In questa pagina ho riportato gli ultimi articoli che ho scritto per il quotidiano ambientalista Terra, il settimanale Carta, Manifesto, per siti come Global Project, FrontiereNews o siti di associazioni come In Comune con Bettin e altro ancora.

Roghi in Sardegna, il sistema antincendio c'era, ma è stato dismesso

Dopo le fiamme sul Montiferru, la procura di Oristano indaga per incendio colposo aggravato. Il presidente della Regione Solinas ha chiesto lo stato di emergenza, ma nessuno guarda alle cause

Raccontano ad Oliena (in provincia di Nuoro) che il santo più venerato in Sardegna sia tale S’Antincendiu. Il santo protettore del servizio antincendio che ha dato conforto e lavoro a tantigiovani disoccupati dell’isola. Santo del tutto sconosciuto all’agiografia cristiana, che si può anche leggere Sant’incendiu e che, in questa veste, ha permesso ad altrettanti proprietari terrieri di ricavare un bel po’ di denaro dai roghi appiccicati ai loro appezzamenti.

Oliena è una cittadina arroccata nel cuore della Barbagia, regione tristemente nota per i sequestri di persona negli anni ’70 e ’80. Cittadina famosa perché il giorno di Pasqua, che qui festeggiano col nome S’incontru, tutta la gente del paese si affaccia alle finestre per sparare in aria all’impazzata con doppiette da caccia, pistole 44 Magnum e mitra Ak 47. Neanche quando facevo il corrispondente da Beirut ho mai assistito a una sparatoria del genere. “Un territorio armato fino ai denti. Nuoro guida la classifica italiana”, titolava un reportage della Nuova Sardegna che sottolineava i dati allarmanti di questa provincia col più alto numero di possessori di porto di pistola e di fucile per uso venatorio. “Poi ci sono le armi illegali, ma quella è un’altra storia” concludeva il reportage. E se il nuorese è in testa all’hit parade delle armi, le rimanenti provincie sarde seguono da vicino. Il culto delle armi da fuoco, in quest’isola, è diffuso in tutte le generazioni ed è strettamente legato a termini come la “valentia” (una sorta di onore maschilista contornato di obblighi di vendette ad ogni costo) di cui si sono fatti scudo anche i (pochi) piromani che la magistratura è riuscita a mandare a processo.

Rifiuti in fiamme: il patto tra imprenditori, amministratori e mafie

L'incendio non ha cause naturali

Tre incendi, in sospetta contemporaneità, hanno fatto piazza pulita dei boschi di Oristano e compiuto una strage di animali. Si sospetta un'origine dolosa

L’isola armata sino ai denti oramai ogni estate viene devastata da terrificanti incendi. Incendi che, anche in virtù delle nuove e sempre più torride condizioni climatiche, si rivelano ogni volta più devastanti. Il Wwf nel suo ultimo report Il Mediterraneo brucia li ha definiti mega-incendi: “A partire dal 2017 una nuova generazione di incendi è apparsa nell'Europa mediterranea, superando per dimensione e portata i grandi incendi. Si tratta di mega-incendi che generano vere e proprie tempeste di fuoco, causate del collasso della colonna convettiva”. Anche questa è una conseguenza del cambiamento climatico. Sempre secondo il Wwf – che lancia un preoccupato e sino ad ora inascoltato appello ai governi per dotarsi di strumenti atti a difendere la biodiversità e il nostro patrimonio boschivo – solo il 4 per cento di questi incendi sarebbe dovuto a cause naturali. Il rimanente è imputabile a negligenza umana o a episodi dolosi.

Per quanto riguarda il disastro accaduto in Sardegna negli ultimi giorni, l’ipotesi delle cause naturali la possiamo escludere in partenza. La magistratura sta ancora indagando, ma i responsabili del corpo forestale sardo hanno già messo in chiaro che il rogo principale, quello che ha letteralmente divorato il Montiferru, è stato innestato a Bonàrcado-Santu Lussurgiu da una vettura incendiata. Anche per gli altri tre incendi che, in sospetta contemporaneità, hanno fatto piazza pulita dei boschi di Oristano e compiuto una strage di animali, si sospetta un'origine dolosa. La magistratura ha già aperto un fascicolo contro ignoti.

Fumi neri su Aprilia: un inquinamento ignorato

Il sistema antincendio dismesso nel 2005

"Si è privato in modo arbitrario e – per chissà quali secondi fini – il nostro patrimonio boschivo sardo di uno strumento fondamentale per la prevenzione e la lotta agli incendi"Michele Cossa - Consigliere regionale dei Riformatori sardi

La natura – in questo caso l’impetuoso vento di maestrale – ha senza dubbio accentuato la propagazione dell’incendio, ma direttamente (per dolo) o indirettamente (per cambiamenti climatici) la devastazione alla quale abbiamo assistito, è imputabile soltanto all’uomo. Anche nelle evidenti carenze nell’affrontare una situazione che si continua a definire “emergenziale” pur ripetendosi ogni anno con le stesse modalità. Com'è possibile che nella regione più colpita dagli incendi in tutto il Paese non fosse stanziato un numero sufficiente di Canadair (gli speciali aerei antincendio) e che questi siano dovuti arrivare dalla Corsica e dalla Grecia per fermare le fiamme? “Forse abbiamo comperato gli aerei sbagliati”: nel web si è subito scatenata l’ironia degli ambientalisti che hanno impietosamente messo a confronto le enormi spese sostenute dall’Italia per acquistare i cacciabombardieri F35 con quelle destinate al servizio di Canadair. Servizio che, tra le altre cose, in Italia è stato appaltato a una ditta privata, al contrario di altri Paesi europei dove è gestito, con ottimi risultati, direttamente dal corpo forestale.

Tutto vero. Ma si dimentica che un servizio antincendio funzionante e che aveva dato pure ottimi risultati, la Sardegna lo aveva già. Peccato sia stato completamente dismesso nel 2005. Una scelta condannata anche dal tribunale di Cagliari che nel 2018 ha obbligato la Regione a risarcire Teletron euroricer, la ditta che aveva messo a punto questo sistema basato su un’innovativa tecnologia di telerilevamento capace di segnalare immediatamente lo scoppio di un incendio e intervenire prima che le fiamme si propaghino incontrollate. Il sistema Teletron è attualmente adoperato in altre regioni italiane considerate a rischio ed è utilizzato anche in altri Paesi mediterranei come Spagna e Grecia. La Teletron aveva iniziato la sperimentazione proprio in Sardegna, nel 1984. Il sistema è diventato operativo l’anno successivo rivelando subito la sua efficacia e abbattendo dell’85 per cento il numero di incendi. Il sistema funzionava infatti anche come deterrente per eventuali piromani la cui azione criminale viene subito rilevata dal sistema.

Terra dei fuochi, bonifiche e riforme ferme da 13 anni

Ma nel 2005 la Regione ha preferito dismettere il sistema, dichiarando finita la sperimentazione. E il numero di incendi è subito schizzato verso l’alto. “Si è privato in modo arbitrario e – per chissà quali secondi fini – il nostro patrimonio boschivo sardo di uno strumento fondamentale per la prevenzione e la lotta agli incendi – ha dichiarato il consigliere regionale di opposizione Michele Cossa, dei Riformatori sardi –. Per realizzare le 50 postazioni sperimentali di telerilevamento, la Regione aveva investito 30 milioni di euro, senza contare i quasi 900 mila euro per gli aggiornamenti. Ma invece di implementarle, abbiamo speso altri soldi per dismetterle. E, come se non bastasse, la Regione dovrà spendere altri 230 mila euro per rispettare la sentenza del tribunale”.

Nel frattempo la Regione ha preferito continuare a investire ogni anno almeno 80 milioni di euro in campagne antincendio la cui efficacia è sotto gli occhi di tutti. Senza contare i cospicui finanziamenti a fondo perduto che, una volta raffreddatasi la situazione, arriveranno dal Governo centrale come conseguenza dello stato di calamità che il presidente della Sardegna, Christian Solinas, ha prontamente chiesto. In una nota Solinas ha già assicurato che sono state accelerate le procedure per "abbattere tutti i tempi tecnici e burocratici e abbreviare i passaggi che ci consentiranno di erogare i ristori ai cittadini e alle aziende, per il risanamento degli edifici pubblici e privati, per una ripartenza che vogliamo tutti sia rapida". Ai fedeli di S’Antincendiu non resta che ringraziare il loro santo protettore.


La marea ambientalista contro il G20 di Venezia

Dentro l'Arsenale i ministri delle Finanze dei 20 Paesi più ricchi al mondo, fuori il mondo ambientalista (e non solo). Sul tavolo la tassa sulle multinazionali, la pandemia e il cambiamento climatico

C’è l’Arsenale. E dentro l’Arsenale, i rappresentanti dei 20 Governi più ricchi (e potenti) del mondoche discutono di finanza e del futuro dell’umanità con manager di banche, delegati di multinazionali, padroni di imprese fossili e amministratori di gruppi industriali. Fuori dell’Arsenale, c’è il mondo: Fridays for future, Extinction rebellion, sindacati di base, Non una di meno, gruppi antispecisti, No tav, Stop biocidio, No grandi navi. Attorno all’Arsenale, uno sbarramento di millecinquecento poliziotti asserragliati dentro calli chiuse per l’occasione con cancellate d’acciaio, cecchini sui tetti coi fucili sempre puntati, battaglioni di soldati in assetto di guerra, mezzi anfibi che corrono sparati sui canali ed elicotteri che rombano in cielo in stato di massima allerta. Eccola qua, la Venezia del G20. Fatte le dovute proporzioni, non è cambiato molto da quella Genova di, giusto giusto, vent’anni fa.

Sul tavolo del meeting dei 20 ministri delle Finanze (che assieme rappresentano più dell’80 per cento del Pil mondiale) ci sono tre questioni principali: una tassazione minima del 15 per cento per le multinazionali; una task force sui vaccini anti-covid per i Paesi in via di sviluppo e per rafforzare la risposta alle future pandemie; il monitoraggio dei rischi globali legati al cambiamento climatico. Se da un lato per il Commissario Ue agli Affari economici Paolo Gentiloni l'accordo per una riforma della tassazione globale rappresenta "una giornata storica", i manifestanti tagliano corto: “Ti pare un successo che una multinazionale paghi il 15 per cento di tasse mentre un'impresa artigianale paga il 39? Dovrebbe essere il contrario, semmai. Semplicemente ridicolo", è il commento di Tommaso Cacciari, uno dei portavoce delle rete anti G20.

La rete "We are the tide, you are only G20" ("noi siamo la marea, voi solo il G20") – nata un mese fa e decisa a proseguire in vista della Cop26 di Glasgow – ha presidiato Venezia durante tutti i giorni del summit. Dopo svariate dimostrazioni pacifiche e colorate, alla fine gli scontri.

Venezia "blindata"?

Qui in laguna non ci sono galli che ti danno la sveglia, ma durante i quattro giorni del summit non c’è pericolo di svegliarsi tardi. Ci pensa il rombo degli elicotteri che volano sfiorando i tetti delle case per meglio sorvegliare calli e campielli, a tirarti giù dal letto. Cominciano all’alba e vanno avanti e indietro senza concedere tregua sino al tramonto. Sono gli Aw139 Leonardo. Velivoli dalle altissime prestazioni e che in un’ora di volo bruciano 600 litri di carburante.

Tutti i giornali, senza distinzione, sono concordi nel descrivere una Venezia “blindata”. In realtà, ad essere blindate sono le delegazioni delle venti grandi potenze venute qui a discutere sui destini del mondo. Dal punto di vista dei (sempre meno) residenti della città lagunare, sembra di vivere nei giorni dell’acqua alta. Interi quartieri impossibili da raggiungere senza un pass speciale, tornelli nelle calli, canali chiusi al traffico, musei sbarrati, attività commerciali e turistiche sospese. “Non  bastava la pandemia, adesso ci è capitato anche il G20”, è il ritornello preferito di negozianti e alberghieri che vivono la “blindatura” come un prosieguo di zona rossa. E ancora: corse di battelli e vaporetti sospese o costrette a deviazioni che, più che facilitarti lo spostamento, ti complicano la vita. Un esempio è l’ospedale Civile che per sua sfortuna si trova nei pressi dell’Arsenale dove si svolge il vertice. Il battello non si ferma più all’imbarcadero vicino. E neppure a quello dopo. Chi deve andarci a lavorare, a visitare un parente ricoverato o per seguire una terapia, deve sfangarsela a piedi lungo tutta la fondamenta, e sotto un solleone africano che è la miglior testimonianza del climate change.

Ancora una volta, Venezia è stata usata come un palcoscenico a dispetto di chi, ostinatamente, continua a viverci.


"We are the tide, you are only G20"

A portare un po’ di colore in questo grigioverde militare che ha occupato calli e campielli ci ha pensato We are the tide, you are only G20: "noi siamo la marea, voi solo il G20". La rete si è proposta di ricordare ai “grandi delle Terra” che un altro mondo, libero dai condizionamenti della finanza, non solo è possibile o auspicabile, ma è necessario per la sopravvivenza dell’umanità su questo pianeta. La rete We are tide è nata un mese fa, in una chiesa di periferia di un quartiere di periferia di una già di per sé periferica Marghera (il quartiere di Venezia sulla terraferma, ndr). È stato un prete di frontiera a tenerla a battesimo ospitando nei locali del suo patronato i rappresentanti di tante associazioni e movimenti: don Nandino Capovilla della parrocchia della Resurrezione. Personaggio noto in città per le tantissime attività a favore del popolo palestinese.

We are tide ha unito sotto l’ombrellone dalla giustizia climatica praticamente l’intero arcipelago ambientalista e di movimento del nostro Paese. Tantissime le realtà che vi fanno parte: dai Fridays for future a Extinction rebellion, da sindacati di base come Cobas e Adl, a Non una di meno e gruppi antispecisti, sino agli storici No tav, Stop biocidio e No grandi navi. Questi ultimi a far gli onori di casa assieme alla foresta di Sherwood dei centri sociali del nord est. Due i partiti politici che hanno ufficialmente aderito: Rifondazione comunista ed Europa Verde.

L'iniziativa di Xr sul ponte di Calatrava sotto lo striscione "I loro soldi, il nostro sangue"
L'iniziativa di Xr sul ponte di Calatrava sotto lo striscione "I loro soldi, il nostro sangue"

Dal sit in davanti alle sedi di Banca Intesa San Paolo, “scelta per i suoi continui investimenti nell'ambito del carbon fossile e perché rappresentativo del mondo della finanza”, sino all’immancabile striscione appeso al ponte di Rialto, le ragazze e i ragazzi di Extinction rebellion si sono resi protagonisti di alcuni vivaci iniziative come quella che ha colorato di rosso il ponte di Calatrava sotto lo striscione “I loro soldi, il nostro sangue”. Oppure la rappresentazione di sirene morte e spiaggiate su una fondamenta a simboleggiare la devastazione dell’ambiente marino. Sul ponte dell’Arsenale, le attiviste di Extinction si sono simbolicamente incollate per terra, costringendo i passanti, per lo più giornalisti e funzionari direi al vertice, a scavalcare i loro corpi.

La protesta di Xr al G20 di Genova. Credits: Extinction rebellion
La protesta di Xr al G20 di Genova. Credits: Extinction rebellion

“Vent’anni fa la contrapposizione era tra capitale e lavoro, oggi è tra capitale e vita – ha spiegato Anna Clara Basilicò, portavoce di We are the tide –. Ai potenti chiediamo di ascoltarci e di uscire dalla loro bolla per il bene di tutta l’umanità”. Ecco perché la rete nata per il G20 di Venezia non ha intenzione di fermarsi qui: il percorso che è stato aperto porterà la voce dei movimenti ambientalisti italiani a Glasgow, dove a novembre è prevista la Cop26 sul clima, rimandata di un anno causa covid.

Alla fine, gli scontri

La situazione è degenerata verso le 16.30 quando i manifestanti hanno deciso di violare la zona rossa per avvicinarsi all’Arsenale e far sentire ai potenti la voce di chi chiede “giustizia sociale, giustizia climatica, reddito e welfare per tutti”. L'appuntamento era alle 14.30 alla fondamenta delle Zattere che dà sul canale della Giudecca, teatro delle storiche battaglie contro le Grandi navi. Nonostante la colonnina del termometro segnasse ben oltre i 30 gradi – a ricordare ai presenti che questa è l’estate più calda degli ultimi anni ma anche la più fresca degli anni a venire – almeno millecinquecento persone hanno accolto l’appello di scendere in campo per ricordare ai 20 che il mondo non può essere governato dalle logiche di una finanza predatoria. La pandemia e lo spezzettamento del summit in tanti vertici hanno impedito la partecipazione di rappresentanze internazionali, ma sono comunque arrivate attiviste ed attivisti da tante regioni italiane, dalla Val Susa alla Campania.

Il corteo si è mosso con determinazione verso lo sbarramento di poliziotti in assetto antisommossache lo attendeva nella calle larga di Sant’Agnese. A tenere la testa del corteo erano soprattutto ragazze. Le donne, per lo più giovani o giovanissime – e questo è senza dubbio una novità – sono state le vere protagoniste di questi giorni, sia nell’organizzazione delle iniziative sia negli interventi al microfono e nella gestione della piazza. Nei municipi zapatisti dello Stato messicano del Chiapas, si dice che “quando le donne avanzano, nessuno resta indietro”. Così è stato anche sabato a Venezia.

Una ragazzina che si teneva un fazzoletto in testa per fermare il sangue mi ha detto: “Ci hanno voluto mostrare il vero volto del capitalismo barricato dentro l’Arsenale”

La carica violenta della polizia non è riuscita a disperdere il corteo che ha tenuto il campo, indietreggiando solo sotto i colpi dei manganelli. Ci sono stati tra i manifestanti diversi feriti e contusi. Un giovane è stato fermato e oggi sarà processato per direttissima. Una ragazzina che si teneva un fazzoletto in testa per cercare di fermare il sangue mi ha detto: “Ci hanno voluto mostrare il vero volto del capitalismo barricato dentro l’Arsenale”.

"Questo summit non può offrire una soluzione perché è parte integrante del problema – afferma Cacciari –. Noi questo lo avevamo capito anche vent’anni fa ma i potenti che si sono asserragliati dentro l’Arsenale, ancora no. Continuano a proporre le stesse fallimentari ricette liberistiche ancora legate alle energie fossili”. “È una precisa strategia delle politiche dominanti quella di evocare nei loro proclami temi cari ai movimenti ambientalisti per aggiudicarsi consensi e fare poi esattamente l’opposto – spiega Gianfranco Bettin, storico ambientalista veneziano e portavoce dei Verdi –. In realtà, come abbiamo visto anche oggi (sabato, il giorno della manifestazione, ndr) la distanza tra chi esercita il potere e il mondo reale è sempre più incolmabile”.




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