In questa pagina ho riportato gli ultimi articoli che ho scritto per il quotidiano ambientalista Terra, il settimanale Carta, Manifesto, per siti come Global Project, FrontiereNews o siti di associazioni come In Comune con Bettin e altro ancora.

DeCOALonize the planet

"Siamo l'antidoto al capitalismo”. Così si leggeva nel grande striscione che gli attivisti hanno appeso ai lunghi nastri che trasportano il carbone sin dentro la centrale. Nastri che, perlomeno per un paio d’ore, sono stati bloccati, causando lo spegnimento della caldaia ed una diminuzione della produzione.

Siamo a Fusina, a ridosso della laguna di Venezia. Qui, in una delle aree più inquinate d’Italia dove, quando durante ogni tornata elettorale si promettono bonifiche che puntualmente non vengono mai portate a termine, è situata una delle dodici centrali a carbone del Paese. La quinta più grande d’Europa.

Ed è proprio qui che, nella tarda mattinata di ieri, circa duecento attiviste e attivisti dei centri sociali del Nord Est hanno fatto irruzione, bloccando il cancello di ingresso, occupando i nastri trasportatori e salendo nelle strutture più alte per calare striscioni di protesta con scritte come “One solution: revolution” o “DeCOALonize the planet”.

"La concentrazione di CO2 in atmosfera nell’ultimo anno ha superato la soglia delle 415 parti per milione e continua a crescere. Il Pianeta sta letteralmente andando a fuoco. Gli effetti del surriscaldamento globale sono ormai evidenti a tutti e sembrano avanzare ad una velocità esponenziale. - ha spiegato Stella, una giovane attivista del cso Rivolta - La centrale di Fusina, dentro questo quadro, rappresenta per molti aspetti uno dei simboli della non volontà politica ed economica di affrontare la crisi climatica, anzi di voler continuare a speculare sulla devastazione del territorio”

“C’è un progetto di convertire questa centrale a metano - continua Stella -. L’Enel, proprietaria della centrale, pubblicizza questa operazione come un passaggio all’energia sostenibile dimenticando che anche il metano rimane sempre un combustibile fossile e un potentissimo gas serra. Non è questo il cambiamento to che vogliamo. Non è così che si ferma il climate change“.

L’iniziativa si è svolta pacificamente. Dopo tre ore di occupazione, le ragazze ed i ragazzi, hanno abbandonato i nastri e e si sono diretti in corteo verso i grandi siti di stoccaggio del carbone, a ridosso della laguna.

Ma non è solo la centrale a carbone, il problema dell’entroterra veneziano. Da tempo, la Regione Veneto col benestare del Comune di Venezia sta portando avanti il contestassimo progetto di riaprire un inceneritore, sempre nell’area di Fusina. Questo impianto di termodistruzione a cui mirano Ecoprogetto e i soci privati di Bioman e Agrilux, dovrebbe essere, nelle intenzioni dei suoi progettisti, il più grande del Veneto. “Ancora una volta per Marghera e per l’area metropolitana di Venezia - si legge in un comunicato dei centri sociali - si prospetta un futuro da pattumiera. Il nostro territorio è sommerso dallo smog e dai veleni ma ambiente e salute dei cittadini non contano mai niente quando di mezzo ci sono grandi affari”.

L’iniziativa si colloca in un percorso di avvicinamento al Venice Climate Meeting che si svolgerà nella città lagunare sabato 4 e domenica 5 aprile e che si propone in continuità col Climate Camp svoltosi a settembre al Lido. In quell’occasione, le ragazze e i ragazzi di Fridays for Future e gli attivisti dei No Grandi navi avevano vissuto un “giorno da leoni” occupando per la prima volta nella storia della mostra del cinema ill tappeto rosso delle star.

Il muro colorato dai sogni del Venezia Mestre

Il murale del Bae, sulla strada per Venezia, sarà abbattuto e ricostruito. I mattoni dell’opera, dedicata al «papà» degli ultrà del Mestre, venduti per finanziare la resistenza in Rojava 

È lungo cento metri. I disegni e i colori forti e vivaci richiamano il folklore e le tonalità tipiche degli indigeni del centro America: il rosso del tramonto ed il verde della selva. I colori del calcio Venezia. Le grandi lettere che compongono la scritta «Bae per sempre» sono completate da due frasi scritte più in piccolo: «I sogni attraversano gli oceani» e «Dalla laguna alla selva Lacandona».

È LUNGO CENTO METRI, il murale del Bae, e se ne sta su quel muro che costeggia via Libertà da quasi vent’anni. Da quando, dopo la morte di Francesco Romor, avvenuta nel febbraio del 2001, a soli quarant’anni, i suoi amici dello stadio e del centro sociale Rivolta gli hanno dedicato l’opera.
Chi arriva in auto a Venezia non può fare a meno di passarci accanto e, se non è del posto, di domandarsi cosa abbia in comune la città dei Dogi con la selva messicana. Via della Libertà è l’unica strada di accesso al lungo ponte che collega Venezia alla terraferma. Impossibile non notarlo e non rimanere colpiti da quella lunga esplosione di colori sempre vivaci. Ogni anno, il giorno del compleanno del Bae, i suoi amici rimettono mano ai pennelli ed alle vernici per riportare il murale al suo originario splendore coprendo il grigiore dei fumi di porto Marghera che, da queste parti della laguna, sono perennemente in agguato.
REALIZZATO A RIDOSSO del ponte della Libertà, il murale del Bae è esso stesso un ponte verso la libertà. Quell’esplosione di colori che lo compongono non sono solo un benvenuto a tutti coloro che arrivano a Venezia ma anche una esortazione a continuare a sognare perché è «con i sogni che si attraversano gli oceani». Quegli oceani che il Bae non ha potuto attraversare perché è scomparso proprio mentre stava per partire per il Messico per partecipare alla marcia della dignità indigena, o del Colore della Terra, come l’aveva pittorescamente chiamata il subcomandante insorgente Marcos. Quell’anno, dai centri sociali del nord est, partì per il Chiapas un centinaio di ragazze e di ragazzi riuniti nell’associazione Ya Basta. Tutti col Bae nel cuore.
CALCIO E LIBERTÀ.

Francesco Romor, il Bae

La storia del Bae. «Lui sapeva tenere insieme tutto e tutti – ricorda l’amico Franz Peverieri -. Era il papà degli ultras delle curva del Venezia Mestre. Piena di ragazzi che vedevano nel calcio un qualcosa capace di regalare sogni. Abbracciavamo i colori delle nostre squadre sapendo che nulla avevano a che fare col colore della pelle. Alla base del nostro tifo c’erano valori e passioni scevre da fascismi, razzismi e xenofobia». Una strada che ha portato il Bae ed i suoi ragazzi dagli spalti del Penzo, lo stadio del Venezia, ai centri sociali del nord est. Dentro il Rivolta di Marghera, gli ultras ritagliarono un loro spazio di militanza quotidiana creando la famosa Osteria allo Sbirro Morto, di cui il Bae era il rinomato cuoco. «Sino agli ultimi istanti di vita, il Bae ha continuato il suo impegno che univa passione per il calcio e sete di giustizia. Quando è scomparso, abbiamo piantato un albero nel giardino del Rivolta e poi, quando siamo andati in Messico, lo abbiamo portato con noi, e lo abbiamo ripiantato dove lui avrebbe voluto andare: a Guadalupe Tepeyaca, nel cuore della Selva Lacandona. Un villaggio che gli zapatisti hanno restituito ai suoi abitanti, liberandolo da sette anni di occupazione militare da parte dell’esercito federale».
IN COLLABORAZIONE con Ya Basta, gli amici di Francesco realizzano il progetto chiamato «Lo stadio del Bae» di supporto alle comunità indigene della rebeldia zapatista. L’idea iniziale era di costruire uno stadio a lui dedicato, ma, in accordo con la Junta de Buen Gobierno, hanno realizzato molto di più: un acquedotto a Guadalupe Tapeyac, l’erbolario di medicina tradizionale al caracol de la Realidad, campi da basket, falegnamerie e officine e altri progetti come Agua para todos e la commercializzazione del caffè zapatista. Grazie al sostegno di tante associazioni legate al «futbol rebelde» italiane e anche europee, come gli ultras tedeschi del Sankt Pauli, lo Stadio del Bae riesce a raccogliere quasi 100 mila euro che negli anni successivi saranno devoluti alle comunità ribelli indigene. Tutti progetti che, con altre formule e con altri finanziamenti, ancora sono portati avanti dalle associazioni Ya Basta di tutta l’Italia.
LE RUSPE NON CANCELLANO i sogni.
Sogni che non finiscono mai, quelli rappresentati dal murale del Bae. Sogni che attraversano gli oceani ma che rischiano di crollare sotto le ruspe che dovranno aprire la strada al nuovo piano di viabilità varato dal Comune di Venezia. Già. Il murale del Bae dovrà essere abbattuto per fare spazio ad una nuova strada. I cantieri sono già stati aperti e, tra non molto, Venezia dovrò dire addio allo storico muro. Non sarà però un addio al murale.
Il valore sociale ed artistico di questo che è uno dei primi esempi di street art mestrina è stato riconosciuto anche da una amministrazione comunale come quella di Venezia che certamente non è molto sensibile alle battaglie che stavano a cuore a persone come Francesco Romor. L’assessore alla Viabilità, Renato Boraso, ha garantito che sarà concesso uno spazio uguale nel nuovo muro che fiancheggerà la strada. Un gruppo di consiglieri bipartisan ha aperto un confronto con Ya Basta e le associazioni dei tifosi del Venezia per trovare una soluzione comune. Anche il presidente della municipalità di Marghera, Gianfranco Bettin, ha invitato il Comune ad aprirsi al confronto con la famiglia e gli amici di Romor.
RESTA PERÒ UN MURALE da abbattere. Un murale su cui sono stati riversati, assieme ai colori, anche tanti sogni. «Abbatteremo il muro ma salveremo il murale, rilanciando le battaglie in cui Francesco credeva – conclude Franz -. E lo faremo usando la nostra creatività. L’idea su cui stiamo lavorando è quella di smontare l’opera e vendere i singoli mattoni. Il ricavato lo destineremo ad altri progetti di resistenza e di solidarietà». Quali? «Se il Bae fosse ancora con noi, il suo cuore oggi sarebbe nel Rojava, assieme ai curdi che combattono contro l’aggressione turca. Con gli amici di Ya Basta stiamo valutando come realizzare questo progetto. Il nostro amico, ne siamo sicuri, sarebbe contento».

A Madrid è stato assassinato l’accordo di Parigi. Cop25 sarà l’ultimo crimine contro l’umanità

Cop25 ha chiarito una volta per tutte che i governi del mondo non sono in grado di mettere in campo una strategia adatta a contrastare i cambiamenti climatici. Al contrario della precedente conferenza svoltasi a Katowice, dove gli osservatori più ottimisti avevano giudicato in maniera positiva l’apertura di alcuni, generici, spazi di intervento verso un definitivo abbandono dei fossili, la conferenza di Madrid ha messo tutti d’accordo: Cop 25 è stata un completo fallimento. A nulla sono valsi i “tempi supplementari” di ben 42 ore giocati dopo la prevista chiusura dei lavori nel tentativo di salvare perlomeno la faccia. I rappresentanti dei 196 Paesi che hanno partecipato agli incontri, non hanno saputo, o voluto, trovare nessun accordo sui tre punti principali in discussione: la regolazione del mercato del carbonio, le compensazioni ai Paesi poveri e la quantità di Co2 che ogni singolo Paese dovrà impegnarsi a tagliare nei prossimi anni. Quei tre punti che a Katowice erano stati lasciati in sospeso e “rimandati a settembre”. Cioè alla prossima conferenza sul clima, questa di Madrid.
Come si temeva, non sono bastati i drammatici appelli degli scienziati (oramai non è rimasto più nessuno a sostenere tesi negazioniste) che hanno lanciato numerosi appelli al buonsenso, invitando i governi a dare retta alla scienza e non all’economia. Non sono bastate nemmeno le drammatiche notizie degli scioglimenti dei non più eterni ghiacciai artici o i fenomeni atmosferici sempre più estremi che si stanno verificando sempre più frequentemente in tutto il pianeta. A Venezia ne sappiamo qualcosa! Non sono bastate nemmeno i milioni di giovani che sono ripetutamente scesi nelle piazze di tutto il mondo a chiedere, in nome della “democrazia climatica”, una radicale svolta ecologista nella politica capace di ridare una speranza alla terra. Tutto questo non è servito a niente se non a dimostrare che i governi e la finanza procedono imperterriti in una direzione contraria a quella verso cui vanno la scienza, i cittadini consapevoli e pure il buon senso.
Il guaio è che sono i primi a tirarsi dietro il pianeta!

Quanto è accaduto a Madrid altro non è che un crimine contro l’umanità. Il peggiore. Non solo perché è il più cinico, il più cattivo e pure il più stupido. Questo rischia di essere il crimine “definitivo” contro l’umanità. Perché se l’aumento della temperatura non verrà in qualche modo contenuto, non ci sarà più posto per l’umanità sul pianeta Terra.

Sotto questo punto di vista, il genericissimo documento di intenti in cui si esprime la volontà di combattere in qualche modo i cambiamenti climatici, chiamato ipocritamente “Time for action”, appare solo come una crudele presa per il sedere. Senza considerare che, come ha sottolineato il noto ed apprezzato meteorologo Luca Lombroso, anche per questo documento assolutamente inefficace ai fini pratici, Brasile e Usa hanno avuto il coraggio di fare ostruzione! I primi perché hanno tutta l’intenzione di “monetizzare” la foresta amazzonica sino all’ultimo albero - e tanti saluti all’ultimo polmone verde rimasto su questa terra -, i secondi perché il loro presidente Donald Trump continua a sostenere tesi negazioniste in onore alle lobby delle energie fossili che lo hanno fatto eleggere.

Dopo questa Cop, di fatto, l’accordo di Parigi non esiste più. Solo l’Europa, grazie al nuovo Governo, qualcosa ha fatto approvando un percorso che dovrebbe condurci nel 2050 alla “neutralità climatica”, ovvero a zero emissioni. Ma l’Europa da sola non basta. Gli Stati Uniti, come hanno dichiarato da tempo, si stanno sfilando ed è possibile che nei prossimi incontri non parteciperanno neppure con un delegato. Cina, India, Russia, Paesi Arabi e il Brasile del presidente Jair Bolsonaro - guarda caso i Paesi che inquinano maggiormente e che sono stati tra i principali attori di questo fallimento - hanno ampiamente dimostrato che non sono disposti neppure e concedere una generica promessa a contenere le emissioni ed a limitare il consumo delle energie fossili.

Arrivati a questo punto, possiamo anche cominciare a discutere su cosa ed a chi servono queste conferenze sul clima se non a “dare un’opportunità ai Paesi di negoziare scappatoie”, come ha suggerito Greta.

Parte Cop25. E parte male. Arriverà peggio?

Parte male, Cop 25. Parte senza uno degli attori principali, responsabile del 14,3% delle emissioni totali di climalteranti: gli Stati Uniti d’America. Non è un mistero che presidente Donald Trump sia un negazionista convinto. Più volte, nella sua campagna elettorale, finanziata dalle multinazionali più inquinanti del paese, ha sottolineato che il “modello di vita americano” non può essere oggetto di trattativa. La sua decisione di uscire dagli accordi di Parigi, e quindi anche dalle Cop, altro non è che una logica conseguenza della sua politica. A Madrid gli Usa faranno solo una comparsata affidata alla speaker della Camera, Nancy Pelosi, che non farà che ribadire le posizioni del suo presidente. Proprio come se gli Stati Uniti d’America si trovassero su un altro pianeta, lontano qualche anno luce, e non su questa nostra Terra colpita da uno stravolgimento climatico globale come il Climate Change.
Parte male anche dal punto di vista organizzativo, questa Cop. Santiago del Cile, che doveva ospitare i lavori, ha dato forfait per i noti problemi interni (il Governo cileno è impegnato a massacrare i manifestanti che chiedono democrazia) e ha passato all’ultimo momento il testimone a Madrid. L’organizzazione rimane comunque competenza del Cile, ed è tutto da vedere come sono riusciti a spostare in poche settimane tutto il “circo” non soltanto in in altro Paese ma anche in un altro Continente.

Parte male, questa Cop, proprio quando avrebbe dovuto partire bene. Ci siamo già giocati i famosi “dieci anni di tempo per invertire rotta” assegnati dalle Cop precedenti. L’accelerata che il clima ha preso in questi ultimi anni sono tali da aver convinto anche i negazionisti più irriducibili. Tranne, ovviamente, Trump e la sua ciurma di capitalisti petroliferi e giornalisti venduti che lo sostiene. A nulla sono serviti gli appelli degli scienziati e gli ultimi rilevamenti che hanno sottolineato come il punto di non ritorno sia sempre più vicino. E stiamo parlando del punto di non ritorno per evitare la scomparsa della vita umana sulla terra, perché quello relativo ad una epoca di sconvolgimenti ambientali, e quindi anche sociali, lo abbiamo già oltrepassato da un pezzo. I dati che arrivano dai ricercatori artici fanno paura e si teme l’innescarsi di un effetto domino dalle conseguenze inimmaginabili con lo scioglimento anticipato dei ghiacciai dei poli.

L’umanità è ad un bivio. E ce lo spiega anche il Segretario generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres: “Entro la fine del prossimo decennio saremo su uno dei due percorsi: uno è quello della resa, in cui abbiamo il punto di non ritorno, altra opzione è il percorso della speranza, un percorso di risoluzione, sulla strada della neutralità del carbonio entro il 2050”.

Punto fondamentale della Cop sarà quello di mettere in atto tutti meccanismi necessari a mantenere l’aumento della temperatura media del pianeta entro i 2 gradi centigradi e di arrivare al 2050 con un mondo ad emissioni zero. Ma se continua così non ce la faremo mai. Lo afferma senza possibilità di equivoci lo stesso Guterres: “Molti Paesi non stanno rispettando tali impegni. E i nostri sforzi per raggiungere questi obiettivi sono assolutamente inadeguati”.

Come aiutare, o costringere!, i Paesi partecipanti a rimanere all’interno dei parametri fissati a Parigi, sarà il punto focale di questa Cop. I Governi del mondo dovranno darsi delle regole per rendere operativo il famoso articolo 6, quello dei crediti di carbonio, degli accordi parigini. Non sarà una questione semplice. Sopratutto in un momento come questo in cui il capitalismo – vero responsabile dei cambiamenti climatici – ha occupato i punti chiave del pianeta con marionette del calibro del presidente del Brasile, Jair Bolsonaro, o del suo equivalente statunitense. Per tacere dei Paesi produttori di petrolio la cui ricchezza e potenza è tutta centrata sul fossile, e che non hanno nessuna intenzione di cambiare rotta.

Parte male quindi, Cop 25, e rischia di arrivare peggio, pure se solo alla fine dei lavori potremmo dire se ne sarà uscito qualcosa di concreto. Ma quanto meno, gli incontri saranno una occasione per riflettere sul clima e dare spazio mediatico a scienziati ed ambientalisti. D’altra parte, da un pezzo abbiamo chiaro che quello che non fa e non farà mai la politica, lo potranno fare solo i Fridays for Future. Gli unici d aver capito che nei cambiamenti climatici ci siamo già dentro e che il momento per abbattere una economia di rapina ancora artigliata ai fossili à qui ed ora.

Unite o separate? Venezia e Mestre ci riprovano per la quinta volta

E con questo sono cinque. Per la quinta volta, i residenti di Venezia sono chiamati ad esprimersi sulla divisione dell’attuale Comune in due amministrazioni autonome, una per Venezia e una per Mestre. Si tratta di un referendum solo consultivo ma legittimato dal Consiglio di Stato e, pur se con qualche resistenza, anche dalla Regione Veneto che ha stanziato gli 800 mila euro necessari allo svolgimento della consultazione. Se vincerà il Sì, la città d’acqua e la Terraferma si separeranno, ognuna con un suo sindaco e una sua amministrazione, proprio come chiede la legge di iniziativa popolare numero 8 che sta alla base del referendum. Se vincerà il No, o l’astensione, tutto rimarrà come adesso.
Siamo al quinto referendum sullo stesso tema, scrivevamo in apertura. La tenacia dei separatisti, tra le calli di Venezia e le strade di Mestre, è diventata ormai proverbiale. L’ultima chiamata alle urne, nel 2003, è stata annullata per il non raggiungimento del quorum, appena il 39 per cento. Avrebbero comunque vinto gli unionisti con il 66 per cento dei voti. Le precedenti consultazioni, avvenute nel 1979 (affluenza 80%), nel 1989 (74%) e nel 1994 (68%), hanno ugualmente visto trionfare i No ma con percentuali sempre decrescenti. In ordine: 72%, 58% e 56%.

Gli ultimi sondaggi che sono girati sul web, vedono trionfare il club dell’astensione e degli indecisi ma con una leggera percentuale di Sì tra coloro che hanno manifestato l’intenzione di andare votare. Sono comunque tutte statistiche raccolte prima dei giorni dell’Acqua Granda. Tutto da vedere se e come la drammatica settimana del 12 novembre influirà sul referendum e sull’affluenza. Di sicuro, il tema della separazione non è stato al centro del dibattito politico degli ultimi giorni, tutto centrato su “Mose sì, Mose no” e sui progetti di difesa della città dall’assalto, che minaccia di essere sempre più frequente, delle maree e dei cambiamenti climatici.

Per i separatisti, il primo scoglio da superare sarà quello del quorum. Sotto accusa, il sindaco Luigi Brugnaro che ha espressamente invitato all’astensione e che ha fatto tutto quello che poteva fare, e anche qualcosa di più, per silenziare un referendum che lo priverebbe quantomeno di metà Comune. In caso di vittoria del Sì, il sindaco di Venezia sarebbe obbligato infatti a levare le tende ed a scegliere dove presentare una sua ipotetica candidatura futura. Il suo invito a disertare le urne ha suscitato le ire della senatrice Cinque Stelle Orietta Vanin che ha denunciato tutta una serie di censure operate dall’amministrazione. Ed in effetti, anche a voler prescindere dal fatto che per pescare un tabellone per le affissioni devi girare tutta la città e quando lo trovi è un formato ridotto, ai separatisti sono stati negati, e senza neppure la briga di una giustificazione, anche gli spazi pubblicitari a pagamento dell’azienda municipale dei trasporti. Ancora più grave la rimozione forzata da parte dei vigili urbani degli striscioni separatisti che alcuni privati cittadini avevano appeso alle loro finestre. Tutte operazioni che la Vanin ha giudicato come un attacco ai diritti politici e civili dei cittadini.

Dei 5 Stelle va detto che da un iniziale “votate secondo coscienza” si sono convertiti al separatismo dopo l’entrata a gamba tesa di Grillo che nel Blog delle Stelle ha invitato a votare Sì perché “altrimenti tutto rimane uguale”.

Ancora più acrobatica la posizione della Lega, convinta separatista nei referendum precedenti, oggi astensionista ed allineata alle posizioni del sindaco che sostiene in maggioranza.

Andare a votare per rispetto dell’istituzione referendaria ma votare No è la posizione del Pd, dei Verdi e, in generale, della sinistra, pur con qualche voce discordante. Una su tutti, quella dell’ex candidato sindaco Felice Casson che propende per il Sì. Per il No anche Confindustria, Cna e Cgil. ”Se fosse un referendum per l’autogoverno di Venezia voterei subito Sìto - ha spiegato Tommaso Cacciari - Ma questa consultazione punta solo ad indebolire tanto Mestre quanto la città lagunare che diverrebbe marginale e non avrebbe più voce in capitolo né sui cieli, né sulle acque perché Porto e Aeroporto resterebbero al di fuori della sua competenza”.

«Non chiamatelo maltempo». A Venezia, il Friday for future con gli stivali

La crisi climatica è qui ed ora. Le ragazze ed i ragazzi di Fridays for Future lo scrivono nello striscione che apre il corteo di Venezia. Portano tutti gli stivali ai piedi perché, nell’ex laguna dei Dogi, l’emergenza non è ancora finita. Dal codice rosso di «alta marea eccezionale», le acqua alte sono passate al codice arancio di «sostenuta». Che significa comunque un buon 30% della città a mollo. E vista con gli occhi di chi ha l’acqua alle caviglie, la crisi climatica acquista tutto un altro carattere di emergenzialità. Per tutti, tranne che per l’amministrazione comunale di Venezia e della sua maggioranza negazionista che continua a rifiutarsi di votare una mozione di emergenza climatica, come chiedono i FfF, nonostante nei giorni della acqua granda, nell’atrio di Ca’ Farsetti ci si potesse navigare in gondola.
Proprio per questo suo immobilismo, il Comune è stato il primo bersaglio dei manifestanti che lo hanno simbolicamente chiuso col nastro rosso delle emergenze. «Venezia è il perfetto paradigma della crisi ambientale che stiamo attraversando – ha spiegato Sofia Demasi di FfF -. Una città sorta su un meraviglioso equilibrio tra terra e mare che è stato progressivamente devastato da grandi opere come il Mose. Decretare la morte della laguna, sbarrandone gli accessi al mare per sei mesi all’anno, come farebbe il Mose se riusciranno un giorno a farlo entrare in funzione, non può essere una soluzione accettabile. Non possiamo pensare di sopravvivere noi, mentre crolla l’intero ecosistema. È l’intero pianeta che deve sopravvivere. Ma su questo obiettivo, i nostri politici sono assolutamente inadeguati».

Buoni solo a fare passerelle in piazza San Marco, spiegano dai loro megafoni i FfF, mentre la città è invasa da una acqua granda che non si vedeva da mezzo secolo. Ma «non chiamatelo maltempo», afferma l’hastag scelto dai manifestanti per i social. Non è l’acqua che ha devastato Venezia ma le conseguenze di uno sviluppo devastante che ha mercificato la laguna, asservendola agli interessi delle Grandi Navi e del porto industriale, scavando grandi vie d’acqua incompatibili con la morfologia del fondale.

Ma se Venezia rimane comunque una città sotto i riflettori del mondo, i ragazzi di FfF non hanno dimenticato che i fenomeni meteorologici estremi, che oggi sono straordinari ma che domani saranno ordinari, hanno colpito anche aree che non godono della stessa attenzione mediatica. Cartelle e striscioni in solidarietà con la Liguria, la Toscana, il Trentino, la Sicilia e la Basilicata sono stati appesi in campo San Geremia, davanti ala sede della rai Regionale. «Ma non chiamatelo maltempo – conclude Sofia -. Siamo nel bel mezzo di una crisi climatica e ne usciremo solo cambiando il sistema».

Venezia e New York, destino comune sancito dai Fridays for Future

Appuntamento a Park Avenue. Domani in laguna nuova alta marea: quarto codice rosso negli ultimi 10 giorni

Anche a New York, i Fridays For Future si sono mobilitati per la salvaguardia di Venezia, e si sono dati appuntamento per il loro sit in del venerdì a Park Avenue, davanti al consolato italiano. «Venezia è sommersa – hanno scritto in un tweet – e sta pagando l’inazione del Governo e della Regione del Veneto di fronte ai cambiamenti climatici».

Un destino comune, quello della Città dei Dogi e della Grande Mela. Entrambe le città sono considerate tra le più a rischio per l’innalzamento del livello dei mari. Ma è anche l’ennesima dimostrazione di come Venezia sia sempre al centro dell’attenzione mondiale. «La nostra città ha una innegabile dimensione globale – ha spiegato marco Baravalle del comitato No Grandi Navi -. Non è solo un simbolo, ma anche un chiaro paradigma di un pianeta condotto alla deriva da un sistema produttivo predatorio e mercificatore. Ma proprio per le sue peculiarità, Venezia ha tutte le carte in regola per riscattarsi e dimostrare che acqua, terra ed esseri umani possono coesistere in un unico ambiente come era ai tempi della Serenissima, prima che il capitalismo anteponesse gli interessi industriale a quelli della salvaguardia della città e si cominciasse ad interrare le barene per far spazio alla zona industriale».

Ristabilire questo perduto equilibrio morfologico, piuttosto che continuare in una politica di grandi opere devastanti che non sono la soluzione ma la causa del problema, è quanto chiedono Fridays For Future e il comitato No Navi che questo pomeriggio alle ore 17, in una assemblea cittadina in sala San Leonardo, chiameranno alla mobilitazione per domenica pomeriggio.

Mobilitazione che si svolgerà proprio dopo un’altra grande marea. Domenica mattina, alle 8,45, sono previsti infatti 140 centimetri di acqua alta. Il che comporterà l’allagamento di perlomeno il 60 per cento delle calli e dei campielli. Certo, siamo lontani dal picco di 187 centimetri registrato martedì, ma rimane comunque una “alta eccezionale” col rischio che lo scirocco ci faccia un’altra volta lo scherzo di spingere un altro fronte d’acqua dentro la laguna. In ogni caso, siamo al quarto «codice rosso» nei soli ultimi 10 giorni.

«I miei concittadini sono attoniti e muti – spiega Andreina Zitelli -. Attoniti perché non avevano mai assistito ad una tale frequenza di acque alte. Muti perché hanno capito che la politica non li salverà. Governo, Regione e Comune continuano a parlare del Mose e della necessità di realizzarlo al più presto. Ma nessuno sa, se e quando sarà pronto. I test sono ancora tutti da fare e hanno già detto che in situazioni critiche come quelle di martedì, nessuno potrebbe prevedere l’effetto delle onde sulle paratoie, col rischio di cedimento e di far spazzare la città da uno tsunami. Tutta l’operazione è in mano a enti che perseguono interessi privati come il Porto. Nessuno affronta il problema vero: cosa fare per difendere sin da ora e con un progetto che guardi al futuro climatico che ci attende, la laguna dalle alte maree. L’unica soluzione è quella di alzare i fondali e riportarli come erano una volta per rimediare agli errori passati. Bisogna fare entrare meno acqua e meno velocemente».

Sospendere i finanziamenti milionari al Mose per dirottarli verso opere atte a ripristinare la morfologia lagunare e salvaguardare il costruito, è quanto chiederanno i manifestanti che domenica daranno vita ad un corteo con partenza da campo Santa Margherita alle 14. La manifestazione si farà anche in caso di acqua alta, assicurano. Perché, come cantano i No Tav per la Val di Susa, “La laguna paura non ne ha”.

In piazza dopo la mareggiata per dire no al Mose

Dopo i giorni dell’emergenza, arrivano i giorni della mobilitazione. «Non ci siamo tirati indietro quando c’è stato da rimboccarsi le maniche per aiutare le persone che avevano le case e i negozi allagati, non ci tiriamo indietro adesso che vogliamo, e dobbiamo, far sentire la voce di Venezia a quanti pretendono di decidere il suo futuro senza tener conto dei nuovi scenari climatici». Anna De Faveri, giovanissima studentessa di Fridays For Future, è una delle tante ragazze e dei tanti ragazzi che i giornali locali hanno battezzato «angeli della laguna» per l’impegno profuso tra calli e campielli dopo la mareggiata di martedì 12. Anna e altri studenti di FfF, assieme a rappresentanti del comitato ambientalista No Grandi Navi, hanno annunciato una grande manifestazione per domenica prossima e sono stati i protagonisti di una affollata conferenza stampa nel cuore di Venezia, in una Scoletta dei Cale- gheri con il pavimento ancora bagnato dell’alta marea.
«Non chiamiamola ‘acqua alta’ - ha sottolineato Tommaso Cacciari del laboratorio Morion - Quella che ha colpito Venezia è stata una cosa ben diversa dalle solite alte maree. È stata un’onda anomala causata dalla sovrapposizione di un fenomeno meteorologico estremo dovuto ai cambiamenti climatici e dalla devastazione di una laguna trasformata in merce da un modello di sviluppo sconsiderato».

È cambiato il clima, è cambiata la laguna, è cambiata la marea. Sono rimasti uguali solo i politici che continuano a invocare il Mose, l’opera costata 5 miliardi e mezzo di cui uno e mezzo speso in corruzione, come unica panacea salvifica. «Il Mose non è la soluzione ma parte del problema - spiega Armando Danella del comitato No Navi - Si è verificato proprio quello da cui gli ambientalisti avevano messo in guardia. Oggi tutte le criticità dell’opera sono evidenti. Proprio quelle criticità per le quali il Comune, gli ecologisti, la scienza avevano cercato di bloccare l’opera. Quello che non sono riusciti a fare loro, lo hanno fatto i cambiamenti climatici che implicano una frequenza sempre maggiore di fenomeni estremi che mettono in luce l’inadeguatezza del sistema di paratie mobili».

Lo striscione che aprirà il corteo di domenica chiederà, proprio in nome dell’emergenza che sta vivendo Venezia, di sospendere i finanziamenti al Mose e dirottare questo denaro su opere atte a contenere le prossime mareggiate, ristabilendo l’equilibrio idrogeologico della laguna, innalzando la pavimentazione delle isole, pulendo i canali interni alla città e abbassando la profondità delle bocche di porto e dei canali navigabili. Progetti poco costosi e di facile realizzazione. Progetti già sperimentati con successo e che possono aiutare la città ad affrontare le prossime mareggiate. 11 corteo partirà da Campo Santa Margherita alle 14. La mobilitazione sarà preceduta, sabato in sala San Leonardo, da una assemblea pubblica.

La manifestazione era stata prevista per il primo dicembre ma è stata anticipata di una settimana perché questa domenica i residenti del Comune sono chiamati alle urne per esprimerei sull’ennesimo referendum per la separazione di Venezia e Mestre. Ma c’è anche un’altro motivo per cui la manifestazione è stata anticipata al 24. Martedì 26, infatti, si riunirà il cosiddetto Gomitatone, il comitato interministeriale che ha il compito di decidere sulla salvaguardia di Venezia. Una forte mobilitazione della città due giorni prima dell’incontro potrebbe rivelarsi decisiva per le sorti di Venezia.

E mentre preparano la manifestazione, le ragazze e i ragazzi di FfF non trascurano di intervenire attivamente per aiutare i residenti alluvionati. «Alla faccia di tutti quei politici che dicono che siamo capaci solo di marinare la scuola». Ruggero Tallon si toglie il proverbiale sassolino dalla scarpa: «In questo momento stiamo lavorando per Pellestrina. Venerdì dovremmo riuscire a portare loro un prima barca carica di elettrodomestici. Nell’isola c’è gente disperata che ha davvero perso tutto. E nessuno di loro si illude che arriveranno aiuti come per Venezia».

La Serenissima conta i danni. Emergenza fuori dall’acqua

Dopo il picco alta marea di domenica la Laguna prova a rialzarsi. Ma è caos negli ospedali

La paura è oramai alle spalle. La seconda mareggiata prevista per domenica a mezzogiorno si è fermata di qualche centi- metro sotto il metro e sessanta annunciato. I veneziani l’hanno attesa con gli stivali ai piedi. I piani terra di case e negozi difesi da pompe e paratie d’acciaio, o da improvvisate tavole di compensato sigillate agli stipiti degli usci con speciali schiume impermeabili. Qualche spiritoso ci ha scritto sopra in pennarello: «E1 Mose dei poareti». Il Mose dei poveri. Ma i disastri che doveva fare, l’acqua granda li ha già fatti lunedì e la città, stavolta, se l’è cavata con la consueta montagna di disagi. L’atmosfera che si respira tra i residenti è quella di chi vuole tornare alla normalità il più presto possibile. Le librerie hanno sistemato dei tavolini pieni di libri danneggiati nei campielli con il cartello: «prendi ciò che vuoi, paga ciò che vuoi». Gli studenti sono tornati a scuola, i servizi di linea regolari, a parte alcuni approdi ancora sottosopra, uffici e negozi aperti, banchi dei supermercati pieni di merci. Solo il tradizionale «Buongiorno» di chi si incrociava tra le calle è sostituito da un solidale: «Danni?»
Solo la sanità È ancora lontana dal recuperare. I reparti ospedalieri dei piani terra sono ancora sottosopra. Gli appuntamenti sono saltati quasi dappertutto e vanno ad incastrarsi nelle già lunghe file d’attesa. Davanti agli ambulatori dei medici di base - quasi tutti al piano terra - ci sono lunghe fila di pazienti, anziani soprattutto, che chiedono impegnative, ricette e il vaccino anti influenzale. «L’acqua ha fatto saltare il computer e anche l’archivio cartaceo è stato rovinato. Gli studi li stiamo pulendo adesso - spiega la segretaria di un ambulatorio -. Mi tocca dire a tutti di tornare domani che vediamo che possiamo fare».

Sul capitolo “Danni” la situazione comincia ad essere più chiara. La soprintendente veneta, Emanuela Carpani, ha dichiarato: «Su un totale di 120 chiese, ne sono state sommerse una settantina. Solo per i primi interventi di reai pero serviranno tra i 60 e i 70 mila euro per ognuna. I danni più grandi si sono verificati nelle isole Torcello e Murano. Ma anche Chioggia e tutto il litorale è stato colpito pesantemente».

La flotta del servizio pubblico lagunare di navigazione ha perso irrimediabilmente 5 vaporetti che sono stati affondati dalla mareggiata. Poi ci sono gli approdi da ripristinare. Il direttore Giovanni Seno ha parlato di un conto tra i 15 ed i 20 milioni di euro. Già con questa voce, se ne va già il primo finanziamento stanziato dal Governo che ammontava proprio a 20 milioni di euro.

SE A VENEZIA LA VITTIMA dell'acqua granda è stato più che altro il patrimonio artistico, a Porto Santa Margherita, Eraclea, Bibione, Lignano e Caorle, lo è stato l’ambiente. La spiaggia di Caorle, in particolare, non esiste più. La sabbia è stata ingoiata dal mare.

Con il bollettino delle maree che prevede qualche giorno di stabilità, Venezia sta lentamente cercando di ritrovare una sua normalità. Tanto i cittadini quanto la politica, catalizzati sul dibattito Mose si o Mose no, preferiscono ignorare che, tra cambiamenti climatici e continui scavi in laguna, l'emergenza di questi giorni rischia di perdere il suo carattere di eccezionalità e di ripresentarsi presto.

Statistiche alla mano, negli ultimi dieci anni, la fr equenza delle alta maree f* andata via via aumentando, e il trend lascia supporre che l’acqua gratula tornerà più presto di quel chi spera. In assenza di una severa polìtica di ripristino degli antichi equilibri idrogeologici e, più in generale, di contenimento del cambiamenti climatici, Governo, Regione e Comune continuano a battere sul tasto dell'emergenza. Va tutta in questa direzione, la nomina del sindaco Luigi Bru- gnaro, caldeggiata dal presidente della Regione Luca Zaia, a commissario per l'emergenza. Dopo essersi fatto immortalare come un novello San Cristoforo intento a soccorrere, con gli stivali al piedi, un cameraman infortunato, il sindaco ha esortato i veneziani a «fotografare e documentare i danni e gli interventi» riferendosi ai famosi 5 mila euro per 1 privati e 20 mila per le imprese promessi dal Governo a titolo di rimborso. «Sotto una certa cifre basterà la firma di un perito, Sopra, ci sarà un procedura di verifica. Ma nei prossimi giorni, ci doteremo di una cabina di regia per gestire la faccenda».

SOSTEGNO ALLA CABINA di regia del sindaco, arriva anche dal Pd locale. Pesanti critiche al neo commissario arrivano invece dagli ambientalisti. «Brugnaro ha sempre sostenuto il Mose, causa prima del dissesto lagunare - ha dichiarato Marco Baravalle dei No Navi -, E' favorevole allo scavo dei canali per far passare le Grandi Navi, Per sua stessa ammissione di problemi tecnici non ne capisce niente. Insomma è la persona meno adatta per salvare Venezia dall'acqua alta».

Venezia in allerta per il picco di acqua alta

La città prova a rialzarsi dopo l’alta marea dei giorni scorsi, ma per mezzogiorno di oggi è prevista una nuova ondata di piena. Sospesi i mutui per un anno. Il comune invita i cittadini a documentare i danni subiti.


Cinque giorni dopo l’acqua granda, Venezia è ancora qua, «picada a un ciodo», appesa ad un chiodo, ma viva. Le scuole ancora chiuse e gli studenti in giro con scope e ramazze ad aiutare chi ne ha bisogno. Ad affiancarli, un nutrito numero di pensionati, già idraulici ed elettricisti, che hanno ripreso in mano i ferri del mestiere, e si sono messi a disposizione di quanti ne hanno bisogno. I negozi stanno lentamente tornado alla normalità, anche perché le maree di ieri e dell’altro ieri si sono rivelate meno pesanti del previsto. Il botto però, è atteso per oggi alle 12,30 in punto. Le previsioni del Centro Maree, che non è che ci abbia azzeccato molto in questi giorni di emergenza, parlano di 160 cm. sul livello del mare. Un numero che fa paura, e non soltanto perché significa che la città sarà sommersa per un buon 80 per cento, quanto perché era questa la marea prevista per la notte della mareggiata e che, grazie alla spinta di un «muro» di scirocco, è arrivata a ben 187 centimetri, sfiorando il record di quel terribile 4 novembre del 1966.

Chi ha qualche anno sul groppone, se lo ricorda bene quel novembre. Stefano Fiorin è un pescatore molto noto a Venezia, perché sul suo cofano va a pesca sia di branzini che di sacchetti delle immondizie. Quando ne vede uno, se lo tira in barca per consegnarlo ai punti di raccolta differenziata della Veritas, l’azienda che gestisce il ciclo dei rifiuti. La laguna è casa sua. E chi non terrebbe pulita casa sua? «Mai visto tanti sacchetti a spasso per i canali come in questi giorni – racconta -. La grande differenza tra l’acqua alta del ’66 e questa è la plastica. Cinquant’anni fa non ce n’era. Perlomeno non come ai nostri giorni. Oggi la laguna ne è invasa. Io ho raccolto quello che ho potuto ma ho dovuto portarmi tutto a casa perché la Veritas non ha ancora ripristinato la raccolta differenziata. Dicono che non ce la fanno ancora».

Va meglio per il trasporto pubblico. Fatte salve un paio di linee dirette al Lido ed una mezza dozzina di approdi ancora sottosopra per la mareggiata, il servizio è tornato in funzione. I disagi sono comunque ancora notevoli in quanto, pur con acque alte di minore intensità, come si registrano in questi giorni, battelli e vaporetti sono costretti a fermarsi perché non riescono a passare sotto i ponti.

Sul fronte romano, il Consiglio dei ministri ha approvato la richiesta di Comune e Regione ed ha dichiarato lo stato di emergenza sia per la città di Venezia che per tutte le altre aree del Veneto colpite dall’alluvione. Il governo ha ufficialmente stanziato il primo finanziamento, ammontante a 20 milioni di euro. Fondi che saranno destinati ai privati con un massimale di 5 mila euro, e alle imprese, massimo 20 mila euro, che abbiano subito danni. L’amministrazione comunale veneziana ha deciso di posticipare la scadenza della tassa sui rifiuti (Tari) e di farla slittare di un mese, dal 16 novembre al 16 dicembre, sia per le aziende che per i residenti. Il Comune ha invitato i cittadini a documentare i danni subiti ed a presentare domanda di rimborso. Anche l’Abi, l’associazione Bancaria italiana si è mobilitata ed ha invitato le banche a venire incontro a quanti sono stati danneggiati dalla marea. Bnl e Unicredit hanno sospeso il pagamento dei mutui concedendo una moratoria di un anno. Questi istituti hanno anche varato un prestito speciale di solidarietà a condizioni agevolate per sostenere la ripresa dell’economia.

Il sindaco Luigi Brugnaro parla genericamente di «un miliardo di danni». Una cifra come un’altra, perché la conta dei danni non soltanto non è ancora iniziata ma non si sa ancora quando potrà concludersi, considerato che l’emergenza è ancora in atto. Senza contare che ci sono perdite che nessuna banca potrà ripagare. Ad esempio ai danni che l’acqua salata ha causato ai delicati mosaici della basilica di San Marco ed alla sua cripta. Oppure agli spartiti vergati a mano da Antonio Vivaldi, Benedetto Marcello e altri grandi della storia delle musica che si trovavano nella biblioteca del conservatorio Benedetto Marcello e che sono stati irrimediabilmente distrutti dall’acqua salata.

Non tutto a questo mondo si misura con i «schei».
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