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Annuario della Pace 2011. O la borsa o la pace? Tra crisi, rivoluzioni e attese
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Terremoti e processi nel Kurdistan turco
Diyarbakir, Turchia orientale - Che aria tiri in Turchia lo si capisce già all’aeroporto Ataturk di Istanbul. A farne le spese è l’avvocato romano Augusto Salerni, uno dei legali di Giuristi Democratici, che si era aggregato alla spedizione in terra curda promossa dall’associazione Verso Il Kurdistan. Al controllo del passaporto l’avvocato Salerni viene immediatamente riconosciuto come uno dei legali che al tribunale europeo dei diritti umani aveva perorato la causa del “terrorista” Ocalan. Già “terrorista”. Nella democratica Turchia del premier Erdogan, è obbligatorio tanto per i giornalisti quanto per gli stessi avvocati difensori di Abdullah Ocalan, anteporre sempre al suo nome l’attributo “terrorista”. A chiamarlo solo “signore” si finisce dritti in galera, come è capitato due mesi ad un redattore di un quotidiano d’opposizione. All’ombra di Santa Sofia, a fare il giornalista o l’avvocato si rischia di più che a rapinar banche.
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Gli ultimi balenieri di Lamalera
Lawoleta, Isole della Sonda - Dall’altra parte del mondo, lontano, nel sud dell’Indonesia, c’è un villaggio di balenieri che si chiama Lamalera. Arrivarci è tutta un’avventura. Dall’isola di Bali bisogna salire in uno di quei piccoli aerei che, dopo qualche inevitabile scalo intermedio come neanche un autobus di linea, atterra a Maumere, nell’isola di Flores, a poche miglia marine a nord di Timor. Da qui, dovete cercare di infilarvi in uno dei coloratissimi “bemo”, sorta di pulmini taxi, e raggiungere il porto di Larantuka, dall’altra parte dell’isola. Se non riuscite ad entrarci dentro, il vostro bemo, saliteci tranquillamente sul tetto oppure aggrappatevi alla portiera. Reggetevi forte e intanto vedete se riuscite, voi, a capire come diavolo fanno a guidare col parabrezza coperto di adesivi e completamente ostruito con ninnoli e peluche da far sembrare spoglio un albero di natale.
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Iraq: istantanee di una maratona di pace
Ebil, Iraq - Erbil è una città disegnata col compasso. Le grandi arterie della capitale amministrativa della regione autonoma del Curdistan iracheno disegnano dei larghi e perfetti cerchi concentrici all'antica cittadella che domina l'intero complesso urbano di un milione e 300 mila abitanti dai suoi 27 metri di altezza, sopra quella strana collina che ancora oggi nessuno sa dire se sia di origine naturale o costruita oltre 5mila anni or sono dai suoi primi abitanti. Centro del culto della dea Ishtar in epoche in cui sulle sponde del Tigri dominavano gli assiri, la cittadella è sopravvissuta a battaglie, assedi e conquiste straniere, attraversando l'intera storia dell'umanità. Per ammazzarla, ci è voluto un programma di "sviluppo economico" che ha tra i suoi promotori anche aziende italiane.
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L'anafalbetismo è donna
Ebil, Iraq - Prima dell’invasione delle truppe Usa, nell’aprile del 2003, l’Iraq era la nazione più avanzata del mondo islamico dal punto di vista dell’alfabetizzazione. Nell’82, quando ancora il nome del dittatore Saddam Hussein compariva nella lista Stelle e Strisce dei “buoni” e combatteva il “cattivo” di turno, l'ayatollah Khomeyni, irriducibile nemico degli Stati Uniti, il Paese mediorientale si era aggiudicato il premio Unesco per l’istruzione. Il tasso di analfabetismo delle donne era sceso dal 91 per cento nel 1957 al 12 per cento e le studentesse universitarie erano passate dal 16,6 per cento del totale della popolazione femminile di pari età nel 1977 al 35,7. Un dato di poco inferiore alla media europea.
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La Roma dell'Iraq
Alkosh, Iraq - “La cristianità è un gregge di pecore in transumanza. Quella che fa la matta, quella che sbaglia direzione è sempre la pecora che sta davanti. Ma quella che si piglia la randellata sul groppone è sempre quella in fondo, quella vicina al bastone del pastore”.
Padre Ghazwan Baho vive sotto assedio. Da cinque anni oramai non abbandona più il villaggio di Alkosh, nel nord dell'Iraq. “Qualche giorno fa a Mossul hanno ammazzato a coltellate un altro cristiano. Due settimane fa un gruppo armato di integralisti è riuscito ad arrivare sino a qui forzando la linea difensiva dei curdi. Volevano prendere il vescovo e sono entrati in canonica sparando. L'esercito curdo è intervenuto con le armi e dopo una breve battaglia sono riusciti a respingerli, per questa volta almeno. E tenete conto che Alkosh è anche considerato il villaggio caldeo più sicuro per i cristiani! Ma ogni volta che l'America e l'Europa intraprendono qualche assurda crociata contro l'Islam, siamo noi, i cristiani caldei, quelli che ne pagano le spese”.
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Annuario della Pace 2010.
Prede e predatori. La guerra oltre la guerra
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La sacra acqua degli himba
Nelle regioni settentrionali della Namibia, nell’arida regione del Kaokoland, tra la vasta e polverosa piana dell’Etosha a sud, e le sconfinate foreste pluviali dell’Angola a nord, vive il popolo degli himba. Gli herero, con i quali condividono la lingua ma non certo i costumi, antepongono al nome “himba”, il popolo, l’aggettivo “ova”, medicanti, che dà il termine “ovahimba”, ovverosia popolo di mendicati, con il quale sono denominati in Namibia. Ancora oggi gli herero occidentalizzati rinfacciano agli himba di aver abbandonato circa un secolo e mezzo fa, per paura delle aggressioni delle tribù dei nama, la terra degli avi e aver attraversato il sacro fiume Kunene per chiedere ospitalità alle tribù boscimani delle quali successivamente adottarono e rielaborarono gli stili di vita. Così che, quando, nel 1920, ritornarono nella terra natia, gli himba portarono con sé usi e costumi completamente diversi da quelli con i quali erano partiti. L’esilio in terra boscimana permise al popolo himba di evitare l’occidentalizzazione forzata imposta dai colonizzatori tedeschi che, al contrario, fece piazza pulita dell’antica cultura herero al pari delle altre culture native del territorio occupato. Oggi, con una “tradizione” risalente tutt’al più al tardo ‘800, gli himba sono probabilmente il gruppo etnico più “moderno” che cammina su questa nostra terra.
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Le brigate mediche di Ya Basta
Il 1997 fu un anno decisivo per l’insorgenza zapatista nel Chiapas. Quel settembre, mille cento e undici guerriglieri dell’Ezln - l’esercito zapatista di liberazione nazionale - marciarono dalla selva Lacandona sino allo Zòcalo, l’immensa piazza posta nel cuore di Città del Messico. Gli “insurgentes”, protetti dal caratteristico passamontagna nero, denunciavano le continue aggressioni di militari e paramilitari alle comunità indigene del sud e chiedevano l’applicazione degli accordi di San Andrés che consentivano forme di autogoverno per i 56 popoli nativi del Messico. Accordi che il governo, l’anno precedente, aveva firmato e subito dopo disconosciuto, grazie anche all’appoggio esterno del Prd, il forte partito di centrosinistra allora all’opposizione. L’ingresso degli zapatisti nella capitale fu un’apoteosi di folla: quasi un milione di messicani si riversò sulle piazze per salutare, applaudire e sostenere los rebeldes del Chiapas. Il quotidiano la Jornada scrisse che nemmeno un redivivo Emiliano Zapata avrebbe saputo infiammare di tale entusiasmo le strade di Mexico City.
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Or non vuole uccidere
Ha soltanto 19 anni, Or Ben-David. Un musetto da ragazzina impertinente col piercing al naso e l’mp3 pieno di orrida musica hip hop. Chi la incontra, e conosce la sua storia, non può fare a meno di chiedersi dove abbia trovato, questo soldo di cacio qui, tutto il coraggio per fare quello che ha fatto. Perché Or è una “shmnistim”, termine ebraico che indica i diplomati alle scuole superiore rifiutano il servizio militare. “Mi hanno chiamata criminale, ebrea rinnegata, traditrice, ingrata e vigliacca perché altri stanno combattendo e morendo anche per la mia libertà. Ma io so che non è un crimine rifiutarsi di uccidere e dire no ad una società che costringe i ragazzi della mia età ad imbracciare le armi e sparare ai palestinesi”. Il suo “no” all’esercito israeliano le è costato caro: gravi minacce a lei e alla sua famiglia, pesanti conseguenze sul proseguo degli studi e sulla ricerca di un lavoro, quattro mesi di carcere militare. Eppure Or ha sempre tenuto duro. Alla fine, le autorità militari l’hanno congedata con un certificato di inidoneità per “gravi disturbi psichici”.
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Annuario della Pace 2009.
Stati di paura e precarie sicurezze
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Waorani, il popolo resistente
Dayuma era una bambina di cinque o sei anni quando quattro pastori evangelici l’hanno rapita e portata a New York. I primi mesi, Dayuma piangeva tutti i giorni e tutte le notti. Guardava quell’assurdo orizzonte di cemento e grattacieli sognando l’apparire di suo padre alla testa di tutti i cacciatori waorani con lance e machete, venuti per riportarla nella sua capanna sul grande rio Napo. Col lento trascorrere del tempo, la piccola Dayuma, cominciò ad accettare le premure di quegli strani uomini bianchi che l’avevano rubata alla sua foresta. Un poco alla volta, cominciò ad apprendere il loro linguaggio mentre i pastori annotavano diligentemente tutte le parole della lingua waorani che lei pronunciava e gliene chiedevano il significato. Dayuma raccontava loro la storia di Waengongi, il dio scimmia creatore della foresta e di tutto l’esistente ma che non doveva essere né temuto né adorato.
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Nuke Mapu, la Madre Terra mapuche
Il viaggiatore che percorre quel tratto della polverosa ed infinita Ruta Nacional 40 che, scendendo dal nord dell’Argentina, porta ad Esquel, nello stato del Chubut, non potrà fare a meno di sorprendersi nel trovarsi di fronte, nel bel mezzo di quello sterminato niente che è la pampa della Patagonia, ad un enorme cartellone pubblicitario. Nelle ultime sette o otto ore di carreggiata, era già tanto se il nostro viaggiatore aveva incrociato un paio di gaucho a cavallo e tutt’al più una mezza dozzina di puzzolenti e solitari alpaca. E adesso ecco spuntare all’orizzonte sconfinato della pampa quell’assurdo cartellone firmato niente meno che da Oliviero Toscani, che gli fa sgranare gli occhi increduli e dubitare di trovarsi di fronte ad uno di quei miraggi per i quali altri deserti sono famosi. A riportare il nostro viaggiatore alla realtà è il posto di blocco con autoblinde corazzate e militari in giubbotto antiproiettile che lo fanno scendere dal pick-up col mitra puntato, per controllargli carico e documenti. In sudamerica, non c’è niente di più efficace di un reparto dell’esercito in azione antiguerriglia per sgomberarti la mente dai sogni.
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