Manifesto del conservatore di sinistra

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Il Manifesto è sempre stato molto più di un quotidiano, non devo venire a dirvelo io. In certi periodi non ha semplicemente rappresentato un segmento importante della sinistra radicale ma non avventurista, in certi periodi il Manifesto è stato quel segmento: lo ha incarnato, nel bene e nel male e nel medio. Anche adesso, mentre trasforma il suo fallimento in un assedio alla libera informazione. Tutti i piccoli giornali di opinione che campavano di contributi statali rischiano il fallimento, ma è solo il fallimento del Manifesto che è vissuto dalla comunità dei suoi lettori come la sconfitta dell'ultima cittadella libera. E dire che basterebbe guardarsi in giro, accendere il pc, per scoprire che c'è ancora molto spazio per formulare idee e discuterne, e che c'è una diffusa fame di idee e discussioni non banali come quelle che si fanno sul Manifesto. Quindi, in sostanza, non è la libertà, non è il pluralismo, non è il comunismo che sta per fallire col Manifesto. Al limite è una cooperativa di giornalisti e stampatori. Quasi come se non potesse rinunciare ad andarsene senza farci l'ultima lezione di dialettica: cosa succede quando chi lotta per il possesso dei mezzi di produzione riesce a mettere le mani su un minuscolo mezzo di produzione, in questo caso una tipografia? Insomma, pare che ci si arrocchi dentro e rifiuti le innovazioni successive. Marx non sarebbe contento, ma d'altronde è morto, e anche voi non state tanto bene. Aggiungere qua le ultime meditazioni di Piccolo sul conservatorismo della sinistra che avrebbe difeso i film muti all'avvento del sonoro: mi piacerebbe rispondere a Piccolo che non è affatto così, che si sbaglia, che l'art. 18 non è necessariamente una battaglia di retroguardia, ma se nel frattempo l'avanguardia sta facendo lotta dura senza paura per una stamperia, vabbe', mi arrendo, Piccolo ha ragione.

Ieri ho comprato il Manifesto, dopo tantissimo tempo. Costava un'esagerazione, ma pensavo molto peggio. Le prime tre pagine sono tutte sulla Grecia, con informazioni sul campo che su altri quotidiani non credo avrei trovato. Questa è sempre stata la cosa che mi è piaciuta di più del M.: era un giornale che sapeva di stare al mondo, e anche quando per necessità si attaccava all'ultima barzelletta di Berlusconi, non si dimenticava mai che in Birmania c'era una repressione o che in Bolivia infuriava il narcotraffico. Questa cosa ce lo ha fatto apprezzare soprattutto quando internet non c'era. Perché sapete, ragazzi, una volta internet non c'era! E cosa facevamo quindi? Ormai c'è un sacco di gente che non se l'immagina, magari pensa che prima stavamo seduti a fissare il vuoto e cliccare il tavolo. No in realtà alcuni di noi erano predisposti per internet, si può dire che in internet hanno trovato il foro adatto alla loro sagoma, perché già da prima tendevano a concepire il mondo come un ipertesto con molte immagini fastidiose da escludere e molti testi correnti da leggere.

Io per esempio prima di internet leggevo di tutto, e quando dico "tutto" non mi riferisco a un'eclettica produzione letteraria: io ogni mattina, se avevo una scatola di biscotti davanti, ne leggevo gli ingredienti. Poi salivo su un treno e leggevo keine Gegenstaende aus den Fenster werfen, tutti i giorni almeno due volte al giorno. E spesso capitava che leggessi anche i titoli del Manifesto del passeggero che avevo davanti, o di fianco. Oppure passavo davanti a un'edicola e la prima pagina era lì in bella mostra. O lo sfogliavo in qualche circolo arci, in un periodo ne ho frequentati tantissimi. Oppure una laureanda di antropologia con cui uscivo mi fotocopiava un paginone sulla crudeltà in Bataille e io mi incazzavo per gli errori di stampa, così lei mi mollava e io me la prendevo con i comunisti che non sanno correggere le bozze. Insomma, senza mai essere stato un vero acquirente del prodotto, io il Manifesto l'ho sempre letto in giro, in quella internet imperfetta e lenta che era la vita quotidiana fino a 10 anni fa. Il Manifesto faceva parte del paesaggio, che per i primi 25 anni della mia vita è stato più di lettere che di immagini: le immagini semplicemente mi interessavano di meno, ogni parola scritta su un cartello pubblicitario o sulla parete di un cesso reclamava la mia attenzione. Adesso ho una creatura sul tappeto che non si interessa alla televisione finché non parte la sigla con le scritte che scrollano dall'alto: a quel punto alza la testa. Insomma forse è una cosa genetica.

A un certo punto le cose sono un po' cambiate ed è facile attribuirne la colpa / il merito a internet. Comunque è oggettivo, ormai posso restare su un treno per mezza giornata senza far caso al keine Gegenstaende. È grazie al www che non ho più l'urgenza di leggere qualsiasi riga mi stia davanti, internet mi ha saziato di testo, oppure sono stato io che ho trasferito la mia vita su internet e passeggio di sito in sito invece di uscire di casa. Probabilmente leggo molto di più. Ma ho smesso di leggere il Manifesto.

Però internet c'entra fino a un certo punto perché in realtà quando cominciai a entrarci davvero, a passarci dieci ore al giorno davanti (e mi pagavano), ebbene, quello fu il periodo in cui il Manifesto lo lessi di più. Era il difficile 2001, e non c'era un altro quotidiano italiano altrettanto comodo su web. Quasi tutti gli articoli erano on line nelle prime ore del pomeriggio, e si caricavano velocissimi, senza pubblicità o animazioni, così che a volte in qualche tempo morto mi è capitato di leggermelo davvero "tutto" un Manifesto, non credo mi sia capitato mai più di mandar giù intero un quotidiano. Di brutto aveva che non potevi lincarlo: dopo una settimana l'articolo spariva e tu avevi lincato il nulla. Di brutto aveva anche i refusi, quei giochi di parole da Bagaglino che chissà perché sotto la scritta "quotidiano comunista" apparivano fulminanti calembour, certi interventi culturali 100% fuffa (ma ce n'erano di interessantissimi), il comico involontario di certe recensioni cinematografiche. Ma soprattutto per me di brutto c'era il Gran Rifiuto, la scelta di alcuni nomi pesanti della redazione di sostenere l'astensione alle politiche del 2001, quelle che inchiavardarono definitivamente Berlusconi a Palazzo Chigi. Persino Rifondazione aveva fatto un patto di non belligeranza con l'Ulivo di Rutelli, ma ai lettori del Manifesto non andava bene. Volevano chiamarsi fuori, oppure volevano veramente Berlusconi che avrebbe fatto scoppiare le contraddizioni del capitalismo che avrebbero portato all'insurrezione e alla dittatura del proletariato, chi lo sa, fatto sta che poi Berlusconi me lo sono dovuto ciucciare anch'io e non glielo perdonerò mai. Dicevamo?

Dicevamo che fino a un certo punto il Manifesto fu il quotidiano che si leggeva meglio on line, senza i banner e le distrazioni di repubblica.it. Poi qualcosa cambiò, forse trovarono sulla loro strada uno di quei sedicenti webdesigners che in quegli anni si attaccavano come le piattole, quelli che pensavano che il lettore su web ha sempre il mouse in mano e tanta voglia di usarlo e scrollare e cliccare continuamente, anche due o tre volte per leggere un breve fondo di Parlato. Un'altra teoria è che volessero riprodurre il modo in cui si sfoglia il quotidiano: se un pezzo comincia in prima pagina e continua a pag. 6, tu devi cliccare sei volte, come quegli stampatori nel Quattrocento che si dannarono a escogitare un sistema per riprodurre il corsivo ininterrotto dei manoscritti coi caratteri mobili: la gente non vuole una cosa più comoda, la gente è abituata ai propri piccoli rassicuranti fastidi quotidiani. I link interni continuavano a scadere dopo una settimana, e questa è l'unica cosa imperdonabile: un quotidiano che non mette subito l'edizione del giorno gratis on line posso capirlo, ma qual è il senso di nascondere l'archivio ai propri lettori? Avevano paura di far fallire le emeroteche del popolo? Non lo so. Tornai alle mie letture centriste, all'allegro cancan di Repubblica.it. Però il Manifesto c'era ancora, nel mio paesaggio. Faceva ancora discutere, ridere, sorridere e litigare. In effetti non so quand'è scomparso. Forse quando ho smesso di passare davanti a un'edicola tutte le mattine... ma anche se ci passo ora, il Manifesto non c'è più. L'ultima civetta che mi ricordo bene fu quella famigerata su John Kerry che vinceva le elezioni USA.

Nel frattempo anche il paesaggio su internet stava cambiando. Le homepage dei quotidiani diventavano sempre più chiassose e disturbanti, finché smisero di essere le nostre homepage. Eppure stranamente continuavamo a essere abbastanza aggiornati. È che sempre di più ci capitava di arrivare a un articolo dal link di qualcun altro che lo aveva trovato interessante. Questa modalità di condivisione sarebbe poi diventata il 2.0 e si sarebbe istituzionalizzata in facebook, twitter, eccetera, e adesso io dopo cinque ore che sto su internet mi rendo conto che non sono ancora andato a vedere se è successo qualcosa sul giornale. Metti che avvenga una disgrazia... ma no, su twitter me l'avrebbero già detto in tre sicuramente.

Questi link condivisi che ho cominciato a utilizzare dieci anni fa, e che oggi costituiscono la totalità del mio paesaggio, puntano un po' dappertutto: è il loro bello. Anche alla stampa estera, che mi fa sentire intelligente. E a quella di destra, che ho imparato che non puzza tutta allo stesso modo (più che gradi di puzza preferisco pensare a puzze diverse). Puntano alla Repubblica, al Corriere, al Fatto Quotidiano, all'Unità. Mai al Manifesto. Non so perché. Forse ho litigato con tutti i miei amici comunisti, ma lentamente, senza rendermene conto. Forse il Manifesto non produce nulla di condivisibile fuori dalla sua cerchia, ma mi sembra impossibile: e poi ieri l'ho comprato e direi di no, c'è ancora ciccia, magari non per me ma sembra gustosa. È davvero curioso quel fenomeno per cui sulla mia bacheca posso trovare lacerti di Foglio e persino di Libero, ma mai niente del Manifesto, neanche per riderci su. Non posso neanche prendermela col sito, perché adesso è bello, pulito e condivisibile, nel senso che quei famosi tasti per condividere su tw o fb o g+ ci sono. Anche se non li usa nessuno che conosco, evidentemente. Poi c'è un'altra cosa che altrove non vedo: si dà la possibilità di scegliere se leggere gli articoli su una colonna o su due (due è di default, mi pare). Ora, se uno ci pensa bene, perché dovrebbe aver voglia di leggere un pezzo a video su due colonne? L'unico motivo possibile è la nostalgia per la carta, il feticismo per l'opera d'ingegno nell'era in cui era già riproducibile ma non troppo. Ma i lettori del Manifesto sono davvero solo quelli lì? Quelli che magari prendono già la busta paga su internet, e compilano il censimento su internet, però il giornale lo leggono di carta perché è un pezzo della Storia del Novecento, e se in edicola non c'è più si abbassano a cercarlo su internet, ma lo vogliono su due colonne, come i primi nobili acquirenti di incunaboli pretendevano che fossero stampati con un corsivo il più possibile simile a quello ininterrotto dei manoscritti...

Eppure ieri Bartocci a pag. 4, sfogliando gli attestati di solidarietà, in un mare di "identità", "sinistra", "tenete duro", si lascia sfuggire che "tutti ci implorano di migliorare la nostra presenza su internet". Ecco, ma chissà se è davvero quello il problema. Dopotutto il Manifesto su internet non ha affatto una cattiva presenza. Forse il problema è dei lettori che il Manifesto si è scelto, si è formato in tutti questi anni. Sono loro che dovrebbero condividere di più il Manifesto, e mostrare ai redattori magari un po' scettici che la versione web può funzionare, può attirare più lettori, può rimettersi al centro del dibattito culturale (perché politicamente resterà sempre un po' ai margini, ma una volta il Manifesto era "la" cultura di sinistra). Sono i lettori che devono cliccare su quegli accidenti di tasti colorati che ci sono già, sono lì apposta, e provare a portare un po' più di Manifesto nelle praterie del web, dove tanta gente ne ha bisogno ma non ha la minima idea e finisce per farsi intruppare da Beppe Grillo e altre biowashballs. Sono i lettori che devono smettere di finanziare il Manifesto cartaceo più o meno come si dà l'elemosina a uno che te la chiede, con la prospettiva di chiedertela anche domani e dopodomani e ogni volta che la libertà d'informazione sarà minacciata. Sono i lettori che devono insegnare al Manifesto come si pescano altri lettori on line, non sarà facile ma non è nemmeno così difficile, c'è riuscita gente con meno Storia, meno identità e anche meno idee chiare. Sono loro che devono dire Grazie no, l'incunabolo in corsivo medievale non c'interessa più, non vogliamo più attaccare i buoi al veicolo dotato di motore a scoppio, né leggere testi a due colonne, i film sonori ci piacciono più dei muti e quindi Piccolo ha torto. Ah, e Marx (quasi dimenticavo) ha ragione.
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