In questa pagina ho riportato gli ultimi articoli che ho scritto per il quotidiano ambientalista Terra, il settimanale Carta, Manifesto, per siti come Global Project, FrontiereNews o siti di associazioni come In Comune con Bettin e altro ancora.
Sg31 a Marghera. Ogni tanto ci riprovano
12/12/2009TerraMarghera pattumiera. Marghera capitale dei veleni. Porto di barriera per i migranti che vengono da fuori, porto ospitale per i veleni che vengono da dentro. Un destino di lotta, quello scritto nel suo futuro. Per ogni battaglia vinta, ne ricomincia un’altra da vincere. Perché è sempre vero che ogni tanto ci riprovano. E la Regione non ha ancora abbandonato l’idea di farne una piazza di stoccaggio da cento e passa mila tonnellate di rifiuti tossici da bruciare in quel famigerato inceneritore Sg31.
Lo stesso inceneritore che negli anni ’90 spandeva nell’aria per conto della società Monteco le emissioni dei rifiuti contenenti uranio e stoccate nelle stive della motonave Jolly Rosso. Oggi l’inceneritore è chiuso. E’ stato spento lo scorso anno semplicemente perché quel che rimane del polo chimico non produceva sufficienti rifiuti per coprire le spese del suo utilizzo. Ma il colossale impianto rimane comunque una tentazione troppo grande per i faccendieri dello smaltimento dei rifiuti pericolosi. Ogni tanto ci riprovano, abbiamo detto. E così ad agosto, il mese delle vacanze e delle delibere da non pubblicizzare troppo, arriva al Via un progetto presentato dalla Ste srl che prevede la realizzazione nell'area serbatoi ex PA2/4 di un impianto di stoccaggio di rifiuti pericolosi e speciali. Val la pena ricordare che la Ste srl è una ditta specializzata nello smaltimento di rifiuti pericolosi. Tra i proprietari figurano Gianfranco Jeoroncich (indagato nell'ambito di un'inchiesta su traffico illecito di rifiuti) e Stefano Gavioli (già amministratore della Sirma messa in liquidazione). Presidente è nientemeno che un certo Salvatore Provenzano. Sui quotidiani non compare una sola riga sino a metà ottobre, quando i verdi organizzano una infuocata assemblea a Marghera che ha il merito di portare la questione all’attenzione della cittadinanza. Attualmente il progetto è ancora in commissione Via con poche probabilità di venire approvato così come è. Soprattutto con le elezioni vicine. Ma quel che esce dalla porta può sempre rientrare dalla finestra. Perché l’Sg31 rischia di essere riacceso un’altra volta, potenziato del 25 per cento e raddoppiato con un inceneritore gemello.
Una ipotesi inquietante che vede dietro le quinte la regia della Regione Veneto che con una delibera, la 2514 del 4 agosto 2009, ha autorizzato un megaimpianto di depurazione delle acque reflue civili e industriali, Pif, a Fusina con scarico finale in mar Adriatico. Il Pif doveva essere finanziato da aziende private ma la chiusura di alcune di esse ha fatto saltare il quadro economico di previsione. Per finanziarlo, la Regione ha deciso di comprare l’inceneritore SG31 tramite la società Sifa che comprende anche Veritas e la Mantovani. Da sottolineare che la presenza di una società a gestione pubblica è indispensabile per bypassare il piano regolatore che altrimenti vieterebbe la riapertura a Marghera di impianti pericolosi. Pericolosi? Già. Il polo chimico non produce più rifiuti da incenerite e per alimentare l’Sg31 bisogna bruciare rifiuti tossici privati provenienti dall’esterno per far quadrare i conti. Potrebbe così tornare in pista la Ste srl con la sua nota specialità: stoccare e smaltire rifiuti pericolosi. Morale della favola: mentre a Copenhagen si discute su come limitare le emissioni gassose, la Regione Veneto utilizza fondi pubblici per favorire i traffici di società private gestite da personaggi di moralità quantomeno dubbia, allo scopo di inquinare l’ambiente e avvelenare i cittadini.
Lo stesso inceneritore che negli anni ’90 spandeva nell’aria per conto della società Monteco le emissioni dei rifiuti contenenti uranio e stoccate nelle stive della motonave Jolly Rosso. Oggi l’inceneritore è chiuso. E’ stato spento lo scorso anno semplicemente perché quel che rimane del polo chimico non produceva sufficienti rifiuti per coprire le spese del suo utilizzo. Ma il colossale impianto rimane comunque una tentazione troppo grande per i faccendieri dello smaltimento dei rifiuti pericolosi. Ogni tanto ci riprovano, abbiamo detto. E così ad agosto, il mese delle vacanze e delle delibere da non pubblicizzare troppo, arriva al Via un progetto presentato dalla Ste srl che prevede la realizzazione nell'area serbatoi ex PA2/4 di un impianto di stoccaggio di rifiuti pericolosi e speciali. Val la pena ricordare che la Ste srl è una ditta specializzata nello smaltimento di rifiuti pericolosi. Tra i proprietari figurano Gianfranco Jeoroncich (indagato nell'ambito di un'inchiesta su traffico illecito di rifiuti) e Stefano Gavioli (già amministratore della Sirma messa in liquidazione). Presidente è nientemeno che un certo Salvatore Provenzano. Sui quotidiani non compare una sola riga sino a metà ottobre, quando i verdi organizzano una infuocata assemblea a Marghera che ha il merito di portare la questione all’attenzione della cittadinanza. Attualmente il progetto è ancora in commissione Via con poche probabilità di venire approvato così come è. Soprattutto con le elezioni vicine. Ma quel che esce dalla porta può sempre rientrare dalla finestra. Perché l’Sg31 rischia di essere riacceso un’altra volta, potenziato del 25 per cento e raddoppiato con un inceneritore gemello.
Una ipotesi inquietante che vede dietro le quinte la regia della Regione Veneto che con una delibera, la 2514 del 4 agosto 2009, ha autorizzato un megaimpianto di depurazione delle acque reflue civili e industriali, Pif, a Fusina con scarico finale in mar Adriatico. Il Pif doveva essere finanziato da aziende private ma la chiusura di alcune di esse ha fatto saltare il quadro economico di previsione. Per finanziarlo, la Regione ha deciso di comprare l’inceneritore SG31 tramite la società Sifa che comprende anche Veritas e la Mantovani. Da sottolineare che la presenza di una società a gestione pubblica è indispensabile per bypassare il piano regolatore che altrimenti vieterebbe la riapertura a Marghera di impianti pericolosi. Pericolosi? Già. Il polo chimico non produce più rifiuti da incenerite e per alimentare l’Sg31 bisogna bruciare rifiuti tossici privati provenienti dall’esterno per far quadrare i conti. Potrebbe così tornare in pista la Ste srl con la sua nota specialità: stoccare e smaltire rifiuti pericolosi. Morale della favola: mentre a Copenhagen si discute su come limitare le emissioni gassose, la Regione Veneto utilizza fondi pubblici per favorire i traffici di società private gestite da personaggi di moralità quantomeno dubbia, allo scopo di inquinare l’ambiente e avvelenare i cittadini.
Bettin candidato sindaco
12/12/2009TerraGianfranco Bettin si è candidato alle primarie per il Comune di Venezia. L’annuncio è stato dato ieri pomeriggio, nella bella cornice del parco San Giuliano, ideale collegamento tra la terraferma e la laguna. Un luogo simbolico per l’ambientalismo veneziano. Settecento ettari di verde recuperati che ne fanno il parco più grande d’Europa. A lanciare ufficialmente la sua candidatura a sindaco sono le associazioni Venezia Metropoli Sostenibile, Fondamente e Per Venezia Metropoli. “Non sarò il candidato dei Verdi né di nessun altro partito – mette in chiaro Bettin-. La mia candidatura è stata avanzata da un gruppo di associazioni attive che da tempo stanno lavorando nella stesura di un programma di governo per aprire una fase nuova nella nostra città. Ovviamente, auspico che a questa avventura si affianchino anche altre forze politiche”.
Il programma, un discreto malloppo di fogli distribuito in occasione della conferenza stampa, vuole essere - si legge- “uno strumento aperto al contributo di tutti coloro che lo leggeranno” da integrare e migliorare “nel corso delle discussioni che avverranno ininterrottamente fino alla vigilia delle elezioni amministrative”. Si tratta, allo stesso tempo, di un programma di continuità e di rottura: idealmente si riallaccia alle elaborazioni che sono state alla base delle precedenti amministrazioni di centrosinistra ma nel contempo ne sottolinea i limiti, evidenziando quanto oggi sia “necessario modificare profondamente gli assetti di potere che si sono determinati negli ultimi anni e che vedono le decisioni sempre più distanti dai cittadini e sempre più nelle mani di potentati separati, autocratici e sottratti al controllo democratico”. Casomai ciò non fosse ancora sufficiente a far andare in escandescenze una bella fetta del Pd, il programma continua rilevando come i partiti politici debbano “ritrovare la loro giusta collocazione” e smettere “di identificarsi con il momento ed i luoghi dell’amministrazione e di occupare gli spazi della cosa pubblica”. Insomma, sarà una bella sfida, questa lanciata da Bettin. “Sì, sarà una sfida interessante - conclude l’ambientalista -. Come quando ci si arrampica in montagna. Una sfida tanto faticosa quanto gratificante”. Una sfida che va al di là della semplice corsa ad una poltrona. Venezia è oggi un “formidabile, inquieto e inquietante, laboratorio globale” – per riprendere una definizione dello stesso Bettin – in cui si gioca una partita fondamentale nel futuro dell’ambientalismo. I continui tentativi della Regione di fare di Marghera un pericoloso deposito di stoccaggio per i rifiuti tossici provenienti da tutto il Paese, l’ipotesi del Governo di realizzare una centrale nucleare proprio sulle rive della laguna, sono solo due esempi delle battaglie che il futuro sindaco dovrà affrontare per tutelare la città, il suo ambiente e i suoi stessi cittadini. Alle primarie, gli elettori del centrosinistra dovranno dire se a condurre queste battaglie vedono meglio Gianfranco Bettin o il candidato del Pd Giorgio Orsoni. “Stiamo attraversando una stagione cruciale – conclude Bettin – E’ il momento di tirare fuori il meglio da noi stessi. Aguzzare le intelligenze e massimizzare le energie. Tutti quanti”.
Il programma, un discreto malloppo di fogli distribuito in occasione della conferenza stampa, vuole essere - si legge- “uno strumento aperto al contributo di tutti coloro che lo leggeranno” da integrare e migliorare “nel corso delle discussioni che avverranno ininterrottamente fino alla vigilia delle elezioni amministrative”. Si tratta, allo stesso tempo, di un programma di continuità e di rottura: idealmente si riallaccia alle elaborazioni che sono state alla base delle precedenti amministrazioni di centrosinistra ma nel contempo ne sottolinea i limiti, evidenziando quanto oggi sia “necessario modificare profondamente gli assetti di potere che si sono determinati negli ultimi anni e che vedono le decisioni sempre più distanti dai cittadini e sempre più nelle mani di potentati separati, autocratici e sottratti al controllo democratico”. Casomai ciò non fosse ancora sufficiente a far andare in escandescenze una bella fetta del Pd, il programma continua rilevando come i partiti politici debbano “ritrovare la loro giusta collocazione” e smettere “di identificarsi con il momento ed i luoghi dell’amministrazione e di occupare gli spazi della cosa pubblica”. Insomma, sarà una bella sfida, questa lanciata da Bettin. “Sì, sarà una sfida interessante - conclude l’ambientalista -. Come quando ci si arrampica in montagna. Una sfida tanto faticosa quanto gratificante”. Una sfida che va al di là della semplice corsa ad una poltrona. Venezia è oggi un “formidabile, inquieto e inquietante, laboratorio globale” – per riprendere una definizione dello stesso Bettin – in cui si gioca una partita fondamentale nel futuro dell’ambientalismo. I continui tentativi della Regione di fare di Marghera un pericoloso deposito di stoccaggio per i rifiuti tossici provenienti da tutto il Paese, l’ipotesi del Governo di realizzare una centrale nucleare proprio sulle rive della laguna, sono solo due esempi delle battaglie che il futuro sindaco dovrà affrontare per tutelare la città, il suo ambiente e i suoi stessi cittadini. Alle primarie, gli elettori del centrosinistra dovranno dire se a condurre queste battaglie vedono meglio Gianfranco Bettin o il candidato del Pd Giorgio Orsoni. “Stiamo attraversando una stagione cruciale – conclude Bettin – E’ il momento di tirare fuori il meglio da noi stessi. Aguzzare le intelligenze e massimizzare le energie. Tutti quanti”.
Le primarie di Venezia
12/12/2009TerraSaranno primarie vere. Primarie “aperte” non solo ai sostenitori dei quattro partiti che le hanno promosse (Pd, socialisti, Italia dei Valori e Verdi) ma a tutti gli elettori veneziani che si riconoscono nel programma del centrosinistra. Saranno primarie vere, dicevamo, sempre che qualcuno non metta il classico bastone tra le ruote. Anche in questo senso va letta la candidatura di Gianfranco Bettin: far uscire allo scoperto quel Pd che sino ad ora ha proposto un solo candidato, Giorgio Orsoni.
Un candidato legittimato dal sindaco uscente, Massimo Cacciari, e che sin dall’inizio si è detto contrario al passaggio delle primarie, insistendo per una “investitura” unica e di largo respiro da parte della base democratica. Operazione ben al di là dal concretizzarsi, considerato che l’assemblea comunale del Pd che doveva lanciare Orsoni è stata fatta slittare varie volte e ancora non è chiaro se e quando si svolgerà. Una corrente del partito inoltre, quella che fa capo a Marino e a Casson, ha già annunciato la presenza di un suo candidato, l’avvocato Alfiero Farinea. Quando saranno quindi i candidati sindaci per il centrosinistra? A sfidare Gianfranco Bettin, ci sarà, per restare alle candidature ad oggi ufficializzate, il citato Orsoni, già assessore comunale al Patrimonio, e nome più conosciuto nei salotti che contano che nelle piazze: vicepresidente della Fondazione Cini, presidente della Compagnia della Vela, primo procuratore di San Marco e via discorrendo. Per chi lo ignorasse, i procuratori di San Marco, all’epoca della Serenissima, erano la carica più importante dopo il doge e si occupavano dell’amministrazione della basilica marciana e del suo tesoro. L’ordine è sopravvissuto anche alla caduta della Repubblica ma solo nominalmente. Oggi indossano bei costumi, sfilano alla festa del Boccolo e sono ben visti dal Patriarca. Orsoni rappresenta le mozioni democratiche Bersani e Franceschini più l’Udc. Primo incomodo in casa democratica dovrebbe essere, come abbiamo detto, Alfiero Farinea, che all’epoca del Petrolkiller fu uno degli avvocati di parte civile. Lo candida l’ex magistrato Felice Casson a nome della mozione Marino. La sua discesa in campo tuttavia non è ancora stata formalizzata. Pressoché certa invece, è la terza candidatura, quelle della vicentina Laura Fincato. Sempre di area democratica, attuale assessore alla Pianificazione della giunta Cacciari, ex socialista con un ricco curriculum politico alle spalle e moglie dell’attuale presidente della Fondazione Venezia, Giuliano Segre. Neppure a lei fa difetto quel “carburante pecuniario” così importante per la corsa elettorale. La Fincato ammicca all’area di Rifondazione. Proprio il partito comunista e la sua presenza o meno alle primarie, è stato uno principali motivi di discussione. Non è un mistero che i democratici abbiano alzato muri da guerra fredda contro la partecipazione degli eredi della Falce&martello. Alla fine, l’ipotesi che è emersa è semplicemente quella che promotori delle primarie debbano essere solo i partiti attualmente al Governo della città ma che, come abbiamo detto in apertura, le urne siano aperte a tutti quanti si riconoscono nel programma del centrosinistra. Spetterà al candidato sindaco vincente, decidere su eventuali alleanze al primo o al secondo turno. Non è neppure un segreto che il pensiero del sindaco uscente Cacciari si possa sintetizzare così: “Per vincere, in Italia come a Venezia, è necessario lasciar fuori Rifondazione, allearsi con l’Udc e costruire un centro sinistra che guardi sempre di più al centro e sempre meno a sinistra”. Il prossimo marzo, Venezia dovrà dire se il suo sindaco uscente ha ragione. Per adesso lo scoglio da superare è quello della raccolta firme per la candidatura. Ce ne vogliono duemila da trovare in dieci giorni. Son tante. La gara, democratici permettendo, parte il 16 dicembre. E pochi si stupirebbero se a Natale i candidati fossero meno di quattro.
Un candidato legittimato dal sindaco uscente, Massimo Cacciari, e che sin dall’inizio si è detto contrario al passaggio delle primarie, insistendo per una “investitura” unica e di largo respiro da parte della base democratica. Operazione ben al di là dal concretizzarsi, considerato che l’assemblea comunale del Pd che doveva lanciare Orsoni è stata fatta slittare varie volte e ancora non è chiaro se e quando si svolgerà. Una corrente del partito inoltre, quella che fa capo a Marino e a Casson, ha già annunciato la presenza di un suo candidato, l’avvocato Alfiero Farinea. Quando saranno quindi i candidati sindaci per il centrosinistra? A sfidare Gianfranco Bettin, ci sarà, per restare alle candidature ad oggi ufficializzate, il citato Orsoni, già assessore comunale al Patrimonio, e nome più conosciuto nei salotti che contano che nelle piazze: vicepresidente della Fondazione Cini, presidente della Compagnia della Vela, primo procuratore di San Marco e via discorrendo. Per chi lo ignorasse, i procuratori di San Marco, all’epoca della Serenissima, erano la carica più importante dopo il doge e si occupavano dell’amministrazione della basilica marciana e del suo tesoro. L’ordine è sopravvissuto anche alla caduta della Repubblica ma solo nominalmente. Oggi indossano bei costumi, sfilano alla festa del Boccolo e sono ben visti dal Patriarca. Orsoni rappresenta le mozioni democratiche Bersani e Franceschini più l’Udc. Primo incomodo in casa democratica dovrebbe essere, come abbiamo detto, Alfiero Farinea, che all’epoca del Petrolkiller fu uno degli avvocati di parte civile. Lo candida l’ex magistrato Felice Casson a nome della mozione Marino. La sua discesa in campo tuttavia non è ancora stata formalizzata. Pressoché certa invece, è la terza candidatura, quelle della vicentina Laura Fincato. Sempre di area democratica, attuale assessore alla Pianificazione della giunta Cacciari, ex socialista con un ricco curriculum politico alle spalle e moglie dell’attuale presidente della Fondazione Venezia, Giuliano Segre. Neppure a lei fa difetto quel “carburante pecuniario” così importante per la corsa elettorale. La Fincato ammicca all’area di Rifondazione. Proprio il partito comunista e la sua presenza o meno alle primarie, è stato uno principali motivi di discussione. Non è un mistero che i democratici abbiano alzato muri da guerra fredda contro la partecipazione degli eredi della Falce&martello. Alla fine, l’ipotesi che è emersa è semplicemente quella che promotori delle primarie debbano essere solo i partiti attualmente al Governo della città ma che, come abbiamo detto in apertura, le urne siano aperte a tutti quanti si riconoscono nel programma del centrosinistra. Spetterà al candidato sindaco vincente, decidere su eventuali alleanze al primo o al secondo turno. Non è neppure un segreto che il pensiero del sindaco uscente Cacciari si possa sintetizzare così: “Per vincere, in Italia come a Venezia, è necessario lasciar fuori Rifondazione, allearsi con l’Udc e costruire un centro sinistra che guardi sempre di più al centro e sempre meno a sinistra”. Il prossimo marzo, Venezia dovrà dire se il suo sindaco uscente ha ragione. Per adesso lo scoglio da superare è quello della raccolta firme per la candidatura. Ce ne vogliono duemila da trovare in dieci giorni. Son tante. La gara, democratici permettendo, parte il 16 dicembre. E pochi si stupirebbero se a Natale i candidati fossero meno di quattro.
Vicenza tra basi e inceneritori
12/12/2009TerraIn linea d’aria, Vicenza dista da Copenhagen pressappoco mille e cento chilometri. In linea di principio, tanto, tanto di più. Perlomeno nel modus pensandi dei democratici al governo della città che hanno proposto la costruzione di un inceneritore, indispensabile dicono “per non finire sommersi dai rifiuti come a Napoli”. L’ipotesi di un inceneritore di rifiuti nel capoluogo berico è stata avanzata dal consigliere democratico Luca Balzi che a gennaio la porterà in commissione e proporrà provocatoriamente che l’impianto venga realizzato proprio nell’area est del Dal Molin, dove migliaia di vicentini hanno sottoscritto un appello lanciato dal presidio No Dal Molin per la costruzione di un parco.
“Oggi nelle nostre discariche sotterriamo combustibile – ha sostenuto il consigliere del Pd - e se avete dei dubbi andate a vedere come funziona lo stabilimento di Brescia che ricava energia bruciano i rifiuti!” Balzi si riferisce alle cosiddette “ecoballe”, i grossi blocchi di rifiuti non riciclabili che, dopo varie fasi di trattamento, vengono bruciate per produrre energia verde. O meglio, energia che di verde ha solo il nome. La normativa italiana consente infatti l’utilizzo nelle “eco balle, sia pure per percentuali non superiori al 50 per cento, di vari rifiuti riciclabili come plastiche non clorurate, imballaggi come gli poliaccoppiati plastici, gomme sintetiche e altro, la cui combustione genera diossine. La stessa Unione Europea ha condannato l’Italia con sentenza del 22 dicembre 2008, perché il Cdr – sia pure la qualità migliore - non può essere considerato un nuovo prodotto “pulito” ma comunque un rifiuto e che quindi deve sottostare alle norme di sicurezza per salvaguardare la salute dei residenti. Ricordiamo, è storia recente, che la magistratura ha posto sotto inchiesta uno dei presunti “fiori all’occhiello” di questo genere di impianti, l’inceneritore di Pietrasanta, gestito dalla Veolia Environnement, per presunte manomissioni al software dell'impianto che avrebbero segnalato valori di diossina inferiori rispetto alla realtà. Il discorso sta tutto qua: se le ecoballe sono sufficientemente pulite da fibre contenenti cloro non producono diossina ma non riscaldano a sufficienza per coprire le spese dell’energia prodotta. Se sono ecoballe insufficientemente trattate, producono sì energia, ma pure diossine. Il nocciolo della questione sta tutta nei finanziamenti statali con cui il Governo “premia” – è proprio il caso di usare questo verbo – i comportamenti antiecologici. Ce lo spiega bene Cinzia Bottene, consigliera eletta nelle liste del No Dal Molin: “Questo inceneritore è una proposta arretrata, antieconomica, irrispettosa dell’ambiente e completamente estranea al progresso tecnologico. Aspetto che il Pd porti il progetto in commissione per dare battaglia perché questa è una scelta sbagliata, che non tiene conto delle nuove tecnologie, dei rischi legati alle emissioni, o al fatto che, come ha detto perfino Bertolaso, questi impianti sono addirittura antieconomici. La verità è che nessuno costruirebbe più inceneritori se non ci fossero i finanziamenti statali garantiti dai Cip 6. Un vero e proprio inganno, questo. Quei soldi dovrebbero essere destinati alle fonti rinnovabili. Solo nel nostro Paese il combustibile ricavato dai rifiuti e le fonti rinnovabili vengono messi sullo stesso piano”.
“Oggi nelle nostre discariche sotterriamo combustibile – ha sostenuto il consigliere del Pd - e se avete dei dubbi andate a vedere come funziona lo stabilimento di Brescia che ricava energia bruciano i rifiuti!” Balzi si riferisce alle cosiddette “ecoballe”, i grossi blocchi di rifiuti non riciclabili che, dopo varie fasi di trattamento, vengono bruciate per produrre energia verde. O meglio, energia che di verde ha solo il nome. La normativa italiana consente infatti l’utilizzo nelle “eco balle, sia pure per percentuali non superiori al 50 per cento, di vari rifiuti riciclabili come plastiche non clorurate, imballaggi come gli poliaccoppiati plastici, gomme sintetiche e altro, la cui combustione genera diossine. La stessa Unione Europea ha condannato l’Italia con sentenza del 22 dicembre 2008, perché il Cdr – sia pure la qualità migliore - non può essere considerato un nuovo prodotto “pulito” ma comunque un rifiuto e che quindi deve sottostare alle norme di sicurezza per salvaguardare la salute dei residenti. Ricordiamo, è storia recente, che la magistratura ha posto sotto inchiesta uno dei presunti “fiori all’occhiello” di questo genere di impianti, l’inceneritore di Pietrasanta, gestito dalla Veolia Environnement, per presunte manomissioni al software dell'impianto che avrebbero segnalato valori di diossina inferiori rispetto alla realtà. Il discorso sta tutto qua: se le ecoballe sono sufficientemente pulite da fibre contenenti cloro non producono diossina ma non riscaldano a sufficienza per coprire le spese dell’energia prodotta. Se sono ecoballe insufficientemente trattate, producono sì energia, ma pure diossine. Il nocciolo della questione sta tutta nei finanziamenti statali con cui il Governo “premia” – è proprio il caso di usare questo verbo – i comportamenti antiecologici. Ce lo spiega bene Cinzia Bottene, consigliera eletta nelle liste del No Dal Molin: “Questo inceneritore è una proposta arretrata, antieconomica, irrispettosa dell’ambiente e completamente estranea al progresso tecnologico. Aspetto che il Pd porti il progetto in commissione per dare battaglia perché questa è una scelta sbagliata, che non tiene conto delle nuove tecnologie, dei rischi legati alle emissioni, o al fatto che, come ha detto perfino Bertolaso, questi impianti sono addirittura antieconomici. La verità è che nessuno costruirebbe più inceneritori se non ci fossero i finanziamenti statali garantiti dai Cip 6. Un vero e proprio inganno, questo. Quei soldi dovrebbero essere destinati alle fonti rinnovabili. Solo nel nostro Paese il combustibile ricavato dai rifiuti e le fonti rinnovabili vengono messi sullo stesso piano”.
Arrivederci a Copenaghen
5/12/2009TerraSee you in Copenhagen. Ci vediamo tutti a Copenhagen, consapevoli che il Cop15 sarà solo una tappa di un percorso già avviato ma ancora tutto da decidere. I movimenti italiani arrivano all’appuntamento con una solida preparazione alle spalle. Tanto teorica quanto pratica. “Andiamo a Copenhagen con gli zaini colmi di idee, di proposte e di lotte – spiega Eugenio Pappalardo (Ya Basta) che ha organizzato la presenza della delegazione italiana No Logo Meeting nella capitale danese -. Solo per citare le ultime iniziative, ti ricordo l’occupazione dell’inceneritore di Schio nel vicentino sabato 28 gennaio, l’iniziativa sull’acqua bene comune a Belluno, la manifestazione davanti ai padiglioni di Stati Uniti e Cina alla Biennale di Venezia. Senza contare convegni e incontri tra cui quello nell’isola di San Servolo organizzato dall’Uni.Nomade”.
Gli italiani a Copenhagen saranno circa 250, un centinaio dei quali provenienti del Veneto. La rete No Logo Meeting avrà uno spazio tutto suo all’interno del network internazionale Climate Justice Action. “Copenhagen – conclude Eugenio – sarà soprattutto un trampolino da cui rilanciare tutta una serie di battaglie per il clima da articolare nei territori”. La questione centrale del Cop15 non è tanto rispondere alla domanda “Come sarà la terra tra cento anni?” quanto stabilire quello che c’è da fare sin da subito. “La modificazione del pianeta è in atto già da qualche anno – spiega il verde Beppe Caccia – tutti i giorni dobbiamo fare i conti con miriadi di catastrofi ambientali che hanno pesanti ricadute sociali. Pensiamo all’organizzazione della produzione agroalimentare e del consumo, pensiamo solo al drammatico fenomeno dei profughi ambientali e delle migrazioni per ragioni climatiche. E’ oggi e non tra cent’anni che dobbiamo aprire una nuova fase. Il balletto dei governo maggiormente responsabili di emissioni di Co2 che propongono di dilazionare gli interventi proponendo la scadenza del 2050 è solo un tentativo di dilazionare le loro responsabilità”. Copenhagen sarà essenzialmente una grande vetrina in cui si misurerà il livello di coscienza planetaria. Quello che non sarà, come qualcuno auspica e qualcun’altro paventa, una Seattle 2.0. Allora, la rivolta scoppiò all’interno di un quadro trionfante in cui il neo liberismo dettava la ricetta della globalizzazione, imponendo organismo sovranazionali quali il Wto. Oggi, questo quadro sta attraversando una profonda crisi. “Crisi che ha confermato la correttezza di molte analisi avanzate a suo tempo dal movimento no global – conclude Caccia – I trent’anni ingloriosi del neo liberalismo sono stati messi in crisi dagli effetti della sua stessa economia nonostante qualcuno, busines as usual, reagisca allo sbandamento riproponendo quegli stessi strumenti finanziari virtuali ma con effetti concreti nella vita quotidiana di milioni di persone che avevano prodotto le bolle speculative che hanno originato la crisi. Oggi attraversiamo una stagione segnata dalla fine del mito illusorio dello sviluppo insostenibile ma anche dalla fine dell’illusione che i processi di globalizzazione possano essere guidati da una sola superpotenza: gli Stati Uniti. Qualcuno dovrà pur dirlo che la più grande multinazionale oggigiorno è il partito comunista cinese”.
Gli italiani a Copenhagen saranno circa 250, un centinaio dei quali provenienti del Veneto. La rete No Logo Meeting avrà uno spazio tutto suo all’interno del network internazionale Climate Justice Action. “Copenhagen – conclude Eugenio – sarà soprattutto un trampolino da cui rilanciare tutta una serie di battaglie per il clima da articolare nei territori”. La questione centrale del Cop15 non è tanto rispondere alla domanda “Come sarà la terra tra cento anni?” quanto stabilire quello che c’è da fare sin da subito. “La modificazione del pianeta è in atto già da qualche anno – spiega il verde Beppe Caccia – tutti i giorni dobbiamo fare i conti con miriadi di catastrofi ambientali che hanno pesanti ricadute sociali. Pensiamo all’organizzazione della produzione agroalimentare e del consumo, pensiamo solo al drammatico fenomeno dei profughi ambientali e delle migrazioni per ragioni climatiche. E’ oggi e non tra cent’anni che dobbiamo aprire una nuova fase. Il balletto dei governo maggiormente responsabili di emissioni di Co2 che propongono di dilazionare gli interventi proponendo la scadenza del 2050 è solo un tentativo di dilazionare le loro responsabilità”. Copenhagen sarà essenzialmente una grande vetrina in cui si misurerà il livello di coscienza planetaria. Quello che non sarà, come qualcuno auspica e qualcun’altro paventa, una Seattle 2.0. Allora, la rivolta scoppiò all’interno di un quadro trionfante in cui il neo liberismo dettava la ricetta della globalizzazione, imponendo organismo sovranazionali quali il Wto. Oggi, questo quadro sta attraversando una profonda crisi. “Crisi che ha confermato la correttezza di molte analisi avanzate a suo tempo dal movimento no global – conclude Caccia – I trent’anni ingloriosi del neo liberalismo sono stati messi in crisi dagli effetti della sua stessa economia nonostante qualcuno, busines as usual, reagisca allo sbandamento riproponendo quegli stessi strumenti finanziari virtuali ma con effetti concreti nella vita quotidiana di milioni di persone che avevano prodotto le bolle speculative che hanno originato la crisi. Oggi attraversiamo una stagione segnata dalla fine del mito illusorio dello sviluppo insostenibile ma anche dalla fine dell’illusione che i processi di globalizzazione possano essere guidati da una sola superpotenza: gli Stati Uniti. Qualcuno dovrà pur dirlo che la più grande multinazionale oggigiorno è il partito comunista cinese”.
L'acqua e il federalismo
5/12/2009TerraFederalismo. Chi sarà mai costui? Prendiamo ad esempio l’acqua. La provincia di Venezia decide all’unanimità – da destra a sinistra passando per il centro - che l’acqua della gronda lagunare è e deve restare pubblica. Il Governo impone che l’acqua deve essere privatizzata. E non ha importanza se il servizio in loco funziona, se il servizio è più economico tanto per il pubblico quanto per le tasche del contribuente. Non ha importanza neppure la qualità complessiva del servizio integrato di gestione delle acque e quanto di buono è stato realizzato all’interno di codesto servizio come, tanto per fare un esempio, la campagna per aiutare le popolazioni colpite dalla siccità.
Tutto questo non conta. L’acqua va comunque privatizzata. Ecco. Non è questo, il federalismo. Qui si va in direzione contraria. E con tutta probabilità, il verde Ezio Da Villa, aveva annusato l’aria di tempesta che tirava da Roma quando, nel maggio scorso, in una delle sue ultime azioni come assessore provinciale all’Ambiente aveva convinto il consiglio dell’Aato (autorità d'ambito territoriale ottimale della laguna che comprende 26 Comuni dell’entroterra) ad affidare per i prossimi dieci anni la gestione dell’acqua veneziana a Veritas, una spa a capitale interamente pubblico finanziata dai Comuni dell’entroterra veneziano. Perlomeno per i prossimi dieci anni quindi, a Venezia potremmo continuare a bere in tutta tranquillità l’ottima “acqua del sindaco” e a un prezzo tra i più bassi d’Italia. E proprio il sindaco di Venezia, è notizia di questi giorni, sta valutando l’ipotesi di presentare un ricorso alla corte costituzionale contro la legge del Governo che impone la privatizzazione forzata. Un ricorso, anche questo, da presentare in nome dell’autonomia di un Comune nella gestione di un bene che appartiene alla gente del Comune. Che è anche un altro modo per dire “federalismo”, quello vero. Gli dà mandato a tal proposito, una delibera presentata dal gruppo verdi e approvata a larga maggioranza dal consiglio comunale. Un’altra delibera, anch’essa votata dal consiglio di Venezia, introduce il concetto di acqua come bene comune a gestione pubblica anche nello statuto comunale. Battaglie queste, che gli ambientalisti stanno portando avanti non per difendere acriticamente carrozzoni statali o principi ideologici del genere “pubblico sempre bello, privato sempre cattivo”, ma nel nome di un autentico federalismo. Un federalismo che pone al primo posto l’autonomia delle comunità locali nella scelta della gestione di un bene comune. Perché non spetta al parlamento nazionale e tanto meno al governo centrale aprire forzatamente la porta dell’azionariato privato alla gestione dell’acqua di Venezia né di altre città. Una battaglia, lo avrete intuito, che scava come un badile nelle contraddizioni della Lega.
Tutto questo non conta. L’acqua va comunque privatizzata. Ecco. Non è questo, il federalismo. Qui si va in direzione contraria. E con tutta probabilità, il verde Ezio Da Villa, aveva annusato l’aria di tempesta che tirava da Roma quando, nel maggio scorso, in una delle sue ultime azioni come assessore provinciale all’Ambiente aveva convinto il consiglio dell’Aato (autorità d'ambito territoriale ottimale della laguna che comprende 26 Comuni dell’entroterra) ad affidare per i prossimi dieci anni la gestione dell’acqua veneziana a Veritas, una spa a capitale interamente pubblico finanziata dai Comuni dell’entroterra veneziano. Perlomeno per i prossimi dieci anni quindi, a Venezia potremmo continuare a bere in tutta tranquillità l’ottima “acqua del sindaco” e a un prezzo tra i più bassi d’Italia. E proprio il sindaco di Venezia, è notizia di questi giorni, sta valutando l’ipotesi di presentare un ricorso alla corte costituzionale contro la legge del Governo che impone la privatizzazione forzata. Un ricorso, anche questo, da presentare in nome dell’autonomia di un Comune nella gestione di un bene che appartiene alla gente del Comune. Che è anche un altro modo per dire “federalismo”, quello vero. Gli dà mandato a tal proposito, una delibera presentata dal gruppo verdi e approvata a larga maggioranza dal consiglio comunale. Un’altra delibera, anch’essa votata dal consiglio di Venezia, introduce il concetto di acqua come bene comune a gestione pubblica anche nello statuto comunale. Battaglie queste, che gli ambientalisti stanno portando avanti non per difendere acriticamente carrozzoni statali o principi ideologici del genere “pubblico sempre bello, privato sempre cattivo”, ma nel nome di un autentico federalismo. Un federalismo che pone al primo posto l’autonomia delle comunità locali nella scelta della gestione di un bene comune. Perché non spetta al parlamento nazionale e tanto meno al governo centrale aprire forzatamente la porta dell’azionariato privato alla gestione dell’acqua di Venezia né di altre città. Una battaglia, lo avrete intuito, che scava come un badile nelle contraddizioni della Lega.
C'era una volta un ghiacciaio
5/12/2009TerraC’era una volta un ghiacciaio. Lassù, nel cuore delle Dolomiti. Alle pendici delle vette più alte della Marmolada si stendeva il ghiacciaio più grande. Per arrivarci toccava scarpinare su uno delle vie più famose delle Alpi, la via ferrata della Marmolada, che dal lago Fadaia, un tempo confine tra la Serenissima e il principato di Bressanone, per il versante nord del gruppo ci porta alla Forcella sino ai 3 mila e 342 metri di altezza di Punta Penia. Il viennese Paul Grohmann, il pioniere dell'alpinismo dolomitico, accompagnato dalle storiche guide cortinesi Angelo e Fulgenzio Dimai, fu il primo ad arrampicarsi su questi monti, percorrendo quella che ancora oggi si chiama via "del ghiacciaio". Era il 28 settembre del 1864. Oggi, solo le immagini in bianco e nero scattate nell’epoca dell’alpinismo eroico, possono riportarci indietro di oltre cent’anni e restituirci quei maestosi paesaggi che non vedremo più. Il fronte del grande ghiacciaio della Marmolada arretra sempre più velocemente: 45 metri negli ultimi 15 anni, secondo la mappatura realizzata dal centro sperimentale Valanghe e difesa idrogeologica di Arabba.
Miglior sorte non arride agli altri ghiacciai dolomitici: l’Antelao nello stesso periodo di tempo ha perso di 50 metri. Un grafico, quello delle temperature e dei conseguenti scioglimenti, che registra impennate sempre più verticali. Negli ultimi 5 anni, l’innalzamento delle medie stagionali ha cacciato indietro il ghiacciaio della Fradusta nelle Pale di San Martino di 35 metri, quello del Travignolo di 75 e il maestoso ghiacciaio del Cristallo di ben 90 metri. A voler ridurre il problema ad una statistica, possiamo affermare che i fronti dei ghiacciai dolomitici, dal 1980, registrano un costante arretramento medio di 5 o 6 metri all’anno. Di tanti giganti, le cui “nevi eterne immacolate al sol” erano inneggiate nelle canzoni popolari, resistono ancora soltanto spruzziate di neve nelle zone più protette, negli anfratti posti sotto i ripidi pendii delle cime. Irrimediabilmente estinti i ghiacciai più piccoli come il ghiacciaio delle Mesules e quello di Pisciadù nel settore settentrionale del Gruppo del Sella, il ghiacciaio di Cimo Cadin e di Antemia nella Marmolada, il ghiacciaio di Dentro del Froppa sulle Marmarole e il ghiacciaio del Pelmo. In compenso, la storia ha lasciato sui sentieri montuosi altri ricordi: trincee, caserme, piazzole per l’artiglieria, camminamenti militari, resti di teleferiche... Mute testimonianze delle tragedie che insanguinarono le forcelle durante la Grande Guerra.
Ma non è neppure necessario riavvolgere l’orologio della storia sino alla prima guerra mondiale per ricordare la montagna com’era e come non è più. Non è neppure necessario essere scalatori. Bastano due piedi e la passione di camminare “tra boschi e valli d’or”. Vent’anni fa, per percorrere le vie che salivano oltre i 2 mila e 200 – 2 mila e 400 metri, era indispensabile munirsi di un buon equipaggiamento da neve. Oggi, già a metà giugno, negli alti sentieri delle Dolomiti è scomparsa qualsiasi traccia di neve.
“Quando si parla di cambiamenti climatici, si citano sempre statistiche a lungo termine e discussioni accademiche dove esperti o presunti tali disquisiscono a lungo con ragionamenti che ben difficilmente vengono calati nella vita quotidiana. Chi vive in montagna, o meglio, chi vive la montagna, non ha bisogno di tanti dati per capire che qualcosa è già cambiata per sempre: stagioni o troppo calde o troppo fredde, periodi di inaspettata siccità seguiti da momenti di forti precipitazioni. Stiamo vivendo un rapido susseguirsi di eventi meteorologici estremi. E questo è un dato che nessuno può più negare”. Luigi Casanova è uno che a buon diritto può affermare di “vivere la montagna”; prima boscaiolo, poi guardaboschi nel Comune di Moena, quindi sindacalista, sempre attivista di tante associazioni ambientali e pacifiste. Adesso è vicepresidente di Cipra Italia, acronimo che sta per commissione internazionale per la Protezione delle Alpi. “I mutamenti climatici non sono solo questioni percettive di caldo - freddo o umido- secco che possono essere soggettive o dipendere dal luogo o anche dalla memoria storica di una persona – spiega -. La montagna sta cambiando. Negli anni sessanta la copertura boschiva di larici arrivava ai 1700 metri o al massimo ai 1900. Oggi il rimboschimento nelle Dolomiti sfora i 2 mila e 100 metri. E gli animali? Anche le loro abitudini stanno cambiando. Vent’anni fa per fotografare il re dei boschi, il gallo cedrone, dovevo stare tra i mille e 300 e i mille 600 metri. Oggi, quei pochi esemplari rimasti si spingono oltre i 2 mila metri”.
Ma le grandi vittime del clima impazzito sono i ghiacciai. I grandi vecchi delle Dolomiti sembravano eterni ed invece erano così fragili. Un aumento statistico di pochi gradi in pochi decenni è bastato per cancellarli dalla geografia. Luigi Casanova ne parla come di vecchi amici scomparsi: “Non ci sono più ghiacciai nelle Dolomiti. O sono sciolti o sono talmente ridimensionati che parlarne come di ghiacciai sembra una presa in giro. Il grande Marmolada che neanche tanto tempo fa, ancora negli anni ’70, scendeva a 2 mila 550 metri, oggi lo prendi a 2 mila 750. E ogni stagione si ritira sempre di più”. Siamo riusciti ad ammazzare pure i ghiacciai? “Pare proprio di sì. Anche nella migliore delle ipotesi, sarebbe impossibile ripristinare le condizioni climatiche di un secolo fa. Teniamo anche presente che di fronte a questi mutamenti epocali, la politica è sorda, cieca e muta. Chi governa è incapace di programmare una politica di lungo periodo, pure se la tecnologia per ridurre le emissioni di Co2 già sarebbe disponibile. Viviamo in un mondo che ci sta crollando sotto i piedi, sia in senso fisico che metaforico. Le certezze dei nostri vecchi, la sacralità delle risorse comuni... tutto è stato fagocitato da quel ‘progresso scorsoio’ di cui ha scritto Zanzotto. In questa corsa sfrenata, chi si ferma ad immaginare l’aspetto che il mondo che verrà tra vent’anni? Anche la cultura, anche il pensare è diventato un prodotto di consumo. La pigrizia dei politici e la politica di pigrizia della Confindistra arroccata a difendere un sistema economico insostenibile, ostacolano qualsiasi cambiamento, in un mondo in cambiamento”.
Miglior sorte non arride agli altri ghiacciai dolomitici: l’Antelao nello stesso periodo di tempo ha perso di 50 metri. Un grafico, quello delle temperature e dei conseguenti scioglimenti, che registra impennate sempre più verticali. Negli ultimi 5 anni, l’innalzamento delle medie stagionali ha cacciato indietro il ghiacciaio della Fradusta nelle Pale di San Martino di 35 metri, quello del Travignolo di 75 e il maestoso ghiacciaio del Cristallo di ben 90 metri. A voler ridurre il problema ad una statistica, possiamo affermare che i fronti dei ghiacciai dolomitici, dal 1980, registrano un costante arretramento medio di 5 o 6 metri all’anno. Di tanti giganti, le cui “nevi eterne immacolate al sol” erano inneggiate nelle canzoni popolari, resistono ancora soltanto spruzziate di neve nelle zone più protette, negli anfratti posti sotto i ripidi pendii delle cime. Irrimediabilmente estinti i ghiacciai più piccoli come il ghiacciaio delle Mesules e quello di Pisciadù nel settore settentrionale del Gruppo del Sella, il ghiacciaio di Cimo Cadin e di Antemia nella Marmolada, il ghiacciaio di Dentro del Froppa sulle Marmarole e il ghiacciaio del Pelmo. In compenso, la storia ha lasciato sui sentieri montuosi altri ricordi: trincee, caserme, piazzole per l’artiglieria, camminamenti militari, resti di teleferiche... Mute testimonianze delle tragedie che insanguinarono le forcelle durante la Grande Guerra.
Ma non è neppure necessario riavvolgere l’orologio della storia sino alla prima guerra mondiale per ricordare la montagna com’era e come non è più. Non è neppure necessario essere scalatori. Bastano due piedi e la passione di camminare “tra boschi e valli d’or”. Vent’anni fa, per percorrere le vie che salivano oltre i 2 mila e 200 – 2 mila e 400 metri, era indispensabile munirsi di un buon equipaggiamento da neve. Oggi, già a metà giugno, negli alti sentieri delle Dolomiti è scomparsa qualsiasi traccia di neve.
“Quando si parla di cambiamenti climatici, si citano sempre statistiche a lungo termine e discussioni accademiche dove esperti o presunti tali disquisiscono a lungo con ragionamenti che ben difficilmente vengono calati nella vita quotidiana. Chi vive in montagna, o meglio, chi vive la montagna, non ha bisogno di tanti dati per capire che qualcosa è già cambiata per sempre: stagioni o troppo calde o troppo fredde, periodi di inaspettata siccità seguiti da momenti di forti precipitazioni. Stiamo vivendo un rapido susseguirsi di eventi meteorologici estremi. E questo è un dato che nessuno può più negare”. Luigi Casanova è uno che a buon diritto può affermare di “vivere la montagna”; prima boscaiolo, poi guardaboschi nel Comune di Moena, quindi sindacalista, sempre attivista di tante associazioni ambientali e pacifiste. Adesso è vicepresidente di Cipra Italia, acronimo che sta per commissione internazionale per la Protezione delle Alpi. “I mutamenti climatici non sono solo questioni percettive di caldo - freddo o umido- secco che possono essere soggettive o dipendere dal luogo o anche dalla memoria storica di una persona – spiega -. La montagna sta cambiando. Negli anni sessanta la copertura boschiva di larici arrivava ai 1700 metri o al massimo ai 1900. Oggi il rimboschimento nelle Dolomiti sfora i 2 mila e 100 metri. E gli animali? Anche le loro abitudini stanno cambiando. Vent’anni fa per fotografare il re dei boschi, il gallo cedrone, dovevo stare tra i mille e 300 e i mille 600 metri. Oggi, quei pochi esemplari rimasti si spingono oltre i 2 mila metri”.
Ma le grandi vittime del clima impazzito sono i ghiacciai. I grandi vecchi delle Dolomiti sembravano eterni ed invece erano così fragili. Un aumento statistico di pochi gradi in pochi decenni è bastato per cancellarli dalla geografia. Luigi Casanova ne parla come di vecchi amici scomparsi: “Non ci sono più ghiacciai nelle Dolomiti. O sono sciolti o sono talmente ridimensionati che parlarne come di ghiacciai sembra una presa in giro. Il grande Marmolada che neanche tanto tempo fa, ancora negli anni ’70, scendeva a 2 mila 550 metri, oggi lo prendi a 2 mila 750. E ogni stagione si ritira sempre di più”. Siamo riusciti ad ammazzare pure i ghiacciai? “Pare proprio di sì. Anche nella migliore delle ipotesi, sarebbe impossibile ripristinare le condizioni climatiche di un secolo fa. Teniamo anche presente che di fronte a questi mutamenti epocali, la politica è sorda, cieca e muta. Chi governa è incapace di programmare una politica di lungo periodo, pure se la tecnologia per ridurre le emissioni di Co2 già sarebbe disponibile. Viviamo in un mondo che ci sta crollando sotto i piedi, sia in senso fisico che metaforico. Le certezze dei nostri vecchi, la sacralità delle risorse comuni... tutto è stato fagocitato da quel ‘progresso scorsoio’ di cui ha scritto Zanzotto. In questa corsa sfrenata, chi si ferma ad immaginare l’aspetto che il mondo che verrà tra vent’anni? Anche la cultura, anche il pensare è diventato un prodotto di consumo. La pigrizia dei politici e la politica di pigrizia della Confindistra arroccata a difendere un sistema economico insostenibile, ostacolano qualsiasi cambiamento, in un mondo in cambiamento”.
Google map della solidarietà
20/11/2009TerraC’è una mappa diversa dalle altre, su Google Earth. La mappa di una “Città senza paura”. Una mappa per dire che gli uomini sono tutti uguali, che i diritti sono diritti di tutti e che non c’è sicurezza se la sicurezza non è di tutti. è la mappa di “Venezia libera”. E come tutte le mappe che si rispettino, anche questa invita a mettersi in cammino. Il primo passo sarà fatto questa sera a partire dalle ore 18:30 all’ex Plip di Mestre, via San Donà 195.
L’intera rete associativa veneziana si riunirà sotto lo stesso tetto per condividere quanto fatto finora e quanto fare in futuro. L’elenco delle associazioni che hanno aderito è lungo e spazia da Emergency a Razzismo Stop, da Pax Christi ai Cobas e al cso Rivolta.
Senza dimenticare la Rete Tuttiidirittiumanipertutti e Venezia Respinge il Razzismo che possiamo considerare le promotrici dell’assemblea. Ci spiega Francesco Penzo, presidente dell’associazione Villaggio e tra gli organizzatori della “Mappa di Venezia libera”: «Siamo di fronte a un tentativo di imporre un’attenzione alla sicurezza basata sulla paura del diverso e sulla difesa identitaria. Una prospettiva questa che dobbiamo capovolgere per ribadire che la sicurezza è un diritto di tutti e si ottiene solo se Venezia è di tutti». La strada per una nuova convivenza passa anche attraverso le nuove tecnologie. Nel mondo globalizzato, un vero e proprio “bene comune” tanto quanto acqua, terra e aria.
La Mappa di Venezia libera è già consultabile in Google maps e in Google Earth, senza contare gli oramai inevitabili blog - http://venetoliberodalrazzismo. wordpress.com/ - e gruppi su facebook. «La mappa - continua Penzo - è una tappa di un percorso nato da una giusta indignazione. Il 13 settembre scorso, durante la parata della Lega a Venezia, un gruppo di sette camicie verdi ha malmenato e mandato in ospedale due camerieri, uno di origine albanese e uno di origine algerina, che lavoravano in un ristorante. Una vigliaccata che ha ottenuto perlomeno l’effetto di mobilitare la società civile veneziana.
Abbiamo sentito un gran bisogno di reagire a quanti voglio utilizzare la nostra regione e la nostra città come palcoscenico di una cultura razzista istituzionalizzata». La Mappa intende dare visibilità a quanti lavorano per l’accoglienza e a diffondere pratiche di disobbedienza e resistenza civile. In questa prospettiva, un passo che la rete associativa dovrà compiere sarà quello di maturare competenza e professionalità. Tramontati i tempi della beneficenza, l’obiettivo è quello di sostenere uno Stato dei diritti di tutti, anche quando ciò significa disobbedire alle leggi di questo Stato. «Cosa rischia un medico che non denuncia un clandestino? O come deve comportarsi un insegnante che non vuole chiedere il permesso di soggiorno ai suoi allievi? Dove può recarsi una persona senza passaporto per ottenere una difesa legale - si chiede Penzo -. Sono questi i problemi cui la Mappa vuole dare una risposta per contrastare leggi incivili in cui non ci riconosciamo e costruire una Venezia libera, aperta e solidale».
L’intera rete associativa veneziana si riunirà sotto lo stesso tetto per condividere quanto fatto finora e quanto fare in futuro. L’elenco delle associazioni che hanno aderito è lungo e spazia da Emergency a Razzismo Stop, da Pax Christi ai Cobas e al cso Rivolta.
Senza dimenticare la Rete Tuttiidirittiumanipertutti e Venezia Respinge il Razzismo che possiamo considerare le promotrici dell’assemblea. Ci spiega Francesco Penzo, presidente dell’associazione Villaggio e tra gli organizzatori della “Mappa di Venezia libera”: «Siamo di fronte a un tentativo di imporre un’attenzione alla sicurezza basata sulla paura del diverso e sulla difesa identitaria. Una prospettiva questa che dobbiamo capovolgere per ribadire che la sicurezza è un diritto di tutti e si ottiene solo se Venezia è di tutti». La strada per una nuova convivenza passa anche attraverso le nuove tecnologie. Nel mondo globalizzato, un vero e proprio “bene comune” tanto quanto acqua, terra e aria.
La Mappa di Venezia libera è già consultabile in Google maps e in Google Earth, senza contare gli oramai inevitabili blog - http://venetoliberodalrazzismo. wordpress.com/ - e gruppi su facebook. «La mappa - continua Penzo - è una tappa di un percorso nato da una giusta indignazione. Il 13 settembre scorso, durante la parata della Lega a Venezia, un gruppo di sette camicie verdi ha malmenato e mandato in ospedale due camerieri, uno di origine albanese e uno di origine algerina, che lavoravano in un ristorante. Una vigliaccata che ha ottenuto perlomeno l’effetto di mobilitare la società civile veneziana.
Abbiamo sentito un gran bisogno di reagire a quanti voglio utilizzare la nostra regione e la nostra città come palcoscenico di una cultura razzista istituzionalizzata». La Mappa intende dare visibilità a quanti lavorano per l’accoglienza e a diffondere pratiche di disobbedienza e resistenza civile. In questa prospettiva, un passo che la rete associativa dovrà compiere sarà quello di maturare competenza e professionalità. Tramontati i tempi della beneficenza, l’obiettivo è quello di sostenere uno Stato dei diritti di tutti, anche quando ciò significa disobbedire alle leggi di questo Stato. «Cosa rischia un medico che non denuncia un clandestino? O come deve comportarsi un insegnante che non vuole chiedere il permesso di soggiorno ai suoi allievi? Dove può recarsi una persona senza passaporto per ottenere una difesa legale - si chiede Penzo -. Sono questi i problemi cui la Mappa vuole dare una risposta per contrastare leggi incivili in cui non ci riconosciamo e costruire una Venezia libera, aperta e solidale».
Tregua per i Paesi Baschi
14/11/2009TerraUna tregua immediata e una proposta in sette punti per cominciare a costruire un processo partecipato di pace nei Paesi Baschi. Alle 12,30 precise, in contemporanea con quanto avveniva nel capoluogo basco Vitoria-Gasteiz, nella sala dibattiti della biblioteca Marciana, Jone Goirizelaia, avvocata e portavoce della sinistra indipendentista basca – il braccio politico di Herri Batasuna – ha letto il comunicato con cui si invita il governo spagnolo a stabilire una tregua e a dare avvio ad un dialogo per trovare una soluzione pacifica al conflitto che insanguina l’intero paese sin dalla morte di Francisco Franco.
La cornice di Venezia non è un casuale. Nella sala dei dibattiti dell’antica Serenissima in cui il doge riceveva e discuteva con gli ambasciatori stranieri, era in corso un convegno sul tema “Processi di pace e risoluzione dei conflitti” alla presenza dei rappresentanti di popoli ancora in lotta per l’autodeterminazione come i curdi e i palestinesi, e di popoli in cui la pace è già un percorso avviato come gli irlandesi ed i sudafricani. Jone Goirizelaia, fondatrice di Ahotsak – associazione di donne per la pace nei Paesi Baschi - e già membro del parlamento basco dove ha coperto la carica di portavoce della commissione Diritti Umani, ha letto un lungo documento che parte da una critica dell’indipendentismo basco per arrivare alla necessità definita “inevitabile”, di trovare una risposta al conflitto in corso. “Partiamo dalla constatazione che la nostra gente sia stanca di vivere in una situazione di guerra permanente – ha dichiarato – e che l’avvio di un processo di pace a questo punto sia, per noi indipendentisti, un obbligo. Purché questa pace non sia solo pacificazione o assenza di violenza ma pace nei diritti, nel rispetto e riconoscimento reciproco, nella giustizia e nelle pari opportunità”. I sette punti che la Sinistra Indipendentista Basca propone al governo madrilegno partono dal presupposto che si deve costruire un quadro democratico e partecipato dentro il quale avviare i negoziati. Per far questo, ogni parte in causa deve riconoscere i diritti e le ragioni dell’altra, e sospendere sin da subito qualsiasi ricorso alla violenza. Nel documento, gli indipendentisti richiamano il principio della volontà popolare che dovrà legittimare le soluzioni determinate dalla stipula degli accordi. Democrazia, non violenza, rispetto di tutte le leggi nazionali, cumunitarie e internazionali che tutelano i diritti dell’uomo, partecipazione popolare e reciproco riconoscimento sono i principi cui fare riferimento perché finalmente si possa parlare di pace anche nel Paese Basco. “Un processo che si può costruire solo se entrambe la parti rinunciano all’uso della violenza – ha concluso Jone Goirizelaia -. Noi siamo pronti a deporre le armi e a discutere. Al governo spagnolo chiediamo altrettanto, che ponga inoltre fine alla militarizzazione del nostro Paese, permetta agli esuli di rientrare in patria e liberi i nostri compagni imprigionati. Da Venezia, chiediamo alla comunità internazionale di fare da testimone a questo processo di pace e di far pressione sul governo spagnolo perché accetti di discutere con coloro che oggi considera alla stregua di terroristi”.
La cornice di Venezia non è un casuale. Nella sala dei dibattiti dell’antica Serenissima in cui il doge riceveva e discuteva con gli ambasciatori stranieri, era in corso un convegno sul tema “Processi di pace e risoluzione dei conflitti” alla presenza dei rappresentanti di popoli ancora in lotta per l’autodeterminazione come i curdi e i palestinesi, e di popoli in cui la pace è già un percorso avviato come gli irlandesi ed i sudafricani. Jone Goirizelaia, fondatrice di Ahotsak – associazione di donne per la pace nei Paesi Baschi - e già membro del parlamento basco dove ha coperto la carica di portavoce della commissione Diritti Umani, ha letto un lungo documento che parte da una critica dell’indipendentismo basco per arrivare alla necessità definita “inevitabile”, di trovare una risposta al conflitto in corso. “Partiamo dalla constatazione che la nostra gente sia stanca di vivere in una situazione di guerra permanente – ha dichiarato – e che l’avvio di un processo di pace a questo punto sia, per noi indipendentisti, un obbligo. Purché questa pace non sia solo pacificazione o assenza di violenza ma pace nei diritti, nel rispetto e riconoscimento reciproco, nella giustizia e nelle pari opportunità”. I sette punti che la Sinistra Indipendentista Basca propone al governo madrilegno partono dal presupposto che si deve costruire un quadro democratico e partecipato dentro il quale avviare i negoziati. Per far questo, ogni parte in causa deve riconoscere i diritti e le ragioni dell’altra, e sospendere sin da subito qualsiasi ricorso alla violenza. Nel documento, gli indipendentisti richiamano il principio della volontà popolare che dovrà legittimare le soluzioni determinate dalla stipula degli accordi. Democrazia, non violenza, rispetto di tutte le leggi nazionali, cumunitarie e internazionali che tutelano i diritti dell’uomo, partecipazione popolare e reciproco riconoscimento sono i principi cui fare riferimento perché finalmente si possa parlare di pace anche nel Paese Basco. “Un processo che si può costruire solo se entrambe la parti rinunciano all’uso della violenza – ha concluso Jone Goirizelaia -. Noi siamo pronti a deporre le armi e a discutere. Al governo spagnolo chiediamo altrettanto, che ponga inoltre fine alla militarizzazione del nostro Paese, permetta agli esuli di rientrare in patria e liberi i nostri compagni imprigionati. Da Venezia, chiediamo alla comunità internazionale di fare da testimone a questo processo di pace e di far pressione sul governo spagnolo perché accetti di discutere con coloro che oggi considera alla stregua di terroristi”.
Promesse di futuro. Intervista con Edoardo Salzano
15/10/2009TerraPromesse per il futuro. Ecco una perfetta sintesi di quanto vedremo oggi e domani a Forte Marghera. Incontri, film, documentari, spettacoli e assemblee. Tanti temi per un solo scopo: inventare tutti insieme un modo diverso di immaginare il nostro futuro.
Edoardo Salzano, urbanista e curatore del sito www.eddyburg.it, è tra i promotori del comitato contro il Ptrc, il piano territoriale regionale di coordinamento, e una delle anime di questa “due giorni” per il “Veneto che vogliamo”.
Edoardo, che sta succedendo a Forte Marghera? Invece di stare a casa e guardare la televisione, la gente spende i pomeriggi a parlare di futuro?
Proprio così. Per come la vedo io, la cosa fondamentale è proprio questa: finalmente un tema come l’aspetto futuro del nostro territorio non è delegato ai cosiddetti tecnici e tanto meno neppure ai tecnici al servizio di quelli che comandano. Sono gli abitanti, i cittadini stessi, che cominciano a discutere e a prendere coscienza su un tema che riguarda l’intera la società civile. Il secondo aspetto positivo è che comincia a circolare largamente una informazione non asservita al potere. Oggi nei mass media non si occupa nessuno di problemi come l’aspetto della città o del territorio. Sono temi considerati a torto marginali ed invece sono decisivi nella vita degli abitanti di oggi e di domani. Considero fondamentale che comincino a girare anche le idee di quelli che la pensano diversamente rispetto al pensiero dominante. La vedo come una promessa per il futuro.
Parli della rottura del muro di omertà che, perlomeno nei media locali, nascondono le iniziative e le proposte dell’associazionismo e dei movimenti. Ma di questa rottura il merito non va alla stampa italiana?
No, per carità! I media ci hanno ignorato completamente. Pensa che qualche giorno fa abbiamo tenuto una conferenza stampa per raccontare come alcuni di noi siano stati incriminati semplicemente perché hanno raccolto in piazza le adesioni alle osservazioni da portare in Regione in merito al Ptrc. Dicono che abbiamo contravvenuto ad una legge di pubblica sicurezza che da anni non veniva più applicata e che bisognava informare la questura a non solo i vigili e il Comune che per organizzare un banchetto di raccolta firme. Nessun giornale locale ha accennato alla vicenda. Per questo dico che è importante che le informazioni, nonostante tutto, girino su canali alternativi ai media per così dire tradizionali o schierati. Lo abbiamo constatato di persona vedendo le grandi affluenze che ci sono state alle nostre serate informative sul Ptrc.
Torniamo a Forte Marghera. Che ne sarà di tutto questo “immaginare il futuro” domani?
Questa “Due giorni” è un punto di partenza e non di arrivo. Domani dovremo lavorare per proiettare nel futuro quanto oggi diremo e abbiamo detto. Stiamo avviando una fase costituente. Nessuno ha ricette pronte. Le oltre 140 associazioni che hanno aderito all’iniziativa hanno un lungo percorso da costruire e da seguire con tanta saggezza, perché quando ci si mette insieme ognuno deve saper rinunciare a qualcosa. Autonomia e collaborazione.
Questo mi porta a chiederti quale rapporto dovranno tenere le associazioni con i partiti.
Ci sono due aspetti da considerare. Da un lato la giusta e comprensibile preoccupazione dei comitati di essere strumentalizzati, ma dall’altro lato c’e anche il rischio dell’intolleranza senza costrutto. Vedi, sui partiti ognuno ha il giudizio che ha. Se ne può parlare bene, male e anche così così. L’importante è che tutti coloro che hanno la seria intenzione di lavorare in una certa direzione imparino a lavorare insieme. Collaboriamo, quindi, stando attenti però a respingere qualsiasi tentativo di infiltrazione a scopo meramente elettorale.
Questo per i comitati. Ma i partiti lo capiranno?
Se vogliono capire capiranno, ma se non vogliono capire… peggio per loro. Saranno sostituiti da qualche cos’altro. Gli elettori riempiono sempre i vuoti. Quando il popolo non si sente rappresentato trova sempre il nodo di farsi rappresentare per altre strade.
Magari per una di quelle strade che passa per Forte Marghera.
Edoardo Salzano, urbanista e curatore del sito www.eddyburg.it, è tra i promotori del comitato contro il Ptrc, il piano territoriale regionale di coordinamento, e una delle anime di questa “due giorni” per il “Veneto che vogliamo”.
Edoardo, che sta succedendo a Forte Marghera? Invece di stare a casa e guardare la televisione, la gente spende i pomeriggi a parlare di futuro?
Proprio così. Per come la vedo io, la cosa fondamentale è proprio questa: finalmente un tema come l’aspetto futuro del nostro territorio non è delegato ai cosiddetti tecnici e tanto meno neppure ai tecnici al servizio di quelli che comandano. Sono gli abitanti, i cittadini stessi, che cominciano a discutere e a prendere coscienza su un tema che riguarda l’intera la società civile. Il secondo aspetto positivo è che comincia a circolare largamente una informazione non asservita al potere. Oggi nei mass media non si occupa nessuno di problemi come l’aspetto della città o del territorio. Sono temi considerati a torto marginali ed invece sono decisivi nella vita degli abitanti di oggi e di domani. Considero fondamentale che comincino a girare anche le idee di quelli che la pensano diversamente rispetto al pensiero dominante. La vedo come una promessa per il futuro.
Parli della rottura del muro di omertà che, perlomeno nei media locali, nascondono le iniziative e le proposte dell’associazionismo e dei movimenti. Ma di questa rottura il merito non va alla stampa italiana?
No, per carità! I media ci hanno ignorato completamente. Pensa che qualche giorno fa abbiamo tenuto una conferenza stampa per raccontare come alcuni di noi siano stati incriminati semplicemente perché hanno raccolto in piazza le adesioni alle osservazioni da portare in Regione in merito al Ptrc. Dicono che abbiamo contravvenuto ad una legge di pubblica sicurezza che da anni non veniva più applicata e che bisognava informare la questura a non solo i vigili e il Comune che per organizzare un banchetto di raccolta firme. Nessun giornale locale ha accennato alla vicenda. Per questo dico che è importante che le informazioni, nonostante tutto, girino su canali alternativi ai media per così dire tradizionali o schierati. Lo abbiamo constatato di persona vedendo le grandi affluenze che ci sono state alle nostre serate informative sul Ptrc.
Torniamo a Forte Marghera. Che ne sarà di tutto questo “immaginare il futuro” domani?
Questa “Due giorni” è un punto di partenza e non di arrivo. Domani dovremo lavorare per proiettare nel futuro quanto oggi diremo e abbiamo detto. Stiamo avviando una fase costituente. Nessuno ha ricette pronte. Le oltre 140 associazioni che hanno aderito all’iniziativa hanno un lungo percorso da costruire e da seguire con tanta saggezza, perché quando ci si mette insieme ognuno deve saper rinunciare a qualcosa. Autonomia e collaborazione.
Questo mi porta a chiederti quale rapporto dovranno tenere le associazioni con i partiti.
Ci sono due aspetti da considerare. Da un lato la giusta e comprensibile preoccupazione dei comitati di essere strumentalizzati, ma dall’altro lato c’e anche il rischio dell’intolleranza senza costrutto. Vedi, sui partiti ognuno ha il giudizio che ha. Se ne può parlare bene, male e anche così così. L’importante è che tutti coloro che hanno la seria intenzione di lavorare in una certa direzione imparino a lavorare insieme. Collaboriamo, quindi, stando attenti però a respingere qualsiasi tentativo di infiltrazione a scopo meramente elettorale.
Questo per i comitati. Ma i partiti lo capiranno?
Se vogliono capire capiranno, ma se non vogliono capire… peggio per loro. Saranno sostituiti da qualche cos’altro. Gli elettori riempiono sempre i vuoti. Quando il popolo non si sente rappresentato trova sempre il nodo di farsi rappresentare per altre strade.
Magari per una di quelle strade che passa per Forte Marghera.