In questa pagina ho riportato gli ultimi articoli che ho scritto per il quotidiano ambientalista Terra, il settimanale Carta, Manifesto, per siti come Global Project, FrontiereNews o siti di associazioni come In Comune con Bettin e altro ancora.

Venezia, giovane manganellato per una battuta

Abusi in divisa . Un riferimento ironico ai fatti di Piacenza è bastato a scatenare la reazione di due Carabinieri che hanno inseguito e manganellato un ragazzo. Lanciato per martedì un presidio per denunciare i fatti

“Prossima fermata Piacenza!” E’ bastata questa battuta per scatenare la reazione violenta e la manganellate di due carabinieri. E’ accaduto a Venezia, nella notte tra il 24 e il 25 luglio.

Il giovane che ha denunciato il fatto è Jacopo Povelato, 27enne attivista del Laboratorio Morion, che rincasava dopo aver trascorso la serata al centro sociale di Venezia. Il fatto è accaduto all’imbarcadero della Palanca, all’isola della Giudecca. Il canale noto al mondo perché porta le contestatissime Grandi Navi a fare l’inchino a piazza San Marco.

Il giovane, accompagnato da due amiche, e due militari dell’arma, uno dei quali è il maresciallo Buttà di stanza all’isola di Sacca Fisola (che si trova una fermata dopo), erano a bordo del vaporetto della Linea Notturna che collega la Giudecca a Venezia. I cinque si conoscono e si salutano. Alla Palanca, i tra ragazzi scendono. Jacopo si gira e sorridendo dall’imbarcadero si rivolge ai carabinieri rimasti a bordo. “Prossima fermata Piacenza!” gli dice sorridendo, alludendo ovviamente ai noti fatti di cronaca della caserma emiliana che ha portato all’arresto di quelle che sono state chiamate le “mele marce dell’Arma”.

Una battuta magari discutibile ma che ha causato una reazione spropositata da parte dei militari che sono saltati giù dal battello prima che il marinaio chiudesse il barcarizzo e hanno rincorso il ragazzo, placcando letteralmente il sorpreso Povelato che ha provato a divincolarsi. Un militare gli ha chiesto i documenti, l’altro, il maresciallo Buttà, più sbrigativo, ha estratto il manganello e gli ha rifilato una violenta manganellata alla schiena. 

Un colpo inaspettato ed a tradimento quello del maresciallo – spiega Chiara Buratti, che rincasava con il giovane – Jacopo non aveva reagito all’aggressione dei carabinieri. Inoltre, era girato di spalle perché si era divincolato dalla presa e stava procedendo verso casa”.

Dopo il colpo, i due militari si sono allontanati senza procedere con l’identificazione del ragazzo. “Si sono immediatamente resi conto di aver fatto una grandissima fesserie, picchiando un ragazzo che non aveva fatto niente se non lanciare una battuta” sostiene Chiara che con l’amica ha subito accompagnato Jacopo al pronto soccorso dove il giovane è stato medicato e gli è stato refertato un “trauma da aggressione”.

“Nei prossimi giorni andrò in Procura a denunciare quanto accaduto – ha dichiarato ai giornalisti il giovane -. Questo episodio dimostra, caso mai ce ne fosse bisogno, che non è un problema di mela marce e che gli abusi in divisa non accadono solo a Piacenza. Tra l’altro, la mia era solo una battuta fatta ad una persona che abbiamo conosciuto in molte manifestazioni, si era sempre dimostrata amichevole e con la quel ci siamo spesso scambiati sfottò a vicenda. Il mio battuta poteva anche non essere gradita, ma la reazione a manganellate è stata di sicuro esagerata. Senza contare che mi è stata data a freddo ed alle spalle”.

Martedì, il Laboratorio Morion ha chiamato un presidio a sostegno di Jacopo Povelato con la parola d’ordine “Prossima fermata Piacenza?”

Vogliamo continuare a raccontarci la storia di qualche caso raro, isolato, quando parliamo di abusi in divisa? – si legge nel comunicato stampa diffuso dal Morion – Vogliamo continuare a berci la favola per cui gli assassini di Cucchi, di Uva, di Aldrovandi, i macellai di Genova hanno agito per cause di forza maggiore? Una reazione come quella contro un nostro compagno ieri sera non è in alcun modo tollerabile, è un fatto agghiacciante e di una gravità estrema, che testimonia il sentimento di onnipotenza e impunità che provano le forze dell’ordine”.

“Manganellare un ragazzo per strada – continua il comunicato – perché ha osato fare una battuta su quello che è successo a Piacenza non è normale, non può succedere: il prossimo passo quale sarà, estrarre la pistola? Quanto dobbiamo sopportare ancora prima di renderci conto che la storia degli abusi in divisa è un fatto endemico, una malattia da estirpare con decisione una volta per tutte? Non siamo più disposti a tollerare in silenzio fatti di questa gravità: quello che è successo non può accadere ancora e non può passare per un errore!”

«Venezia merita di più. E non un uomo solo al comando»

Intervista. Il sottosegretario Pier Paolo Baretta, candidato sindaco del centrosinistra: «Brugnaro ha fallito. Il lockdown ci ha insegnato molte cose. Una su tutte, che il modello economico precedente non sta più in piedi e che è impossibile pensare di ritornare come eravamo prima»

Pier Paolo Baretta, sottosegretario all’Economia del governo Conte, a lungo dirigente sindacale della Fim Cisl e poi della Confederazione, è il candidato sindaco di Venezia di una coalizione che comprende il Partito democratico, Italia viva, Azione e altri “moderati”, un gruppo di liste civiche e la lista Verde e Progressista (che unisce i civici di sinistra, Europa Verde I Verdi, Art. Uno, Sinistra Italiana, Possibile, Rifondazione, Volt e Italia In Comune). Un’alleanza motivata dalla necessità di opporre un fronte solido e articolato al rampante padrone-imprenditore e sindaco uscente Luigi Brugnaro, sostenuto dalla Lega di Salvini e Fratelli d’Italia. Si vota domenica 20 e lunedì 21 settembre, in concomitanza con le regionali. In lizza ci saranno altri candidati outsider come Marco Gasparinetti per la civica Terra e Acqua e Giovanni Andrea Martini per Tutta la Città Insieme. Tutto da decidere per i 5 Stelle che non hanno ancora indicato il loro candidato.

Quale è il suo giudizio su questi 5 anni di amministrazione Brugnaro?

Di inadeguatezza. Anche a voler prescindere dall’evidente scarto tra programma e risultati, Brugnaro non è mai andato oltre una gestione quotidiana della città, insufficiente per una realtà complessa come quella di Venezia. Il fallimento è evidente proprio nei punti più marcati della sua campagna elettorale come la sicurezza. Vogliamo poi parlare del turismo? Brugnaro ha assecondato e favorito una fruizione di massa senza gestire i flussi. Questo turismo mordi e fuggi ha asfissiato Venezia e causato disagi a non finire ai residenti. La tutela dell’ambiente è stata ignorata mentre dovrebbe essere una priorità assoluta. Ma il fallimento lo si può misurare anche sul piano economico, dalle mancata rigenerazione di Porto Marghera, dove tutto è ancora bloccato per responsabilità del Comune oltre che della Regione Veneto, alla mancata valorizzazione di una risorsa potente come l’artigianato locale.

La popolarità di Brugnaro è calata soprattutto durante il lockdown, proprio nel momento in cui gli amministratori sono stati beneficiati da una visibilità mediatica senza precedenti. Come lo spiega?

Il lockdown ci ha insegnato molte cose. Una su tutte, che il modello economico precedente non sta più in piedi e che è impossibile pensare di ritornare come eravamo prima. Durante questo periodo emergenziale, la giunta ha dimostrato tutta l’inadeguatezza cui accennavo prima. Per esempio nella gestione confusa del trasporto pubblico che ha causato non solo disagi ma anche rischi per la salute dei residenti. Il problema di fondo è sempre lo stesso. Venezia merita una strategia complessiva ed una visione prospettica che va oltre le capacità dell’attuale amministrazione. Pensiamo solamente alla produzione culturale. Un capitolo completamente trascurato ma che rappresenta un realtà viva, naturalmente presente nel nostro territorio, che va sostenuta e valorizzata.

Lei proviene da una lunga militanza nel sindacato metalmeccanico. Che futuro vorrebbe dare a Marghera?

Marghera è una grande risorsa per tutti, soprattutto in funzione del suo porto. Oggi non possiamo

certo pensare di scavare nuovi canali l’equilibrio idrogeologico della laguna è imprescindibile ma ci sono tanti spazi liberi da valorizzare e che possono diventare poli di attrazione per industrie green come quella digitale. Per rinnovare ed attrarre investitori sia italiani che stranieri, sarà utile lo strumento delle Zone Logistiche Speciali che il governo ha istituito a Marghera ed esteso a Murano. Il comune non ha mai dato un ruolo a questa agenzia che è invece uno strumento indispensabile per potenziare l’identità produttiva della città. In prospettiva, vedo Venezia come il polo della cultura, Marghera quello dell’innovazione e Mestre quello della città metropolitana.

Un problema molto sentito a Venezia è quello delle Grandi Navi. Lei quale soluzione propone?

La prima cosa da sottolineare è che il Covid ha, per ora, ridimensionato il problema. Tutti gli studi affermano che il mercato difficilmente riprenderà come prima. La mia proposta, circa le alternative all’attuale situazione, è quella di comparare i progetti alternativi per trovare la soluzione migliore tenendo fermo che non si scavano nuovi canali, si rispetta l’idrogeologia della laguna e si pone attenzione all’inquinamento.

Altro capitolo dolente: il Mose.

A questo punto molti pensano che ci sia da sperare che funzioni. Ci sono problemi ancora aperti che vanno affrontati e risolti. In via preliminare servono serie indagini sull’aspetto tecnologico e sull’impatto ambientale, anche alla luce dei mutamenti climatici in corso. Anche un suo eventuale funzionamento a regime dovrà essere continuamente monitorato sotto questi aspetti.

Una delle prime azioni di Brugnaro, è stata quella di togliere tutte le deleghe alle municipalità dopo decenni di sviluppo del decentramento.

La mia idea di amministrazione non è certamente quella di ‘un solo uomo al comando’. Le municipalità sono centrali, vanno ripristinate e valorizzate, come le consulte e i forum, anch’essi tranciati da Brugnaro, e assicurare spazi adeguati alla ricca rete associativa della città, pure essa svalorizzata e ostacolata. Bisogna riportare i cittadini al centro della loro e nostra città.

Miracolo in Laguna, il Mose si alza ma con il mare piatto

Il test delle 78 paratoie contro le alte mare a Venezia è riuscito. Conte: non è un nostro progetto ma ormai siamo all’ultimo miglio. L’esultanza smodata del sindaco Bugnaro. La protesta navale degli ambientalisti

Nella tarda mattinata di ieri, tra le 11 e mezzogiorno, per qualche lungo minuto, la laguna di Venezia ha cessato di esistere come laguna. Una barriera di 78 paratoie lunga un chilometro e 600 metri,
l’ha separata dal suo mare, troncando un equilibrio creatosi 6 mila anni fa, quando le acque cariche di detriti che scendevano dalle Dolomiti crearono un ambiente umido che non ha aveva uguali al mondo.

A premere il simbolico bottone che ha dato il via a questo primo test del Mose, è stato il premier Giuseppe Conte, a bordo di una motonave carica di vip della politica e dei vertici del consorzio. Fuori, una quindicina di piccole imbarcazioni cariche di ambientalisti veneziani, ingaggiava una autentica battaglia navale con la flotta di lance e barconi, più due elicotteri, schierata dalla polizia a scorta della motonave.

Che le paratoie si alzassero e, soprattutto, rientrassero nei propri alvei dopo l’emersione, non era affatto scontato. Le prove generali, una settimana fa, non erano andate affatto bene ed erano pochi i politici locali, anche quelli da sempre favorevoli al progetto, che si erano sbilanciati oltre un «auguriamoci che vada tutto bene», come ha laconicamente dichiarato il presidente della Regione, Luca Zaia.

Entusiasta dell’opera solo Luigi Brugnaro, sindaco della città e uno dei cinque attuali commissari del Mose: «Opera gigantesca, frutto dell’ingegnosità italiana e che non ha alternative». Ritardi, tangenti, inchieste, retate...? «Sono i mali dell’Italia. Tutta colpa del Governo. La politica degli incapaci mi fa schifo. Noi siamo per il fare».

Assai più cauto il premier Conte. «Questa non è una inaugurazione. Siamo venuti qui per capire a che punto sono i lavori di quest’opera tanto criticata quando auspicata e rallentata nella sua esecuzione da corruzioni e malaffare. Il nostro approccio è funzionale. Non siamo stati noi a a progettarla ma oramai siamo arrivati all’ultimo miglio e non resta altro da fare che completarla». Al contrario di Brugnaro che etichetta gli ambientalisti che protestavano in barca come «una sorta di no vax», Conte spende qualche parola anche per i manifestanti che in quel preciso momento stavano facendo a «speronate» con le lance della polizia.

«È giusto e comprensibile che ci sia una visione articolata e dialettica della questione. Ma anche chi protesta dovrà convenire che è nell’interesse di tutti, a questo stato dei lavori, augurarsi che l’opera funzioni. Tutti noi abbiamo davanti gli occhi le drammatiche immagini dell’acqua granda di novembre. Proprio quegli avvenimenti ci hanno spinto a finanziare il completamento dell’opera. Ora speriamo che funzioni». Già, speriamo. Perché, test o non test, che il Mose funzioni è ancora tutto da dimostrare. La prova è stata appositamente effettuata nelle esatte condizioni in cui le paratoie non saranno mai alzate: assenza di vento di scirocco (quello che sospinge l’acqua in laguna), morto di marea, bassa pressione e condizioni meteo ideali.

«Come se un collaudatore provasse un nuovo modello di fuoristrada nel salotto di casa sua invece

che su un terreno accidentato ha commentato Tommaso Cacciari del comitato No Navi che ha organizzato la manifestazione di protesta -. Questo test è stato una buffonata. Una farsa utile solo per ottenere altri finanziamenti. Per far alzare le paratoie han dovuto riempire l’Isola Nuova di generatori perché tutta l’energia elettrica della città non era sufficiente. Vogliamo vedere cosa succederà con un vento a 120 chilometri l’ora e una spinta di marea eccezionale come lo scorso novembre. Ci limitiamo a sperare che funzioni? Ma il punto poi, non è nemmeno questo. Il vero punto è chi salverà Venezia e la sua laguna».

Per scavare il Mose, le bocche di porto sono state ampliate e cemetificate, incrementando il numero e le intensità delle maree. L’opera ha assorbito tutte le risorse destinate a salvaguardare la laguna, comprese le bonifiche di porto Marghera. Sei miliardi di euro sono stati spesi per scombinare l’equilibrio idrico della laguna invece di ripristinarlo. Le paratoie, ammesso che funzionino nel migliore dei modi, risparmieranno ai veneziani di infilarsi gli stivali per quei 5 o 6 giorni all’anno di maree eccezionali. Ma la città oramai va sotto per 30 o 40 giorni perché la sua laguna non la difende più. Chi salverà Venezia?

L'ex commissaria Via: «Venezia non si salva così. Conte avvii la revisione del progetto»

Ci sarà anche lei, tra i pochi vip invitati alla cosiddetta «inaugurazione» del Mose, venerdì mattina alle bocche di porto di Venezia. Ci sarà anche Andreina Zitelli, che nel 1998, nella sua veste di commissaria referente della Valutazione di impatto ambientale e Responsabile dei rapporti con gli esperti internazionali stese il corposo referto, ben 440 pagine, in cui i tecnici davano parere negativo sull’opera, evidenziandone tutte quelle criticità e manchevolezze che negli anni successivi sono puntualmente emerse.

Come mai ha accettato l’invito all’inaugurazione?
Che inaugurazione? Averla chiamata così dimostra solo l’inadeguatezza della ministra per le infrastrutture, Paola De Micheli, e del suo entourage. Il Mose non è affatto concluso. Mi auguro che il premier Giuseppe Conte dimostri più buon senso, prenda atto delle criticità dell’opera e avvii un serio processo di revisione del progetto.


In molti si aspettano piuttosto una cerimonia dai toni trionfalistici.
Sarà così per il presidente della Regione, Luca Zaia, il sindaco Luigi Brugnaro e tutti coloro che sono stati i veri responsabili di questo progetto devastante. Consideriamo anche che siamo sotto elezioni. Ma Conte è estraneo al percorso del Mose. Mi auguro quindi che lanci un segnale per un cambio di rotta. O perlomeno, ci spero. Che l’opera sia inadeguata oramai è chiaro a tutti.

Crede che le paratoie non si solleveranno?
La paratoie sono solo l’aspetto più visibile. L’inadeguatezza dell’opera sta nel fatto che è rigida su un ambiente dinamico come la laguna. Non tiene conto dell’innalzamento del mare causato dai cambiamenti climatici, ad esempio. Anche se oggi le paratoie si alzano, non sappiamo se lo faranno domani. Non sappiamo come reagirebbero in caso di maree eccezionali o brutto tempo. Teniamo presente che il Mose non ha ancora un progetto esecutivo. I lavori sono andati avanti per stralci. E senza mai tener conto della corrosione marina, delle incrostazioni biologiche. Gli ambientalisti sottolineavano che i fautori del Mose non hanno tenuto conto dell’impatto dell’opera sull’ambiente. E avevano ragione. Ma non hanno tenuto conto neppure dell’impatto dell’ambiente sull’opera.

Previsioni per venerdì?
Che si alzino o no le paratoie, il Mose non è pronto. E non sarà certamente lui a difendere Venezia dalle acqua alte.

Previsioni tra dieci anni?
Il Mose giacerà abbandonato sul fondo della laguna e un governo che dovesse provvedere alla salvaguardia della città dovrà fare i conti con un grattacielo di cemento dismesso e piantato nelle parte più delicata della laguna come le bocche di porto

Un test per il Mose. Ma la chiamano inaugurazione

L’hanno chiamata «inaugurazione». Non è la prima per una Grande Opera come il Mose che, sino ad oggi almeno, più che a salvare Venezia dalle acque alte è stato utile solo ai politici di governo per farci passerella. In realtà quello che si svolgerà nella mattinata di domani, nella bocche di porto tra il Lido e Punta Sabbioni, altro non è che un test di sollevamento simultaneo delle paratoie mobili. Test che era stato programmato per la fine di giugno, sull’onda dell’emergenza causata dall’acqua granda dello scorso novembre, ma che è slittato a domani per una serie di problemi intercorsi alle paratoie, alcune delle quali si sono infossate nella sabbia e non ne volevano sapere di fare il loro dovere. Ci proveranno appunto domani, in condizioni meteo ideali, senza forte vento e nell’ora del «morto d’acqua».

Non solo la sabbia. Anche le incrostazioni di organismi lagunari, come le patelle o le vongole, ci hanno messo del loro, così che alcune paratie sono già da sostituire pur se non sono ancora mai state messe in funzione. Il che ci porta a ricordare che, anche qualora l’opera funzionasse, i costi di manutenzione ordinaria, inizialmente stimati sui 2 milioni di euro all’anno, saranno superiori ai 100 milioni. Di quella straordinaria, invece, nulla si può dire perché il Mose un progetto esecutivo unitario non ce l’ha. E non lo ha mai avuto.

L’opera, nata dal «Progettone» per la salvaguardia partorito dopo la grande alluvione del ’66, si è barcamenata sino ad oggi tra stralci e rattoppi, bypassando, grazie a un rubinetto finanziario sempre aperto da parte del governo, norme e leggi a difesa della città e del suo ambiente: dalla riforma della Legge Speciale per affidare i lavori a un concessionario unico, voluta da un presidente del consiglio che si chiamava Bettino Craxi, sino alla Legge obiettivo di berlusconiana memoria che ha consentito di avviare i lavori veri e propri in laguna dopo un’altra inaugurazione, quella del 14 maggio del 2003, nonostante il parere negativo della Via e degli esperti internazionali.

Il Mose doveva essere concluso nel 2012 e costare «solo» 2 miliardi e mezzo di euro. Adesso si parla del 2021 e di oltre sei miliardi di euro in più. In mezzo, tra queste cifre e queste date, ci sono il susseguirsi di commissari (attualmente ce ne sono ben cinque in carica), inchieste della magistratura e retate come quella del 4 giugno 2014 che ha portato all’arresto di Giancarlo Galan, già presidente della Regione Veneto e altri noti politici e imprenditori.

In tutto questo tempo, i lavori dell’eterna incompiuta sono andati avanti come se niente fosse successo e senza terminare mai. In pochi, oltre ai soliti ambientalisti, hanno pensato di mettere in discussione la bontà dell’opera. Per molti invece la colpa doveva essere solo di qualche mela marce che aveva inquinato il sistema. Nessun governo ha avuto il coraggio di ammettere che l’errore stava alla base: coprire di soldi un consorzio come il Venezia Nuova che era allo stesso tempo controllato e controllore, e cercare di combattere a suon di cemento un ambiente fragile, fondato sull’equilibrio tra terra e acqua come la laguna veneta, che andava invece tutelato.

«L’inserimento del Mose nel decreto Semplificazioni va letta in questo senso – denuncia Stefano Micheletti, portavoce dell’assemblea No Mose che ha già annunciato una manifestazione di protesta in occasione della cosiddetta ’inaugurazione’ -: il Consorzio potrà continuare ad assegnare appalti senza gara, nonostante le richieste dell’Unione europea. Il famoso rubinetto rimarrà aperto, dirottando ai privati il denaro che dovrebbe servire a salvaguardare una città unica al mondo. Ma d’altra parte, è proprio a questo che il Mose serviva. Non certo a salvare Venezia dalle acqua alte».

Massacrato dal branco, esultanza sui social

Pestaggio. Jesolo, giovane tunisino in fin di vita. La vittima avrebbe disturbato la movida notturna in stato di ebrezza. Tre gli aggressori

Inseguito e ridotto in fin di vita a furia di botte per aver infastidito i clienti seduti ai tavoli di un bar. È quanto accaduto a Jesolo ad un 38enne tunisino residente a Padova, attualmente ricoverato nel reparto di terapia intensiva allospedale di Mestre. I sanitari non hanno ancora sciolto la prognosi e l’uomo versa in serio pericolo di vita per il gravissimo trauma cranio-facciale riportato.

I carabinieri hanno identificato tre degli aggressori grazie alle telecamere di sorveglianza. Si tratta di trentenni incensurati di Jesolo che sono stati accusati di lesioni personali gravissime in concorso. Accusa che potrebbe diventare anche omicidio colposo nel caso la vittima non sopravvivesse al pestaggio.

Il fatto è accaduto alle 3,50 del mattino di giovedì 2 luglio nella centralissima piazza Milano, cuore della «movida» estiva jesolana. Secondo alcune testimonianze il 38enne tunisino, a torso nudo e in palesi condizioni di ebbrezza alcolica, avrebbe infastidito e insultato gli avventori di un locale, lanciando anche una bottiglietta di vetro che comunque non ha colpito nessuno.

Quando il 38enne si è allontanato, un gruppo di giovani avventori del bar si è immediatamente messo al suo inseguimento, e una volta raggiunto, ha cominciato a picchiarlo violentemente, continuando a massacrarlo di botte anche quando la vittima era stesa a terra e non dava più segni di reazione. Tutto si è svolto senza che nessuno intervenisse per fermarli. Il pestaggio è stato così violento che anche i tre giovani veneti hanno riportato alcune lesioni, sia pure leggere, come escoriazioni alle mani e una frattura ad un dito.

Nessuno dei passanti è intervenuto per fermare l’aggressione, abbiamo scritto, ma qualcuno non ha perso l’occasione di filmare la scena che è immediatamente finita sui social e sui siti dei quotidiani. 52 secondi di violenza inaudita e gratuita cui fanno da sfondo le urla della vittima e i commenti di chi stava registrando col cellulare. «Madona se i ghe ne ga dà, fioi» («Madonna se gliene hanno date, ragazzi!») dice una voce femminile mentre una voce maschile le risponde, poco prima di fermare il video: «’ndemo via, dai!».

Un pestaggio questo di Jesolo che segue di pochi giorni quello accaduto nella notte tra giovedì 25 e venerdì 26 luglio a Pescara, quando un gruppo di sette parsone ha aggredito un giovane gay colpevole di tenere per mano il suo compagno.

E come per Pescara, il grave episodio di violenza consumatosi a Jesolo ha avuto come riscontro prese di posizioni quanto meno tiepide, se non addirittura favorevoli agli aggressori da parte delle istituzioni e degli amministratori. Così, come il sindaco di Pescara si è rifiutato di manifestare solidarietà al ragazzo picchiato nella sua città, anche il suo corrispondente di Jesolo, si è ben guardato anche solo dall’esprimere una nota di condanna di quanto è accaduto o di preoccupazione per le condizioni della vittima.

«Il momento delicato richiede attenzione anche nelle considerazioni che si possono fare. Dichiarazioni mi riserverò di farle solo dopo aver incontrato i capigruppo del Consiglio comunale con i quali mi confronterò per individuare una presa di posizione congiunta» ha spiegato il primo cittadino di Jesolo, Valerio Zoggia, riservandosi di verificare se l’episodio è imputabile ad una

«cattiva movida», per dirla con le sue parole, o ad una questione razziale. La cittadina veneta è governata da una maggioranza composta da Forza Italia, Civiche e Pd.

Ma il vero immondezzaio di odio e vigliaccheria è emerso nei social.«Hanno fatto bene» si legge in fondo alle pagine web dei quotidiani locali che hanno abilitato i commenti dei lettori. Spero che il tunisino non muoia solo perché poi son capaci di dare l’ergastolo ai tre giovani». Il peggio lo si trova su Fb. E non serve sporcarsi la vista sulle pagine dichiaratamente razziste o xenofobe. Basta frequentare il gruppo «Sei di Jesolo se...». «Hanno fatto bene dovevano darne di più...», «Così avrà capito che siamo in Veneto e non in Africa», «Rispetta il Paese che ti ospita ti da mangiare da dormire e soldi. Qua sei in Veneto e i veneti si fanno rispettare», «Giusto nonché necessario trattamento», «Era ora! Riprendiamoci il territorio! Andate a Firenze Roma Napoli dove vi amano» si legge pari pari, aggiustando solo i tanti errori di ortografia.

Porto Marghera, svastiche e minacce contro Bettin

Venezia. Ritrovate in Municipio due copie del suo romanzo "Cracking" carbonizzate, su una erano ancora visibili svastiche e scritte intimidatorie
«Se i nazi avessero bruciato La strage degli innocenti (Feltrinelli 2019), che ho scritto con Maurizio Dianese e documenta il ruolo di Ordine Nuovo di Venezia e Mestre in piazza Fontana, l’avrei capito meglio» confida Gianfranco Bettin, storico collaboratore de il manifesto, saggista e scrittore. Invece, in due tempi, il 25 maggio e poi pochi giorni fa, l’11 giugno, sono state ritrovate due copie bruciate del suo romanzo Cracking (Mondadori), la prima delle quali, nelle pagine superstiti, piena di svastiche e scritte di minaccia (della seconda, sequestrata dalla Polizia scientifica, si sa solo che è stata bruciata), fatte ritrovare nel municipio di Marghera, di cui Bettin è presidente dal 2015. Le indagini sono in corso e certo esplorano gli ambienti neofascisti, non nuovi in questi tempi a tracciare svastiche in giro (contro sedi di sinistra e di cooperative sociali) o ad aggressioni, come quella dell’ultimo dell’anno in piazza San Marco ai danni dell’ex deputato Arturo Scotto (Art1) reo di contestare un gruppo inneggiante al Duce.
Vi sono, però, altre piste, alle quali si riferisce lo stesso Bettin. Cracking, spiega, è un romanzo, una storia d’amore e d’amicizia, ma anche di lotta, che si svolge sullo sfondo della crisi industriale e ambientale di questi anni a Porto Marghera e a Venezia, ma che descrive per filo e per segno le grandi truffe che hanno lucrato sulle bonifiche, gli affari sporchi legati al ciclo dei rifiuti industriali e al loro traffico, infiltrazioni mafiose e forza criminale delle organizzazioni locali (dal traffico di droga al business turistico). Su tutto ciò da anni Bettin interviene duramente anche come amministratore e attivista politico. Il libro ha avuto un forte impatto in città al momento dell’uscita, qualche mese fa, sia nel dibattito sulla vicenda industriale e ambientale e sul destino dei lavoratori che la crisi aggredisce sia sul tema delle presenze criminali.
«Per quanto abbia avuto presenti alcuni importanti modelli letterari (Volponi, Sereni, Ottieri, Pagliarani, Balestrini in primis) Cracking è un libro poco letterario spiega l’autore -, scritto in modo diretto, che dice le sue cose senza troppe mediazioni: forse, senza escludere il mitomane di turno, questo ha colpito qualcuno, anche se l’oltraggio al libro potrebbe forse essere solo un oltraggio contro di me. Dico solo perché un oltraggio a un libro è qualcosa di più complesso di quello che potrebbe essere stato rivolto a me come attivista o amministratore. Resta inquietante, certo, disgustoso».
Nella vasta solidarietà manifestata finora a Bettin, brilla ora la bella notizia dell’apertura di una nuova libreria proprio a Marghera e proprio in piazza del Municipio, che nella vetrina in allestimento ha piazzato una copia di Cracking in bella vista insieme a un cartello di resistenza contro ogni intimidazione, contro ogni gesto fascista perché, comunque, questo gesto, bruciare (e due volte) un libro, lo è.

«Basta inchini», l’altra Venezia si riprende la Laguna

Una lunga catena umana contro il ritorno delle Grandi navi e il turismo di massa

Eccola qua, la vera ripartenza. Srotolata sui lunghi striscioni che ieri pomeriggio hanno sventolato lungo la fondamenta delle Zattere, davanti al canale della Giudecca. Il canale dove, prima dello scoppio delle pandemia, transitavano le Grandi Navi prima di fare «l’inchino» a piazza San Marco per regalare qualche brivido ai turisti che salutavano dai ponti di bordo. «Venezia si salva solo se tutte e tutti combattiamo contro la speculazione per costruire un nuovo modello di città» si leggeva a grandi lettere nel primo striscione, lungo più di trecento metri, che partiva dalla stazione marittima per arrivare sino al ponte Longo.

Ma la catena umana di quasi due chilometri alla quale hanno dato vita oltre tremila partecipanti, continuava anche dopo, sino alla Punta della Dogana con altri striscioni che ricordavano tutte le lotte per l’ambiente e per i diritti che si stanno combattendo a Venezia e nella sua terraferma. Sotto la chiesa barocca dei Gesuati, in mezzo alla catena, campeggiava lo striscione a lettere rosse «Venezia Fu Turistica» che ha dato il nome alla mobilitazione. Un gioco di parole per lanciare l’utopia di una Venezia Futura che è riuscita a superare la monocoltura turistica.

L’INSOSTENIBILE turistificazione della città lagunare infatti è stato il primo filo conduttore della manifestazione. Un tema sentito soprattutto dalle giovani coppie veneziane e dagli studenti di Ca’ Foscari costretti a fare i conti con un mercato immobiliare drogato dalla massiccia presenza di B&B e di alberghi. Un tema sottolineato da Marco Baravalle, portavoce del comitato Noi Grandi Navi che col sui intervento ha aperto la manifestazione. «Con questi grandi striscioni vogliamo riprenderci quella visibilità che nei giorni della pandemia è rimasta concentrata attorno a personaggi come il sindaco Luigi Brugraro. Uno che all’inizio nemmeno ci credeva al Covid e che ha fatto partire il Carnevale nonostante fossero evidenti i rischi. In questi giorni, il nostro sindaco ha avuto tutti i microfoni mediatici a sua disposizione per spiegare come intende la ripartenza: grandi feste per richiamare i turisti, ancora più alberghi, ancora più B&B, navi sempre più grandi e sempre meno residenti. Mestre e Marghera trasformati in dormitorio per i turisti più poveri che non si possono permettere di pernottare a Venezia. Ma non è questo il futuro che vogliamo per la città e per noi».

UNA NOTA POSITIVA, per una città in cui il problema dell’invecchiamento della popolazione è ogni anno più pesante, è stata la grande partecipazione di studenti medi e universitari alla manifestazione. Tra gli organizzatori infatti FfF compare a fianco dei Non Navi e degli spazi sociali della città. Ragazze e ragazze che studiano a Ca’ Foscari o allo Iuav e che vorrebbero fermarsi a Venezia se solo si creassero le condizioni per abitare e lavorare. «Crediamo che l’università, come spazio del sapere, sia fondamentale per una ripartenza che vada nella direzione giusta mi spiega la giovane Elia Lacchin del collettivo universitario Lisc -. Studenti, ricercatori, i precari e le precarie della cultura possono e devono essere centrali nella spinta verso un cambiamento radicale». Il tema della cultura si interseca, tra uno striscione e l’altro, con quello delle lotte ambientali che stanno attraversando la città e l’intera Regione.

L’avvelenamento da Pfas che ha infettato pesantemente le falde di mezzo Veneto, l’inquinamento industriale di Porto Marghera con le bonifiche sempre promesse e mai partite, e ora anche lo spettro del nuovo inceneritore che la Regione con l’avallo del Comune ha intenzione di realizzare a Fusina, proprio a ridosso della gronda lagunare. «Un’area già a forte rischio, come abbiamo visto qualche settimana fa con l’incendio alla 3V Sigma ha spiegato Roberto Trevisan, portavoce dell’assemblea contro il pericolo chimico di Marghera -. Un progetto inquinante che trasformerà Marghera nella pattumiera del Veneto ma soprattutto un progetto che va in direzione contrastante a quella di un ciclo virtuoso dei rifiuti. Un progetto sbagliato come principio. La pandemia, le ricerche mediche che spiegano come l’inquinamento atmosferico sia un veicolo privilegiato di trasmissione del virus, gli stessi cambiamenti climatici non hanno insegnato niente ai nostri amministratori».

LA CATENA UMANA SI È SNODATA lentamente e pacificamente per tutta la serata, accompagnata dall’acqua dal corteo di una ventina di imbarcazioni a remi e dalla musica degli altoparlanti che trasmettevano canzoni. «Oggi le Grandi navi non transitano ha concluso Baravalle ma questa non è una vittoria. Regione e Comune stanno valutando di realizzare un terminal a Marghera. Il che significa che le navi continuerebbero a devastare e inquinare la laguna. Un esempio perfetto di una ripartenza volta a far tornare tutto come prima e peggio di prima».

Venezia «Fu-Turistica» in piazza contro i «grandi hotel del mare»

Manifestazione oggi in Laguna. Il comitato No Navi rivendica un futuro diverso per la Città dei Dogi
Uno striscione lungo due chilometri. Il più grande mai sollevato sotto il cielo della laguna di Venezia. A sorreggerlo sarà una catena umana che partirà dal terminal crociere di San Basilio per arrivare alla Punta della Dogana, snodandosi lungo l’intera fondamenta delle Zattere, la più grande della città. Non a caso, si tratta della riva che costeggia il canale della Giudecca. Il canale che sbocca davanti piazza San Marco dove solo la Pandemia è riuscita, per ora, a fermare l’inquinante via vai delle Grandi Navi. Una battaglia, questa contro i «Grand Hotel del Mare», che per gli ambientalisti veneziani del comitato No Navi, tra gli organizzatori della manifestazione, è emblematica per ridare futuro e dignità a questa che un tempo era la Città dei Dogi.

Un enorme e ininterrotto striscione preparato dalle attiviste e dagli attivisti degli spazi sociali veneziani come il Laboratorio Morion e Il Sale Dock, che vuole testimoniare tutta la grande voglia di ripartire dei veneziani. Ma «ripartire» imboccando una direzione ostinatamente contraria a quella seguita sino a ieri.
Il nome dell’iniziativa che si svolgerà questo pomeriggio, a partire dalle ore 17 alle Zattere, è già un programma: «Venezia Fu-Turistica». E’ una speranza di Venezia futura infatti, quella che prenderà voce dallo striscione che sventolerà sul canale della Giudecca. «Venezia può rinascere solo se si libererà da questo corto circuito di speculazione che l’ha trasformata in una città museo, se non addirittura in un parco divertimenti per ricchi turisti» spiega Marta Sottoriva, studentessa di Ca’ Foscari e una delle organizzatrici della mobilitazione. «La pandemia ci ha riconsegnato una città deserta, in piena crisi perché l’unica economia che conosceva era quella del turismo. Ma Venezia è molto di più: ci sono giovani che qui sono nati o che qui hanno studiato e che qui vogliono rimanere per costruire il loro futuro che è il futuro stesso della città. Ma questo futuro sarà possibile solo uscendo dalla monocoltura turistica, con interventi a favore della residenziali capaci di fermare gli speculatori che hanno trasformato le nostre case in alberghi e B&B».
Una novità della mobilitazione di questo pomeriggio è la sua forte componente giovanile e studentesca. Molte delle ragazze e dei ragazzi che hanno realizzato l’impegnativo striscione provengono dalle file di Fridays For Future che, per l’appunto, figura tra gli organizzatori dell’iniziativa. «Venezia sopravvive solo se sopravvive la laguna in cui è immersa aggiunge Marta Sottoriva -. La tutela dell’ambiente è fondamentale per una città come la nostra che vive dell’equilibrio tra terra e acqua. I cambiamenti climatici rischiano di farci affondare. Il Mose, lo abbiamo visto anche con l’acqua alta di una settima fa, eccezionale e assolutamente fuori stagione, non è la soluzione ma il problema. La strada da percorrere è un’altra, quella della difesa del territorio da mercificazioni e inquinamenti. Venezia deve diventare la capitale della Giustizia Climatica».
«La pandemia dovrebbe averci insegnato qualcosa spiega Mattia Donadel, portavoce del comitato Opzione Zero ed invece, proprio in piena emergenza la Regione e il Comune hanno approfittato per accelerare l’iter di approvazione di un nuovo mega impianto di incenerimento da realizzare a Fusina, proprio a ridosso della gronda lagunare. Alle Zattere diremo No anche a questo progetto. La ripartenza che vogliamo è ben diversa dal rifare gli stessi errori del passato che sono stati la causa e non la soluzione del problema».

No, il piano Colao di “verde” non ha proprio niente. E’ il solito regalo alle mafie e alle lobby del cemento

Non è che se li sia dimenticati. E’ che proprio non gliene frega niente. I cambiamenti climaticinon fanno semplicemente parte del bagaglio di conoscenze di un economista rampante come Vittorio Colao, che si è formato lavorando nelle più importanti aziende private del Paese. Non ultima la Vodafone, di cui è stato per tanti anni amministratore delegato. 
Nelle tredici parole chiave del piano che ha presentato al Governo, l’emergenza climatica non e neppure menzionata.  Eppure dovrebbe essere questa la base su cui impostare una vera ripartenza, approfittando di un momento come questo in cui la pandemia ci ha dato l’opportunità di ridisegnare l’economia del Paese e di avviarla verso una vera sostenibilità, ambientale e sociale. Ed invece, i cambiamenti climatici non sono neppure stati presi in considerazione. “Ripartire”, per il comitato di esperti guidati da Colao, vuol dire semplicemente ricominciare tutto come prima. Anzi, più di prima, come a voler recuperare da un punto di vista finanziario, il tempo perduto. Altro non si trova in quelle pagine che una “Colaoata di cemento”, come qualcuno l’ha definita. Il solito pastone di grandi opere utili solo a chi le fa, inquinamenti e cementificazioni a man bassa, con le inevitabili mercificazioni di ambiente e di diritti a contorno. Il tutto, da condurre sotto la solita logica del commissariamento, delle leggi speciali e della deroga a tutte le norme di tutela ambientale e di garanzia di trasparenza degli appalti e delle concessioni. Eccola qua, la “ripartenza” del Governo Conte. Niente da dire: un bel regalo alle mafie! 
L’incredibile, è che si stia cercando di farlo passare come un piano di rilancio improntato su una forte valenza ecologista! Ma basta scorrere le pagine del rapporto per capire che le cosiddette “grandi opere strategiche” – quelle che hanno inquinato e devastato l’Italia non soltanto dal punto di vista ambientale ma anche della democrazia – godranno di una autostrada privilegiata che neppure la famigerata legge Lunardi – Berlusconi si sarebbe sognata di concedere, bypassando tutte le (poche) norme di tutela ambientale che ancora resistono. 
Anche il capitolo dedicato alla gestione del patrimonio artistico, storico e culturale, è un incubo ad occhi aperti perché il piano prevede l’azzeramento di tutte le procedure speciali di tutela. E non si tratta di un semplice errore. La commissione sapeva benissimo cosa faceva. Il problema, come abbiamo scritto, sta alla base. L’idea di “bene comune” non è mai entrata nei piani di studi, e nelle teste, dei manager da aziende private che hanno steso il piano. Arte, paesaggio, ambiente sono visti solo come strumenti, o merci se vogliamo, da valorizzare solo nella misura in cui si rivelano utili a far ripartire l’economia da rapina che “ladrava” prima e che vorrebbe “ladrare” ancora. La stessa economia che è stata non soltanto la causa del problema ma il problema stesso.
Il piano Colao propone addirittura di bypassare tutti i collegamenti al Green Deal che l’Europa ha chiesto per l’accesso al Recovery Fund e concede ampia facoltà di andare in deroga alle norme di tutela comunitarie per le concessioni idriche, autostradali. Non sono state poste neppure limitazioni ai contributi dedicati alle multinazionali del fossile che oggi ammontano a 19 miliardi di euro. Anche sul capitolo sulla gestione dei rifiuti, viene legittimata la loro “trasformazione in energia”. Leggi: incenerimento.
Un piano, insomma, più nero che verde, e che va esattamente nella direzione opposta a quella delineata dagli accordi sul clima, verso la quale bisognerebbe puntare con decisione ed investire le nostre risorse.
Da notare che, in tutto il piano Colao, la parola “ambiente” viene usata solo collegata al termine “infrastrutture”. Il titolo della seconda scheda è proprio: “infrastrutture e ambiente, volano nel rilancio”. Ma le infrastrutture alle quali pensa l’ex amministratore delegato della Vodafone, l’ambiente se lo divorano! A questo punto, la scritta “rivoluzione verde” che compare nel logo iniziale e che, ci scommettiamo, gli è stata suggerita dall’Ufficio Marketing, sembra, più che una barzelletta, una presa per il sedere!
Ma c’è un’ultima, importante considerazione che sono in pochi ad averlo sottolineato. Nella scheda “Semplificazione procedure di aumento di capitale” troviamo addirittura una proposta chiamata “Voluntary Disclosure”, che sta per “rivelazione volontaria”. L’hanno scritta in inglese perché fa più figo e si capisce meno. Allo scopo di far emergere la cosiddetta “economia sommersa” e che è stata valutata da Colau sui 170 miliardi di euro all’anno, il piano prevede la possibilità per questi capitali di beneficiare di uno speciale condono per farli entrare nei circuiti finanziari e spingere la “ripresa”. Ma “economia sommersa” altro non significa che “soldi in nero”: denaro cioè che proviene da attività più o meno lecite, come evasione fiscale, tangenti, sottrazioni di bilancio, mancati pagamenti o addirittura narcotraffico! Denaro sporco che il piano Colao trasformerebbe immediatamente in denaro pulito perché la mafia – chi altri, se no? – potrebbe accedere al condono senza dover dare nessuna spiegazione sula provenienza illecita di questi capitali.
Una volta, si chiamava “riciclaggio”.
Vedi gli articoli precedenti
Stacks Image 16