assicurare spazi adeguati alla ricca rete associativa della città, pure essa svalorizzata e ostacolata. Bisogna riportare i cittadini al centro della loro e nostra città.

Miracolo in Laguna, il Mose si alza ma con il mare piatto

Il test delle 78 paratoie contro le alte mare a Venezia è riuscito. Conte: non è un nostro progetto ma ormai siamo all’ultimo miglio. L’esultanza smodata del sindaco Bugnaro. La protesta navale degli ambientalisti

Nella tarda mattinata di ieri, tra le 11 e mezzogiorno, per qualche lungo minuto, la laguna di Venezia ha cessato di esistere come laguna. Una barriera di 78 paratoie lunga un chilometro e 600 metri,
l’ha separata dal suo mare, troncando un equilibrio creatosi 6 mila anni fa, quando le acque cariche di detriti che scendevano dalle Dolomiti crearono un ambiente umido che non ha aveva uguali al mondo.

A premere il simbolico bottone che ha dato il via a questo primo test del Mose, è stato il premier Giuseppe Conte, a bordo di una motonave carica di vip della politica e dei vertici del consorzio. Fuori, una quindicina di piccole imbarcazioni cariche di ambientalisti veneziani, ingaggiava una autentica battaglia navale con la flotta di lance e barconi, più due elicotteri, schierata dalla polizia a scorta della motonave.

Che le paratoie si alzassero e, soprattutto, rientrassero nei propri alvei dopo l’emersione, non era affatto scontato. Le prove generali, una settimana fa, non erano andate affatto bene ed erano pochi i politici locali, anche quelli da sempre favorevoli al progetto, che si erano sbilanciati oltre un «auguriamoci che vada tutto bene», come ha laconicamente dichiarato il presidente della Regione, Luca Zaia.

Entusiasta dell’opera solo Luigi Brugnaro, sindaco della città e uno dei cinque attuali commissari del Mose: «Opera gigantesca, frutto dell’ingegnosità italiana e che non ha alternative». Ritardi, tangenti, inchieste, retate...? «Sono i mali dell’Italia. Tutta colpa del Governo. La politica degli incapaci mi fa schifo. Noi siamo per il fare».

Assai più cauto il premier Conte. «Questa non è una inaugurazione. Siamo venuti qui per capire a che punto sono i lavori di quest’opera tanto criticata quando auspicata e rallentata nella sua esecuzione da corruzioni e malaffare. Il nostro approccio è funzionale. Non siamo stati noi a a progettarla ma oramai siamo arrivati all’ultimo miglio e non resta altro da fare che completarla». Al contrario di Brugnaro che etichetta gli ambientalisti che protestavano in barca come «una sorta di no vax», Conte spende qualche parola anche per i manifestanti che in quel preciso momento stavano facendo a «speronate» con le lance della polizia.

«È giusto e comprensibile che ci sia una visione articolata e dialettica della questione. Ma anche chi protesta dovrà convenire che è nell’interesse di tutti, a questo stato dei lavori, augurarsi che l’opera funzioni. Tutti noi abbiamo davanti gli occhi le drammatiche immagini dell’acqua granda di novembre. Proprio quegli avvenimenti ci hanno spinto a finanziare il completamento dell’opera. Ora speriamo che funzioni». Già, speriamo. Perché, test o non test, che il Mose funzioni è ancora tutto da dimostrare. La prova è stata appositamente effettuata nelle esatte condizioni in cui le paratoie non saranno mai alzate: assenza di vento di scirocco (quello che sospinge l’acqua in laguna), morto di marea, bassa pressione e condizioni meteo ideali.

«Come se un collaudatore provasse un nuovo modello di fuoristrada nel salotto di casa sua invece

che su un terreno accidentato ha commentato Tommaso Cacciari del comitato No Navi che ha organizzato la manifestazione di protesta -. Questo test è stato una buffonata. Una farsa utile solo per ottenere altri finanziamenti. Per far alzare le paratoie han dovuto riempire l’Isola Nuova di generatori perché tutta l’energia elettrica della città non era sufficiente. Vogliamo vedere cosa succederà con un vento a 120 chilometri l’ora e una spinta di marea eccezionale come lo scorso novembre. Ci limitiamo a sperare che funzioni? Ma il punto poi, non è nemmeno questo. Il vero punto è chi salverà Venezia e la sua laguna».

Per scavare il Mose, le bocche di porto sono state ampliate e cemetificate, incrementando il numero e le intensità delle maree. L’opera ha assorbito tutte le risorse destinate a salvaguardare la laguna, comprese le bonifiche di porto Marghera. Sei miliardi di euro sono stati spesi per scombinare l’equilibrio idrico della laguna invece di ripristinarlo. Le paratoie, ammesso che funzionino nel migliore dei modi, risparmieranno ai veneziani di infilarsi gli stivali per quei 5 o 6 giorni all’anno di maree eccezionali. Ma la città oramai va sotto per 30 o 40 giorni perché la sua laguna non la difende più. Chi salverà Venezia?

L'ex commissaria Via: «Venezia non si salva così. Conte avvii la revisione del progetto»

Ci sarà anche lei, tra i pochi vip invitati alla cosiddetta «inaugurazione» del Mose, venerdì mattina alle bocche di porto di Venezia. Ci sarà anche Andreina Zitelli, che nel 1998, nella sua veste di commissaria referente della Valutazione di impatto ambientale e Responsabile dei rapporti con gli esperti internazionali stese il corposo referto, ben 440 pagine, in cui i tecnici davano parere negativo sull’opera, evidenziandone tutte quelle criticità e manchevolezze che negli anni successivi sono puntualmente emerse.

Come mai ha accettato l’invito all’inaugurazione?
Che inaugurazione? Averla chiamata così dimostra solo l’inadeguatezza della ministra per le infrastrutture, Paola De Micheli, e del suo entourage. Il Mose non è affatto concluso. Mi auguro che il premier Giuseppe Conte dimostri più buon senso, prenda atto delle criticità dell’opera e avvii un serio processo di revisione del progetto.


In molti si aspettano piuttosto una cerimonia dai toni trionfalistici.
Sarà così per il presidente della Regione, Luca Zaia, il sindaco Luigi Brugnaro e tutti coloro che sono stati i veri responsabili di questo progetto devastante. Consideriamo anche che siamo sotto elezioni. Ma Conte è estraneo al percorso del Mose. Mi auguro quindi che lanci un segnale per un cambio di rotta. O perlomeno, ci spero. Che l’opera sia inadeguata oramai è chiaro a tutti.

Crede che le paratoie non si solleveranno?
La paratoie sono solo l’aspetto più visibile. L’inadeguatezza dell’opera sta nel fatto che è rigida su un ambiente dinamico come la laguna. Non tiene conto dell’innalzamento del mare causato dai cambiamenti climatici, ad esempio. Anche se oggi le paratoie si alzano, non sappiamo se lo faranno domani. Non sappiamo come reagirebbero in caso di maree eccezionali o brutto tempo. Teniamo presente che il Mose non ha ancora un progetto esecutivo. I lavori sono andati avanti per stralci. E senza mai tener conto della corrosione marina, delle incrostazioni biologiche. Gli ambientalisti sottolineavano che i fautori del Mose non hanno tenuto conto dell’impatto dell’opera sull’ambiente. E avevano ragione. Ma non hanno tenuto conto neppure dell’impatto dell’ambiente sull’opera.

Previsioni per venerdì?
Che si alzino o no le paratoie, il Mose non è pronto. E non sarà certamente lui a difendere Venezia dalle acqua alte.

Previsioni tra dieci anni?
Il Mose giacerà abbandonato sul fondo della laguna e un governo che dovesse provvedere alla salvaguardia della città dovrà fare i conti con un grattacielo di cemento dismesso e piantato nelle parte più delicata della laguna come le bocche di porto

Un test per il Mose. Ma la chiamano inaugurazione

L’hanno chiamata «inaugurazione». Non è la prima per una Grande Opera come il Mose che, sino ad oggi almeno, più che a salvare Venezia dalle acque alte è stato utile solo ai politici di governo per farci passerella. In realtà quello che si svolgerà nella mattinata di domani, nella bocche di porto tra il Lido e Punta Sabbioni, altro non è che un test di sollevamento simultaneo delle paratoie mobili. Test che era stato programmato per la fine di giugno, sull’onda dell’emergenza causata dall’acqua granda dello scorso novembre, ma che è slittato a domani per una serie di problemi intercorsi alle paratoie, alcune delle quali si sono infossate nella sabbia e non ne volevano sapere di fare il loro dovere. Ci proveranno appunto domani, in condizioni meteo ideali, senza forte vento e nell’ora del «morto d’acqua».

Non solo la sabbia. Anche le incrostazioni di organismi lagunari, come le patelle o le vongole, ci hanno messo del loro, così che alcune paratie sono già da sostituire pur se non sono ancora mai state messe in funzione. Il che ci porta a ricordare che, anche qualora l’opera funzionasse, i costi di manutenzione ordinaria, inizialmente stimati sui 2 milioni di euro all’anno, saranno superiori ai 100 milioni. Di quella straordinaria, invece, nulla si può dire perché il Mose un progetto esecutivo unitario non ce l’ha. E non lo ha mai avuto.

L’opera, nata dal «Progettone» per la salvaguardia partorito dopo la grande alluvione del ’66, si è barcamenata sino ad oggi tra stralci e rattoppi, bypassando, grazie a un rubinetto finanziario sempre aperto da parte del governo, norme e leggi a difesa della città e del suo ambiente: dalla riforma della Legge Speciale per affidare i lavori a un concessionario unico, voluta da un presidente del consiglio che si chiamava Bettino Craxi, sino alla Legge obiettivo di berlusconiana memoria che ha consentito di avviare i lavori veri e propri in laguna dopo un’altra inaugurazione, quella del 14 maggio del 2003, nonostante il parere negativo della Via e degli esperti internazionali.

Il Mose doveva essere concluso nel 2012 e costare «solo» 2 miliardi e mezzo di euro. Adesso si parla del 2021 e di oltre sei miliardi di euro in più. In mezzo, tra queste cifre e queste date, ci sono il susseguirsi di commissari (attualmente ce ne sono ben cinque in carica), inchieste della magistratura e retate come quella del 4 giugno 2014 che ha portato all’arresto di Giancarlo Galan, già presidente della Regione Veneto e altri noti politici e imprenditori.

In tutto questo tempo, i lavori dell’eterna incompiuta sono andati avanti come se niente fosse successo e senza terminare mai. In pochi, oltre ai soliti ambientalisti, hanno pensato di mettere in discussione la bontà dell’opera. Per molti invece la colpa doveva essere solo di qualche mela marce che aveva inquinato il sistema. Nessun governo ha avuto il coraggio di ammettere che l’errore stava alla base: coprire di soldi un consorzio come il Venezia Nuova che era allo stesso tempo controllato e controllore, e cercare di combattere a suon di cemento un ambiente fragile, fondato sull’equilibrio tra terra e acqua come la laguna veneta, che andava invece tutelato.

«L’inserimento del Mose nel decreto Semplificazioni va letta in questo senso – denuncia Stefano Micheletti, portavoce dell’assemblea No Mose che ha già annunciato una manifestazione di protesta in occasione della cosiddetta ’inaugurazione’ -: il Consorzio potrà continuare ad assegnare appalti senza gara, nonostante le richieste dell’Unione europea. Il famoso rubinetto rimarrà aperto, dirottando ai privati il denaro che dovrebbe servire a salvaguardare una città unica al mondo. Ma d’altra parte, è proprio a questo che il Mose serviva. Non certo a salvare Venezia dalle acqua alte».

Massacrato dal branco, esultanza sui social

Pestaggio. Jesolo, giovane tunisino in fin di vita. La vittima avrebbe disturbato la movida notturna in stato di ebrezza. Tre gli aggressori

Inseguito e ridotto in fin di vita a furia di botte per aver infastidito i clienti seduti ai tavoli di un bar. È quanto accaduto a Jesolo ad un 38enne tunisino residente a Padova, attualmente ricoverato nel reparto di terapia intensiva allospedale di Mestre. I sanitari non hanno ancora sciolto la prognosi e l’uomo versa in serio pericolo di vita per il gravissimo trauma cranio-facciale riportato.

I carabinieri hanno identificato tre degli aggressori grazie alle telecamere di sorveglianza. Si tratta di trentenni incensurati di Jesolo che sono stati accusati di lesioni personali gravissime in concorso. Accusa che potrebbe diventare anche omicidio colposo nel caso la vittima non sopravvivesse al pestaggio.

Il fatto è accaduto alle 3,50 del mattino di giovedì 2 luglio nella centralissima piazza Milano, cuore della «movida» estiva jesolana. Secondo alcune testimonianze il 38enne tunisino, a torso nudo e in palesi condizioni di ebbrezza alcolica, avrebbe infastidito e insultato gli avventori di un locale, lanciando anche una bottiglietta di vetro che comunque non ha colpito nessuno.

Quando il 38enne si è allontanato, un gruppo di giovani avventori del bar si è immediatamente messo al suo inseguimento, e una volta raggiunto, ha cominciato a picchiarlo violentemente, continuando a massacrarlo di botte anche quando la vittima era stesa a terra e non dava più segni di reazione. Tutto si è svolto senza che nessuno intervenisse per fermarli. Il pestaggio è stato così violento che anche i tre giovani veneti hanno riportato alcune lesioni, sia pure leggere, come escoriazioni alle mani e una frattura ad un dito.

Nessuno dei passanti è intervenuto per fermare l’aggressione, abbiamo scritto, ma qualcuno non ha perso l’occasione di filmare la scena che è immediatamente finita sui social e sui siti dei quotidiani. 52 secondi di violenza inaudita e gratuita cui fanno da sfondo le urla della vittima e i commenti di chi stava registrando col cellulare. «Madona se i ghe ne ga dà, fioi» («Madonna se gliene hanno date, ragazzi!») dice una voce femminile mentre una voce maschile le risponde, poco prima di fermare il video: «’ndemo via, dai!».

Un pestaggio questo di Jesolo che segue di pochi giorni quello accaduto nella notte tra giovedì 25 e venerdì 26 luglio a Pescara, quando un gruppo di sette parsone ha aggredito un giovane gay colpevole di tenere per mano il suo compagno.

E come per Pescara, il grave episodio di violenza consumatosi a Jesolo ha avuto come riscontro prese di posizioni quanto meno tiepide, se non addirittura favorevoli agli aggressori da parte delle istituzioni e degli amministratori. Così, come il sindaco di Pescara si è rifiutato di manifestare solidarietà al ragazzo picchiato nella sua città, anche il suo corrispondente di Jesolo, si è ben guardato anche solo dall’esprimere una nota di condanna di quanto è accaduto o di preoccupazione per le condizioni della vittima.

«Il momento delicato richiede attenzione anche nelle considerazioni che si possono fare. Dichiarazioni mi riserverò di farle solo dopo aver incontrato i capigruppo del Consiglio comunale con i quali mi confronterò per individuare una presa di posizione congiunta» ha spiegato il primo cittadino di Jesolo, Valerio Zoggia, riservandosi di verificare se l’episodio è imputabile ad una

«cattiva movida», per dirla con le sue parole, o ad una questione razziale. La cittadina veneta è governata da una maggioranza composta da Forza Italia, Civiche e Pd.

Ma il vero immondezzaio di odio e vigliaccheria è emerso nei social.«Hanno fatto bene» si legge in fondo alle pagine web dei quotidiani locali che hanno abilitato i commenti dei lettori. Spero che il tunisino non muoia solo perché poi son capaci di dare l’ergastolo ai tre giovani». Il peggio lo si trova su Fb. E non serve sporcarsi la vista sulle pagine dichiaratamente razziste o xenofobe. Basta frequentare il gruppo «Sei di Jesolo se...». «Hanno fatto bene dovevano darne di più...», «Così avrà capito che siamo in Veneto e non in Africa», «Rispetta il Paese che ti ospita ti da mangiare da dormire e soldi. Qua sei in Veneto e i veneti si fanno rispettare», «Giusto nonché necessario trattamento», «Era ora! Riprendiamoci il territorio! Andate a Firenze Roma Napoli dove vi amano» si legge pari pari, aggiustando solo i tanti errori di ortografia.

Porto Marghera, svastiche e minacce contro Bettin

Venezia. Ritrovate in Municipio due copie del suo romanzo "Cracking" carbonizzate, su una erano ancora visibili svastiche e scritte intimidatorie
«Se i nazi avessero bruciato La strage degli innocenti (Feltrinelli 2019), che ho scritto con Maurizio Dianese e documenta il ruolo di Ordine Nuovo di Venezia e Mestre in piazza Fontana, l’avrei capito meglio» confida Gianfranco Bettin, storico collaboratore de il manifesto, saggista e scrittore. Invece, in due tempi, il 25 maggio e poi pochi giorni fa, l’11 giugno, sono state ritrovate due copie bruciate del suo romanzo Cracking (Mondadori), la prima delle quali, nelle pagine superstiti, piena di svastiche e scritte di minaccia (della seconda, sequestrata dalla Polizia scientifica, si sa solo che è stata bruciata), fatte ritrovare nel municipio di Marghera, di cui Bettin è presidente dal 2015. Le indagini sono in corso e certo esplorano gli ambienti neofascisti, non nuovi in questi tempi a tracciare svastiche in giro (contro sedi di sinistra e di cooperative sociali) o ad aggressioni, come quella dell’ultimo dell’anno in piazza San Marco ai danni dell’ex deputato Arturo Scotto (Art1) reo di contestare un gruppo inneggiante al Duce.
Vi sono, però, altre piste, alle quali si riferisce lo stesso Bettin. Cracking, spiega, è un romanzo, una storia d’amore e d’amicizia, ma anche di lotta, che si svolge sullo sfondo della crisi industriale e ambientale di questi anni a Porto Marghera e a Venezia, ma che descrive per filo e per segno le grandi truffe che hanno lucrato sulle bonifiche, gli affari sporchi legati al ciclo dei rifiuti industriali e al loro traffico, infiltrazioni mafiose e forza criminale delle organizzazioni locali (dal traffico di droga al business turistico). Su tutto ciò da anni Bettin interviene duramente anche come amministratore e attivista politico. Il libro ha avuto un forte impatto in città al momento dell’uscita, qualche mese fa, sia nel dibattito sulla vicenda industriale e ambientale e sul destino dei lavoratori che la crisi aggredisce sia sul tema delle presenze criminali.
«Per quanto abbia avuto presenti alcuni importanti modelli letterari (Volponi, Sereni, Ottieri, Pagliarani, Balestrini in primis) Cracking è un libro poco letterario spiega l’autore -, scritto in modo diretto, che dice le sue cose senza troppe mediazioni: forse, senza escludere il mitomane di turno, questo ha colpito qualcuno, anche se l’oltraggio al libro potrebbe forse essere solo un oltraggio contro di me. Dico solo perché un oltraggio a un libro è qualcosa di più complesso di quello che potrebbe essere stato rivolto a me come attivista o amministratore. Resta inquietante, certo, disgustoso».
Nella vasta solidarietà manifestata finora a Bettin, brilla ora la bella notizia dell’apertura di una nuova libreria proprio a Marghera e proprio in piazza del Municipio, che nella vetrina in allestimento ha piazzato una copia di Cracking in bella vista insieme a un cartello di resistenza contro ogni intimidazione, contro ogni gesto fascista perché, comunque, questo gesto, bruciare (e due volte) un libro, lo è.

Vedi gli articoli precedenti
Stacks Image 16