In questa pagina ho riportato gli ultimi articoli che ho scritto per il quotidiano ambientalista Terra, il settimanale Carta, Manifesto, per siti come Global Project, FrontiereNews o siti di associazioni come In Comune con Bettin e altro ancora.
Poveglia, l’isola più infestata del mondo
26/07/2017Cicap
Quei sette ettari e mezzo di case diroccate e di vegetazione incolta, nel bel mezzo della laguna sud di Venezia, sarebbero i più infestati al mondo da presenze ultraterrene: spiriti maligni, fantasmi di morti di pestilenze, vittime senza pace di folli esperimenti psichiatrici.
L’aspetto davvero incredibile della vicenda è che tra noi abitanti della laguna, nessuno ne era consapevole. Perlomeno sino a quella mattina del 18 luglio dell’anno scorso, quando, nell’aprire la pagina di cronaca cittadina dei giornali locali, i veneziani hanno letto la notizia del giorno: “I fantasmi “cacciano” 5 americani” (La Nuova di Venezia e Mestre), “Aiuto i fantasmi! Turisti americani portati in salvo dai vigili del fuoco” (Gazzettino).
Cinque boys del Colorado
Gli articoli, non privi di un certo sarcasmo, raccontavano il “singolare intervento” di salvataggio portato a termine da una “lancia” dei vigili del fuoco. Cinque ragazzi del Colorado, tutti meno che ventenni, avevano deciso di regalarsi una avventura da brivido trascorrendo una notte intera a Poveglia. Si erano fatti portare nell’isola da un taxi con un armamentario da Ghostbusters, quindi avevano salutato il marinaio chiedendogli di venirli a prendere il mattino dopo.
Poco dopo mezzanotte, una barca a vela che rientrava in porto dal canale di Malamocco, li ha sentiti urlare: “Ghosts, ghosts!”, Spettri, spettri. Lo skipper ha chiamato i pompieri che sono immediatamente accorsi e li hanno tratti in salvo. I cinque hanno poi raccontato ai giornalisti di aver avuto un “incontro ravvicinato” con i fantasmi dell’isola, di aver sentito voci e lamenti, rumori infernali che provenivano dal buio della notte… Presi dal panico, hanno abbandonato sul campo le attrezzature e sono scappati sul molo, urlando come anime dannate sino a che i vigili del fuoco non li hanno portati via dall’isola maledetta.
E così, questa estate, i veneziani hanno scoperto che tra le tante attrattive della loro laguna, c’è anche l’isola più infestata del mondo. La vera sorpresa però, come abbiamo scritto in apertura, è che quest’isola infestata è Poveglia. Isola che, nell’immaginario collettivo lagunare, è il posto più tranquillo del mondo. Ci siamo sbarcati tutti da ragazzini, alla ricerca di avventure alla Stevenson, a bordo del nostro primo “cofano”, l’equivalente lagunare del motorino. Più avanti con l’età, Poveglia è tappa obbligatoria per grigliare branzini in compagnia di amici e saltare i “peoci” raccolti in apnea ai piedi della “bricole”.
Ma che l’isola fosse zeppa di fantasmi inquieti… nessuno se lo immaginava.
L’isola maledetta… che non ti aspetti
Di presenza spettrali, nella tranquilla Poveglia, non si trova traccia in tutta la pur ricca letteratura di storia e di tradizioni popolari veneziane. Non ne parla Alberto Toso Fei nel suo “Veneziaenigma” (Elzeviro Edizioni), non ne fa cenno Marcello Brudsegan nelle sue “Guide Insolite” (Newton Compton), e tantomeno se ne trova traccia in “Venezia, luoghi di paure e di voluttà” (Edizioni della Laguna) scritto da Elena Vanzan. Neanche Espedita Grandesso, che ama romanzare leggende popolari tra il gotico e il pauroso in libri come “Fantasmi a Venezia” (Helvetia), ha mai recuperato qualcosa che riguardasse la placida Poveglia. Niente di niente!
Ma allora, come è venuto in mente a questi boys del Colorado di cercare fantasmi proprio a Poveglia? Questo era il vero mistero. E per avvicinarci a una possibile soluzione dobbiamo proprio guardare agli Stati Uniti d’America.
Ci riferiamo in particolare a una seguitissima – oltreoceano – serie televisiva che “indaga” il paranormale e ha dedicato una intera puntata a Poveglia. I metodi di “indagine”, lo avrete immaginato, sono ben diversi da quelli del CICAP. Tanto è vero che in più occasioni gli amici di Skeptical Inquirer hanno liquidato questa serie televisiva come “solo spettacolo e niente di più“.
La trasmissione si chiama Ghost Adventures (in italiano Cacciatori di fantasmi) e, negli Usa, va in onda su Travel Channel, uno dei canali Discovery. Un autentico successo di pubblico, considerando che la serie è alla sua 13esima stagione e continua a produrre nuovi episodi. Ghost Adventures è trasmessa anche in Italia su Sky, anche se nel nostro Paese ha ottenuto un seguito minore.
Manco a dirlo, la puntata che i ghostbusters a stelle e strisce hanno girato a Poveglia, “Poveglia Island”, e che è stata mandata in onda il 13 novembre 2009, è stata votata come una delle migliori della seria. Le riprese notturne all’infrarosso realizzate tra le chiese diroccate ed i palazzi invasi dalla vegetazione sono davvero spettacolari. Nel corso delle “indagini”, il regista, medium nonché capo investigatore Zachary Alexander Bagans detto Zag, viene addirittura posseduto da una delle anime dannate che infestano l’isola dando vita ad una scena degna di un film horror. L’anima inquieta lagunare che parlava un ottimo inglese, si rivelò particolarmente maligna e per il povero e posseduto Zag fu una esperienza terrificante. Tanto che ebbe a dichiarare: “Abbiamo quasi rischiato di dover interrompere le riprese!”
Island of No Return e Death in Venice
Pur se il “merito” di aver reso famosi nel mondo i fantasmi di Poveglia spetta alla troupe di Ghost Adventures, non è stato Zag Bagans il primo ad aver scelto questa location veneziana per ambientarci una storia di fantasmi. La puntata infatti, ricalca una trasmissione simile mandata in onda da Fox Family Channel per la serie “Scariest Places on Earth”, i luoghi più spaventosi della terra, che aveva come ospite la celebre attrice Linda Blair. Ve la ricordate? È la protagonista femminile del film “L’Esorcista”.
Le due puntate dedicate a Poveglia, intitolate “Island of No Return: The Venice Dare”, furono trasmesse il 19 e il 24 agosto 2001. Il tono era più documentarista rispetto alle “possessioni in diretta” che fanno rantolare come tarantolati i ghostbusters di Zag Bagans, e forse per questo la serie targata Fox Channel ottenne meno successo di pubblico.
Qualche tempo prima rispetto a Ghost Adventures, erano poi stati Yvette Felding e Paul O’Grady a visitare Poveglia. Il documentario “Death in Venice” fu trasmesso dal canale britannico Living all’inizio di novembre 2009.
Brividi veneziani
Sono state queste tre trasmissioni, capaci di regalare facili brividi allo spettatore ma non sostenute da una seria ricerca storica o letteraria, a fare di Poveglia “the most haunted isle of the world”.
C’è da rimarcare che, anche se nessuna tradizione locale testimoniata nella letteratura folklorica avalla la presenza di spettri a Poveglia, le suggestioni utilizzate nella trasmissione di Bagans per raccontare Poveglia e la laguna veneziana sono molte. Si racconta infatti di un’isola abbandonata a ridosso di una Venezia decadente, in una laguna misteriosa dove sorgono antichi lazzareti, ripugnanti ossari, conventi spettrali, vecchi ospedali psichiatrici, tra dottori della peste con la spaventosa bautta bianca sul volto, marinai levantini infetti e relitti affondati… Ce n’è più che a sufficienza per catturare l’attenzione dello spettatore in cerca di emozioni e misteri. E pazienza se a Poveglia – proprio a Poveglia tra tutte le isole della laguna – non c’è mai stato nulla di tutto questo. Mi spiega Alberto Toso Fei, scrittore e noto studioso di storia e tradizioni lagunari:
Durante la registrazione della puntata, la troupe della Fox Channel è venuta ad intervistarmi, in qualità di esperto di leggende veneziane. Volevano a tutti i costi che gli parlassi dei fantasmi di Poveglia. Io ripetevo loro che non mi interesso di fantasmi ma di tradizione scritta e orale veneziana e, in tutta questa vastissima letteratura non c’è la pur minima traccia di presenze spettrali a Poveglia. E questo è anche quanto gli hanno detto e ripetuto tutti gli altri studiosi ai quali si sono rivolti. Ma non è stato sufficiente a convincerli. Non gli importava nulla né della storia, né della letteratura o della tradizione scritta e orale di Venezia. Avevano scelto quell’isola per girare un documentario sui fantasmi di Venezia, mescolando un po’ di tutto a casaccio, e così han fatto.
Questioni di location
Un veneziano avrebbe scelto un’altra isola per collocarci degli spettri. Magari Sant’Ariano, l’isola ossario al largo di Torcello, dove trovano riposo centinaia di corpi prelevati dai numerosi cimiteri veneziani. Ma il contesto di Sant’Ariano si presta poco alla possibilità di spettacolarizzare, un ingrediente fondamentale per una trasmissione tv di successo. Vi si trova soltanto un muretto fatiscente che racchiude una boscaglia impervia. L’unica volta che ho provato ad entrarci, mi son dovuto fare largo col machete. Ciò che fa davvero paura qui, è l’incuria nella quale è stato abbandonato questo pezzo di storia veneziana. E invece la trasmissione racconta di una Poveglia piena di fosse comuni, ancora tutte da scoprire, dove sarebbero stati interrati migliaia di corpi di appestati. Anime senza pace che implorano ai vivi una degna sepoltura. Continua Toso Fei:
Io ho spiegato loro che quell’isola [fino alla fine del Settecento] non è mai stata un lazzareto [la rete sanitaria dei Lazzareti che circondavano Venezia era composta dal Lazzareto Vecchio e da quello Novo, attivi rispettivamente dal 1423 e dal 1468]. Solo in due occasioni due navi di appestati provenienti dai porti di levante, vi sono state poste in quarantena. La prima volta nel 1793 quando morirono 8 marinai e la seconda nel 1799 e perirono 12 persone. Sappiamo anche i loro nomi e cognomi. Ma di fosse comuni di appestati a Poveglia non ne troverete di certo.
Nei primi decenni dell’Ottocento, ci ricordano due medici dell’epoca, Angelo Antonio Frari e Gaspare Federigo, ci fu qualcha altro morto, ma in numero assai limitato.
Manicomi & storie truculente
Sempre secondo le “fonti” – o forse è meglio dire la fantasia – degli sceneggiatori di Ghost Adventures, Poveglia sarebbe divenuta, dopo la caduta della Repubblica, un manicomio dove medici sadici e folli praticavano terrificanti esperimenti sui pazienti. “Ma quale ospedale psichiatrico? L’isola era un ricovero per anziani, attivo sino agli anni ’60! Informatevi, dicevo loro. Posso darvi i numeri di telefono dei dottori che da giovani ci hanno lavorato… Ma non c’era nulla da fare. Loro volevano soltanto truculente storie di spettri. Ho capito che se non c’erano, se le sarebbero inventate. E lo hanno fatto”.
Altre sono le isole che fungevano da ospedali psichiatrici in laguna. San Servolo, per esempio. O San Clemente. Ma anche queste due isole, oggi recuperate e trasformate in eleganti centri congressi e sedi della Biennale, non si prestano troppo per girare scene come la possessione in diretta da uno spirito maligno, a differenza della nostra Poveglia. Come ogni regista sa, la location ha una importanza determinante per il successo del film.
Il tempo delle leggende
Facciamo caso alle date. Tutte le “notizie” che troviamo nei tanti siti dei sostenitori delle ipotesi paranormali riguardanti presenza spettrali a Poveglia, sono posteriori alla data di trasmissione della puntata di “Scariest Places on Earth”. È ovviamente possibile che gli autori del programma abbiano sentito da qualche parte un racconto sull’isola e abbiano deciso di dargli corpo in trasmissione, per quanto appunto nei testi che raccolgono le leggende locali non ve ne sia menzione. Ma è altrettanto plausibile che Poveglia sia stata scelta casualmente per ambientarci un racconto di fantasmi, inventando una leggenda di sana pianta. Resta il fatto che la fama mondiale dell’isola si deve senz’altro a questi due programmi statunitensi. E oggi nessuno, anche tra chi non crede ai fantasmi, dubita più che le storie di presenza spettrali siano sempre state una peculiarità dell’isola. Come quella del medico che nel secolo scorso si sarebbe buttato giù dal campanile di Poveglia, terrorizzato da chissà quale presenza demoniaca. Una storia che non trova riscontro in nessun giornale o sito precedente al 2009, e di cui nessun medico che lavorava all’allora ospizio ha ricordi, ma che viene ripetuta in tutte le pagine che trattano il “mistero” di fantasmi di Poveglia. Un “copia e incolla” senza verifica. Tanto per rimanere in tema, questa sì che è la vera pestilenza del nostro secolo!
Fantasmi? Sì, ma buoni
E così, quella tranquilla oasi lagunare dove i veneziani vanno a rifugiarsi quando proprio vogliono evadere da carnevali, mostre del cinema e orde turistiche, è diventata l’isola più infestata del mondo.
Ad alimentare la leggenda e ad aggiungere storie sempre nuove ci pensano i tanti gruppi di ghostbusters che ne hanno fatto una meta ambita delle loro scorrerie nel mondo del paranormale. Cacciatori di fantasmi targati Usa, come i cinque boys del Colorado, ma anche italiani, perché la leggenda dell’isola più infestata del mondo si è oramai diffusa anche nella Vecchia Europa.
A metà gennaio di quest’anno è stata la volta di un gruppo di ghostbusters dell’Epas (European Paranormal Activity Society). Anche loro hanno voluto trascorrere l’oramai tradizionale nottata da brivido tra i ruderi di Poveglia. Come è andata la loro caccia? Bene, hanno spiegato ai giornalisti che non hanno perso l’occasione di intervistarli. Hanno udito chiaramente il lamento di una bambina fantasma. Ma di presenza maligne come quella che ha assalito il povero Zag, no. Nemmeno l’ombra. I fantasmi a Poveglia ci sono, hanno assicurato, ma sono tutti buoni.
Senza tregua. A settembre si torna a manifestare contro le Grandi Navi, par tera e par mar
30/06/2017EcoMagazine
Per chi ha a cuore Venezia e la sua laguna, è il momento giusto di rilanciare la battaglia contro le Grandi Navi. Ed è questo che è stato ribadito in tutti gli interventi che si sono susseguiti questa pomeriggio nel chiostro di San Lorenzo, durante l'assemblea popolare riunita per commentare il risultato del referendum.
E partiamo proprio dai famosi "18 mila 105 Grazie" a tutti coloro che hanno votato ai seggi. "Una scommessa che abbiamo decisamente vinto e vinto ben oltre le previsioni" ha commentato Tommaso Cacciari del Laboratorio Morion. La generosità dei volontari che hanno seminato di banchetti la città d'acqua e la terraferma è stata superata solo dall'entusiasmo dei cittadini che si sono messi in fila per votare. E a proposito, è stato ricordato negli interventi in risposta a chi li ha accusati di aver "taroccato" le firme, tutti i 18 mila e 105 nominativi con mail, numero di carta di identità o patente, nome e cognome di chi ha votato, sono a disposizione di quanti vogliano effettuare una verifica.
Giustizia ad orologeria
Sul tempismo delle azioni giudiziarie, ne sono state dette tante, sia da destra che da sinistra. Sarà forse un caso, ma fatto sta che due giorni dopo il referendum sono arrivati i decreti penali di condanna ai tuffatori che hanno manifestato in acqua contro le Grandi Navi. Una chiamata a giudizio e la richiesta di una seconda "botta" da 2500 euro a testa (dopo la prima, già versata) che fa del Comitato Grandi Navi uno dei migliori contribuenti dello Stato italiano con la bellezza di quasi 200 mila euro di multe. Un chiaro tentativo, spiegano i portavoce dei No Navi, di intimidire chi lotta per la difesa del territorio. Tentativo che, assicurano, otterrà solo l'effetto di stimolarli ancora di più nella loro battaglia. "Senza considerare - commenta Andreina Zitelli - che i tuffatori hanno difeso la legge. Caso più unico che raro tra tutti i comitati, ma la bocciatura del progetto di scavo del Contorta ha comportato la caduta della deroga rilasciata dalla capitaneria di porto al passaggio delle Grandi Navi che era stato bloccato dal decreto Clini Passera. Sono le Grandi Navi quindi, quelle che violano la legge continuando a transitare per il canale della Giudecca". Magari la procura se ne accorgerà tra trent'anni. Come col Mose.
A settembre si ricomincia
Il referendum ha fatto fare il giro del mondo alla questione delle Grandi Navi a Venezia. Ne hanno parlato tutti i giornali nazionali e, ancor di più, quelli europei. Trasmissioni televisive che ritraevano questi mostri galleggianti che svicolano tra gli sterri canali della città più fragile della terra sono andate in onda negli Usa, nel Canada e anche in Corea, suscitando dovunque indignazione.
La marea di schede e di firme raccolte in una decina di ore saranno portate in tutte le sedi dove si sta decidendo il futuro della laguna. Ma l'assemblea di San Lorenzo ha anche deciso di continuare la mobilitazione dal basso rilanciando una "tre giorni", ancora tutta da organizzare, a settembre, a cavallo di domenica 24, approfittando anche dell'assemblea dei movimenti europei contro l'inquinamento prodotto dalle Grandi Navi in programma proprio a Venezia quel sabato.
Già. Perché non è solo Venezia ad essere asfissiata da questi condomini galleggianti per turisti che non sanno viaggiare. In laguna, casomai, abbiamo qualche problema in più per la fragilità dell'ambiente in cui manovrano. Ma l'inquinamento e i cambiamenti climatici che ne derivano (avete visto il meteo di questi giorni?), sono un problema di tutti. Anche di chi non ci crede. Anche di chi al passaggio delle Grandi Navi si dice d'accordo.
E' arrivata la siccità. Tra cambiamenti climatici e cattive gestioni, il futuro è arido
26/06/2017EcoMagazine, Global Project
Le altre regioni italiane non sono messe meglio. Solo nell'ultimo anno, in Sicilia, le riserve idriche sono scese del 15 per cento. In Emilia, le città di Parma e Piacenza hanno dichiarato lo stato d'emergenza. La Sardegna è alla disperazione. Rispetto alla stagione precedente, le precipitazioni sono state minori del 40 per cento e il rifornimento idrico per le coltivazioni hanno registrato punte del 90 per cento di deficit. Anche se la situazione migliorasse improvvisamente, saranno ben poche le coltivazioni dell'isola che riusciranno a sopravvivere.
E poi leggi che che il Food sustainability index - lo studio internazionale dell''Economist Intelligence Unit che mette in relazione risorse e sostenibilità - piazza l'Italia al sesto al mondo per quantità di acqua a disposizione!
Stavolta però, i cambiamenti climatici non c'entrano. O meglio, c'entrano a livello globale. L'eccezionale ondata di caldo ha colpito tutto il bacino Mediterraneo sino al nord Europa. Solo in Italia, è stata registrata una temperatura media di 1,9 gradi in più rispetto alla media stagionale. Fatto salvo per il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, nessuno mette più in dubbio che questi picchi siano imputabili alla nuova stagione climatica verso cui l'intero pianeta si sta avviando, oramai, senza possibilità di ritorno.
Ma perché allora abbiamo scritto che, nel caso dell'Italia, i cambiamenti climatici non c'entrano con la siccità? Perché l'Italia avrebbe tutti i mezzi per far fronte perlomeno a questa prima fase dei cambiamenti se avesse dei politici all'altezza di gestire le risorse a disposizione. Politici capaci di uscire dalla fase emergerziale per impostare una oculata politica di gestione del bene comune.
Ed invece è l'opposto: il tema dei cambiamenti che avrebbe bisogno di strategie più a lungo che a breve termine, è sottovalutato - per dirla in maniera gentile - dai nostri politici di Governo e anche di opposizione. Evidentemente, è un tema che, al contrario di quelli legati alla "sicurezza" e al "degrado", non porta facili consensi.
Il risultato è davanti agli occhi di tutti. Siamo uno dei Paesi più ricchi d'acqua e sprechiamo al bellezza di 2,8 milioni di metri cubi di acqua potabile al giorno - più di un quarto del totale - convogliandola in acquedotti che sono delle autentici scolapasta. Anche gli acquedotti dell'antica Roma erano più funzionali degli attuali.
E non è tutto. Anche noi italiani, siamo spreconi. Colpa nostra certamente, ma anche di chi avrebbe dovuto fare e non ha fatto una efficace informazione. Il nostro consumo pro capite è superiore al 25 per cento rispetto alla media europea.
E vanno pesati anche i consumi dovuti ad una agricoltura che ha fatto dello spreco, dell'insostenibilità e dei sussidi statali il suo punto forte. L'89 per cento delle nostre risorse idriche se ne vanno a coprire queste produzioni. E anche qua, siamo gli ultimi in Europa con un utilizzo di di oltre 2 mila e 200 litri per italiano all'anno. Come dire che se ogni giorno ciascuno di noi beve circa due litri d'acqua, ne consuma quasi 5 mila per l'alimentazione. Basterebbe solo adottare la dieta mediterranea - si legge nel Food sustainability index - privilegiando i prodotti di stagione prodotti da una agricoltura per quanto possibile sostenibile e non aggressiva verso l'ambiente, per abbassare a 2 mila litri al giorno il consumo pro capite e rientrare nei parametri europei.
Tutti discorsi che la politica di governo, impegnata a salvare banche e a costruire emergenze sui migranti, non vuole ascoltare. Preferisce dichiarare "Stati di emergenza" - come ha fatto il governatore del veneto, Luca Zaia - che hanno il solo obiettivo di mungere qualche milionata di euro allo Stato. Euro che che finiranno nelle tasche degli agricoltori in modo da che possano continuare a fare agricoltura proprio come la fanno adesso e che, di sicuro, non verranno utilizzati per mettere in efficenza il nostro disatrato sistema idrico. Senza contare che la cattiva gestione delle risorse idriche ha avuto come conseguenza in tante amministrazioni, il loro affidamento al privato. Cosa che, come era lecito aspettarsi, ha comportato solo un aggravio di spesa per i contribuenti ed un peggioramento della gestione complessiva della "merce" in termini di sprechi. Più ne viene adoperata, e più il privato guadagna.
Quello che non vogliono sapere, i nostri amministratori, è che gli studi della Convenzione delle Nazioni Unite Contro la Desertificazione, hanno inserito nelle zone a rischio anche l''Italia. Il 70 per dell'intera Sicilia, il 58 per cento della Puglia e del Molise e, in percentuali poco minori anche le altre regioni, rischiano di trasformarsi in un Sahara.
Se va avanti così, tra i futuri migranti climatici, che tra il 2008 e il 2015 sono stato oltre 200 milioni, presto ci saremo anche noi italiani.
"Sopravvivere a Sarajevo", voci dall'assedio a Sherwood 2017
21/06/2017Global Project
Voci preziose che ti mettono in mano l'assurdità di una guerra meglio di tanti articoli di giornale. Voci che non scivolano mai in ragionamenti moral o politici ma che restituiscono la quotidianità di persone che lottano per non precipiare nella pazzia in un mondo che nella pazzia è precipitato. Venticinque anni dopo la fine dell'assedio, la guida è stata anche tradotta in italiano dall'editore bolognese Matteo Pioppi, fondatore della Bébel. Ho avuto il piacere di partecipare con lui all'incontro che si è svolto ieri sera sotto il tendone della libreria dello Sherwood Festival in cui abbiamo chiacchierato insieme sulla guerra nei Balvcani rileggendola sulle pagine di questo libro che ha intitolato "Sopravvivere a Sarajevo". Nel video che potete scorrere in fondo alla pagina, Matteo ci spiega perché, in un quadro politico in cui ci viene raccontato che tutto è merce e l'unica alternativa che abbiamo sia scegliere tra il nazionalismo e il neo liberismo, questa guida è più che mai attuale. Di più, indispensabile per riflettere su ciò che davvero è importante nella vita.
Referendum Grandi Navi. Non ha vinto solo il Si', ha vinto la democrazia
19/06/2017EcoMagazine
Voci di una città
E non è neppure vero che "ci siamo votati tra di noi". A parte il fatto che saremmo stati comunque tanti, ai seggi si sono avvicinati a chiedere la scheda anche persone molto distanti dal nostro pensiero. Tanto per citare un episodio di colore, al mio seggio si è avvicinato un signore con un fazzoletto verde al collo. Io speravo che fosse verde… "green". E dopo il voto mi chiede sorridente se faremo dei banchetti anche per raccogliere firme contro lo Ius Soli! Le Grandi Navi però no. Sporcano, inquinano, devastano… quelle non le vuole nemmeno lui.
Sono tante e diverse le voci della città che abbiamo raccolto in questa domenica. Camilla: "Una signora esita prima di prendere la scheda e mi chiede chi siamo. Glielo spiego e rispiego ma lei non è convinta. Alla fine rompe gli indugi e di domanda: 'Ma non sarete mica di Casa Pound?'" No. Su questo punto può stare davvero tranquilla, signora". Riccardo: "Da noi sono venute tente persone che abitano a Santa Marta. Sono le più incazzate. Qualcuna fa anche discorsi che oscillano tra la destra e il populismo, ma poi racconta che non riescono a vedere la Tv per le emissioni radio delle Navi e che i panni stesi diventano neri se li lasciano un po' di più al sole. Pensa i polmoni…" Marco: "Una signora mi ha raccontato di essere veneziana per nascita ma che risiede a Milano dagli anni '70. E' tornata apposta per votare al nostro referendum. Sentiva di doverlo fare per la sua Venezia". Luciano: "Al Lido abbiamo fatto il botto. 1286 schede solo a Santa Maria Elisabetta. E' venuta anche una decina di persone a votare a favore delle Grandi Navi. Una signora attempata urlava che era una fan di Brugnaro, che lei ne vuole decine e decine di Grandi Navi in laguna perché portano 'schei'. Ha chiesto una scheda è ha votato No. Contenta lei…" Maddalena: "Si avvicina questo tipo lateralmente e mi chiede piano se può votare anche lui che ha fatto una crociera su una Grande Nave. Gli chiedo un documento e gli dò la sua scheda. 'Che spettacolo - mi fa - tutta Venezia dall'alto… indescrivibile! Poi la crociera, per me che non vado in discoteca e non gioco d'azzardo, è stata una noia mortale… ma quello spettacolo valeva tutto. Io le capisco le compagnie di crociera, sa? Ma no, non si può farle passare per la laguna. Non è giusto. Peccato però".
L'unico tentativo di innescare una provocazione lo abbiamo registrato a Santi Apostoli. Flavio: "Sono arrivati questi due che mi raccontano di essere ingegneri del Consorzio. Vogliono discutere sul Mose, tutti ne parlano male, dicono, ma nessuno di noi è mai stato arrestato, e non è vero che non funziona o che non serve… Io gli cito D'Alpaos ma quelli mi zittiscono subito alzando la voce. D'Alpaos è un cretino che spara solo idiozie, dicono, ma è chiaro che vogliono provocare. Si mettono davanti al banchetto ed impediscono alle gente di avvicinarsi per votare. Provo a non dargli corda, quelli vogliono una scheda e continuano a parlare. Alla fine votano No e se ne vanno".
Ma la domanda più frequente ai seggi è solo una: "servirà a qualcosa?" Anche le risposte sono sempre le stesse. Scontate. Chi smette di lottare ha già perso. Chi non molla alla fine qualcosa ottiene. Eppoi vuoi mettere la soddisfazione di rompere le scatole a certa gente?
Ma dietro la domanda c'è la crisi profonda di una politica che è scappata di mano non solo ai partiti ma anche alle amministrazioni, come quelle comunali, che dovevano essere le più vicine ai cittadini e che non contano più nulla anche nei rari casi - e non è certo quello di Venezia! - in cui cercano di mettersi di traverso ai grandi interessi economici.
Le persone che ieri sono venute ai nostri seggi a prendere la loro scheda, sia che abbiano votato per il Si che per il No, non chiedevano solo una soluzione al problema delle Grandi Navi. Chiedevano anche democrazia.
Referendum Grandi Navi. L’appello di EcoMagazine per il SI’
16/06/2017EcoMagazine
Perché, sia ben chiaro a tutti, che non andremo a votare solo per cacciare le Grandi Navi dalla laguna. Certo, quelle specie di condomini galleggianti, con i motori accesi anche all’ormeggio, sono una fabbrica di inquinamento come neanche un inceneritore riesce ad essere. Certo, il loro assurdo via vai per scarrozzare qualche turista idiota e dargli l’illusione di aver viaggiato per mare, ha il solo effetto di far guadagnare milioni alle compagnie crocieristiche e maciullare i fondali della laguna mettendo a rischio un equilibrio salvaguardato per secoli. Certo, il gigantismo ha fatto il suo tempo come le energie fossili che lo hanno nutrito. In qualunque direzioni questi villaggi vacanze low cost galleggianti girino la prua, il futuro della terra - sempre che la terra abbia un futuro - sta dall’altra parte.
Tutto questo è vero. Ma nel referendum che voteremo oggi, in quella scheda che ci chiede di decidere se le Grandi Navi debbano rimanere fuori o dentro la laguna, c’è molto di più. C’è la voglia inarrestabile di una città unica al mondo e dei suoi cittadini, lasciatemelo dire, anche loro unici al mondo, di riprendersi in mano il destino e cominciare a guardare al futuro come ad un orizzonte verso il quale dirigersi.
Di immaginare un domani possibile per la nostra città, di compiere quelle scelte a difesa della laguna che il Governo centrale, al pari di quello regionale, non ha mai saputo o voluto fare, limitandosi ad avallare passivamente gli interessi delle grandi compagnie che hanno mercificato, stuprato ed umiliato un bene prezioso, come la nostra incantevole laguna, che appartiene a tutti i veneziani come a tutti coloro che amano con sincerità la nostra città. E non è per caso che il referendum dia anche a loro il diritto di esprimersi col voto.
Perché, il vero degrado che affligge l’antica città dei Dogi non sono i lucchetti sui ponti (che ho trovato in tutte le città del mondo in cui sono stato) e neppure qualche turista sbalconato che si tuffa di testa in canal Grande (cosa che, magari non nel Canalasso ma in qualche canale secondario, facevano anche i nostri genitori). Il vero degrado di Venezia è stato lo scippo ai danni dei suoi cittadini della possibilità di decidere sulla loro città. E tutto in nome degli interessi del mercato. Perchè Venezia, come spiega sempre il nostro, ahimé, sindaco Brugnaro Luigi "xe schei". Il degrado invece, sono proprio questi "schei". Il degrado è il Mose e quel consorzio di banditi che ha corrotto, devastato ed inquinato la democrazia. Il degrado sono le barene artificiali e la trasformazione della laguna in un braccio di mare aperto. Degrado è non aversi saputo dotare di strumenti, come doveva essere il parco della laguna, atti a tutelare un ecosistema unico al mondo. Degrado è una giunta comunale che pensa di risolvere il problema del degrado licenziando gli operatori sociali e assumendo vigili palestrati e pistolettati come cowboy.
Le Grandi Navi, che nessuno a Venezia vuole ma che continuano ad andare su e giù nei nostri canali alla faccia nostra… anche questo è degrado.
Per questo domani andremo tutti a votare. Come in quella vecchia canzone che ascoltavo da ragazzino: per riprenderci in mano la vita, la terra, la luna e l’abbondanza.
I Pfas versati in Veneto ammazzano. Lo svela una ricerca pubblicata sul European Journal of Public Health
12/06/2017EcoMagazine
La ricerca ha messo a confronto i decessi avvenuti in Veneto nei Comuni dove le acque sono state contaminate dalle sostanze perfluoroalchiliche, Pfas, e quelli non interessati da questi inquinante, rivelando una innegabile presenza statistica nei primi di patologie come il tumore al rene e del seno, il diabete, le malattie cerebrovascolari, l'infarto miocardico, le malattie di Alzheimer e di Parkinson. Nonché un aumento della mortalità media di circa il venti per cento.
"Dal nostro studio - spiega la biologa - è emerso come nei comuni contaminati da Pfas ci siano degli eccessi statisticamente significativi della mortalità per alcune cause che non andrebbero sottovalutati in quanto la letteratura scientifica suggerisce un’associazione tra queste patologie ed esposizione a Pfas. In particolare è stato rilevato un aumento della mortalità generale negli uomini e nelle donne rispettivamente del 19% e 21%, del diabete (21% e 48%), malattie cerebrovascolari (34% e 29%) infarto (22% e 24%) e malattia di Alzheimer (33% e 35%). Nelle sole donne si osserva un aumento del 32% della mortalità per tumore del rene, del 11% del tumore della mammella e del 35% di Parkinson".
Le zone inquinate dalla lavorazione della Miteni, l'azienda che utilizzava i Pfas per produrre tessuti impermeabili, si estende per circa 200 chilometri quadrati e tocca 4 province venete; Vicenza in particolare, ma anche Verona, Padova e Rovigo. Un bacino di circa 800 mila residenti potenzialmente vittime della contaminazione. Nell'immagine a fianco, le aree prese in considerazione dalla ricerca della dottoressa Mastrantonio e l'elenco dei Comuni nei quali è stato riscontrato una alta percentuale di decessi imputabili alle sopracitate patologie.
Da sottolineare come questa sia la prima indagine epidemiologica svolta in Italia su una popolazione la cui acqua sia stata contaminata da Pfas. Un inquinante che potremmo definire "emergente", come spiega la biologa dell'Enea. "Come è noto i PFAS sono un gruppo eterogeneo di composti chimici molto stabili e ampiamente utilizzati in diversi prodotti (pesticidi, rivestimenti in carta e cartone, detergenti, cere per pavimenti, vernici, schiume antincendio, oli idraulici, rivestimenti antiaderenti delle pentole (Teflon) trattamenti dei tessuti impermeabili e traspiranti (Goretex). Di conseguenza, i Pfas rappresentano una classe emergente di inquinanti ambientali, ubiquitari, altamente persistenti, rilevabili in tutte le matrici (acqua, aria, suolo) e soggetti a bioaccumulo lungo la catena alimentare. I più importanti studi sulla tossicità dei PFAS nell’uomo sono stati eseguiti a seguito dello sversamento di queste sostanze nel fiume Ohio, in Virginia. Una azienda della Dupont che produceva Teflon vi riversava i suoi reflui idrici e l’acqua del fiume era utilizzata a scopo potabile. A seguito di una class action intentata dalla popolazione interessata, la Dupont fu costretta a finanziare una ricerca indipendente sugli effetti sanitari dei PFAS".
La ricerca, in lingua inglese che potete scaricare in fondo alla pagina, conclude con un invito alla Regione Veneto di avviare "azioni immediate per evitare ulteriori esposizioni delle popolazioni a PFAS nell'acqua potabile".
Azioni che, al di là di qualche dichiarazione di intenti di effettuare screening sulla popolazione, stiamo ancora aspettando. La stessa ricerca in questione non ha avuto nessun riscontro da parte della nostra Regione.
Bisogna anche considerare che il problema non sta solo nel verificato aumento di decessi per patologie imputabili a queste sostanze perfluoroalchiliche. Questi inquinanti sono responsabili anche di malattie a bassa mortalità ma comunque pericolose e debilitanti. "Nelle popolazioni residenti in aree altamente contaminate e nei lavoratori esposti professionalmente - continua la biologa Marina Mastrantonio – sono state rilevate associazioni con ipertensione in gravidanza, aumenti dei livelli di acido urico, arteriosclerosi, ischemie cerebrali e cardiache, infarto miocardico acuto e diabete. Per quanto riguarda le patologie tumorali, incrementi del rischio sono stati evidenziati soprattutto nelle popolazioni professionalmente esposte per tumori del testicolo, rene, vescica, prostata, ovaio, mammella, fegato, pancreas, linfoma non Hodgkin, leucemie e mieloma multiplo".
E conclude: "Sulla base di tali evidenze e per un principio precauzionale non consiglierei agli abitanti delle aree interessate di bere acqua del rubinetto".
Venezia vs Grandi Navi. Domenica 18 giugno si vota Sì al Referendum
5/06/2017EcoMagazine
Stiamo parlando, ovviamente, di un referendum autoconvocato, considerato che i favorevoli alle Grandi Navi non hanno accettato di misurarsi nelle urne, ma che ha comunque un grande valore politico. Per la prima volta, i veneziano avranno la possibilità di contarsi e di dire la loro opinione su un problema, come quello delle Grandi Navi, sul quale non hanno mai avuto voce, considerando che fino ad oggi ad esprimersi sono stati solo ministeri, comitatoni vari e, last but not least, le compagnie di crociera che sono le vere padrone della laguna. Considerando che se ne sono bellamente infischiate di tutte le decisioni prese dalle autorità politiche. Anche i decreti che cercavano di contenere i danni all'ecosistema, come quello Clini Passera che il 2 marzo 2012 aveva vietato il transito anche alle stazze superiori alle 40 mila tonnellate, hanno avuto vita breve di fronte alle pressioni delle multinazionali del turismo. Quelle che Venezia la sfruttano solo e non lasciano un soldo in città.
Il referendum del 18 giugno sarà quindi una imperdibile occasione per riprendere voce sul governo della nostra città, per ribadire che la nostra salute è importante e non può essere compromessa dai fumi delle Grandi Navi che sparano inquinanti come due autostrade, per ricordare che Venezia è laguna e che la laguna non è un braccio di mare che può essere scavato a piacimento, solo per farci transitare queste specie di villaggi vacanze galleggianti che portano profitto ai soliti noti mercificando beni di tutti.
Già che ci siamo, il referendum sarà anche una opportunità di ricordare che i cambiamenti climatici si combattono localmente, invertendo la rotta di quel gigantismo consumista di cui le Grandi navi sono una bandiera. Donald Trump non è l'unico dinosauro fautore delle energie fossili al mondo. Cominciamo a combattere quelli che vorrebbero prosperare a casa nostra. Una Grande Nave produce più Co2 di una portaerei da guerra. Un motivo di più per andare a votare Sì al referendum. Perché se la terra avrà un futuro, questo sarà senza fossili. E senza Grandi Navi.
Clima - Ultimo tango a Parigi
4/06/2017Global Project
Ricordiamoci che il percorso istituzionale per contrastare (ma sarebbe più corretto dire “contenere) i cambiamenti climatici, cominciato a Kyoto nel 2005, è partito senza l'appoggio degli Usa. Questo perché un altro repubblicano, l'allora presidente George Bush, aveva rifiutato di sottoscrivere l'accordo e, anzi, si era dimostrato particolarmente ostile ad ogni mediazione sostenendo che «lo stile di vita degli americani non può essere oggetto di trattativa».
Altri tempi. Il negazionismo allora, era considerata dai più una teoria rispettabile pur se errata, nonostante tutti i libri e tutte le pubblicazioni a suo sostegno fossero opera di supposti "scienziati" al soldo diretto delle compagnie minerarie o di "giornalisti" che riempivano solo le pagine di diversi giornali.
Altri tempi. Dieci anni dopo, a Parigi, nessuno ha potuto tirarsi indietro: Cop 21, in tutti i suoi limiti politici ed ambientali stessi, è stato sottoscritto da tutti i Paesi del mondo tranne la Siria (che ha altri problemi) e il Nicaragua (che comunque è già ad emissioni zero ed ha promesso di aderire a breve). Oggi, dire che i cambiamenti climatici non esistono ha la stessa valenza scientifica di affermare che la terra è piatta. Ci possono credere, o far finta di credere, al massimo personaggi tra il grottesco e il cialtronesco come Trump, per l'appunto, o il sindaco di Venezia che ha appena comunicato che il Comune aderirà alla giornata dell'ecologia, ma sottolineando che «non sarà una manifestazione contro l'amico Trump» e che «per contrastare l'inquinamento noi abbiamo già agito in tempi non sospetti con azioni concrete». Una considerazione che non può non lasciarci sgomenti.
Dopo il primo No a Kyoto, gli Usa piano piano sono rientrati nell'accordo, e, grazie all’impegno di Barack Obama, paladino del green capitalism, sono stati tra i promotori dell’accordo parigino del 2015. Stavolta però, non sarà così facile, perlomeno sino a che in sella rimarrà un dinosauro politico del calibro di Donald Trump.
La sua uscita dagli accordi di Parigi era ampiamente nelle previsioni, giacché in campagna elettorale non aveva fatto che derubricare i cambiamenti del clima come di una "bufala messa in giro dai cinesi".
Il Donald è un esempio vivente di quell'economia da rapina a mano armata che sottende ad un capitalismo fondato sullo sfruttamento feroce dei fossili ed è comprensibile che del parere della comunità scientifica non abbia alcuna cura. Così come del futuro del pianeta.
Ma cosa accadrà ora alla Terra? Intanto va a farsi benedire l'obiettivo - già utopico! - di contenere l'impennata del riscaldamento globale sotto i 2 gradi celsius, considerato che gli Usa sono una delle principali cause di questo aumento. E parliamo solo di fonti dirette, di emissioni provenienti dal suolo nazionale, perché andrebbero, a mio parere, considerate anche le emissioni - che non sono affatto trascurabili - che gli Usa spargono nel pianeta con le loro missioni di "pace" ai quattro angoli del globo. La guerra sì; non è un caso che la Siria, da anni teatro di guerra tra i più importanti del globo, non abbia sottoscritto Cop21.
Una prima conseguenza dello svincolamento degli Usa, potrebbe essere una reazione a catena. Già Russia e Paesi arabi ci stanno stretti su Cop21 e non è un caso che siano stati proprio loro a spingere perché non fossero vincolanti. E questo era un limite dell'accordo che avevamo già sottolineato a suo tempo.
Gli Usa, dando via libera allo sfruttamento indiscriminato delle risorse fossili, si aggiudicano un innegabile vantaggio, oggi negato agli altri Paesi le cui economie ancora puntano su questo mercato e la cui crescita è “frenata” dalla firma del trattato Cop21.
Perché dovrebbero lasciare agli Stati Uniti un tale vantaggio in questa corsa? Certo. Stiamo parlando di una corsa che ha come traguardo finale un mondo dove l'umanità non può sopravvivere. Ma questo è il capitalismo, bellezza!
Qualche considerazione invece fa fatta sulla politica americana. Non è un mistero che Trump sia inviso ad una buona parte del suo stesso partito. Non certo per una sciocchezzuola come quella di mettere a repentaglio il futuro del pianeta, ma perché temono che stia dirigendo il Paese dalla parte sbagliata del… capitalismo! Già. Perché c'è una economia, che qualcuno chiama green, che sta spingendo per farsi largo nella spire della finanza mondiale.
Senza addentrarci su considerazioni etiche riguardo questa nuova finanza - sempre ammesso che il capitalismo un'etica ce l'abbia, da qualche parte - facciamo notare come la decisione di Donald Trump abbia trovato una immediata e ferrea opposizione da parte delle tante e potenti aziende o multinazionali che si sono riconvertite al verde.
Un solo esempio: la fondazione Rockefeller ha annunciato da qualche giorno che liquiderà tutte le sua azioni nel settore dei combustibili fossili in nome della salvaguardia del pianeta. La notizia ha avuto una pesante ricaduta proprio nel momento in cui Trump annunciava l'affondamento di Cop21. Tanto che gli investitori di una compagnia trivellatrice come la ExxonMobil hanno spinto perché questa si impegnasse a rispettare i limiti parigini, indipendentemente dalle decisioni del presidente degli Stati Uniti. E così hanno fatto altre multinazionali, non solo quelle green. Google, Microsoft nel settore dell'informatica, Unilever nel campo dell'alimentazione e tante altre ancora hanno dichiarato che, Trump o no, i limiti di Parigi, loro li rispetteranno in ogni caso; così come stanno andando verso questa direzioni molti sindaci americani, tra cui Bill de Blasio a New York .
Secondo un dato diffuso dal Partito Verde Europeo, nel solo 2016 oltre 5 trilioni di dollari a livello globale sono stati sottratti ai fossili e reinvestiti in energia pulite. La Cina e l'Europa - a parte l'Italia dove il trend è contrario, considerato che trivelliamo i mari, abbattiamo uliveti per costruire oleodotti e continuiamo a voler realizzare Tav e autostrade - sono all'avanguardia nella costruzione di questa nuova economia. «La cosiddetta green financing - sostiene la co-presidente del Partito Verde Europeo, Monica Frassoni - conviene non solo eticamente, ma anche economicamente, poiché la società è ormai direzionata verso le rinnovabili, a causa del crollo dei profitti per le fonti possibili, alla riduzione del costo delle energie pulite, alla creazione di posti di lavoro green vis à vis la perdita di molti posti di lavoro nei settori estrattivi sporchi».
La svolta di Trump va letta, quindi, come una contraddizione interna al capitalismo stesso, ma anche come una forzatura rispetto al ruolo che gli stessi USA ambiscono ad avere all’interno delle potenza del G7, in particolare sulle scelte che riguardano l’economia. E poi - chissà? - magari in questo spietato tiro alla fune tra capitalismo fossile e capitalismo verde, potrebbe spezzarsi proprio la fune. Sempre che prima non si spezzi la Terra!
A Trento, va in scena OltrEconomia. L'economia delle pratiche dal basso che non ruba diritti e restituisce felicità
30/05/2017EcoMagazine
OltrEconomia è infatti l'azzeccato nome che si è dato questo festival alternativo del quale anche EcoMagazine è partner.
E va da sé che se il primo festival conta un bel po' di sponsor danarosi, dalle banche alle fondazioni, e gode del patrocinio di istituzioni a tutti i livelli, e occupa i salotti buoni della città. Il secondo festival, gli sponsor danarosi non ha neppure provato a cercarseli. Le associazioni ambientaliste, i comitati cittadini e gli spazi sociali che hanno organizzato questa sua quarta edizione, hanno scelto ancora una volta di stare sotto il cielo aperto del parco Santa Chiara. Tanto per ribadire che l'economia che piace a loro non ha bisogno di palazzi e di lusso.
I giorni di svolgimento dei due festival, invece, saranno proprio gli stessi. Tutto si svolgerà in contemporanea. Si apre mercoledì 31 maggio e si chiude domenica 4 giugno.
Radicalmente diversi invece, saranno i temi di attualità trattati dai due festival. Soprattutto, radicalmente diverso sarà il modo di affrontare questi temi. "Le disuguaglianze aumentano, la massa dei poveri, dei migranti, dei precari si allarga senza confini. La ricchezza cresce a dismisura e si concentra sempre di più nelle mani di pochi. Il potere decisionale si polarizza in una 'non-immagine' i cui contorni sfumano, spesso, in acronimi senza forma - si legge nella presentazione di OltrEconomia - I consigli di amministrazione di un manipolo di multinazionali e centri finanziari sostengono e circondano di lobbies l’ascesa di classi dirigenti mondiali e locali, vecchie e nuove: così decidono il futuro del nostro pianeta e dei nostri territori. Il potere si accentra, difende, conserva, moltiplica gli interessi di parte e accresce il bene privato di pochi. E si attua nelle forme coercitive dell'economia, della finanza speculativa, delle privatizzazioni, del debito, delle politiche dell'austerity, del capitalismo vorace, delle guerre, dei fondamentalismi, della violenza di genere, del femminicidio, del patriarcato, della corruzione mafiosa, nel dissesto territoriale, della speculazione edilizia, dell’inquinamento, della distruzione ambientale".
Il programma completo di OltrEconomia 2017, quest'anno dedicato al tema Corpo e territori, lo potete trovare a questo link. Gli incontri saranno tutti trasmessi in diretta da Global Project. Oltre alle tavole rotonde, ci saranno stand di gastronomia, corsi di teatro, laboratori per grandi e per bambini, spettacoli per divertirsi e musiche per ballare. Già. Perché OltrEconomia, al contrario di quell'altro festival, è anche una festa, e chi abita a Trento o nelle vicinanze ci si reca anche per divertirsi, per mangiare bene e sano, per imparare, per discutere e per stare in bella compagnia.
Anche questa è una differenza non da poco tra le due opposte economie di cui abbiamo scritto. Quella che ha saputo andare Oltre una idea di "sviluppo" paragonabile ad una rapina a mano armata (perché altro non è l'economia finanziaria) è anche quella che rende donne e uomini più felici.
Ed è anche quella che ci piace di più.