Get Back sembra vero (ma non lo è)

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C'è una scena del nuovo Get Back di Peter Jackson che ha già conquistato critici e spettatori: durante la prima puntata, mentre gli altri tre aspettano John Lennon cronicamente in ritardo, Paul si mette a improvvisare un brano su due accordi, che all'inizio non è niente e nel giro di qualche minuto diventa appunto Get Back. Il brano ci metterà ancora parecchio ad assumere la forma che conosciamo, passando attraverso numerose evoluzioni e ripensamenti (a un certo punto rischiò di diventare un brano 'politico' antirazzista, poi il timore di essere fraintesi mentre cantavano "want no Pakistani" li convinse a tornare a un più confortevole nonsense). Ma tutto sommato la melodia di Get Back è quella che prende forma in quei pochi minuti in cui Paul strimpella col basso e gli altri due lo seguono e annuiscono. Questo sembrerebbe fantastico anche se le immagini fossero quelle un po' sgranate della pellicola originale, e non rielaborate digitalmente per farci sembrare Paul George e Ringo veri come gli amici che abbiamo fotografato sabato scorso col telefono. Stiamo veramente vedendo dei geni al lavoro, mentre inventano qualcosa che prima non c'era e dopo sarà impossibile dimenticare. È tutto così vicino e limpido, è un miracolo.

È anche un trucco.

Non credeteci troppo.

Ovvero, sì: per una volta potrebbe davvero essere andata così: la melodia di Get Back potrebbe pure essere nata in quel momento. Anche in questo caso, la sensazione di essere lì con loro è del tutto illusoria. A un certo punto c'è uno stacco, la melodia prima non c'era, dopo c'è, in mezzo chissà quanti minuti sono passati. Get Back è un documentario lunghissimo e a quanto leggo i suoi meriti starebbero proprio nella sua lunghezza: si tratterebbe di una garanzia di autenticità. Quelli che vediamo dovrebbero essere davvero i Beatles catturati senza filtri, come in un reality show. Ma se i reality show ci hanno insegnato qualcosa è a diffidare di qualsiasi montaggio: la realtà è sempre più confusa dello show, nella realtà gli amici litigano e si riconciliano centinaia di volte, raccontando sciocchezze e ritrattandole immediatamente – nei reality sono i montatori a decidere quale sciocchezza diventa fondamentale, quale litigio diventa la frattura cruciale, chi è il buono chi è il cattivo e chi resta sullo sfondo. Nel gennaio del 1969 il regista Michael Lindsey-Hogg girò centinaia di ore di filmato, di cui solo pochi rulli fino a questo momento erano stati divulgati (su Youtube comparivano e scomparivano). Jackson ha selezionato cinquecento minuti: sono tanti, ma anche lui ha dovuto scegliere cosa salvare e cosa sacrificare od occultare. Inoltre, per realizzare il documentario ha dovuto ottenere il permesso dei Beatles viventi, e in particolare del Beatle che fino a quel momento si era sempre opposto a rimettere in circolazione il film del 1970: Paul McCartney. Il ri-montaggio dà a McCartney la possibilità di riscrivere un momento doloroso, se non traumatico, della sua carriera: negli studios cinematografici di Twickenham stava cercando di salvare i Beatles: non ci riuscì, anzi forse ne accelerò la disgregazione, e da allora con questa consapevolezza ha dovuto conviverci. Alzi la mano chi non approfitterebbe dell'opportunità di rimontare qualche episodio difficile del proprio passato, eliminando una parola di troppo, o un'intera frase, o un litigio, con la stessa artificiale facilità con cui qualche anno fa Paul ha tolto i violini da The Long and Winding Road.

Col tempo McCartney è diventato un sapiente narratore del suo passato. Ciò che lo fa sembrare attendibile è che riconosce i suoi limiti. Ha ammesso più volte di essere stato "bossy" in quegli anni, di aver tentato di prendere le redini del gruppo almeno per quanto riguardava la direzione artistica, dopo la morte del manager Brian Epstein. I giorni di Twickenham sono quelli in cui lui stesso fa i conti coi limiti di questo approccio. Non si capisce esattamente perché i Beatles si debbano rimettere a lavorare così presto – il Disco Bianco è uscito a ottobre – a meno che il divorzio non sia ritenuto ormai così imminente che ogni giorno è prezioso, ogni canzone potrebbe essere l'ultima e l'esibizione dal vivo, se davvero si farà, sarà sicuramente l'ultima. Persino Ringo, dei Quattro apparentemente il più rilassato, ha la sua carriera cinematografica a cui pensare: a fine gennaio comincerà a girare un altro film con Peter Sellers. Le prime sessioni vengono registrate e filmate proprio negli studi londinesi già prenotati per il film. A un certo punto si vede anche Sellers, sorridente ma visibilmente imbarazzato: tutto è filmato, qualsiasi battuta gli uscisse di bocca potrebbe finire nelle sale di tutto il mondo e la cosa non gli va, il grande comico fa scena muta. I Quattro sono più rassegnati a convivere con le cineprese ma forse si comportano in modo meno naturale di quello che crediamo. Per essere quattro ventenni milionari di Liverpool, è sorprendente quanto siano tutto sommato formali: solo a John scappa qualche parolaccia e qualche riferimento esplicito alle droghe.

Il gruppo sembra aver stabilito di usare le prime tre settimane di gennaio per mettere in piedi un'esibizione dal vivo con materiale per lo più originale: l'idea è invertire il metodo di lavoro del Disco Bianco, ripartire dal collettivo come Dylan che a Woodstock si è messo a incidere brani in cantina con la Band, George di recente è andato a trovarlo ed è rimasto estasiato. John però ha soltanto una canzone nuova da proporre, e persino George condivide il suo materiale di malavoglia. Paul da canto suo ha fin troppe idee e canzoni da parte: questo squilibrio rischia di far precipitare un progetto nato confuso e portato avanti con scarsa convinzione. In questa situazione, Paul a un certo punto potrebbe essersi messo a strimpellare il basso con due compari fino a tirarne fuori quel successo stratosferico che fu Get Back (in aprile avrebbe esordito al primo posto delle classifiche inglesi, negli USA avrebbe portato i Beatles a eguagliare il record di 17 singoli al primo posto della classifica di Billborard). Oppure il Paul 26enne potrebbe avere messo in scena questa 'invenzione' davanti agli altri due, fingendo di arrivare progressivamente a una melodia che in realtà aveva già chiara in testa chissà da quando – e il Paul quasi 80enne avrebbe tutto l'interesse a perpetuare l'illusione.

Mi è impossibile davanti a una scena così efficace non dubitare del montaggio e della messa in scena; non condividere lo scetticismo di James Alistair Taylor, quella volta che Paul mentre gli dava una lezione di composizione al piano improvvisò davanti a lui melodia e parole di Hello Goodbye: certo, potrebbe averla inventata sul momento... oppure potrebbe averla recuperata in quel momento per regalare allo spettatore un'emozione in più. Nel caso di Get Back, a Paul serviva una canzone che non sembrasse una "sua" canzone, qualcosa che gli altri non riconoscessero immediatamente come farina del suo sacco: anche John, che in quel momento non c'era e che nella versione finale suonerà l'assolo. Tutto sembra dire che Paul non voleva più essere il boss, che Paul stava volontariamente facendo un passo indietro, cercando la collaborazione dei compagni che sembrano per lo più svagati (John) e in certi casi ostili (George). Tutto vuole suggerire: vedete, io ci ho provato fino alla fine, ma loro non collaboravano più. Sembra tutto così vero, ma resta una ricostruzione di parte.

Era fin troppo prevedibile che McCartney avrebbe chiesto ai montatori di edulcorare l'amarezza di quelle sessioni che Harrison considerava "le peggiori di tutti i tempi" e Lennon addirittura definì un "inferno... le più miserabili sessioni al mondo". Eppure, come ha dichiarato Ringo, ci sono ore e ore in cui quattro ragazzi scherzano e suonano volentieri assieme: bastava scegliere di mostrare soprattutto quelle. Certo, nessun montatore avrebbe potuto eludere l'impressione di smarrimento e di confusione a Twickenham. Dopo la morte del loro manager nel 1967, i Quattro si stanno maneggiando da soli, almeno in teoria. In pratica sono circondati da professionisti assunti a vario titolo – di cui diffidano – che spingono per un finale con il botto, un concerto all'altezza della loro fama, magari in un anfiteatro africano. Tra di loro c'è il giovane regista Lindsey-Hogg, a cui non sembra vero di poter filmare la fine del gruppo più famoso del mondo (ha piazzato cimici persino nelle fioriere della mensa). Due dei quattro reagiscono con un'ostilità che nel documentario potrebbe sembrare più passiva di quel che non fu: Harrison continua a dire di no a tutte le proposte più impegnative. A un certo punto abbandona lo studio con un gesto che sembra inconsulto, ma che sarà risolutivo. Lennon appare più passivo, come se di fronte a una decisione ormai ineludibile abbia deciso di non scegliere, di lasciare che le cose intorno gli accadano. Mentre suona ha scelto la sedia che dà le spalle alla cinepresa; alla chitarra sembra collaborativo ma a parte Don't Let Me Down non ha molto da offrire, tanto che il gruppo decide di recuperare quella Across the Universe che dopo essere stata scartata come singolo era stata comunque pubblicata nel disco della WWF e quindi non era più un inedito.

Quel che il documentario di Jackson non dice – quello che Jackson sceglie di non dire – è che Lennon e Ono in quei giorni avevano una storia importante con l'eroina. Quando all'indomani della fuoriuscita di George, Lennon arriva come al solito tardi, e si giustifica spiegando che aveva un'intervista con un network  canadese, ci fornisce un prezioso punto di riferimento: l'intervista in effetti è disponibile su Youtube con l'eloquente titolo Two Junkies Interview. I due rispondono alle domande con voce a tratti catatonica, fissando il vuoto: tra una sigaretta e l'altra Lennon lotta per resistere all'impulso del vomito. Qualche ora dopo lo troviamo seduto a scherzare tra Paul e Ringo e – potenza del restauro digitale – sembra persino in forma. Guarda dritto la telecamera, spara i suoi nonsense a raffica. Però quel giorno non si suona, e anzi i tre decidono di interrompere le riprese. Torneranno da George, che porrà come condizioni l'abbandono del freddo studio di Twickenham e delle ipotesi di concerti all'estero. Perlomeno questa era la ricostruzione più assodata fin qui, ma il documentario stempera anche questo dettaglio: nessun ultimatum, i quattro si ritrovano a casa di George e decidono assieme di cambiare rotta. Che George Harrison abbia costretto Paul McCartney a rinunciare a gestire i Beatles in un certo modo è una cosa che a distanza di più di 50 anni quest'ultimo non riesce ancora ad accettare. Il documentario resta un lavoro titanico e prezioso ma davvero, ogni volta che discutono, e litigano, o smentiscono di aver litigato, o inventano una canzone, godetevi tutto: il discorso, il litigio, e soprattutto la canzone – ma non credeteci troppo. Un reality non è la realtà, anche se ci suonano i Beatles. 

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Le guerre puniche del ministro Cingolani

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Certe volte comincio a scrivere un pezzo poi mi viene il dubbio che magari l'ho scritto, boh, sette o quindici anni fa e non è l'ansia di ripetersi – una volta ogni quindici anni uno ne avrebbe anche il diritto – ma è la vertigine di trovarsi sempre nella stessa situazione. Quante volte un ministro si è messo a parlare di come avrebbe voluto cambiare la scuola, ma la scuola che aveva in mente era quella che aveva fatto lui mezzo secolo prima? Ecco, l'altro giorno il ministro per la transizione ecologica ha spiegato che i programmi scolastici sono vecchi, vecchi, gli studenti invece di imparare a fare i digital manager stanno ancora lì a imparare le guerre puniche quattro volte". 

Questa illustrazione l'ho già usata nel 2011.

Naturalmente se ora googlate "Cingolani guerre puniche" trovate tutto un levare di scudi e uno spiegare a Cingolani che la storia antica è importante, la cultura umanistica è fondamentale anche per fare il digital manager, l'utilità del latino-che-apre-la-mente, ecc. Non trovo però tra i primi risultati qualcuno che faccia notare una cosa più terra-terra, ovvero: Cingolani, ma come fa uno studente a studiare le guerre puniche quattro volte? I tuoi figli le hanno studiate quattro volte? Me ne duole, anche perché sono ben tre e si sa, quattro per tre fa dodici. Comunque. Io insegno alla scuola media da vent'anni e non ho mai avuto l'occasione di intrattenere i miei studenti sui ponti mobili e sulle imprese di Annibale, perché quando arrivai era appena stata adottata la riforma Moratti che prevedeva un ciclo unico tra scuola primaria (=elementare) e secondaria di primo grado (=media). 

Dunque da più di vent'anni, ministro, le guerre puniche alle medie non si fanno. Si fanno – se i docenti ritengono valga la pena – in quinta elementare, così per curiosità sono andato a vedere quanto spazio tengono su un manuale di quinta elementare: una pagina. Ovviamente non si parla di Fabio Massimo il Temporeggiatore, né degli ozi di Capua, né di Delenda Carthago, del resto è una tendenza che notavo già quando facevo le elementari io (molto, molto prima della Moratti): alle elementari più che le guerre interessavano le civiltà, come si vestivano i romani (la toga, la palla), in che tipo di case abitavano, le domus le insulae eccetera: me lo ricordo perché io invece volevo proprio sapere come si erano ammazzati tutti quei romani e quei cartaginesi e dovevo recuperare le cose sull'Enciclopedia Conoscere che avevano in classe. La quale, bisogna dire, aveva illustrazioni pazzesche e spiegazioni piuttosto chiare, ancorché talvolta retrive e ehm, razziste. Del resto in quinta elementare io ho studiato persino la bomba atomica, che mi preoccupò molto. Invece adesso in quinta si arriva all'Impero Romano e le medie cominciano, triste coincidenza, proprio con la Caduta. Alla bomba si arriva, sempre piuttosto trafelati, tre anni dopo. Questo è il primo ciclo: il secondo si fa alle superiori e forse entro i sedici anni uno studente italiano fa effettivamente in tempo a sentir parlare di guerre puniche un paio di volte. Secondo Cingolani invece succede quattro volte, il che gli suggerisce che si potrebbe tagliare ulteriormente, di tutte le materie, proprio la mia. Che gli si può obiettare? Che a scuola in realtà non importa cosa si insegna, (le cosiddette nozioni), ma come lo si insegna (il metodo, la competenza), e che ripetere la stessa nozione due volte in cinque anni non ha veramente nulla di scandaloso, anche perché nel frattempo i ragazzi sono cresciuti e possono anzi devono approfondire? Cioè avete un'idea di quante volte studiando matematica si torna sul concetto di frazione? Ma ogni volta c'è un buon motivo per tornarci. Ma mi sembra di averlo scritto un altra volta cinque o dieci anni fa, ho le vertigini. 

La tentazione stavolta è di rispondere come risponderà chiunque si porrà il problema tra cinque o sei anni: Eh? Guerre puniche cosa?

Questo lo misi in un pezzo del 2010 sull'argomento, si chiamava Addio agli antichi. Alla fine io se ho imparato qualcosa di Storia antica lo devo a Conoscere e ad Asterix. 

...Perché nel frattempo è successo questo: che tutto un bagaglio di nozioni che trovavamo inutili e diciamolo, un po' imperialiste, ma che usavamo tantissimo per veicolare un sacco di significati, abbiamo smesso di farle ripetere a macchinetta dagli studenti e il risultato è che ormai se ne interessa unicamente qualche nerd disposto a guardarsi documentari amatoriali su youtube: neanche tanti, perché all'Enciclopedia Conoscere Youtube gli pulisce ancora le scarpe, purtroppo. Perché la storia romana che fino alla generazione passata serviva ancora a fornirci figure di conversazione, personaggi esemplari, aneddoti memorabili, modi di dire – oggi è un paesaggio incomprensibile ai più. Lo stesso Cingolani tirando fuori "guerre puniche" sperava probabilmente di comunicare "argomento astruso e noioso", laddove se c'è qualcosa di avvincente e mai completamente inattuale nella storia della Repubblica Romana è proprio questa lunga faida tra due imperi coloniali che lottano per l'egemonia, l'Europa contro l'Africa, gli avventurieri con gli elefanti contro i temporeggiatori, e così via. Poi certo probabilmente adesso il mercato ha bisogno di digital manager, qualsiasi cosa significhi: e tra tre anni avrà bisogno di visual manager e di qualsiasi altra cosa. Se Annibale e Scipione hanno tenuto banco per più di duemila anni, forse avevano qualcosa da dirci di meno effimero. Forse. Ma comunque ormai stanno su due o tre pagine, meno di quelle che la mia antologia per la classe terza dedica a Steve Jobs. E però per Cingolani non basta, boh. Tagliare, tagliare, bisogna cancellare tutto, far spazio, salare le rovine, delenda schola, delenda.

Forse basta aspettare. Quanti ne abbiamo già sentiti come lui, in linea di massima più abbaiano meno mordono. Temporeggiamo.

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Suo figlio non s'impegna, competenze

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"Senti, ma tu la didattica per le competenze..."
"Sì?"
"...come la intendi?"
"Quando parlo coi genitori ogni cinque o sei parole infilo la parola "competenze"."
"Come sarebbe a..."
"Sì, suo figlio a volte si mette ancora le dita nel naso, ma COMPETENZE questo non disturba troppo la lezione se COMPETENZE lo teniamo nell'ultima fila".
"Ah ah".
"Non è una battuta".
"Ma insomma tu come insegni".
"Urlo in faccia alla gente le nozioni".
"Come sarebbe a..."
"IL PI GRECO È IL RAPPORTO TRA CIRCONFERENZA E DIAMETRO!"
"No, ma aspetta, non puoi..."
"IL PI GRECO È IL RAPPORTO TRA CIRCONFERENZA E DIAMETRO!"
"Siamo nel 2021 e tu..."
"IL PI GRECO È IL RAPPORTO TRA CIRCONFERENZA E DIAMETRO!"
"Ma la vuoi smettere? Sei fastid..."
"IL PI GRECO È IL RAPPORTO TRA CIRCONFERENZA E DIAMETRO!"
"HO CAPITO".
"COS'HAI CAPITO?"
"HO CAPITO CHE "IL PI GRECO È IL RAPPORTO TRA CIRCONFERENZA E DIAMETRO!"
"Questa è la tua competenza".
"Tu non hai capito niente della didattica".
"Tu hai capito cos'è il pi greco".

(È un racconto di fantasia, non credo che una buona didattica consista nell'urlare in faccia le nozioni; ovvero, magari quando ero giovane posso aver commesso questo errore, ma poi per fortuna mi sono messo in discussione, ho approfondito la questione per quanto mi era possibile, e già da qualche anno ho messo a punto una didattica che consiste nell'avvicinarmi allo studente da dietro mentre pensa ai fatti suoi, con passo felpato, e URLARGLI LE NOZIONI ALL'IMPROVVISO. E devo dire che funziona molto meglio, spargete la voce).
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Driving Ms Mastrocola

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Rassomiglieremo la scuola pubblica a una vecchia automobile, diciamo un modello a benzina degli anni Novanta, che ci ha portato in infiniti luoghi ma a un certo punto senz'altro necessitava di essere cambiato, purtroppo fu il momento in cui ci trovavamo a corto di spiccioli, tanto che ci siamo venduti l'autoradio. 

Non è una cosa di cui andiamo fieri; e però dopo aver constatato che la macchina continuava ad andare, ci è presa una strana euforia e ci siamo rivenduti anche la ruota di scorta (sì qualcuno ce l'ha comprata, forse aveva pietà di noi). Da lì in poi è stata una discesa verso l'abisso: qualcuno ci ha comprato il cric, il triangolo, la tuta catarifrangente, il disco orario. C'è gente che ha accettato in pegno i tergicristalli, c'è mercato anche per i finestrini retrovisori, e ciononostante l'auto funziona ancora, certo non è che facciamo benzina molto spesso, e il paraflu ce lo siamo bevuto. Un nostro conoscente conosce un tizio che ti valuta i sedili, ci stiamo pensando, nel frattempo si sono rotti un paio di fanali ma basta essere a casa prima del tramonto.

In mezzo a tutto questo, la Mastrocola chi è? Una passeggera, mettiamola così, una tizia che ha fatto un tratto di strada con noi e ha notato con disappunto che il riscaldamento non funziona – tante grazie, manca il lunotto posteriore, ma mica se n'è accorta. Dice che è tutta colpa di queste auto moderne, ricorda con affetto la Fiat 126 che le regalarono i genitori e che secondo lei era più performante. Noi non siamo nella situazione di darle torto, diciamo che siamo più preoccupati dal fatto che potrebbe fermarci una pattuglia e ci siamo fumati anche il libretto. Quindi la facciamo parlare, che altro possiamo fare? Ci fosse un autoradio alzeremmo il volume, ma non c'è più.


Tecnica della Scuola


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A Castelnuovo il 16, non mancate

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Signore e signori, ho l'onore di avvisarvi che martedì prossimo, 16 novembre, alle 21 presso  l'Auditorium Bavieri di Castelnuovo Lennon-Rangoni avrò il piacere di presentare Getting Better, un libro che alcuni di voi forse già conoscono, dialogando con Roberto Menabue. E siccome si parlerà di Beatles, ci sarà anche qualcuno che ce li saprà suonare, ovvero Stefano Stecca Bertolani. A splendid time is guaranteed for all.




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L'invenzione maledetta

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 "Come probabilmente sapete, gli automobilisti hanno sempre qualche difficoltà a mettere in punto l'orologio dell'automobile".

"Già, in effetti è così".

"I comandi sono quasi sempre un po' troppo complessi, inoltre l'automobilista è concentrato sulla guida e così tende a rimandare".

"Vero".

"D'altro canto ormai tutte le automobili sono equipaggiate con bluetooth di serie che si collegano allo smartphone dell'automobilista – e lo smartphone come saprete si mette in punto da solo, prende l'ora da internet".

"Ora che ci penso è vero, lo smartphone si mette in punto..."

"Dunque la mia idea... ma non è che sia proprio una mia idea, cioè mi fa un po' strano che non sia già venuta a qualcun altro, anzi a tantissima gente, soprattutto ingegneri, beh... anche lei a questo punto l'avrà capita da solo, no?"

"Cosa dovrei aver capito?"

"L'idea che sono venuto a presentare, è una cosa proprio banalissima se uno ci pensa".

"E cioè?"

"Cioè non ci ha pensato?"

"No, ma la prego, non mi tenga sulle spine, qual è questa sua banalissima idea?"

"Beh, ecco... fare in modo che l'automobile metta in punto l'orologio con lo smartphone a cui si collega via bluetooth".

"Ah, però".

"Banale, eh? Però risparmierebbe tempo, fatica, distrazione... e non c'è nessuna tecnologia da aggiungere, abbiamo già tutto".

"Sì, sì, non male come idea".

"Continua a sembrarmi stranissimo che nessun altro ci abbia pensato".

"Eh ma sa, a volte sono proprio le cose semplici... le faremo sapere, comunque".

"Grazie per la sua attenzione".

"Si figuri, si figuri e mi raccomando, nel frattempo non ne parli con nessuno, segreto industriale".

"Wow. Grazie".

"Inoltre nei prossimi giorni non lasci la città".

"Davvero?"

"Proprio così. A presto".

[Esce il geniale inventore].

[L'ingegnere capo emette un lungo gelido sospiro, e poi prende il telefono]. "Sì, è appena uscito dal mio ufficio, sì, è proprio come temevamo, bisogna farlo sparire come tutti gli altri. No, non un incidente stradale, sarebbe il quinto in una settimana, inventatevi qualcos'altro".

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Dieci anni in Paradiso

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1° novembre – Tutti i Santi

A chi di voi legge abbastanza abitualmente il Post, può capitare ogni tanto di trovare in prima pagina un pezzo sul santo cattolico del giorno. Di solito li firmo io, e non parlano necessariamente del santo del giorno. A volte non è proprio il santo cattolico - a volte non è nemmeno un santo - a volte non parlano proprio di niente in particolare, ma insomma ormai sono una tradizione, da quand'è che sul Post escono questi pezzi? Da dieci anni. Auguri! Cioè in realtà il blog dedicato aprì dieci anni e quasi un mese fa (il primo pezzo era dedicato a Santa Teresina del Bambin Gesù), ma credo abbia più senso festeggiare nel giorno dedicato a tutti i Santi. Come passano in fretta dieci anni, ultimamente.

Santi agiografati sul Post per secolo dopo Cristo.

L'idea era molto più antica (ho degli appunti che risalgono al 2002) e ispirata, credeteci o no, all'oroscopo di Internazionale, sì quello di Bob Brezsny che in realtà credo di avere smesso di seguire proprio verso il 2002 quando ho capito, e mi ci è voluto pure un po', che non era ironico, che ci credeva davvero. Ma insomma il concetto era simile: decostruire una delle classiche rubriche da quotidiano, usarla come cavallo da Troia per scrivere tutto quello che mi andava. Ovviamente i santi non hanno l'appeal dell'oroscopo, ma non bisogna sottovalutare che ogni giorno è l'onomastico di qualcuno - certo, è un discorso che funziona finché si dedicano pezzi a Francesco o a Teresa, non ad Agabo o a Gwynllyw. In ogni caso il nome più gettonato fin qui è Giovanni: Giovanni Bosco, Giovanni Nepomuceno, Giovanni decollato, Giovanni da Copertino, Giovanni Paolo II, Giovanni Damasceno, Giovanni Evangelista e non dimentichiamo che anche Francesco d'Assisi in realtà si chiamava Giovanni (c'è anche un pezzo su Giovanni Lindo Ferretti, che però non è ancora esattamente un santo, anzi spero lo diventi il più tardi possibile). Tra i nomi femminili probabilmente vince Maria, non solo perché alla madre di Dio sono già stati dedicati nove pezzi, ma anche grazie a Maria Maddalena, Maria Goretti, Maria Egiziaca, Marguerite-Marie Alacoque e perché no? Jean-Marie Vianney.

Provenienza geografica (se i confini fossero sempre stati quelli del 2021).


Ho messo un link al primo pezzo ma è molto difficile che funzioni - come notano gli esperti, Internet come archivio è una frana. In particolare dopo due o tre anni il Post fece un restyling generale e non vorrei che sembrasse una critica, insomma lo so che sono cose inevitabili, ma i link più vecchi non funzionano più e alcuni pezzi sono visibili solo parzialmente, perché erano divisi in pagine. A volte penso che dovrei mettere a posto tutto, un pezzo alla volta. Altre volte penso che si farebbe prima a ripartire da capo. Ho cominciato entrambe le cose e mi sono interrotto entrambe le volte. Sul mio vecchio blog personale ho ricopiato quasi tutti i pezzi, ovviamente modificando le cose di cui mi vergognavo di più e a volte smontando e rimontando cose qua e là e ora il risultato è che in giro per il web ora ci sono due o tre versioni dello stesso pezzo. Una cosa molto medievale, tutto sommato.

Ho detto medievale? Quando ho cominciato ero convinto che avrei parlato soprattutto di Medioevo, ma a quanto pare non è stato così. Anche se la media di tutti i pezzi (inclusi quelli dedicati ai patriarchi e ai profeti della Bibbia, la cui datazione è abbastanza incerta) mi dà come risultato il 745 dC, i secoli più visitati in assoluto sono il primo (una ventina di pezzi è dedicata a personaggi del Nuovo Testamento) e il terzo, il secolo ruggente dei martiri. Il personaggio più antico sarebbe Isacco: quello più recente, sia per età che per canonizzazione, Giovanni Paolo II, non a caso soprannominato "Santo subito". Il secolo medievale più frequentato è il Duecento, grazie agli ordini mendicanti. C'è un altro picco più difficile da interpretare nel Cinquecento. La contemporaneità (Otto e Novecento) si difende bene: una ventina di santi su... a proposito, quanti santi abbiamo coperto fin qui?

Santi per cittadinanza, un grafico che non ha moltissimo senso.


Il conto è difficile. Occorre detrarre i pezzi in cui davvero il santo era un mero pretesto, e i casi in cui ho voluto trattare da santo un personaggio che non lo è, o un santo che la stessa Chiesa ha riconosciuto come mai esistito (Simonino). Ma è capitato anche il contrario, ovvero che uscisse sul Post un pezzo su una santa che ancora non lo era (Angela da Foligno) e qualche anno dopo lo è diventata. Al netto di ciò il conteggio dice 10243, a cui bisogna evidentemente detrarre le diecimila vergini che secondo la leggenda sarebbero state martirizzate con Sant'Orsola (ma è probabile che si tratti di un errore di traduzione). Se evitiamo di contare anche i 40 martiri di Sebastea e i 26 compagni di Paolo Miki (questi ultimi purtroppo furono crocefissi davvero in Giappone, non è una leggenda) si arriva al comunque ragguardevole totale di 178: a questo punto l'obiettivo di farne almeno 365 non sembra poi così lontano. Speriamo che i prossimi dieci anni non scorrano ancora più veloci. Abbiamo 60 martiri (più i 40 di Sebastea), 42 vergini, 35 vescovi, 113 eremiti, sette monaci (per lo più benedettini), sedici frati (con una netta preponderanza dei francescani), 19 religiose, soltanto quattro gesuiti, 13 personaggi dell'Antico Testamento tra cui sette profeti; 14 teologi, 5 apostoli; l'unica categoria che si può dire chiusa è quella degli evangelisti, quattro su quattro.

Santi italiani per regione
Santi italiani per regione


Da dove vengono i Santi di cui qui si è parlato? Qui il conto è complicato dal fatto che in duemila e più anni i confini sono cambiati e di molto, al punto che una delle nazioni più rappresentate sarebbe la Turchia: che però al tempo dei dieci santi in questione non si chiamava ancora così, dato che i turchi vivevano altrove. In ogni caso, se decidiamo di applicare arbitrariamente i confini di oggi a tutti i santi di tutte le epoche, scopriamo che un terzo del totale proviene dalla cosiddetta Italia. All'interno di quest'ultima, il Lazio è decisamente la regione più venerata, e in generale metà dei Santi proviene dal centro, tra Toscana e Abruzzo. La seconda nazione contemporanea, con un quinto del totale, sarebbe Israele, e non sorprende: al terzo la Francia, al quarto appunto la Turchia. Se invece proviamo ad assegnare a ogni santo la cittadinanza che gli sarebbe spettata alla nascita... entriamo in un ginepraio di questioni oziose; diciamo che prevale la nazionalità ebraica, da Isacco a San Pietro, sempre con un quinto del totale: al secondo posto l'Impero Romano classico, quello che crolla ufficialmente nel 476. Ma è un dato che non dice un granché. Più rilevante contare i santi per sesso: risulta che tre su quattro sono maschi, e se probabilmente sul calendario il rapporto è appena un po' meno sbilanciato in loro favore, mi sembra incredibile aver dedicato 42 pezzi a delle sante, insomma a delle donne: mai me ne sarei creduto capace. A proposito di sessi bisogna rilevare che anche in una categoria come quella dei santi, che non si segnala certo per fluidità, i casi di ambiguità sono meno infrequenti di quel che si potrebbe pensare: abbiamo almeno tre santi rivendicati come patroni dalla comunità LGBT (Sebastiano, Sergio e Bacco) oltre a tre crossdresser, se includiamo nella categoria oltre a Marina e Vitaliano anche Giovanna d'Arco, dato il peso che la scelta di vestire abiti maschili ebbe nella sua incriminazione.

Non riapriamo l'annoso dibattito

Colgo l'occasione per ringraziare tutti quelli che hanno letto fin qui e scusarmi per tutte le volte che mi avete chiesto qualcosa e non vi ho risposto per ignavia o sbadataggine: prometto che d'ora in poi sarò più sollecito ecc. Ringrazio i redattori del Post, che mi hanno corretto tante cose, e il peraltro direttore che mi ha sempre lasciato libero di scrivere qualsiasi sciocchezza: un onore che ho ripagato scrivendone molte, e molte ancora spero di scriverne. Certo, lo sappiamo tutti, Brezsny è su un altro livello, ma si fa quel che si può. Alla prossima.

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Il correttore automatico vi rassomiglierà

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Siccome è da un po' che non lascio qualcosa di scritto qui sopra, ora rimedierò come gli influencer più scafati ovvero lasciando l'incombenza al completamento automatico del mio telefono: e che il telefono è in un negozio online non mi è stato mai dato un errore da parte di un mio amico di mio figlio e non ho ancora ricevuto la sua email di risposta da parte vostra per la quale mi è stato detto che non è stato effettuato il bonifico per la fattura del mese corrente e non ho ricevuto il pagamento del mese corrente per cui non ho ricevuto il pagamento del mese corrente per cui non ho ricevuto il pagamento del mese corrente per cui non ho ricevuto il pagamento del mese corrente.

Il suggerimento sul tasto di sinistra è già in loop. Tzara diceva che la poesia ottenuta estraendo parole a caso mi avrebbe somigliato, ma io sono uno statale, tutti questi pagamenti non li sollecito certo col telefono. A volte pensiamo che il nostro telefono ci ascolti, il che è possibile ma come tutti i pensieri paranoici nasconde un fondo di speranza: non siamo del tutto inutili, a Qualcuno interessiamo. Il suggerimento automatico mi suggerisce tutt'altro, probabilmente fa una media di gente della mia età e delle mie coordinate economiche e decide che il mio primo desiderio, la mia prima necessità è essere pagato. Puntualmente. Fuochino, dai. Proviamo il tasto al centro: e il suo lavoro è stato un problema di salute mentale che non può essere un problema di salute mentale che non può essere un problema di salute mentale che non può essere un problema di salute mentale.

Non ho dato del demente a nessuno di recente (o no?) Ok, è cominciato un altro anno scolastico, genitori nervosi, ci sta. Sotto il primo strato economico di necessità e desideri, la mia personalità sembra contenere una specie di corazza opaca, un riflesso condizionato che produce certificazioni di insanità mentale contro chiunque tenti di contrariarlo. L'ipotesi che il mio telefono mi stia rivelando un carotaggio del mio inconscio è seducente. Proviamo il terzo tasto.  

per la nostra associazione per i bambini di una famiglia e non per il suo futuro per la salute e la pace per i bambini che ha portato al suo posto e a quanto pare ci ha colpito la nostra vita di cristo che è la chiesa della nostra amata chiesa e la sua misericordia e il loro spirito e la loro volontà per il santo di Gesù di dio di Gesù per il quale Gesù è un uomo e il nostro paese è stato un dono prezioso di noi stessi ai poveri del suo amore

Dopo "amore" succede qualcosa di inquietante che non ricordo di aver mai visto prima: il mio suggerimento di destra non mi suggerisce più nulla, fine, non c'è una parola che possa aggiungere qualcosa ad "amore". Il mio terzo tasto è un mistico cattolico, sono un po' perplesso, il mio telefono intuisce di me cose che ho fatto nella mia vita e che in questi mesi ho sofferto di vedere fermo su una controproposta di un movimento incentrato sul concetto di comunità nazionale della Cgil non mi preoccupi per il testosterone di questo mese corrente per cui non ho ricevuto il pagamento del mese corrente per cui non ho ricevuto il pagamento del mese corrente per cui non ho ricevuto il pagamento del mese corrente 

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Il tampone costa troppo, tutto qui

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Il guaio è che si tratta di un problema sostanzialmente economico, ma di economia non si può più parlare. A un certo punto si è deciso che la gente non voleva sentir parlare di economia, forse si sarebbe sentita fregata a sentirsi parlare di economia, e quindi insomma niente: bisogna parlare di diritti, di doveri, di scienza e di etica e di privacy e di controllo e di rava e di fava, e nessuno vuole parlarti di economia. Per cui prima o poi c'è sempre qualcuno che fa una proposta assurda – raddoppiamo gli autobus? O gli edifici scolastici? Saniamo il debito pubblico tagliando 300 parlamentari e un po' di auto blu? Oppure sentite questa, potremmo pagare un tampone ogni 48 ore a chiunque volesse farlo, perché no? Non è una domanda retorica, se lo chiedono davvero: perché no.

Ora la risposta più semplice, ma anche la più rispettosa dell'interlocutore, dovrebbe essere una e una sola: perché non abbiamo le risorse – 600 milioni al mese, vuoi scherzare. Non possiamo raddoppiare gli autobus, non possiamo gonfiare le scuole così occupano più cubatura: e non possiamo pagare un tampone a tutti quelli che non vogliono vaccinarsi, perché dovremmo farlo ogni 48 ore e quindi lo capisci benissimo che sono veramente troppi tamponi. Anche perché, riflettici: magari adesso ti sembrano pochi, questi irriducibili no-vax, e quindi magari per quel po' di pace sociale tu qualche miliardino in tamponi lo bruceresti. Ma se sono pochi è proprio perché i tamponi se li devono pagare. Se li avessimo messi gratis, avremmo avuto milioni di vaccinati in meno e centinaia di milioni di tamponi in più da pagare, perché questa cosa l'hai capita, vero?

Che chi chiede il tampone "gratis", sottointende: me lo pagate voi?

E che questi tamponi, se tutto sommato sono ancora disponibili e non troppo costosi, lo si deve al fatto che il 75% delle popolazione ha preferito vaccinarsi?

Quindi sì, dall'economia è facile discendere all'etica. Il tamponista commette lo stesso errore di valutazione del famoso runner che l'anno scorso si domandava: che male faccio a correre da solo, chi posso infettare? Non puoi infettare nessuno, stellina, se corri da solo: ma solo finché sei solo perché tutti gli altri restano a casa. La tua libertà si fonda sul fatto che tutti gli altri rispettino la norma che tu non vuoi rispettare: a te sembra un diritto, a noi risulta un privilegio. Un anno dopo, c'è questa studentessa di Bologna che va in giro senza green pass a disturbare le lezioni, e può farlo abbastanza sicura di non ammalarsi, perché? Perché tutti gli altri in quelle aule il green pass ce l'hanno, il vaccino se lo sono fatto, o al limite un tampone. Pagandolo. Lo so che ti senti un lupo, ma puoi farlo proprio perché intorno hai un gregge che tu deridi mentre ti difende. Ecco, vedete quanto poco ci ho messo a passare dall'economia alla morale – almeno ci ho messo un po', almeno sono partito da lì.

Ma davvero c'è qualcuno in questi giorni sui giornali che invece di parlare di diritti, e doveri, e la privacy, e il controllo, e i portuali, e i fascisti e i sindacati e il Nuovo Ordine Mondiale – c'è qualcuno che la mette giù dura e pura in termini di costi e benefici? Quanto costa un vaccino? Quanto costa un tampone? Da quel che ho capito, e potrei sbagliarmi, con cinque o sei tamponi ci paghi mediamente una dose di vaccino. Con cinque o sei tamponi sei a posto per due settimane lavorative. Col vaccino sei a posto per sei mesi. E a quel punto, ne staremmo ancora a parlare? 

Per esperienza, se provate a metterla in questi termini con una persona contraria al green pass, vedrete che il dibattito si blocca subito: anche l'interlocutore più addestrato a contrapporre a ogni argomento vaccinista un argomento antivaccinista, rimane perplesso davanti a una brutale analisi dei costi e dei benefici. Sembra davvero che nessuno gliene abbia parlato prima. Poi certo, qualche cosa replicherà. Cercherà, come è tipico del complottismo italiano dal Ventennio in giù, qualche tesoro nascosto. Potremmo prenderli ai politici, o alle banche. Tassare le rendite (per carità, ottima idea), non comprare quei famosi cacciabombardieri. E la caccia all'evasione fiscale, attività sacrosanta che però fa un po' strano sentire dalla bocca di qualcuno che pochi minuti fa voleva tamponarsi coi soldi delle tue tasse. Ma insomma l'economia è il terreno in cui le ipocrisie si svelano. Dovremmo avere meno paura di tirarla fuori – perché non lo facciamo? Ovviamente il pensiero corre subito al ritardo culturale italiano, alla scuola gentiliana, ecc. 

Poi pensi a quello che hanno combinato gli inglesi con la Brexit e ti viene il dubbio che sia un problema più storico che geografico – abbiamo sempre più paura dei numeri, come dei messaggeri di sventura. Tipico di chi eredita debiti, e interessi sui medesimi. 

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Via i fascisti da casa mia

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Non dico che l'assalto alla sede nazionale della Cgil non mi preoccupi, ma ammetto di sentirmi in quei momenti in cui la curiosità sovrasta la preoccupazione. Perché tutto questo non solo è abbastanza grave, ma è molto paradossale - insomma, da una parte abbiamo gli eredi di un movimento incentrato sul concetto di comunità nazionale, sull'obbedienza al partito e al governo, un movimento che costrinse tutti gli italiani a prendere una tessera per lavorare; e oggi gli eredi pelati e pompati di quel movimento protestano contro un governo che per difendere gli italiani obbliga all'uso del green pass: non solo, ma siccome nel green pass vedono la prevaricazione totalitaria,  che 99 anni fa evidentemente andava bene e oggi no, con chi se la prendono? Con il sindacato che sin dall'inizio si è opposto al green pass. Davvero, se solo si potesse osservare tutto questo da una certa distanza - ma non c'è, non ce la possiamo permettere. 

I risultati della vaccinazione in Italia sono stati spettacolari (è sufficiente confrontare l'Italia con un altro Paese europeo dove la campagna vaccinale sia andata purtroppo a rilento). Per ottenere questo risultato forse c'erano mezzi meno drastici del green pass, ma a me non sono venuti in mente. Non sono venuti in mente nemmeno alla Cgil, che è il mio sindacato, e che in questi mesi ho sofferto di vedere fermo su una controproposta (l'obbligo vaccinale) che mi sembrava, e mi sembra, irrealizzabile. Insomma tra no vax e Landini dovrei far fatica a capire non dico chi abbia qualche ragione, ma il minor torto; eppure vedi come la pratica vince sempre sulle idee? Mi basta vedere qualche testa rasata e qualche saluto romano e tutti i dubbi si dissipano: oggi, come 100 anni fa, la Camera del Lavoro è la mia casa, e chi l'attacca è un fascista e un porco. Non è una questione di idee (davvero: 100 anni fa dicevate di averle opposte), è qualcosa di più istintivo, forse di odori: potete gridare Libertà fin che volete, il puzzo rancido d'invidualismo becero e cieco di sente comunque forte e chiaro. Oggi non credete a un virus, domani non crederete alla crisi climatica e a qualsiasi altra cosa minacci i vostri miseri privilegi. Per salvarli correrete dietro a qualsiasi bandiera, canterete qualsiasi canzone, vi infiltrerete in qualsiasi corteo: ma riconoscervi resta abbastanza facile, e alla fine la realtà presenta sempre il conto. 

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