Venezia, un tuffo in laguna contro le nozze di Bezos

Una torta nuziale indigesta, quella che i veneziani si preparano a confezionare per le nozze del secolo tra il padrone di Amazon e terzo uomo più ricco del pianeta, Jeff Bezos, e la compagna Lauren Sanchez, di professione «filantropa». Dopo il grande striscione innalzato sul campanile di San Giorgio, l’isola che il magnate ha affittato per tutta la durate dei festeggiamenti, attiviste e attivisti del comitato «No space for Bezos» si sono trovati venerdì sera in campo San Giacometto, ai piedi del ponte di Rialto, per mettere a punto nuove mobilitazioni e impedire l’ennesima mercificazione della città.

«Venezia non è dell’oligarca Bezos, non è neppure del sindaco Brugnaro. Venezia è di chi ci vive – ha dichiarato tra gli applausi Federica Toninello, portavoce del comitato -. Siamo pronti a tuffarci nei canali e a fare barriera con i nostri corpi, per impedire agli invitati vip di raggiungere la Scuola della Misericordia. Lo abbiamo già fatto per contestare le grandi navi e lo rifaremo per fermare questa ennesima farsa che offende la dignità di Venezia». Il “bagno in canale” – spiega Toninello – sarà organizzato per sabato 28.
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Bezos affitta Venezia per il suo matrimonio. Cresce la protesta

Qualcosa di inconsueto è accaduto, ieri mattina, nel Bacino di San Marco. Piano piano, un enorme striscione è stato issato verso la cima dell’antico campanile della basilica dell’isola di San Giorgio, proprio di fronte al palazzo Ducale. Gondolieri, turisti e i sempre più rari residenti che affollano piazza San Marco guardavano stupiti oltre il canale, sventolare quel grande drappo bianco con
la scritta «Bezos» marcata da un segno rosso. Si tratta del «malvenuto» che il neo nato comitato cittadino «No Nozze» ha dedicato al patron di Amazon che si prepara a celebrare il suo matrimonio con Lauren Sanchez a Venezia con tre giorni di festa, dal 24 al 26 giugno.
TRE GIORNI nei quali Jeff Bezos, terzo uomo più ricco al mondo, si è praticamente comperato la città. Prenotate tutte le stanze dei cinque alberghi più lussuosi – di quelli con le suite da 9 mila euro a notte, per intenderci -, noleggiati tutti i taxi della città che saranno a disposizione esclusiva degli ospiti, allertata l’intera flotta di gondole. Centro dei festeggiamenti sarà proprio l’isola di San Giorgio che Bezos ha interamente affittato, basilica palladiana compresa. Qui converranno i circa 250 invitati, provenienti per lo più dal mondo del cinema: Leonardo Di Caprio, Barbra Streisand, Kim Kardashian, Orlando Bloom, Oprah Winfrey e tante altre celebrità holliwoodiane.
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Giornalisti, oppositori e umoristi. Tutti nella “lista nera” di Brugnaro


L'ELENCO TROVATO DOPO UNA PERQUISIZIONE Il documento al vaglio degli inquirenti ha scatenato le ire dei cittadini

Una lista. Nella prima colonna c’è il nome e il cognome. Nella seconda una sintesi dell’offesa. La terza è dedicata al media utilizzato: articoli di giornale, siti web, commento sui social o altro. La quarta colonna spetta alla data dell’offesa e l’ultima al grado della suddetta offesa. Una stella per le meno gravi – ad esempio per coloro che su Facebook lo chiamano «grebano» (che a Venezia indica una persona alquanto rozza proveniente da aree montane disagiate) – sino a 5 stelle per giornalisti o oppositori politici che hanno osato sottolineare i conflitti di interesse del sindaco Luigi Brugnaro o rimarcare i tanti scandali e inchieste sulla sua amministrazione. Come l’indagine “Palude Venezia” che ha portato all’arresto di un assessore e vede coinvolto in prima persona il sindaco per la tentata vendita di un terreno di sua proprietà, inquinato dai fosfogessi di Porto Marghera, al magnate di Singapore Ching Chiat Kwong.
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In Patagonia Milei fa fuoco sui mapuche

Argentina estrema A ridosso della Cordigliera gli incendi hanno mandato in fumo 100mila ettari di boschi. C’è la mano dell’uomo e c’è puzza di speculazione, ma il governo accusa e minaccia i popoli nativi. Per reprimerli meglio, in nome della «razza argentina»

La Patagonia brucia e i piromani, per il Governo argentino, sono soltanto loro: i Mapuche, il popolo originario. Da fine gennaio, le provincie del Chubut e del Rio Negro, soprattutto le aree a ridosso della Cordigliera, sono quotidianamente devastate da centinaia di incendi che hanno spazzato via almeno 100mila ettari di boschi. I giornali locali parlano di un ecocidio senza precedenti. Un ecocidio che ha fatto tabula rasa di intere aree protette come i parchi nazionali Lanín e Nahuel Huapi.

IL FUOCO HA BRUCIATO più di 150 abitazioni rurali. Interi quartieri periferici della cittadina di El Bolson e di altre località che si trovano nella zona, sono stati fatti evacuare. Le fiamme sono arrivate a lambire anche l’elegante località di San Carlos de Bariloche, la “Cortina d’Ampezzo” della Patagonia. La mitica Ruta 40 che attraversa tutta l’Argentina, correndo ai piedi della Cordigliera Andina, dalla frontiera con la Bolivia a nord, alla Terra del Fuoco a sud, è costellata di posti di blocco dei bomberos (vigili del fuoco) che deviano i mezzi in transito su strade polverose per aggirare le zone colpite dagli incendi mentre alte colonne di fumo nero oscurano l’orizzonte della pampa.

Ma qual è la causa di questo incendi? Certamente, i cambiamenti climatici e le alte temperature registrate in questa estate australe, hanno il loro peso, così come il forte vento secco che scende dalle Ande e che da queste parti non smette mai di soffiare. trasformando ogni piccolo focolaio in un rogo incontrollabile.

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Flop al Fondaco dei Tedeschi, l’alta moda chiude: 500 a casa

Venezia A due passi dal ponte Rialto, i turisti ormai salgono solo per fare foto e non comprano. L’assessore: Dfs ci ha avvertito solo a decisione presa. La Cgil: per la città il modello estrattivo è nocivo

La notizia era nell’aria grazie a una mail inviata qualche giorno fa ad alcuni dei 226 dipendenti del Fondaco dei Tedeschi, ma la conferma è arrivata solo giovedì dall’assessore allo sviluppo economico del Comune di Venezia, Simone Venturini. «Abbiamo appreso oggi, con grande disappunto e preoccupazione, della decisione di Dfs Group di cessare l’attività all’interno del Fondaco dei Tedeschi. Una scelta che avrà un impatto drammatico per 226 persone, oltre all’indotto, del nostro territorio e per le loro famiglie». L’avessimo saputo prima, spiega l’assessore che si dichiara «arrabbiatissimo», «ci saremmo adoperati per individuare, insieme a tutti i soggetti coinvolti, possibili percorsi alternativi da una così drastica soluzione». La notizia della chiusura del Fondaco è stata confermata anche da uno scarno comunicato del gruppo Dfs in cui si fa riferimento «alle prospettive economiche molto critiche che Dfs e il settore del travel retail stanno arontando a livello globale e, in particolare, dai risultati negativi del negozio di Venezia». Risultati negativi che hanno comportato un “rosso” che ha sforato i cento milioni.

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Vita di Moussa Diarra ucciso dalla Polfer, oltraggiato da Salvini

VERONA Presidio alla stazione di per ricordare il 26enne del Mali. Gli amici: «Non si risponde con le armi al disagio sociale e psichico»

In tanti si sono recati ieri sera alla stazione di Verona per ricordare con mazzi di fiori Moussa, il 26enne del Mali ucciso. L’episodio è accaduto domenica di prima mattina. Il giovane, in evidente stato di disturbo psichico, avrebbe tentato di aggredire tre poliziotti della Polfer con un coltello, uno dei quali gli ha esploso contro tre colpi di pistola, uccidendolo. Ma se la dinamica dell’episodio, attualmente al vaglio della magistratura, è ancora da chiarire, la politica non ha perso tempo a cavalcare il fatto. A Verona, l’opposizione di destra si è immediatamente scagliata contro i migranti e le politiche, a loro modo di vedere, troppo permissive della Giunta guidata dal sindaco Damiano Tommasi. Non poteva mancare un intervento a gamba tesa di Matteo Salvini che ha scritto sui social: «Con tutto il rispetto, non ci mancherà. Grazie ai poliziotti per aver fatto il loro dovere».

MA CHI ERA, QUESTO ragazzo del Mali che non mancherà al leader della Lega? Moussa Diarra, questo il suo nome, era fuggito dalla guerra che insanguina il suo Paese. Sognava di lavorare nei campi in Italia, come suo fratello. Sbarcato a Lampedusa nel 2016, dopo aver attraversato l’inferno libico, è stato ingabbiato nel Cas veronese di Costagrande, struttura ora chiusa e tristemente famosa per le condizioni in cui tratteneva i suoi “ospiti”. Qui Moussa aveva avviato la trafila per un permesso di soggiorno umanitario e cercare lavoro. Quando l’hanno rimesso in libertà, soffriva oramai di depressione e di disturbi psichici. Ma fuori del Cas, per Moussa, come per tanti altri, non c’è niente.

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Porto di Venezia, sciopero a oltranza contro il bando iper precario

Proteste Operaie La lotta va avanti da quattro giorni. Il testo rischia di fare da apripista per tutte le altre autorità: «A rischio la sicurezza» 


Sciopero, sciopero ad oltranza. Da quattro giorni, i lavoratori del porto di Venezia hanno incrociato le braccia e si sono riuniti in assemblea permanente, fermamente decisi a non tornare sulle banchine sino a quando non sarà ritirato il contestato bando varato dall’Autorità Portuale che determina i parametri del lavoro temporaneo. Uno sciopero proclamato mercoledì 16, dopo l’inevitabile rottura del dialogo col presidente dell’Autorità dell’Adriatico settentrionale, Fulvio Lino Di Blasio, che ha alzato un muro davanti alle richieste dei portuali.


Uno scontro durissimo, come non se ne vedeva da tempo nel nostro paese. Uno scontro che ha visto mobilitarsi tutte le sigle sindacali e occupazionali del porto: Filt Cgil, Fit Cisl, Uilt e la cooperativa Nuova Compagnia Lavoratori Portuali. Uno scontro che non ha come posta in palio solo il futuro occupazionale dei portuali di Venezia. Il nuovo bando infatti è solo un apripista per simili provvedimenti che minacciano di essere varati in tutte le altre realtà portuali d’Italia. Anche per questo, manifestazioni di solidarietà e l’invito a tener duro, ai 120 portuali di Venezia, sono arrivati da tutti gli altri lavoratori dei porti d’Italia, da Ravenna a Monfalcone, da Trieste a Napoli. Gli storici camalli di Genova si sono dichiarati pronti a scendere in agitazione a fianco dei portuali veneziani per fermare il bando.


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In migliaia a Mestre per Giacomo e contro le politiche securitarie di Brugnaro

 

«Riprendiamoci la città» Il Cso Rivolta e tante associazioni hanno ricordato il ragazzo morto il 20 settembre. «Riprendiamoci la città. l sindaco ha tagliato tutti i servizi di welfare a Venezia, noi reagiamo: oggi noi chiediamo una radicale inversione di rotta»

Più di cento sigle tra comitati di quartiere, associazioni cittadine, movimenti, partiti, sindacati, comunità di migranti, hanno aderito all’appello lanciato da «Riprendiamoci la città» e dal Cso Rivolta e si sono date appuntamento nel pomeriggio di ieri davanti alla stazione di Mestre per manifestare dietro al grande striscione con la scritta: «Per Jack, per noi, per tutti: riprendiamoci la città». Il corteo ha sfilato lungo corso del Popolo sino alla cancellata ricoperta di mazzi di fiori del liceo Guggenheim, davanti alla quale, nella notte di giovedì 20 settembre, il 26enne Giacomo Gobbato è stato ucciso e il suo amico Sebastiano Bergamaschi ferito a una gamba nel tentativo di soccorrere una donna aggredita.

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Mestre, la veglia per ricordare Jack: «Non lo userete per campagne d’odio»

Il marciapiede dove Jack ha versato il suo sangue ieri era coperto di fiori. Qualcuno ha appeso alla rete una sciarpa della palestra popolare del Rivolta. 

Dei bambini hanno lasciato dei disegni con grossi cuori rossi. Altri hanno scritto dei pensierini. Il parroco della chiesa vicina, nel pomeriggio, ha radunato i fedeli per una veglia di preghiera. Non è ancora stato stabilito il giorno del funerale perché il corpo del giovane rimane ancora a disposizione degli inquirenti. Identificato invece il presunto omicida fermato dopo il fatto: Serghiei Merjievschii, un 38enne moldavo senza fissa dimora e dipendente da sostanze. Sarebbe stato lui a uccidere Jack e a ferire Sebastiano, intervenuti per difendere una donna da una aggressione in pieno centro di Mestre. Sono proprio i residenti di Mestre a voler ricordare in queste ore il sacrificio del giovane attivista del centro sociale Rivolta. Persone che subiscono tutti i giorni, sulla loro pelle, il degrado in cui la città è stata fatta precipitare. Ho incrociato una anziana signora di Marghera che ha deposto un mazzo di girasoli: «Tutti scrivono male dei ragazzi dei centri sociali ma io che vivo vicino a piazzale Concordia so che sono gli unici, con i dottori dell’ambulatorio che Emergency ha aperto proprio vicino al Rivolta, che mi hanno aiutata quando ho avuto bisogno».

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Giacomo, 26 anni. Morto per non essersi voltato dall’altra parte

VITA DI JACK Mestre, un militante del centro sociale Rivolta accoltellato mentre sventava un’aggressione in pieno centro. Ferito anche un 25enne

C’è anche chi non si gira dall’altra parte. Giacomo Gobbato, o Jack come lo chiamavano gli amici del centro sociale Rivolta, apparteneva a questa seconda categoria di persone. La coltellata al petto ricevuta mentre tentava di difendere una donna da una aggressione, gli è stata fatale. Jack, 26 anni, è morto subito dopo il suo trasporto all’ospedale. L’amico che era con lui, Sebastiano Bergamaschi, 25 anni, se l’è cavata con una ferita alla gamba.

IL FATTO è accaduto poco dopo le 23 di venerdì, nel centralissimo corso del Popolo, la main street di Mestre. Una strada un tempo popolata di vita e di movida. Oggi – dopo la «cura» del sindaco Luigi Brugnaro che ha tagliato tutti i servizi sociali e le strutture di riduzione del danno della città in nome di una idea di «sicurezza» tutta sua fatta di taser, pistole e di vigili palestrati – corso del Popolo è diventata un supermarket regionale dello spaccio e della violenza. Di ritorno da una festa di compleanno, Jack e Seba hanno sentito una ragazza che urlava e che cercava di resistere allo scippo del suo zaino.

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