In questa pagina ho riportato gli ultimi articoli che ho scritto per il quotidiano ambientalista Terra, il settimanale Carta, Manifesto, per siti come Global Project, FrontiereNews o siti di associazioni come In Comune con Bettin e altro ancora.

I tanti livelli della corruzione. Intervista con Gianfranco Bettin

Cdeem bettin
La devastazione di Venezia e della sua laguna, con la quale abbiamo aperto il nostro viaggio inchiesta sui conflitti ambientali del Nordest, comincia ben prima del Mose. Da un secolo a questa parte, per cementificatori e “sviluppisti” la Città dei Dogi è stato un grande laboratorio di sperimentazione che ha aperto la strada a tutte le Grandi Opere, inutili e distruttive, che hanno afflitto il Paese. Perché se riesci a far approvare un progetto come il Mose in una città che è sotto gli occhi del mondo come Venezia, allora puoi fare tutto dappertutto.
E’ anche vero comunque che, il “sacco di Venezia” ha avuto delle caratteristiche uniche, come unica è la nostra città. Ne parliamo con una persona che questo “sacco” lo ha seguito, denunciato e combattuto sulle barricate degli ambientalisti sin dal suo primo approccio con la politica: Gianfranco Bettin.

A Venezia non si può fare speculazione edilizia, come in terraferma. Tutta città storica è vincolata. La sua cementificazione è stata l'alterazione dell'equilibrio idrogeologico ed idrodinamico della laguna con le grandi manomissioni del 900: lo scavo dei canali come quello dei Petroli l’interramento di una larga percentuale della laguna per realizzare Porto Marghera, l’aeroporto e altri imbonimenti. Non potendo attaccare la città storica, la speculazione si è scaricata sulle sue acque, stravolgendone il delicato equilibrio ecologico. Pochi purtroppo avevano chiaro il concetto che la laguna è una parte imprescindibile di Venezia.



Poi arrivò, l’Acqua Granda…
L’alluvione del ’66 è stata campanello d’allarme. Tutti hanno capito che l'ecosistema lagunare, negli anni precedenti, era stato manomesso talmente tanto da farlo… impazzire. Questo comunque non ha impedito il prosieguo dello scavo del canale dei Petroli che era in fase di completamento. Ma di positivo c’è l’arrivo, nel ’73, della legge Speciale in cui, per la prima volta, viene colta la necessità di fermare lo stravolgimento dell’ecosistema e si pone la questione di interventi di salvaguardia e di interventi di natura eccezionale. Fu un inizio promettente perché questa legge ferma la realizzazione della terza zona industriale. Ricordo che la Porto Marghera storica ha due zone industriali realizzate coprendo le barene con quello che veniva estratto dallo scavo dei canali. La terza zona industriale, che doveva sorgere da Fusina a Chioggia, era progettata per essere più vasta delle due precedenti messe insieme. Oggi, di questa follia, è stata realizzata solo una piccola fase iniziale con le casse di colmata. 

Un inizio promettente, quindi. Ma poi cosa è successo?
Che la legge speciale viene stravolta. I cosiddetti “interventi straordinari” vengono intesi non come opere di manutenzione e di riequilibrio per combattere le acque alte intervenendo sulle loro cause, ma come lavori di tipo ingegneristico per contrastarne gli effetti. Il primo progetto, che non a caso chiamato Progettone, parla di dighe fisse. Questa idea viene poi superata con quello che sarà il Mose ma contraddicendo, anzi tradendo, il mandato della legge speciale che parla di interventi graduali, reversibili, non impattanti. Tutte caratteristiche che il Mose certo non possiede. 

Come è stato possibile che un progetto così devastante e contrario alla legge venisse approvato?
Quello che avete chiamato “sacco di Venezia” è stato attuato attraverso una vasta opera di concussione e di prosciugamento delle risorse destinate alla rigenerazione socioeconomica e alla manutenzione diffusa. I finanziamenti che dovevano essere destinati alla città e alla salvaguardia vengono addirittura spesi contro di essa. A spianargli la strada ci ha pensato il primo governo Berlusconi con la legge Obiettivo. In questo modo il Mose è stato divento una sorta di paradigma per tante oltre opere simili. Penso al ponte di Messina, a certi tratti di Tav, a tante autostrade inutili. 

Ma la corruzione, ha avuto un peso determinate? Il Mose poteva essere realizzato da persone oneste?
La corruzione è stata un elemento in più. L’opera sarebbe stata ugualmente sbagliata ma nulla impediva che fosse realizzata in modo onesto. Il fatto è che la corruzione è un problema italiano diffuso e avviene sia con le procedure semplificate che con le procedure… complicate. Nel caso del Mose, la corruzione è stata indispensabile a superare una serie di scogli. Ricordo che il Mose ha avuto una sola Via e negativa, e negativo era anche il parere del consiglio superiore dei Lavori Pubblici. Ma tutte le volte che c'è stata qualche complicazione è intervenuta la corruzione a semplificare e a mandare avanti l'opera. Possiamo quindi dire che la corruzione è un elemento costitutivo del Mose, come di tante altre Grandi Opere. Ma non cadiamo nella trappola degli ultimi fautori del Mose che sostengono che l’opera è eccellente ma la realizzazione avvelenata da qualche mela marcia. L’opera rimane comunque sbagliata. 

Come funzionava la corruzione? A leggere il libro “La Grande Retata”, scritto dai giornalisti del Gazzettino, pare che tutta la città fosse corrotta.
Non tutti erano corrotti. Ma va dato atto al Consorzio di essersi mosso in maniera molto molto spregiudicata. Operavano una corruzione a 360 gradi che non investiva solo la destra. Ci sono anche persone di sinistra e di estrema sinistra che sono finite nel libro paga del consorzio. Certo, magari non hanno fatto perizie false, come altri hanno fatto, ma comunque hanno lavorato sotto l'ombrello vasto del Consorzio Venezia Nuova che aveva messo in atto una strategia mirata ad ingraziarsi la città, coinvolgendo anche gente che non era d'accordo col Mose ma che, grazie a questa strategia, finiva per starsene tranquilla pur di mantenere buoni rapporti con loro

Un sistema corruttivo a più strati, quindi…
Sì, c’era la corruzione vera e propria per cui quel funzionario, quell'esperto, sanciva che l'opera andava bene, o addirittura si faceva scrivere i referti dal consorzio e lui poi li sottoscriveva, come stato documentato. Poi c'era il politico corrotto che prendeva i soldi e sapeva che in ogni caso doveva difendere il Consorzio. Poi c'era la “corruzione”, da scrivere tra virgolette, di scienziati, periti ed esperti che facevano consulenze magari su aspetti marginali o addirittura del tutto irrilevanti. Magari erano perizie sane ma che non toccavano il cuore della questione. In questo modo anche queste persone entravano nell'orbita del Consorzio.
Poi c'era un altro tipo di “corruzione”, questa da scrivere con quattro virgolette, con cui giornalisti, scrittori, intellettuali venivano coinvolti in attività pulite e prendevano qualche cachet dal Consorzio per qualche iniziativa, anche benemerita, come la scrittura di un libro. Penso a ottimi scrittori come Acheng, Brodskij e altri. Tutto faceva immagine e creava relazioni. Intendiamoci, io penso che un'impresa fa bene a sponsorizzare attività sportive, culturali o di beneficenza, perché è un modo per ricambiare la città del fatto che ha ricevuto dei lavori da realizzare. Ma nel caso del Consorzio Venezia Nuova tutto questo faceva parte di un sistema in cui tutto era teso ad assumere un controllo egemonico che andava dalla corruzione vera e propria al semplice accattivarsi le simpatie.


Un sistema che presuppone molto denaro a disposizione.
Certamente avevano bisogno di rubare molto. Se voglio oliare meccanismi, corrompere a largo raggio, avere nel mio libro paga politici potenti e funzionari di grado elevato ho bisogno di un sacco di soldi e quindi debbo fare creste enormi sulle spese. Ma tutto questo è un “di più” odioso rispetto un'opera che sarebbe comunque stata sbagliata
Di fronte a questo strapotere non solo economico ma anche mediatico, che spazio veniva lasciato ai pochi oppositori?
Questa è un altro punto dolente della questione. Una tale potenza di fuoco ha messo a tacere tutto il dibattito sulle possibili alternative. Non è potuta crescere una seria discussione sulla salvaguardia o maturare ipotesi su come realizzare una città sostenibile. Soprattutto non è stata fatta crescere l’idea che si possa salvare la laguna e progettare un futuro per Venezia anche senza Grandi Opere. Questi sono percorsi che avrebbero avuto bisogno di dibattiti e di discussioni che non ci sono stati. I guasti compiuti dal Mose sono molto profondi e non si fermano alla devastazione ambientale. 


Aprire un dibattito sul futuro della laguna era anche lo scopo del Parco per il quale ti sei tanto speso?
Già. In quel mese e mezzo che mancava per concludere il percorso di istituzione del parco e avviare la discussione su quello che sarebbe diventato il piano socioeconomico, stava proprio per venir fuori questo discorso. Il punto è porsi finalmente la domanda “quale laguna vogliamo?” Il disastro provocato dal coinvolgimento del sindaco nello scandalo Mose - il sindaco solo, perché la procura ha escluso qualsiasi coinvolgimento del resto dell’amministrazione - ha fermato tutta la discussione. Adesso è un anno che non si parla del parco. 

Un argomento fuori anche dalla campagna elettorale?
Sì, a parte qualche domanda che viene posta a me negli incontri a sostegno di Felice Casson. Ma l’unico a parlare ancora del parco è Brugnaro. Ma solo per assicurare che, se sarà eletto, la prima cosa che farà sarà di abrogare tutto.

C'era una volta la laguna

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Tanto tempo fa - tanto che potremmo anche scrivere "c'era una volta", se ci fosse un lieto fine come in ogni favola che si rispetti - viveva nella nobile città di Venezia uno studioso che rispondeva al nome di Cristoforo Sabbadino e che copriva il delicato incarico di "proto" della Serenissima. Noi moderni lo definiremmo un ingegnere idraulico. All’epoca correvano i primi anni del XVI secolo e nella Città dei Dogi infervorava un acceso dibattito sul futuro della laguna. Che poi, come ben sanno tutti i veneziani, è il futuro stesso della città. Perché non c'è Venezia senza laguna, né laguna senza Venezia.
Alle tesi del Sabbadino, convinto che la laguna fosse un organismo vivo e, come tale, andava accudita, protetta e gestita giorno per giorno, assecondando il suo millenario respiro tra le maree periodiche e la entranti acque fluviali, si opponeva tale Alvise Cornaro, un "nobilhomo" padovano che aveva costruito le sue fortune economiche e politiche come proprietario terriero.


Detto Cornaro, leader del partito agrario, non aveva nessuna specifica competenza in idraulica ma ugualmente sosteneva che la laguna doveva essere dominata e arginata. Acqua e terra, diceva il Cornaro, andavano nettamente separate per impedire alle maree di invadere i campi. I canali inutili alla navigazione e al trasporto delle merci, dovevano essere interrati e le barene bonificate per recuperarle all'agricoltura.

Doppio futuro
Due concezioni inconciliabili. Due strade diverse che avrebbero portati a due futuri radicalmenti diversi. La spuntò, per nostra buona sorte, il proto che davanti al doge e al maggior consiglio mise a tacere l'agricoltore con questa inconfutabile argomentazione: "Cornaro sta a Padoa" e di conseguenza è "incompetente a ragionar d'idraulica". Quel giorno, la scienza trionfò sulla (cattiva) politica. Anche per merito di un po' di campanilismo.
L'idea della laguna come organismo vivente, bisognoso di cure continue e di infinite attenzioni, così che questa regali spazio vitale tanto all’uomo che alle terre e alle acque, visse finché visse la Serenissima. Non so dire se i nostri antenati fossero più saggi o se avessero un rapporto con la laguna che oggi noi abbiamo perduto. Diciamo semplicemente che erano altri tempi. Certamente avevano - cosa che noi oggi non abbiamo - la sovranità nel loro territorio e la difesa della laguna era la prima "ragion di Stato”.

Progresso o morte
Storia passata. Col secolo del carbone e dell'acciaio arrivò il modernismo e la laguna fu letta come un fastidio, un ostacolo di acqua e terra che si opponeva al progresso, alla realizzazione delle grandi periferie industriali, all'approdo delle petroliere. Cominciarono le opere distruttive d’inizio secolo come lo scavo del canale dei petroli e l'interramento di Porto Marghera. Il Doge non c’era oramai più e il Cornaro sarebbe stato felice.
Ma la storia non si ferma mai e c’è sempre una partita di ritorno. Con l’Acqua Granda di quel pauroso 4 novembre del 1966, come racconta la prima puntata di Cemento Arricchito, la laguna suonò il primo campanello d’allarme per ricordarci che le catastrofi, anche quelle naturali, non sono mai davvero naturali. Se costruisci dove il terreno è franoso, prima o poi la casa crolla. Se interri le barene che assorbivano l’acqua in entrata, prima o poi la marea ti travolge.
Il futuro di Venezia, evolutasi da Città dei Dogi a Patrimonio dell’Umanità, divenne una questione dibattuta a livello mondiale. La legge speciale che ne scaturì ripropose, per tanti versi, il dibattito "Sabbadino vs Cornaro". E anche questa volta a spuntarla fu il Sabbadino. La legge poneva dei solidi principi di rispetto delle paculiarità dell’ecosistema lagunare. Ricordiamo solo il divieto di realizzare in laguna opere per loro natura irreversibili.

La legge defraudata
Ma di buoni propositi, si sa, è lastricata la strada che porta all’infermo. Proprio la legge speciale - stravolta nei suoi principi dagli indirizzi applicativi e dall’istituzione di un organismo gestionale unico come il Consorzio Venezia Nuova, totalmente slegato dal controllo democratico dei veneziani - si trasformò in una potente bocca da fuoco per i nuovi pirati che avevano preso di mira la laguna. Il nemico stavolta era il “partito del fare”, i sostenitori delle Grandi Opere. In laguna arrivano devastazioni come il Mose, le opere complementari, le barene artificiali, le Grandi Navi… Ancora si parla di “opere necessarie”, si fa leva sul ricatto “lavoro contro ambiente”. Gli investimenti pubblici vengono deviati verso la criminalità organizzata e finiscono per drogare la stessa democrazia, finanziando politici corrotti a destra, in particolare, ma anche a sinistra.

Filibustieri di ieri e filibustieri di oggi
E qui corre tutta la differenza tra i devastatori di oggi e i cementificatori di un secolo fa. Il canale dei Petroli fu scavato perché si pensava, con un ragionamento poco lungimirante ma onesto, di costruire un futuro occupazionale per Porto Marghera. Il Mose invece non ha nessuna giustificazione onesta. L’opera è sbagliata di per sé. Lo dice la Via, lo dicono gli scienziati, lo dicono i pescatori che tutti i giorni vedono l’antica laguna trasformarsi in un braccio di mare aperto. E così, per gli stessi identici motivi, è sbagliato in sé lo scavo del Contorta. Come è sbagliato che tutta la città debba pagare i danni causati dal passaggio di quegli aborti di meganavi per far far cassa alle Compagnie di Crociera. E questi sono dati di fatto. Dati assodati da un milione di studi che non starò qui a ricordare.
Non ci sono motivazioni sbagliate, o poco lungimiranti, ma oneste per questi scempi. Il loro unico scopo è costruire una macchina da tangenti. Il loro unico obiettivo è trasformate la laguna in “carne di porco” per deviare finanziamenti pubblici in tasche private.
Il nostro, è un nemico che ha tanti volti e nessuna dignità.
Un nemico che si combatte solo a colpi di democrazia, costruendo spazi di partecipazione come la splendida manifestazione di sabato scorso, dando il giusto peso ai pareri tecnici degli scienziati, restituendo potere decisionale alle amministrazioni del territorio, più vicine ai cittadini.
Perché la battaglia per la laguna è la battaglia per la democrazia.

Il Ven[e]to Nuovo che cambia la politica

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Il primo nemico è la sfiducia. Sfiducia nella classe dirigente che ha governato, ma anche sfiducia nella stessa politica e nel principio della rappresentanza democratica.
Il secondo nemico è la destra. la destra con tutto il suo bagaglio di xenofobia, razzismo, populismo che serve a nascondere solo l’asservimento ad una economia dominante, insostenibile, predatoria, devastatrice.
Due nemici mica da ridere. E siccome una persona, e diciamo noi, pure una lista, si misura dai nemici che ha, possiamo dire che Ven[e]to Nuovo è una gran bella lista! Ma più che una lista elettorale, potremmo descriverla come un progetto aperto ed innovativo che nasce da esperienze politiche come Sel,Verdi Green Italia e Sinistra Veneta.
Questa mattina, la lista che correrà alle Regionali a sostegno della candidata Alessandra Moretti, e che è apparentata con la nostra comunale 2020Ve, è stata presentata alla stampa in un incontro che si è svolto a Mestre, nella sede regionale di Ven[e]to Nuovo, in calle del Sale.
I punti salienti del programma… beh, li potete comodamente leggere cliccando su questa pagina, e spaziano dalla tutela dell’ambiente a quella della salute, dalla cultura (capitolo su cui tutti gli altri programmi “battono” davvero poco) al lavoro. I candidati invece li potete vedere su quest’altro link. Tutte persone serie e preparate. Mafiosi, palazzinari e pluriinquisiti preferiscono le sponde elettorali dove ci sono più possibilità di carriera! I nostri candidati al massimo sono un po’ matti perché ci vuole il coraggio di Don Chisciotte per andare lancia in resta contro i nemici che abbiamo citato in apertura. Ma si sa che sono proprio questi matti quelli che fanno andare avanti il mondo.

Le candidate della lista 2020Ve. Silvia Zanini: legge, ambiente e pantegane

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Cominciamo con Silvia. Intanto perché, in questa serie di interviste dedicate ai candidati della lista 2020Ve, ci pare giusto fare un po' di spazio alla rappresentanza femminile. Eppoi perché Silvia Zanini, testa di serie numero 2 al Comune, è quello che si dice una bella mora e fa piacere scambiarci due "ciacole".

Presentati, orsù!

Ciao, mi chiamo Silvia ho 27 anni, sono veneziana di Cannaregio ed ho una laurea in giurisprudenza con un master in "diritto dell'ambiente". Adesso sta facendo la praticante avvocata ed a dicembre darò l'esame.

Com'è che hai scelto proprio "diritto dell'ambiente" per il master? Se sceglievi "come taroccare i redditi" avresti avuto più possibilità lavorative!



In effetti è proprio vero! Il fatto è che sono sempre stata sensibile alle tematiche dell'ambiente. Anche all'università ho scelto come tesi la tutela dell'ambiente nella Costituzione. Poi ho deciso di continuare su questa strada e sono andata a Roma a seguire il master che ho concluso con una tesi sul diritto agroalimentare.

Nella nostra Costituzione c'è qualche articolo dedicato all'ambiente? Io non me lo ricordo, ma ti confesso la mia ignoranza a proposito...

Era proprio questo l'argomento della mia tesi: il ruolo della tutela dell'ambiente nella nostra Carta, paragonandola a Costituzioni più recenti come, ad esempio, quella brasiliana, dove c'è un intero capitolo dedicato all'argomento. Nella nostra Carta si parla di ambiente solo come materia nell'articolo 117, quindi come riparto delle competenze. Come principio, si parla di ambiente quando si parla di paesaggio, di salute... Bisogna fare un combinato tra tanti articoli ma non compare espressamente.

I nostri padri costituenti erano più sensibili al tema del lavoro, evidentemente.

Erano altri anni con altri problemi. La nostra carta costituzionale e stata scritta in un momento storico in cui la tutela dell'ambiente non poteva essere una priorità. Ma adesso credo che i tempi sarebbero maturi per una tutela più espressa. In ogni caso, anche così, la sfera ambientale è un valore riconosciuto, se pur indirettamente, nella nostra Carta, e la stessa Corte Costituzionale si è espressa più volte a sostegno di questa tesi.

Silvia, rimembri ancor come mai ad un certo punto della tua vita hai deciso a metterti in politica? E con i verdi, per di più! Una delusione amorosa? Qualche colpa da espiare?

Sai, ho preso una botta in testa e poi mi è venuta una febbre alta... scherzo! La verità è che, con un percorso di studi come il mio, mi sono sempre sentita vicino ai gruppi che si occupano di ecologia. A Roma partecipavo alle riunioni di Green Italia e là ho conosciuto Luana Zanella, senza sapere nemmeno che fosse di Venezia come me. Terminato il master e lo stage al ministero dell'Agricoltura, ho deciso si tornare a casa, dove avrei potuto essere più utile, ed ho iniziato a fare la... cittadina attiva anche qua.

Scusa se insisto, ma perché proprio con i Verdi? Gli avvocati di solito prediligono Forza Italia...
Dici che avrei avuto più possibilità di carriera? E ci hai pure ragione. Ma ho preferito rimanere fedele ai miei principi senza mettere sul piatto della bilancia le percentuali elettorali e le opportunità lavorative.

Vuoi che ti faccia una domanda intelligente o una domanda scema?

Mmm... intelligente!

Perché hai una ciocca rosa tatuata sopra il gomito destro?

Allora non voglio sapere quale era la domanda scema. Comunque il tatuaggio l'ho fatto qualche anno fa. La "ciocca", che poi è un nodo, rappresenta l'importanza dei valori fondamentali della vita: dall'amicizia alla famiglia, sino alla coerenza con i propri ideali.

Eri ubriaca, insomma?

No, quella volta no!

Parliamo di cose serie. Ogni straccio di candidato ha i suoi temi. Quali sono i tuoi?

Ovviamente la tutela dell'ambiente e, in particolare, dell'ecosistema lagunare, inteso nel suo senso più ampio. Non solo l'allontanamento delle Grandi Navi o la difesa del Contorta. Mi interessano anche tematiche come il turismo che oggi è un peso insostenibile per la città. Credo sia necessario incentivare una presenza più consapevole e matura, allargando la proposta alle isole e all'ecoturismo, ma penalizzando allo stesso tempo il turismo "mordi e fuggi" che a Venezia porta solo problemi e spese.

Credo che, per chi si occupa di temi ambientali, una città come la nostra deve essere una festa continua!

Ah, di sicuro non mancano le cose da fare! Pensiamo solo alle bonifiche di Porto Marghera e alla sua conversione ad una economia "green". Oppure a temi come il riuso degli immobili esistenti per avviare una politica del territorio a consumo zero.

Ecco. Continuiamo a parlare di cose serie. Che sport ti piace?

Eh? Sport? Non hai una domanda di riserva?

Va bene. Cosa ti piace fare nella vita quando stai là a tutelare l'ambiente? Che hobby hai?

Beh... che dirti? Mi piacciono molto gli animali. Ho molto a cuore il loro benessere e credo che una amministrazione dovrebbe fare molto di più per tutelare questi nostri amici. Esistono delle normative ma non sempre vengono rispettate. Qualche giorno fa alla Giudecca sono stati avvelenati dei cani ed è una vergogna che nessuno faccia niente. Poi sono una allevatrice di ratti e di topi da compagnia e quando...

No, no... aspetta un momento. Questa me la devi spiegare bene. Tu allevi le pantegane? Io metto le trappole sotto casa e tu, che abiti ad un ponte e una calle di distanza, le allevi amorosamente?

Esatto. Povere bestie! E' una cosa che faccio fin da piccola. Allevo due specie di topi che sono un po' diversi dalla classica pantegana di rio: il piccolo Mus Musculus e il più grosso Rattus Norvegicus che avrai visto nel film Ratatouille. Non sono molto comuni nelle nostre case, è vero. E non si trovano neppure nei normali negozi di animali. Bisogna andare da quelli che vendono animali esotici o alle fiere. E' un mercato di nicchia!

(Non mi spiego il perché...)

Ma ti assicuro che sono animali simpaticissimi e pulitissimi, usano la cassetta, rispondono al nome e danno i bacini!

Bacini?

Bacini, bacini! Altre domande?

No, no, chiudiamola qua.

Campi e calli piene di gente. La Venezia ambientalista vince la sfida delle Grandi Navi

Tutti dietro alla bandiera del Leon Marciano. Questa è la Venezia dei veneziani. La Venezia che non la trovi in vendita in nessun negozio di souvenir. La Venezia che si è mobilitata per dire no alle Grandi Navi, no alle soluzioni peggiori del male, come lo scavo del Contorta, no ad altri stupri della laguna finalizzati solo a far fare cassa alle multinazionali delle Grandi Opere e alle mafie che ci mungono giù.
Tutte cose che gli ambientalisti dicevano sin dai tempi in cui si cominciò a parlare di quella macchina da tangenti che sarebbe stato il Mose. Tutte cose che oggi sono sotto gli occhi di tutti.
Non stupisce quindi la grande partecipazione alla mobilitazione che questo pomeriggio ha colorato la città lagunare da campo Santa Margherita a campo Sant'Angelo.
Nei campi e nelle calli si sono radunate più di quattromila persone. La testa del Corteo era alle Zattere che la coda usciva da campo Santa Margherita. Tutti dietro alla grande bandiera del Leon Marciano che apriva la sfilata. Tantissime bandiere No Grandi Navi, tante bandiere No Mose, tante bandiere di comitati come Opzione Zero e, in fondo al corteo - siamo pur sempre in campagna elettorale! - qualche timida bandiera di partito.

Sul palco allestito a Santo Stefano, microfono anche ai candidati sindaci. Tutti presenti, tutti pronti a far barricate, perlomeno a parole, contro il passaggio di questi aborti di Titanic, e contro uno scavo del Contorta bocciato a 360 gradi da scienziati, ambientalisti, economisti ma sul quale Paolo Costa rimane avvinghiato con la rabbia di un cane che difende il suo osso.
Tutti i candidati sindaci, abbiamo scritto. Intendevamo: tutti i candidati sindaci con un minimo di credibilità. Il candidato miliardario Luigi Brugnaro si è fatto la sua manifestazione personale in marittima a favore delle Grandi Navi, in concomitanza con quella degli ambientalisti,
Li ho visti. Una trentina di persone, per lo più sul libro paga delle compagnie di crociera, con un paio di lussuosi striscioni fatti stampare da aziende specializzate (a parecchi là in mezzo non mancano i soldi) e montati sui rimorchiatori di proprietà del Porto. Una cialtronata a dir poco.

Venezia stava tutta dall'altra parte. Stava con i negozianti che applaudivano il corteo al suo passaggio (e che sanno bene che il turista mordi e fuggi che si imbarca sulle grandi navi non è quello che passa per la sua bottega), la gente alle finestre che sventolava, in mancanza d'altro, la bandiera della pace o quella di San Marco. E uno svalvolato anche quella della Juve.

Applausi a scena aperta anche dai visitatori internazionali della Biennale. Oggi infatti è il giorno dell'apertura dell'esposizione. Dai padiglioni in festa, ho visto gli artisti ed i loro ospiti che festeggiavano l'inaugurazione delle installazioni, uscire per chiedere cosa stesse succedendo e, subito, manifestare solidarietà. All'estero, più che in Italia, ha fatto scandalo il passaggio di queste specie di speculazioni edilizia galleggianti in un fragilissimo ecosistema come quello lagunare. Un artista poi, non può che stare dalla parte della bellezza.
E bella come quella Venezia che vuole difendere, è stata la manifestazione di questo pomeriggio. Neppure il violento scroscio di pioggia finale è riuscito a rovinarla.

Altro non voglio aggiungere se non invitarvi a guardare le gallerie di foto o di video che stanno girando sui social. Ne vale la pena.

Una solo considerazione finale. Questo pomeriggio la Venezia vera, la Venezia della cittadinanza attiva, la Venezia che non si è mai prostituita alle mafie ed alle tangenti ha ribadito chiaramente che le Grandi Navi debbono stare fuori dalla laguna e che il Contorta non si devasta. La partita a questo punto non è più "Contorta sì" o "Contorta no", ma "chi deve esercitare la sovranità su un territorio". I cittadini, tramite le amministrazioni locali regolarmente elette e tenendo in giusta considerazione i pareri scientifici finalizzati alla tutela dell'ecosistema, o le lobby delle Grandi Opere con il solo obiettivo di macinare ambiente, lavoro e diritti per far cassa da finanziamenti pubblici.
Tutto quello che accadrà d'ora in avanti sarà una battaglia per la democrazia.

La lista 2020Ve si candida a costruire la Venezia del duemila e venti

Nel cuore di Mestre, ai piedi del Toniolo, parte l'avventura elettorale della lista 2020Ve con la presentazione dei candidati al Comune e alle municipalità.
L'incontro, nella tarda mattinata di oggi, è stato introdotto da Gianfranco Bettin, candidato alla presidenza della municipalità di Marghera, oltre che al consiglio regionale. Hanno partecipato Felice Casson, i candidati della lista che raggruppa Verdi Green Italia, Sel e associazione In Comune, e tanti sostenitori.
"La nostra lista sostiene Felice Casson sin dall'inizio, ancora prima delle primarie del centrosinistra - spiega Gianfranco Bettin -. Lo riteniamo il candidato giusto per aiutare Venezia a scrollarsi da un pesantissimo novecento e aprirsi al futuro. Per questo la nostra lista si chiama Venezia Duemila e Venti".
La lista 2020Ve raggruppa persone con origini diverse, sia per professione che per età, e provenienti da esperienze diverse ma che hanno intrapreso un percorso convergente. Persone che da sempre si sono scontrare con la corruzione e il malaffare proprio per portare avanti, tramite le loro idee innovative, un ideale di città sostenibile e solidale.
"Il primo ostacolo da superare per la nuova amministrazione - continua l'ambientalista - sarà quello di riuscire a rimpossessarsi della propria città. Scandali come il Mose, problemi come le Grandi Navi ma anche i tagli al bilancio che stanno mettendo in ginocchio il nostro welfare sono imputabili ad una mancanza di sovranità cittadina. Sulla nostre acque, sulle nostre calli e sulle nostre strade, devono essere i cittadini a decidere tramite gli amministratori democraticamente eletti e non commissari mandati da Roma, consorzi privati o norme che bypassano qualsiasi controllo democratico come la legge Obiettivo".
Sul tavolo dei relatori, oltre ai due già citati, i quattro capolista: Renata Mannise, Flavio dal Corso, Federico Camporese e Silvia Zanini, che hanno elencato i temi sui quali costruiranno la loro campagna elettorale: dall'ambiente al turismo sostenibile, dalle bonifiche di Porto Marghera alla cultura. Che poi è la sola cosa che distingue Venezia da una Disneyland qualunque.
Chiusura per Felice Casson, candidato... anzi no, prossimo sindaco di Venezia. "Bene Venezia Duemila e Venti - scherza - ma io la lista l'avrei chiamata Venezia Duemila e Quaranta e anche di più. La città che vogliamo disegnare insieme avrà un respiro molto più profondo di cinque anni. Ma il nostro obiettivo non è soltanto quello di porre le basi per la città del futuro ma anche di ridare speranza alla gente e di restituire dignità ad una politica impoverita e svilita dalla corruzione".

Cemento Arricchito, un viaggio dall’altra parte del Veneto

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Immaginiamo un lungo viaggio a tappe. Un viaggio al di fuori delle rotte turistiche che ci conduca verso quel Veneto che in tanti, troppi, fanno finta di non vedere. Immaginiamo di viaggiare attraverso un paesaggio letto nella sua fragilità ambientale, tra devastazioni passate, devastazioni presenti e devastazioni future. Un viaggio che ci racconti storie di corruzione, cementificazioni, mafie e tangenti, ma anche storie di donne e uomini che hanno avuto il coraggio di opporsi, di resistere e di urlare a tutti,  anche a chi questo coraggio non lo avuto, che un altro Veneto, un altro mondo, non solo è possibile ma è anche necessario.
Questo viaggio è Cemento Arricchito. Un progetto nato dalla giornalista vicentina Chiara Spadaro che si è meritato il premio istituito dall’Ordine dei giornalisti del Veneto in memoria di Massimiliano Goattin. Non senza soddisfazione, possiamo annunciare che Cemento Arricchito uscirà in anteprima su EcoMagazine in una serie di puntate a cadenza bisettimanale.


Il progetto coordinato da Chiara, si avvarrà della collaborazioni di altri giornalisti come Ernesto Milanesi e Sebastiano Canetta. L’obiettivo è di tracciare una mappa dei conflitti ambientali in atto nella nostra Regione, con un occhio nel passato e lo sguardo nel futuro. Reportage, inchieste, articoli a tutto tondo per esplorare assieme a noi quel Veneto che i media tradizionali tendono volentieri ad ignorare.
Come è caratteristica del giornalismo on line, Chiara e il suo gruppo utilizzeranno per questo nostro viaggio/inchiesta tutte le tecniche multimediali, dai filmati in esclusiva alle gallerie fotografiche, dalle geolocalizzazioni alle mappature, dai documenti in pdf per approfondimenti ai link ad altri siti, sino agli ebook scaricabili ed agli oramai inevitabili social network. E senza neppure trascurare la buona, vecchia, tradizionale… scrittura!
Che altro dirvi se non “seguiteci nel nostro viaggio!” Partiremo come si conviene da Venezia, in prossimità della manifestazione di sabato 9 maggio, col primo reportage dedicato alle Grandi Navi (a proposito di devastazioni… che altro non sono questi aborti di nave se non  speculazioni edilizie galleggianti?) Altre tappe seguiranno a cadenza bisettimanale.
Dimentico qualcosa? Ah sì, l’hashtag!
Sarà #CementoArricchito naturalmente!

Festa d’Aprile a Venezia! Occupata la paratia del Mose

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E' festa d'Aprile in Italia. Festa della Liberazione da un regime fascista, dittatoriale, corrotto e violento. Anche Venezia ha voluto celebrare il suo 25 aprile con un segnale forte: liberiamo la nostra città da mafia e corruzione preparando la manifestazione del 9 maggio.
Questo pomeriggio, una cinquantina di attivisti ha pacificamente occupato la paratoia di quella fabbrica di corruzione che è stato ed è tutt’ora il Mose. Perché gli arresti pur eccellenti e le inchieste tutt’ora in corso non hanno cambiato niente: la macchina della corruzione continua a macinare tangenti e conserva tutto il suo potere decisionale sulla laguna alla faccia dei veneziani e della stessa amministrazione comunale democraticamente eletta. Alzare sulla paratia la bandiera “No Mose”, significa alzare la bandiera della democrazia e del diritto dei cittadini di decidere sulla loro città. Occupare la paratia che il Consorzio ha portato all’Arsenale significa ribadire al Consorzio che nessuno oramai a Venezia è tanto fesso da cascare nella sua propaganda patinata e che tutti oramai hanno chiaro che altro il Mose non è che un furto alla città, alla legge Speciale e alle casse dello Stato. Un furto consumato tra appalti truccati e criminalità organizzata per realizzare un’opera distruttiva, da sempre osteggiata tanto dai cittadini quanto dagli scienziati esperti nell’idrodinamica lagunare. Un furto consumato tra tangenti e sprechi vergognosi, non ultimo quello di trasportare una paratia con tre rimorchiatori sino all’Arsenale per mostrarla a turisti e cittadini. Ma anche stavolta, il Consorzio ha fatto male i suoi conti. Più che stupore, tra i visitatori si respirava rabbia ed indignazione. Quella stessa rabbia ed indignazione che è esplosa nella simbolica occupazione della paratia dei ragazzi e delle ragazze degli spazi sociali.
No Mose, quindi, e No mafia. Per un 25 aprile di Liberazione. In attesa della manifestazione del 9 maggio.

L’Ispra stronca il Progetto Contorta

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Stavolta ci siamo. La stroncatura è di quelle definitive. Definitive perché non viene dai “soliti” ambientalisti. Non viene neppure dai “soliti” scienziati che si sono rifiutati di entrare nel “libro paga” del Consorzio. A stabilire che il progetto dello scavo del Contorta per farci passare le Grandi Navi è una porcheria (termine poco scientifico ma senz’altro adeguato alla questione) è l’Ispra, l’istituto superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale, l’autorevole ente di ricerca che fa capo al ministero dell’Ambiente. La relazione che potete leggere in allegato, affonda il ventilato scavo del Contorta sotto tutti i profili: ambientale, idraulico, morfologico, ecotossicologico. Per non parlare dei conflitti normativi con la legislazione speciale per Venezia e le direttive europee. Nessuno via di uscita viena lasciata al proponente del progetto (tanto per cambiare, l’Autorità Portuale di Paolo Costa). Tutte le 134 osservazioni avanzate per soddisfare la procedura Via vengono bocciate con gudizi come “insufficiente”, “non esaustiva”, “non soddisfa la domanda”, “incompleta ed incoerente”. Una bocciatura che in un qualsiasi Paese civile, dove il parere dei tecnici e dei ricercatori, viene tenuto in giusta considerazione, significherebbe l’abbandono del progetto. In Italia, purtroppo, siamo abituati in tutt’altra maniera. La politica, ma forse sarebbe meglio scrivere, il sistema di malaffare mafioso che sovrintende le Grandi Opere – e lo scavo del Contorta, rientra a buon diritto in questa categoria – ci ha insegnato che più della logica, della salvaguardia e della scienza pesa la tangente.
Ed è per questo che il senatore Felice Casson e la senatrice Laura Puppato, a proposito di questa relazione dell’Ispra in procinto di arrivare in commissione Via, chiedono al Governo con una interpellanza di adoperarsi per garantire “trasparenza e correttezza” nella procedura di valutazione ambientale (cosa che quasi mai si è vista a quei piani del palazzo) e soprattutto “di assicurare l’assoluta indipendenza dei membri della commissione Via, evitando ogni indebita ingerenza nella decisione finale”. Cosa che si è vista ancora meno, sempre in quei famosi piani del palazzo.


Gli ambientalisti intanto stiano in campana e ricordino che anche il Mose ce lo hanno fatto senza neppure passare per la Via! La definitiva bocciatura dell’Ispra dello scavo del Contorta è certo un rigore a nostro favore ma adesso bisogna buttare la palla dentro e lo faremo sabato 9 maggio, a Venezia, se saremo in tanti a manifestare contro le Grandi Navi, contro la mafia e il sistema corrotto che ci sta sotto. E’ il momento giusto per chiudere la partita. Non lasciamoci sfuggire l’occasione.
 
 
Di seguito il comunicato di Ambiente Venezia
Ecco il Documento ISPRA che analizza le Risposte dell’Autorità Portuale alle richieste di Integrazioni della Commissione VIA – e Rileva una marea di Criticità residue del Progetto Contorta
In allegato anche un’ interrogazione dei senatori  Casson e Puppato sull’argomento
L’associazione Ambiente Venezia ritiene utile rendere noto un documento dell’ ISPRA ( Istituto Superiore per la Protezione e per la Ricerca Ambientale ) da cui emerge un articolato giudizio decisamente negativo sul progetto di  “Adeguamento via acquea di accesso alla stazione marittima di Venezia e riqualificazione delle aree limitrofe al canale  Contorta- S.Angelo “.
Con una rigorosa analisi l’Istituto relaziona su ognuna delle 134 richieste che nel corso della procedura la commissione VIA ha formulato all’ Autorità Portuale di Venezia mettendone in evidenza tutti gli aspetti critici ( le cosiddette “ criticità residue “ ) che  connotano inequivocabilmente ed in modo definitivo la condanna del progetto in esame.
Vengono vagliati nel dettaglio  i vari temi quali: – il quadro progettuale,-la modellistica impiegata,-gli aspetti dell’idrodinamica e della morfologia,-lo stato dei sedimenti e delle opere di mitigazione e compensazione per la realizzazione di velme e barene,-i vari tipi di inquinamento e la salute pubblica,- la perdita di habitat prioritario e il conflitto con le direttive europee ,-le componenti della vegetazione,  flora, fauna ,pesca e molluschicoltura,- l’aggiornamento della Valutazione di Incidenza,-ecc.
Gli elementi valutati per la loro valenza  riconosciuta “ importante e significativa  “ pongono  questioni irrisolvibili di carattere ambientale e rendono così il progetto irrealizzabile: in oltre l’80% delle componenti si riscontrano giudizi di “insufficienza”, “ la risposta non è esaustiva” , “la risposta non soddisfa la domanda”, “elementi incompleti ed incoerenti “,  ecc. In termini meno tecnici ciò significa la pietra tombale del Contorta-S.Angelo.
Si confermano così, e per alcuni versi si esaltano, i contenuti di tante osservazioni già inviate alla commissione Via dal mondo civile e scientifico ( tra cui la scrivente associazione )  e soprattutto si deve subito ottemperare al volere della cittadinanza  che ha sempre contrastato questo disastro lagunare e indica realisticamente quella soluzione alternativa alla bocca di Lido già definita progettualmente che nel mantenere l’attività crocieristica a Venezia riesce a coniugare lavoro e salvaguardia dell’ecosistema lagunare.
In tale contesto si ringrazia il senatore Casson e la senatrice Puppato che hanno presentato prontamente una interrogazione in materia che trovate in allegato e che provvederemo a diffondere via e-mail e via facebook negli indirizzari con i quali siamo collegati.
Allegati:
ISPRA – Istogramma sulle criticità residue – Progetto Contorta
Relazione ISPRA su Contorta Integrazioni
Interrogazione Senatori Casson e Puppato su Progetto Contorta S

Una malora da mezzo miliardo. Viaggio nella Ghost Town di un G8 nato morto

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Non vogliono giornalisti tra le palle al super ultra mega lussuoso grand hotel La Maddalena (con annesso Yacht Club). Faccio appena in tempo a buttare un occhio sullo spettacolare lampadario firmato dalla Zaha Hadid, quello che da solo è costato - ci è costato - 110 mila euro, che il guardiano mi caccia via. Dice che non c'è niente da vedere. E, da un certo punto di vista, ci ha pure ragione! E' tutto vuoto, tutto spento, tutto abbandonato, tutto buttato là alla va la che va bene. Non fosse che tutto l'ambaradan è costato - ci è costato - mezzo miliardo di euro, ci sarebbe pure da ridere.
Invece c'è solo da incazzarsi.
Ed i primi ad incazzarsi sono loro, gli abitanti dell'isola che ha la disgrazia di trovarsi, sia pure di poco, più vicina alla Sardegna italiana che alla Corsica francese. "Perché in Corsica non si fanno mettere i piedi in testa dallo Stato centrale come da noi - mi racconta un'amica sarda - Là han messo le bombe e si sono conquistati una forte autonomia, così che possono decidere loro sulla loro terra. Cosa che da noi è impossibile. Guarda quello che è successo qui, alla Maddalena. il Governo ci ha messo nelle peste realizzando strutture inutilizzabili per un G8 mai arrivato e poi ha lasciato la gatta da pelare alla Regione Sardegna che non ha i soldi per ristrutturare tutto ma deve comunque spenderci perlomeno 3 milioni all'anno per la manutenzione minima e, addirittura, per pagare l'Imu a quello stesso Stato che l'ha messa nelle peste".

G8, Grandi Opere, Basi militari e altre porcherie
Quella che andiamo a raccontare è una brutta storia che ci ha dentro un po' di tutto il pattume che sta infangando anche il Continente (come da queste parti chiamano il resto d'Italia). Ci sono le tangenti, il malaffare, il G8, la corruzione, lo spreco di denaro pubblico, la malapolitica, l'inquinamento, la devastazione ambientale, il ricatto "lavoro o ambiente", le Grandi Opere e pure la base americana. E partiamo proprio dalle Stelle e Strisce.
Finita la guerra, la marina Usa si insedia alla Maddalena e in alcune isole circostanti per impiantare una base super segreta. Non nel senso che nessuno sa dove sia, ma che non si ha idea di quello che ci fanno dentro. Tanto è vero che i rilievi ambientali sulla qualità dell'acqua che sono stati eseguiti, non all'interno delle basi top secret, ovviamente, ma nelle prospicienti coste sarde, hanno sempre rilevato una forte contaminazione da mercurio e idrocarburi. Una indagine di Legambiente nei primi anni del 2000 ha confermato valori di radioattività di gran lunga superiori alla norma e ha rilevato nelle acque tracce di plutonio.
Eppure, più che gli italiani, a preoccuparsi e ad incavolarsi sono i francesi. Nei giornali transalpini, trova grande eco la notizia delle tracce di torio 234 rilevate in quantità anomala, in campioni di alghe raccolte lungo le sponde corse. Il torio, ricordiamolo, è una sostanza inquinante e radioattiva, figlia dell’uranio impoverito per le armi nucleari. Il tutto alla faccia dello Stato Italiano che casca dalle nuvole. Interrogazioni e richieste di spiegazioni da parte di deputati e senatori più francesi che italiani, ottengono soltanto un netto "no comment" da parte della marina Usa che a casa sua, anche quando sarebbe casa degli altri, è abituata a fare quel cavolo che gli pare.



Dollari e bistecche
Fatto sta, che la base e la forte presenza di militari nordamericani condizionano pesantemente l'economia dell'isola, abitata da poco più di 10 mila persone. Tutti alla Maddalena lavorano per gli americani e nelle edicole è più facile trovare il Washington Post che il Corriere della Sera. I marinai pagano in dollari e nessuno si sogna di protestare per il torio. Arriviamo al 2007. Gli scenari della guerra globale sono cambiati e anche la Casa Bianca si accorge che una base navale nel canale di Bonifacio non serve più a un beato cazzo. Così, gli Usa ringraziano e se ne vanno. Senza peraltro curasi di lasciare i cessi puliti o di bonificare l'area inquinata. Di più, senza neppure spiegare cosa e come aveva causato l'inquinamento.
Se per tanti sardi al di là del canale, la partenza delle navi di Zio Sam è un sollievo, per i maddalenini è la crisi nera. Tutta l'isola si ritrova improvvisamente nelle proverbiali braghe di tela. "Tutti noi lavoravamo con i soldati americani - mi spiega una ragazza che oggi gestisce un b&b -. Io facevo la cameriera in un locale. I soldati ordinavano solo bistecche e patatine, ma pagavano senza fiatare e tutte le sere c'era il pienone nel mio come negli altri locali. Oggi non sono rimasti in piedi neppure un quarto dei ristoranti che c'erano allora. Tanti della mia generazione sono dovuti partire per il continente. Il turismo locale non è bastato a coprire l'uscita di scena dei militari. Anche perché tutte le nostre strutture turistiche erano conformate a quel tipo di clientela. Gli yacht poi, non arrivano perché le acque sono inquinate e piene di barriere sommerse".

Prima Prodi e poi Berlusconi. Le disgrazie non vengono mai da sole
I maddalenini si sono accorti di punto in bianco, sulle loro tasche, che una economia incentrata su una presenza militare alla lunga non paga. Alla fine dei conti, si sono trovati a gestire isole impestate di caserme e mega strutture di guerra, un mare inquinato da non-si-è-ancora-capito-bene-cosa, senza prospettive future e senza più entrate presenti. Come si dice: cornuti e mazziati.
Come se non bastassero le disgrazie, ci si mette pure Romano Prodi che nel 2008 è presidente del Consiglio. Ecco la sua soluzione: "Risarciremo i maddalenini trasformano le strutture Usa in grandi alberghi per ospitare il G8 del 2009. Finito il summit, alberghi e yacht club saranno il volano per far ripartire l'economia dell'isola". Evviva, evviva.
Prodi non lo sapeva, ma qualcuno nel suo stesso Governo lavorava per fargli le scarpe, e non toccherà a lui concludere l'operazione Maddalena. A Palazzo Chigi sale tale Silvio Berlusconi, la corruzione fatta uomo, che coglie la palla al balzo e, con la scusa di velocizzare i lavori per il G8, vara una leggina che avrebbe fatto arrossire di vergogna anche la Repubblica Popolare della Corea del Nord: la gestione degli appalti per il G8 viene affidare alla... Protezione Civile! Non vi sto a dire che era il capo della Protezione Civile all'epoca. Anzi, ve lo dico: tale Guido Bortolaso che riesce a spendere in un anno o poco più 470 milioni di euro, lampadario di Zaha Hadid compreso.
Con la regia di Bortolaso, i costi lievitano come una torta paradiso in forno di circa il 60 per cento del previsto. In campo scende anche la Mita Resort, una società che fa riferimento ad Emma Marcegaglia che era appena diventata primo presidente donna di Confindustria. La Mita si aggiudica l'appalto col collaudato sistema del "un solo partecipante, vittoria sicura, nessuno protesta e tutti contenti".

Lo scippo del G8
C'è da dire, rispetto alle perennemente inconcluse Grandi Opere dai Grandi Crolli cui siamo abituati negli ultimi tempi, che alla fine la premiata ditta Bortolaso&cricca riesce a sistemare tutto per la partenza in grande stile. Soltanto che il G8 non si farà più alla Maddalena.
Il 6 aprile del 2009 un terremoto devasta l'Umbria. Il Berlusca coglie la palla al balzo. Alla Maddalena oramai i soldi pubblici erano stati spesi, le tangenti distribuite, la cricca dei Grandi Eventi accontentata. Non c'era quindi motivo di continuare un progetto che, tra le altre cose, era stato voluto dall'odiato predecessore Romano Prodi. All'Aquila, al contrario, con la ricostruzione si apre un'altra mangiatoia mica da ridere (e questa è un'altra storia). Così, all'ultimo momento, il G8 viene deviato verso il capoluogo umbro.

Per i maddalenini è un'altra mazzata. Il Berlusconi prova a tranquillizzarli (ed a tranquillizzare la Marcegaglia che già minacciava di levare l'appoggio di Confindustria al Governo). "Faremo alla Maddalena una decina di grandi eventi all'anno" dice. Non dice però quali. Nel 2011, parte una specie di "stagione turistica d'apertura" ma le mega strutture rimangono vuote. Al Grand Hotel Carlo Felice si sono dimenticati di fare il parcheggio, non c'è la piscina ma in compenso hanno lasciato i muri alti circondati da filo spinato da caserma. Il posto era un ex ospedale militare e le ristrutturazioni fatte alla cazzo di cane non sono riuscite a cambiarne l'aspetto inquietante. Di clienti non si vede neppure l'ombra. Un po' meglio al super ultra mega hotel La Maddalena, gestito dalla Mita (che si è guardata bene in fase di concessione da accollarsi quella bruttura dell'ex ospedale). Ma anche qui la clientela ricca preferisce frequentare la vicina e più esclusiva Costa Smeralda, senza sbattersi in scomodi traghetti, per frequentare i poveri - dal loro punto di vista - locali maddalenini ancora tarati sul gusto "bistecche e patatine" dei marinai Usa. Senza contare che nessuno è tanto fesso da ancorare la sua barca allo Yacht Club sempre in attesa di bonifiche dove rischio, oltre alla salute, anche la chiglia della barca sui dissuasori sommersi che gli americani han lasciato in eredità.
Per farvela breve, la stagione d'apertura è un fallimento completo. Gli hotel aprono e chiudono subito.

Arrivano puntuali gli scandali. E che altro?
E questo è anche l'ultimo tentativo di rilanciare le mega strutture realizzate per quel G8 fantasma. In quello stesso anno, gli scandali investono Bortolaso. Viene a galla il marciume nascosto sotto i Grandi Eventi. Anche il Berlusca se ne va.
A finir nelle rogne è pure la Mita Resort che, oltre all'inchiesta della magistrature, si trova a gestire una serie di strutture non soltanto inutilizzabili ma anche costosissime da mantenere. L'azienda fa causa alla Protezione Civile per i mancati guadagni e il tribunale accoglie in parte le sue richieste, condannando l'ente che non ha soldi neppure per salvare i paesi delle frane, a pagarle 39 milioni di risarcimenti. Per adesso, perché altre cause sono in corso. Intanto, la Mita Resort si guarda bene dal pagare la concessione di 65 mila euro all'anno pattuita con la Regione, sostenendo che le strutture sono impraticabili per via della mancata bonifica. La faccenda tra corsi, ricorsi e vari gradi di giudizio è ancora in mano agli avvocati. Categoria questa, che non conosce crisi soprattutto in tempi di crisi.

Come se non bastasse, cala la scure del patto di stabilità
Qualche anima candida tra i lettori potrebbe obiettare: "Ma non sarebbe una mossa intelligente completare le bonifiche così da far ripartire perlomeno il porto? Per non parlare della salvaguardia della salute di isolani e turisti". Giusto. Ed è per questo che nel 2013 lo Stato ha designato il Comune della Maddalena come soggetto attuatore delle bonifiche, stanziandogli il ragguardevole finanziamento di 11 milioni di euro. Finanziamento di cui il Comune ha sentito appena l'odore, perché il patto di stabilità gli ha chiuso i cordoni della borsa meglio di una cassaforte svizzera. I soldi ci sono ma non ci sono.
Senza le indispensabili bonifiche, chi ci rimette economicamente, maddalenini a parte, è soprattutto la Regione Sardegna che, tra Imu allo Stato e le pur minime manutenzioni alle enormi strutture, che ugualmente cadono a pezzi giorno dopo giorno, butta ogni anno 3 milioni di euro. Senza contare gli stipendi al personale - una dozzina di persone - impegnato a sorvegliare alberghi, moli e club.
Anche se tutto sta andando alla malora, una guardia è comunque necessaria. Ci sono i gruppi elettrici da far funzionare, i giornalisti da allontanare, le ricche attrezzature turistiche da sorvegliare. Beni di ultra lusso per circa 9 milioni di euro.
Senza contare l'immenso quanto assurdo lampadario firmato dalla Zaha Hadid che non deve mai essere perso d'occhio. Fosse mai che qualche maddalenino se lo volesse appendere in camera sua.
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