Ognibene alla corte di Claudio Augusto
05-08-2015, 11:34La grande gara di spunti, Roma, StoriaPermalink
...portentum eum hominis... nec absolutum a natura, sed tantum incohatum.
Ognibene, che è stato in tante epoche, e di tutte conserva il ricordo, lui sì potrebbe prendersi la responsabilità di dare giudizi e di preferirne una all'altra: ed invece più d'ogni altro il nostro eroe sembra trovarsi in difficoltà. I brandelli di storia che pure vive in prima persona, egli non riesce a comporli in un quadro che sia a malapena leggibile. Le cose sembrano accadere indipendentemente dalle cause e dagli effetti che noi uomini attribuiamo loro: o forse esistono queste cause e questi effetti, ed esistono anche precise equazioni: ma sono di quarto o centesimo grado, e Ognibene non può risolverle.
Diciamo allora che il nostro si trova in viaggio sulla via Aurelia, a cavallo del figlio di un senatore romano. È l'autunno dell'anno dei consoli Asinio Marcello e Acinio Avola, in un secolo di autunni miti e dolcissimi. Ognibene sta ritornando a Roma dopo un soggiorno di anni trascorso su un'isola ai bordi del mondo e dell'impero, che sarà magari un giorno il nuovo centro del mondo e dell'impero, ma questo chi potrebbe immaginarlo? È tornato per farsi un bagno decente e un'orgia come si deve, e quattro chiacchiere con qualcuno un po' civile: per incontrare magari Seneca (non che ci tenga tanto), per piangere di nascosto sulle ceneri disperse della dolce Messalina. Ma soprattutto è tornato per fare rapporto all'Augusto Imperatore sulla nuova provincia di Britannia: e poi - e questo è l'unico vero motivo - per vederlo morire.
(Questo pezzo partecipa alla Grande Gara degli Spunti! Se vuoi provare a capirci qualcosa, leggi qui).
A Roma stavolta Ognibene non ha avuto molta difficoltà ad arrivare. Si è semplicemente messo su una strada, e ha seguito la corrente. All'inizio sembrava difficile: per giorni magari non si vedeva che un carretto, lungo sentieri e mulattiere delle regioni più sperdute. Poi, man mano che ci si avvicinava, il traffico aumentava sempre più. Già a Grosseto la fila dei carri è ininterrotta; ma l'Urbe comincia molto più in là, quando le strade congestionate esplodono, là dove carri e carovane fermi l'uno addosso all'altra, hanno messo le radici: Roma è questo ingorgo colossale.
(Questo devo aver smesso di scriverlo quando ho scoperto che Robert Graves ci aveva già scritto sopra ottocento pagine).
Ognibene non può fare a meno di notare che, se tutte le strade portano a Roma, nessuna sembra uscirne: come se l'Urbe non fosse il punto di partenza dell'impero, ma il punto d'arrivo: non caput ma sfintere, il Foro nel quale precipitano tutte le mercanzie d'oriente ed occidente: dove non si produce più nulla, e tutto deve consumarsi. Salito su un colle in periferia, domandato a un pastore con finta ingenuità di quale dei sette colli si trattasse, si sente rispondere che non è né il settimo né il settantasettesimo, ma solo un mucchio di detriti e cocci rotti sui quali è già cresciuta l'erba. Nelle anfore di tutto il mondo arriva il vino alla Città: ed essa non ne rende nemmeno i vuoti.
(Probabilmente il senso di tutto era il profilo di Claudio, l'imperatore che governò tra il nipote Caligola e il figlioccio Nerone, figura patetica e titanica assieme, un disabile che cerca di tenere assieme un enorme impero perché è sempre meglio lui di certi pazzi che ha visto al governo. Ha davvero fatto finta di essere uno scemo per essere incoronato, o è scemo davvero? O entrambe le cose?)
"E che c'è di nuovo in Città, ditemi."
"Di nuovo, in città? Mah. Acqua e grano, finché dura, non ne manca: e alle bighe vince parecchio il Verde. C'è stato un grosso temporale nove giorni fa, e un fulmine ha colpito una statua."
"Una statua?"
La tomba di un uomo importante, un Dio forse: ma non gli sanno dire quale. Le notizie vanno lente e si confondono nella città enorme. Davvero, pensa Ognibene, non lo diresti ma è infinita una città di un milione di abitanti quando ci si può spostare a piedi o - ma la sera soltanto - a cavallo. Quando i palazzi più arditi arrivano al terzo piano, e chiunque tenga alla pelle si cerca un appartamento al piano terra. È un mare, un mare d'argilla e pietra, e ti costa ore attraversarlo... "La Città di marmo" pensa Ognibene: "Il Divo Augusto aveva innalzato una dozzina di tempietti e pensava di aver lasciato la Città di marmo". Non aveva gli occhi per la città di fango che si ingrossava ad ogni orizzonte. Come sono inadeguati gli uomini, anche i più capaci, anche gli Dei.
(Se ci sono errori storici non prendetevela con me, ormai sono un'altra persona).
Più in là gli sapranno dire che il fulmine ha centrato precisamente un mausoleo di un Cesare: ma quale? Ce n'è tanti. Di Germanico Cesare, si dice: il potente e buon Germanico. E non è stato un temporale, è stato un lampo a ciel sereno: pessimo auspicio! Macché, dicono altri che paiono meglio informati: pioveva come piace a Giove, e il mausoleo è poi l'altare di Tiberio. Oh, perché c'è un altare di Tiberio adesso a Roma? Non aveva la plebe precipitato il cadavere del vecchio bavoso dalla rupe tarpea? Ma già, s'intende, balbettano, noi non parlavamo mica di quel Tiberio lì, ma di coso, di... come si chiama: Druso, ecco. Finché, per farla breve, Ognibene non decide di farsi portare lì a vedere di chi si tratta veramente: siamo nel Centro, ormai.
"Ah, ecco, volevo ben dire: è Druso."
"Certo che è Druso: non te l'avevamo detto, noi?"
"Sì, ma non Tiberio Druso, che poi è Claudio Cesare Augusto: questo qui è suo padre Germanico."
"Ah no, questa no. Noi lo conoscevamo il buon Germanico, e non c'entra niente con questo qui."
"Ma è suo padre, ignoranti. Voi lo confondete col padre di Caio, il fratello maggiore di Claudio Augusto, che poi è Germanico pure lui. Possibile che ne debba sapere più io di voi su queste cose?"
Ma Dei immortali, di chi è mai la colpa? Certo, si sarebbe dovuto organizzare un po' meglio questa dinastia. È impossibile non fare confusione. "Secondo me quando poi salgono all'Olimpo, nemmeno là ci si raccapezzano più: un altro Cesare? Un altro Tiberio? Un altro Claudio? Sul serio, a pensarci: perché dovrebbe impegnarsi tanto a distinguerli, Giove Padre? E forse gli è già successo di fare qualche confusione. Dice:"Molto bene, è tempo che i romani abbiano un nuovo imperatore. Ma un tipo buono, serio, posato, che c'è n'è gran bisogno. Mercurio, vieni qui. È tempo che venga eletto a Roma Tiberio Claudio Germanico." E Mercurio: "Ma Giove Padre, sei proprio sicuro?" "Certo che sono sicuro. Un uomo buono, serio, posato: Tiberio Druso Claudio Germanico. O osi discutere i miei ordini? Vuoi assaggiare la mia folgore, dì?" E Mercurio scappa via le ali ai piedi: chi glielo spiega a Giove che si è confuso, che volendo procurare a Roma un buon imperatore, ha nominato per sbaglio un povero fesso?
Diventi empio, Ognibene: bestemmi gli Dei. Non eri così sbarazzino lassù tra i cassivellauni, dove Essi hanno nomi terribili da bisbigliare in segreto, e al legato romano di turno conviene chiudere un occhio o due quando il druido viene ad avvertirlo che al prossimo plenilunio è previsto un sacrificio umano... e certo, bisogna ammettere che Giove Padre è un amicone, dopo anni passati a guardarsi da Belenos. Eppure è preoccupante questa tendenza a non prendere più sul serio l'Olimpo.
(In punto di morte Claudio spiegava che non vale la pena sforzarsi. La gente non vuole governanti ragionevoli, vuole pazzi maniaci e divertenti alla Caligola, alla Nerone. Era tutta una storia su Berlusconi insomma. Se vi interessa ancora potete votare per Ognibene alla corte di Claudio. Potete cliccare sul tasto Mi Piace di Facebook, o linkare questo post su Twitter, o scrivere nei commenti che questo pezzo vi è piaciuto. Grazie per la collaborazione, e arrivederci al prossimo spunto).
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