In questa pagina ho riportato gli ultimi articoli che ho scritto per il quotidiano ambientalista Terra, il settimanale Carta, Manifesto, per siti come Global Project, FrontiereNews o siti di associazioni come In Comune con Bettin e altro ancora.
Morire di Mose e di altre devastazioni
25/04/2007Carta
La morte della Serenissima, la nuova ideologia dell’onnipotenza della tecnica, la costruzione di grandi canali rettilinei e profondi calibrati su scafi sempre più grandi, l’interrimento di ampie porzioni d’acqua salmastra e la chiusura con dighe di terra di altre, l’abbandono della manutenzione continua, l’emungumento delle acque sotterranee per l’alimentazione delle industrie, lo sversamento di acque di rifiuto sempre più velenose: tutto ciò ha pesantemente trasformato la Laguna.
Con la grande acqua alta del 1966 questa si è ribellata. Un ampio dibattito si è aperto. Due tesi si sono subito affrontate. Da una parte, chi proponeva di intervenire con interventi “hard”, con opere ingegneristiche e meccaniche di stampo otto-novecentesco. Dall’altra parte, chi proponeva di considererare la Laguna ciò che è, un ecosistema in equilibrio dinamico, e di intervenire di conseguenza con interventi mirati a ricostituire l’equilibrio perduto e i meccanismi della sua sopravvivenza.
Le leggi speciali per Venezia (1973, 1984) non scelgono nettamente tra l’uno e l’altro indirizzo, ma sono decisamente spostate verso la visione ecosistemica. Prescrivono infatti l’eliminazione del traffico petrolifero (causa principale dell’approfondimento dei canali, e quindi dell’aumento dell’immissione di acque marine in Laguna), l’apertura delle parti di Laguna chiuse all’espansione delle maree, il divieto assoluto dell’interrimento di nuove porzioni del bacino lagunare (mediante l’espansione delle terre ai suoi margini, o la costruzione o l’ampliamento di isole), la regimazione degli affluenti fluviali, il disinquinamento, la chiusura dei pozzi che attingevano alla falda, più una serie di altri interventi accuratamente definiti e indirizzati.
La legge prevedeva anche lo studio di interventi alla “bocche di porto” per la chiusura temporanea in caso di altee maree eccezionali, ma li subordinava ai tre principi che la Serenissima da secoli aveva adottato: tutti gli interventi previsti dovevano essere graduali, sperimentali, reversibili.
Tutto ciò è stato pesantemente contraddetto negli ultimi anni. È iniziata, e sta procedendo a rotta di collo, la distruzione della Laguna di Venezia.
Tutto è cominciato con il MoSE, un progetto illegittimo, devastante, inutile, costosissimo, affidato a un consorzio di imprese di costruzione. Ma al MoSE occorrerebbe dedicare un ‘intero numero di Carta. Oggi parliamo di alcuni interventi recenti, alcuni direttamente connessi al MoSE, altri espressione della stessa ideologia, dalla stessa indifferenza alla legalità: tutti interventi vietati dalle leggi vigenti, tutti interventi approvati nella generale indifferenza di un’opinione pubblica distratta e sviata.
Morire di Mose e di altre devastazione
Il Mose è come il virus dell’Hiv che aggredisce le difese immunitarie e rende l’organismo attaccabile da tutte le patologie. Per Venezia e la sua laguna, il Mose è stato il piede di porco che ha consentito alle lobby del cemento di scardinare tutta la legislazione di salvaguardia varata dopo l’alluvione del ’66. Ecco un elenco, che non ha neppure la pretesa di essere esaustivo, di grandi, costose e devastanti opere che massacreranno quella che ancora è la laguna più bella del mondo. Sempre che il Mose lasci qualcosa da massacrare.
Cinque piani di calcestruzzo sopra l’oasi
«Dove andarono a dormire, il giorno in cui fu terminata la Grande Muraglia, gli operai?» Non possiamo sapere dove andarono a dormire i muratori cinesi ricordati da Bertold Brecht, ma sappiamo dove andranno a dormire i circa 400 operai del Mose: in bei palazzoni frontemare di cemento alti 15 metri, lunghi 50 e larghi 25. Li stanno costruendo nell’isola di Pellestrina, proprio sopra le due riserve naturali di Ca’ Roman e Santa Maria del Mare. Va da sé che stiamo parlando di due veri e propri villaggi di cemento con tanto di fognature, impianti di depurazione, parcheggi e altre comodità. Qui sorgeranno anche le enormi piattaforme di calcestruzzo dove saranno assemblati i giganteschi «pezzi» in lavorazione e gli immani basamenti sommersi del Mose. A Santa Maria del Mare, il cantiere di prefabbricazione è composto da una piattaforma in cemento alta tre metri sul livello del mare che copre tutta la spiaggia e si protende per 450 metri sul mare per una larghezza di 350 metri. Inoltre. È prevista un’ulteriore struttura in avanzamento sul mare per l’alaggio dei cassoni di altri 200 metri. Non vale neppure la pena di ricordare che tutte queste devastanti realizzazioni sono irreversibili e che le aree che saranno distrutte sono protette [?] dai massimi vincoli paesaggistici e ambientali come Sic e Zps. Ricordiamo solo, tornando alla poesia del «Lettore operaio» di Brecht, che alla domanda «Chi pagherà le spese?» la risposta è facile.
Barene di plastica nel canal dei Marani
Trovato da dormire agli operai del Mose, trovate le oasi da cementare per i cantieri di prefabbricazione del Mostro, restano ancora altri problemi insoluti. I fanghi ad esempio. Dove depositare quel milione e mezzo di metri cubi [«quantitativi incrementabili» secondo la relazione del progetto] di sedimenti e caranto che saranno scavati per far spazio ai basamenti sommersi delle dighe mobili? Il progetto che sta prendendo corpo è quello di costruire alcune «barene artificiali» [un evidente ossimoro, perché le barene sono formazioni esclusivamente naturali] là dove non ce ne sono mai state. Perlomeno negli ultimi sette o ottomila anni di storia morfologica della laguna veneta. Il posto è il canal dei Marani, che collega Murano all’isola di S. Erasmo. Qualcuno potrebbe pensare che, se non ci sono mai state barene nel canal dei Marani, un motivo ci sarà. L’idrodinamica della laguna infatti non ne consente la formazione in quelle secche troppo soggette alle escursioni di marea. Queste «barene artificiali» dunque non potranno raggiungere mai il delicato equilibrio che caratterizza una barena, quella vera. Onde per cui, il progetto prevede il sostegno di queste «barene art…», ma no! Chiamiamole «porcherie» che è più corretto. Dunque, il progetto prevede il sostegno di queste «porcherie» con burghe [sorta di gabbioni] di plastica e poliestere ripiene di pietrame, accatastate in almeno quattro gradoni tutto attorno. Siccome qualcuno potrebbe obiettare che queste burghe sono quantomeno antiestetiche, il progetto prevede la loro immediata rimozione «non appena le opere saranno consolidate». Che è come dire mai, considerato che le burghe vengono costruite proprio perché nel canal dei Marani nessuna barena, neppure le «porcherie» plastificate, potranno mai raggiungere un equilibrio idrodinamico. Perlomeno sino alla prossima era glaciale.
La Grande Muraglia di rifiuti (tossici naturalmente)
La prima cosa che impara chi studia la laguna di Venezia, è che le acque alte e le altre devastazioni ambientali sono cominciate con gli interramenti [Porto Marghera, chiusura delle valli da pesca…] e i grandi scavi [canal delle Navi, canale dei Petroli…] che hanno rovesciato il delicatissimo equilibrio su cui si era sostenuta sino ai tempi dei Dogi quest’area umida unica al mondo. Eppure in laguna si continua a scavare come all’isola del Tesoro. Come se non bastasse, al danno intrinseco dello scavo, si sta aggiungendo il danno prodotto dallo smaltimento del prodotto dello scavo. Dopo il raddoppio dell’isola-scoassera [immondezzaio] delle Trezze, un progetto avanzato dal Commissario per lo Scavo dei Canali Portuali prevede la realizzazione di una vera e propria muraglia di immondizie alta 14 metri per oltre due chilometri, lungo la fascia terminale del Naviglio Brenta, sino a Fusina, a ridosso dell’abitato di Malcontenta. Qui finiranno i tre milioni di metri cubi di fanghi scavati per aumentare la profondità del canal dei Petroli e permettere anche alle superpetroliere [quelle che non ci son più!] di arrivare a Fusina. Perfetto esempio di Grande Opera inutile e dannosa. A sentire Giancarlo Zacchello, presidente dell'Autorità portuale di Venezia, che ha fortemente appoggiato il progetto di scavo, la costruzione della muraglia lungo il Brenta, comporterebbe un enorme risparmio per le casse delle Stato. Infatti, buona parte dei fanghi recuperati dal canale dei Petroli sono classificati come tossici e nocivi: conferirli in una discarica specializzata, come prevede la legislazione, costerebbe una fortuna allo Stato. E’ preferibile farne delle specie di mattonelle tossiche del Lego ed impilarle a Malcontenta, inquandrando il tutto in un più ampio progetto di «riqualificazione ambientale» dell’area. E’ vero che ognuna di queste mattonelle tossiche sarà infilata in una camicia di cemento, ma è anche vero che sopra la muraglia ci vogliono mettere fiori, panchine e magari qualche giostra per i bambini. Se il progetto non è ancora partito è solo perché le varie aziende che si contendono gli appalti si sono dichiarate guerra a furia di carte bollate. C’è sul piatto una torta mica male. Soltanto impedire che il canale si riempia di fango, dopo l’escavazione, per i primi tre anni, costerà oltre 37 milioni di euro. Ma, grazie a dio, risparmieremo sul mancato conferimento dei fanghi tossici in discarica speciale!
E dopo il petrolio, i cereali
Mentre in bacino San Marco si discute sul traffico e sul moto ondoso provocato dalle navi di crociera, l’Autorità Portuale che continua imperterrita a far riferimento al Piano della Terza Zona Industriale approvato nel ’65 [piano cancellato dalla Legge Speciale varata nel ’73] ha ripresentato in Commissione Salvaguardia, il famigerato progetto per la realizzazione di un enorme approdo per le navi cerealicole transoceaniche a porto San Leonardo, proprio in mezzo alla laguna veneta, dove già attraccano le petroliere. L’opera per il suo gigantismo è persino in contrasto con il Mose che prevede per il canale che conduce a San Leonardo una profondità massima di «soli» 14 metri. Il progetto comporta la costruzione di enormi banchine sulla gronda lagunare attrezzate per l’attracco di mostruose navi container di oltre 150 mila tonnellate di stazza. D’altra parte, in qualche posto dovranno pure scaricare tutti quei cereali geneticamente modificati prodotti dai Paesi in via di sviluppo. O vogliamo fermare il progresso?
Tutto qua?
Certo che no! L’elenco di devastazioni è ancora lungo. Ma per tirare la conclusione possiamo anche fermarci qui. Se non riusciremo a fermare questi mostri, della nostra bella laguna, così come abbiamo avuto l’immeritata fortuna di conoscerla noi che non abbiamo saputo difenderla, non resterà che quel tiepido vento di scirocco che ancora la bacia in queste luminose giornate di primavera.
Un Commissario per le Devastazioni Ambientali
L’alluvione del ’66 ha avuto il merito di portare all’attenzione del mondo il problema della conservazione di Venezia e della sua laguna. Sull’onda emotiva causata dall’avvenimento, i Governi hanno varato una serie di leggi di Salvaguardia che –pur con alterne vicende- hanno contribuito a difendere l’ecosistema lagunare sino al colpo di maglio portato dall’ultimo governo Berlusconi. Per agevolare le lobby del cemento, è stato nominato un «commissario all’emergenza socio, economica e ambientale» con poteri straordinari in grado di bypassare ogni prescrizione di legge e di norma di tutela. Per fare un esempio, il Commissario dirige il settore Via della Regione, le Istruttorie di Compatibilità Urbanistica e presiede per conto del presidente della Giunta Regionale, Giancarlo Galan, la Commissione di Salvaguardia. Un lampante esempio di controllato che si controlla da solo. Il Commissario quindi, dipende solo e direttamente dal forzista Galan, uomo che non ha fatto certo della tutela dell’ambiente il suo cavallo di battaglia politico. Ma se è vero che la Regione Veneto, tradizionale mangiatoia politica della destra, si è sempre dimostrata un’implacabile e dichiarata nemica di Venezia e della sua Laguna, va anche sottolineato che nonostante i ripetuti appelli degli ambientalisti, il governo Prodi non ha ancora risposto alla richiesta di revocare i poteri a questa figura istituzionale.
Venezia da record: la betoniera più grande d’Europa
La stanno costruendo a Santa Maria del Mare, nell’estremità settentrionale dell’isola di Pellestrina, proprio in mezzo a quello che è un Sito di Interesse Comunitario, e sarà la betoniera più grande del mondo. La sua bocca avrà il duro compito di vomitare tutti quei milioni di tonnellate di calcestruzzo necessari per costruire gli enormi cassoni di 150 metri per 30 che costituiranno la base sommersa del Mose. Sopra questi cassoni saranno realizzate le mastodontiche paratie mobili che strozzeranno le tre vie d’acqua che oggi collegano la laguna al mare Adriatico portandole la vita e garantendo quel fragile equilibrio che era rimasto inalterato nei secoli.
E intanto l’isola di Pellestrina che con i suoi settecenteschi «murazzi» costituiva la difesa dal mare della laguna di Venezia, sta cambiando volto. Le spiagge libere sono cementate per costruire avanzamenti a mare lunghi mezzo chilometro, un villaggio in cemento armato ha sfrattato quello che un tempo era una piccola colonia della Caritas. E i pescatori osservano con preoccupazione la «dozana» [corrente entrante dal porto] che non corre più come una volta e tutto quel cemento buttato a mare proprio sopra le «tegnue». Dove nessuno di loro si sarebbe mai sognato di gettare una rete, perché là il pesce va a riprodursi.
Voci dal corteo
19/02/2007EcoMagazine
Coraggio
Alla manifestazione con carrozzina e due bambini. Alice, una giovane professoressa di Verona, è una delle tantissime mamme che non si è fatta spaventare dai titoloni che i mass media sparavano in prima pagina nei giorni antecedenti la manifestazione. “Hanno cercato di fare un vero e proprio terrorismo psicologico. Ieri sera ho fatto un po’ di zapping con la televisione. Il primo canale, il secondo, Rete Quattro e Canale Cinque facevano a gara a chi trasmetteva le più cruenti scene di guerriglia urbana! Devo ammettere che una certa paura me l’hanno messa addosso. Con mio marito abbiamo discusso a lungo se era il caso di portare i bambini alla manifestazione.
Poi ci siamo detti che, proprio per loro, per la loro educazione e per il loro futuro, non potevamo arrenderci alla paura! Abbiamo scelto la speranza e non ne siamo rimasti delusi. Noi adulti abbiamo ribadito il nostro diritto a manifestare liberamente senza farci condizionare da falsi timori costruiti ad arte da giornalisti venduti. Per i bambini poi, è tutto una bella sfilata di carnevale”.
Delusione
“Siamo stati traditi noi dalla Lega, come siete stati traditi voi da Prodi” commenta Giacomo, leghista doc di Conegliano. Sventola un povero Leone Marciano ingraffettato con un l’arcobaleno della pace. “Io ho litigato in sezione e poi ho addirittura restituito la tessera per protestare contro la svendita della nostra terra agli americani. E quelli mi hanno risposto dandomi del comunista! A me! Dica lei, ho la faccia da rosso?”
L’unico rosso con cui avrà a che fare immagino, è quello dentro i bicchieri...
“Sì, quello non mi dispiace proprio! Ma qui, a Vicenza, siamo venuti in oltre una trentina dalla marca trevigiana. Ci saranno anche le bandiere rosse, non dico di no, ma soprattutto c’è gente sacrosanta che vorrebbe soltanto comandare in casa loro! Guardi le facce che sfilano. Guardi quelli vestiti da alpino. Altro che sinistra radicata!”
Radicale...
“Sì, quella cosa là!”
Orgoglio
Ma voi di Rifondazione, senza una bandiera Falce&Martello, proprio non sapete sfilare! L’Assemblea Permanente non aveva forse chiesto di lasciare a casa le bandiere di partito?
“L’Assemblea ha il diritto di chiederlo, ma noi abbiamo il diritto di portale dove vogliamo le nostre bandiere –spiega Maurizio di Mestre- Non abbiamo nulla di cui vergognarci. La nostra posizione è sempre stata chiara anche in Parlamento. Il problema non è far cedere il Governo, ma non cedere sulla base. Per questo siamo qui a sfilare con le nostre bandiere”
E domani?
“Domani sfileremo un’altra volta. E dopodomani un’altra volta ancora. A Vicenza come in val di Susa. Quello che la politica tradizionale non può fare, lo faremo noi in piazza”.
Sempre sotto la bandiera rossa per non sentirvi orfani?
“Sempre sotto tutte le bandiere rosse che serviranno”
Hasta la victoria.
Allegria
Manuela, costume azzurro da pagliaccio, nasone di plastica rosso. E’ arrivata da Milano con un numeroso gruppo di amici, tutti dell’area dei Centri Sociali, tutti conciati alla stessa maniera. Ballano come ossessi a ritmo di tamburo per tutta la sfilata. Approfittiamo di uno dei suoi rarissimi momenti di tregua per parlarle.
“Non mi dica anche lei che Venezia e il suo Carnevale erano la fermata dopo! E’ una battuta che oggi ci hanno rivolto tutti... “
Va bene. Prendo atto che non avete sbagliato stazione. Ma voi fate i pagliacci in tutte le manifestazioni?
“No. E’ la prima volta che ci vestiamo da circo. E’ il nostro modo di rispondere a chi ha cercato in tutti i modi di buttarla sulla violenza, a chi finanzia e sostiene le guerre in Afghanistan, in Iraq e fra poco anche in Iran, ma ipocritamente accusa noi di essere violenti. Che cosa abbiamo a che fare noialtri con gli ultras degli stadi? Metterci tutti nello stesso brodo è solo un trucco per non darci risposte sulle cose che poi contano davvero. E’ stata fatta una campagna di stampa vergognosa per terrorizzare la gente e spingerla a non partecipare a questa grande manifestazione. Ma non c’è cascato nessuno. Siamo una moltitudine e pretendiamo delle risposte serie anche se siamo vestiti da pagliacci!”
Ironia
“Più basi sì! Ma co la lengua” Lo striscione alzato da due studentesse vicentine non dovrebbe aver bisogno di traduzione. Una volta si diceva “facciamo l’amore e non la guerra”. Slogan sempre applaudito soprattutto quando le ragazze in questione sono piuttosto carine. Anna studia architettura. “Abito proprio sopra l’area che vorrebbero far diventare una caserma. Sono pacifista, non mi piacciono i generali e le armi, avrei manifestato anche se la base la volessero costruissero, che so, a Rovigo o in Germania. Ma un’inconcepibile scempio urbanistico tale e quale quello che vorrebbero fare sotto le mie finestre non riuscirei ad immaginarlo in nessuna parte del mondo! Ecco, vorrei dire a Prodi, vieni a casa mia... ti faccio vedere dal vivo di che cosa si parla quando si discute dell’allagamento della Ederle. Non posso credere che non cambierebbe immediatamente idea!”
Magari valutando l’alternativa proposta sul tuo striscione.
“Sì. Da sua moglie però. Il cartello risponde ad un tramite comunicativo che si chiama ironia. Io sono felicemente fidanzata e mio moroso è la dietro che mi tiene d’occhio. Credi di essere il primo che si fa avanti con la scusa dell’intervista?”
Ho capito. Niente basi. Neanche co la lengua.
Risolutezza
E adesso che il corteo è arrivato in piazza? Alfonso arrotola la bandiera No Tav E’ un vecchio valsusino ed è stato tra i primi a partecipare ai comitati contro l’Alta Velocità. Da allora non si è perso una manifestazione in tutta l’Italia.
“Adesso si torna a casa ma la bandiera non la si porta in soffitta ad ammuffire. La si lascia vicino alla porta. Pensi che io la metto nel portaombrelli. Un po’ perché non ho altro posto a casa, un po’ perché penso a lei come ad un ombrello da tirar fuori tutte le volte che piove. Ogni volta che viene giù qualche porcheria, la si srotola e si parte. In val di Susa come a Vicenza. A differenza dell’ombrello che ripara solo una testa, le bandiere funzionano solo se le si sventola tutte insieme per riparare tutte le teste. Sia che piova a casa tua, che a casa del tuo vicino. Una lezione che abbiamo imparato bene, noi della val di Susa. La bandiera della No Tav, quella dei verdi, dei comunisti, dell’Italia o di chi volete voi. Son solo stracci. L’importante è piantarle per terra e resistere almeno un minuto più di loro”.
Le pentole di Vicenza
5/11/2006Carta
Rifondazione rispondeva con la Madonna in persona. “E che vuol dire? –replicava il consigliere Emilio Franzina- Io sono appena stato al santuario della madonna di Monte Berico ad implorarle la grazia di allontanare da Vicenza guerre e caserme!” Dentro il palazzo, a finestre chiuse, i consiglieri si insultavano e si spintonavano. Fuori del palazzo, mezza Vicenza scuoteva campanacci e urlava “Ver-go-gna! Ver-go-gna!” “Siamo alla dittatura della maggioranza –commentava Ciro Asproso, consigliere verde- Vogliono trasformare la città in una portaerei Usa!” E’ finita come doveva finire. A notte fonda, la maggioranza votava compatta per la Superbase: 21 contro 17. Favorevoli Forza Italia, An e Lega. Quest’ultima con un distinguo. “Avrei voluto votare no –ha commentato la pasionaria del Carroccio, Manuela Del Lago- soltanto per vedere la faccia di D’Alema. Col nostro sì, gli abbiamo tolto le castagne da fuoco”.
Già, perché la palla adesso passa alle alte sfere. Spetta a D’Alema, Parise & Soci compiere la scelta definitiva. Spetta al Governo decidere se schierarsi col centrodestra vicentino che vuole trasformare la città nella caserma della 173esima Airborne Brigade o con la sinistra che ha detto no alla logica della Guerra Globale. Con Hüllweck o con la Vicenza di Pace che il 2 dicembre scenderà ancora in piazza per ribadire ancora una volta No ad un aereoporto Usa di guerra in pieno centro abitato.
Vicenza Iù Es Ei
5/02/2006Carta
Capitolo primo: Guerra Globale Permanente a casa nostra. Il Pentagono ha già deciso e gli altri si accomodino: lo spazio attualmente occupato dalla caserma Ederle sarà raddoppiato per diventare la sede operativa della 173esima Airborne Brigade. Il che significa che sotto il colle del santuario della Madonna Berica bisognerà far spazio ad un aeroporto di guerra, ad una caserma per altri 2 mila militari statunitensi –oltre a quelli già presenti nella caserma Ederle-, una sessantina di Tank M1 Abrams, 85 corazzati di vario tipo, 14 mortai pesanti semoventi, 40 Humvee con sistemi elettronici di ricognizione, due nuclei di aerei spia Predator, almeno due batterie di obici semoventi, svariate postazioni di lanciarazzi multipli a lungo raggio Mrls, una sezione di “Intelligence” da Guerre Stellari… e ci fermiamo qua perché l’elenco sarebbe ancora lungo.
A Washington devono vedere la faccenda come una specie di Risiko dove vince chi occupa più Paesi e piazza più carriarmatini. I cittadini di Vicenza che in questi giorni si sono mobilitati a migliaia con raccolte di firme, sit in davanti al municipio, manifestazioni di piazza e occupazioni delle aree in via di trasformazione, sono più propensi a vedere l’altro lato della medaglia. “Anche a voler prescindere da un giudizio sulla logica di Guerra Globale che sta dietro questa operazione che con la difesa del Paese non ha nulla a che fare –ha commentato Olol Jackson, portavoce dei Verdi di Vicenza e tra i promotori del comitato nazionale contro le servitù militari-, trasformare l’area Dal Molin in una seconda caserma Ederle comporterebbe dei costi insostenibili per una città come Vicenza che non è certo una metropoli. Basti pensare della viabilità e all’inquinamento che una base di tale dimensioni comporterebbe. Tutti costi che saremo soltanto noi cittadini a pagare. I generali Usa assicurano che non hanno bisogno di altre infrastrutture come una nuova strada d’accesso alla nuova caserma. Mi chiedo allora per dove faranno passare i carri armati? Per il casello di Mestre?”
La cosiddetta “politica del sorriso” adottata a Vicenza dal Pentagono, tra promesse di sviluppo, rassicurazioni di lavoro per tutti e giuramenti solenni che la base Dal Molin con la guerra non ha proprio nulla a che fare –ha spiegato Andrea Licata, presidente del centro studi per la pace dell’università di Trieste- non è altro che un procedimento oramai standardizzato. Quando la base andrà a regime, nemmeno un deputato potrà metterci il naso dentro, i controlli ambientali e le verifiche sulle reali dotazioni di guerra saranno impossibili. A Vicenza non resterà altro che pagare di tasca propria i costi delle bonifiche, lo smaltimento dei rifiuti, la manutenzione della viabilità, gli enormi consumi energetici, i privilegi dei militari che non si pagano neppure il biglietto del tram.
Conti che evidentemente non spaventano il sindaco Enrico Hüllweck: “Accoglieremo ancora gli americani così come li abbiamo accolti 50 anni fa”, ha sentenziato. Proprio lui che -da vecchio militante nell’Msi- 50 anni fa si sarebbe trovato dall’altra parte della barricata. Quella color nero!
E con il centrodestra al governo in Comune, Provincia e Regione, ad intonare “The Star Spangled Banner”, è scesa in campo pure la Cisl. Gli americani, dicono, portano lavoro, pace e cultura.
Ah sì, la cultura… e qui veniamo al secondo pacco, quello tanto Beautiful. Parlo della soap opera che appassionava tanto Cossiga!
Le star di Beautiful sbarcheranno pure loro a Vicenza. Due settimane di riprese che ci (e sottolineo il “ci”) costeranno la miseria di un milione di euro. L’assessore regionale Fabio Gava, dalla Cina dove è in missione di studio, si è detto entusiasta e pronto a finanziare l’operazione. Il sindaco Hüllweck pure.
Va da se, che i belloni e le bellone di Beautiful si impegnano a calzare scarpe vicentine, vestire abiti veronesi e pelletterie della riviera berica, adoperare occhiali del bellunese… ed a pranzare nei Mac Donald italiani.
Potete scommettere che non mancherà un bel giro in gondola. Partenza sotto il ponte di Rialto e pittoresco approdo a Camp Ederle Stelle E Strisce.