"Uccisi dai fascisti"

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Il genocidio ha spazzato via la memoria. “Prima della guerra, tutti i bambini serbi sapevano cosa era il ramadan e riconoscevano le preghiere del muezzin. Prima della guerra, tutti i bambini musulmani, durante la pasqua, coloravano le uova e le scambiavano con i vicini di casa - mi racconta un ragazzo serbo impegnato nel progetto Adopt Srebrenica della Fondazione Langer - . Oggi ognuno vive per conto suo. Molti miei amici serbi mi hanno tolto la parola perché sanno che io parlo anche con i musulmani. La guerra ha scavato un fossato e nessuno sa come riempirlo”. I ragazzi di Adopt Srebrenica che incontriamo prima della partenza ci raccontano il progetto di raccolta delle testimonianze che stanno portando avanti. “Un lavoro difficile - mi spiega uno di loro - perché non sempre noi o quelli con cui lavoriamo siamo nelle condizioni emotive per portare avanti questo lavoro. I risultati però non ci mancano. Io, ad esempio, sono riuscito a recuperare una registrazione con la voce di mio padre. E’ stata una cosa incredibile perché ascoltandola, dapprima non riuscivo a mettere a fuoco, ma poi mi sono balenati in mente tanti ricordi che non sapevo neppure di avere”.
“Il nostro obiettivo è anche quello di raccogliere informazioni su come si viveva prima della guerra, quando eravamo tutti bosniaci e basta. Sono cose che sia i serbi che i musulmani vorrebbero fossero dimenticate. Ed invece dobbiamo far sapere a chi vive ora, quale è il futuro che l’odio e la guerra gli hanno rubato. Altrimenti è come se avesse vinto il genocidio”. Continua

Quando i caschi blu ti mandano al macello...

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Hasan Nuhanović non è poi così diverso da come appare in quel video, girato una quindicina di anni fa, che proiettano al memoriale di Potoći. Il filmato scorre sui volti terrorizzati di donne e bambini in fuga dal paese caduto in mano ai serbi. Scene di guerra, rastrellamenti, cadaveri abbandonati per strada. Con lo sguardo basso, cercando a fatica di mantenere un tono neutro, Hasan prova a raccontare i giorni del genocidio. La caduta di Srebrenica, l’arrivo di migliaia di profughi alla base dei caschi blu in cerca di una protezione promessa ma mai concessa. Quel giorno Hasan, che era uno dei tre traduttori di supporto al contingente olandese, vide la madre, il padre, il fratello uscire dal campo per essere consegnarti ai macellai serbi. Non li rivide più. Continua

Odio!

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Srebrenica è un claustrofobico catino stretto da una tenaglia di monti. Cammini tra le case mitragliate, guardi in alto, ringrazi dio per quei due metri di cielo che ti regalano un po’ di respiro. Ma il resto è solo angoscia. Non solo per quelle montagne incombenti che sembrano volerti soffocare. Ogni muro urla sangue, violenza, disperazione, odio, vendetta. Ti viene da pensare che i fantasmi esistono. Gli incubi qui sono reali.
La gente del posto ti sorride timidamente quando ti incrocia per la strada. Saluta con quelle due parole di inglese che conosce. Ma tu non puoi guardare nessuno negli occhi senza provare ad immaginare quello che ha passato.
Arrivati in paese siamo stati subito “adottati” da alcune famiglie che ci hanno masso a disposizione qualche stanza delle loro case. Gli alberghi sono ancora in macerie. Continua

Le bandiere di Srebrenica

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Ad un invito di un “traditore” del calibro di Jovan Divjak non si può dire di no. Così la mattina, prima di lasciare Sarajevo per Srebrenica, facciamo un salto alle sede della sua associazione Obrazovanje gradi BiH, dove il generale ci attende per un caffè e un ultimo saluto. Obrazovanje gradi BiH significa più o meno: l’educazione costruisce la Bosnia Erzegovina. Divjak ha fondato questa associazione dopo la fine dell’assedio per fare qualcosa che nessun esercito potrebbe mai fare: aiutare gli orfani di guerra. Per collaborare all’associazione o per altre informazioni potete visitare il sito di Obrazovanje gradi BiH. L’incontro ci dà comunque l’occasione per scambiare qualche altra opinione con un personaggio come Jovan Divjak e con alcuni cooperanti dell’associazione. Molti di loro sono studenti all’università bosniaca e ci confermano quanto ci aveva già detto il generale, e cioè che le due parti in cui gli accordi di Dayton hanno diviso la città si ignorano (se non peggio) l’una con l’altra. Nemmeno una linea di tram comune sono riusciti a realizzare. “Io studio all’università di Sarajevo est - mi spiega un ragazzo -. Ho chiesto a tutti i miei compagni di corso: nessuno di loro ha mai visitato la parte storica di Sarajevo che sta dall’altra parte! E parliamo di poche centinaia di metri di distanza! Qualcuno si arrabbia pure se gli chiedo il perché”. Non c’è un muro ma è come se ci fosse. Ripenso a quanto scriveva Langer sulle politiche etnocentriche che non possono che alimentare culture etnocentriche che sfociano sempre in comportamenti xenofobi sino a gettare benzina sulle fiamme dei conflitti. Continua

Traditori ed eroi

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Se gli chiedi se oggi, sedici anni dopo la fine dell’assedio, possa camminare liberamente per Istočno Sarajevo, Jovan Diviak guarda per terra e scuote la testa. Quindi ti ricorda che per i serbi lui è ancora un traditore. Anzi, lui è il traditore per eccellenza: è il generale serbo che ha scelto di difendere Sarajevo dall’esercito serbo. Lo hanno accusato di crimini contro l’umanità. Qualche anno fa, in occasione di un suo viaggio a Vienna sono pure riusciti a farlo arrestare, sia pure per poco tempo. Ma se il tribunale europeo lo ha assolto con formula piena, quello di Belgrado lo ha condannato in via definitiva. Il governo serbo, anche dopo la caduta di Milosevic, non gli ha mai perdonato di essersi schierato dalla parte dei civili e di non aver mai abbracciato la causa nazionalista. “Non posso dire che la mia sia stata una scelta difficile - racconta -. Schierarmi a difesa della città dove sono nato e della sua gente che è la mia gente, siano essi bosniacchi, serbi, croati o che altro, è stata per me una scelta naturale. Certo, sono serbo, non potrei e non vorrei neppure negarlo, ma sono anche e soprattutto un bosniaco, oltre che un generale delle forze armate della repubblica di Bosnia ed Erzegovina che ha giurato di difendere a qualunque costo il popolo. Mi hanno chiamato traditore. E io rispondo che sono nato ‘traditore’ dal ventre di mia madre, serba di Bosnia”. Continua