L'elefante più crudele

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Heautontimorumenos

"Non c'è reazionario più implacabile dell'innovatore fallito, non c'è nemico degli elefanti selvatici più crudele dell'elefante addomesticato" (Brecht, mi pare, su Galilei).

A volte ancora mi domando, ed è una domanza oziosa come tante altre: cos'è Giuliano Ferrara? Che forma avrebbe, Giuliano Ferrara, se lo si potesse togliere dai contenitori che ha riempito, dalle nicchie che ha trovato vuote?

Adesso, per esempio riempirà una mutanda – e sappiamo che la cosa umanamente gli costerà – non gli piace esibire le proprie nudità, soffrì sinceramente l'estate che le sue chiappe chiare finirono sui giornaletti. Ma adesso il capo ha bisogno di una mutanda e la mutanda gli toccherà riempire. Lo farà, ovviamente, contro qualcuno, in questo caso i perbenisti del Palasharp e della manifestazione di sabato prossimo. Le belle anime che non amano la vita, non amano i liberi scambi di sesso e soldi e poltrone. “Non abbiamo orrore dello scambio e del denaro, ci fa senso il vostro disgusto per la bigiotteria galante di Arcore”, e quindi tutti in mutande, hanno già aderito Sallusti e Iva Zanicchi, e Pietrangelo Buttafuoco “un po' il nostro Saviano”, peccato non ci sia Banfi, poteva essere il vostro Marlon Brando.

E sì, è lo stesso Ferrara che dopodomani magari si infilerà un cilicio e si digiunerà per espiare i peccati di una generazione di scopatori abortisti. O non lo sapete che il sesso “da quando ha smesso di giocare la sua libertà con le interdizioni della natura e della cultura, da quando si è stupidamente liberato e ha perso la sua aura casta e peccaminosa, è diventato sommamente ridicolo e sempre meno efficace rispetto allo scopo, che è di fare figli in giovane età coltivando attraverso il piacere la carità e l'amore di sé che sono l'essenza del genere umano e la sua anima razionale o spirituale”... Sì, va bene, ma che c'entra, un conto è la gente normale e meccanica che dovrebbe fare sesso esclusivamente per riprodursi (“Il preservativo, la pillola e l'aborto hanno trasferito il sesso in palestra, sostituendo il labirinto del piacere, se non il dono luminoso dell'amore, con il trade mill della fitness”), un conto è il capo, potrà ben disporre come vuole delle sue tartarughine, delle sue bustarelle, delle sue poltroncine di ministero? E se le scambia per un po' di sesso, vogliamo fare i moralisti? No, Ferrara oggi ha in orrore il moralismo. Ieri invece non gli dispiaceva. Cos'è cambiato.

Potremmo sostenere, con qualche ragione, che per Ferrara il moralismo è ok finché non riguarda Silvio Berlusconi. Ma è una cattiveria inutile, io ho il sospetto che a Ferrara non freghi molto nemmeno di Berlusconi – sì, è il suo capo, sì, Silvio paga – ma non è mai stato un problema di soldi, né di potere. Ferrara è stato anche ministro ma fisicamente non ha retto lo stress, e i grossi soldi li fece al tempo in cui in Rai si strappavano contratti miliardari. In un certo senso Ferrara è in pensione da più di dieci anni, il Foglio è uno di quei negozietti a perdere che aprivano le professoresse in pensione, le baby pensionate del servizio pubblico; l'investimento iniziale ce lo mette il marito, così la signora sta un po' fuori di casa mentre lui si porta dentro le escort. Questo per dire che Ferrara non è del manipolo di disperati che non hanno altra scelta che seguire Berlusconi fino alla fine. Non è nemmeno di quel gruppo di professionisti delusi, che salirono sul carro B sinceramente convinti di poter dare il loro apporto nella rivoluzione liberale, giornalisti avvocati economisti che che dopo una dozzina d'anni si ritrovano scavalcati da veline letterine meteorine, e la cosa li scandalizza. In realtà Ferrara potrebbe mollare il capo in qualsiasi momento; varie volte ha minacciato di farlo; qualche volta sembrava davvero che lo avesse fatto. Se alla fine non ci riesce mai, non è per fedeltà o per convenienza. È solo per far rabbia a noi.

Tutto qui? Sì, davvero, probabilmente è tutto qui. Ferrara è solo un calco in negativo delle nostre passioni. Nel novembre del 2001 – le ceneri del World Trade Center erano ancora calde – il movimento che aveva sperimentato la repressione di Genova sfilò per la prima volta a Roma contro la guerra di Bush. Nei mesi successivi ci sarebbero state altre oceaniche marce ad Assisi e di nuovo a Roma. Ferrara era a piazza del Popolo, con alcuni suoi amici e un po' di bandierine di Israele. Ma gliene è mai fregato veramente qualcosa di Israele, a Giuliano Ferrara? Non è la stella di David un po' come la mutanda, una cosa che ci agita davanti perché si è accorto che ci dà fastidio? Ai tempi in cui ci piaceva far sesso senza procreare, lui indossava il cilicio e ci esortava a smettere quella ginnastica impura. Ora, di fronte alla ginnastica un po' ossessiva di SB, ci riscopriamo un po' bacchettoni, e Ferrara è pronto a mettersi in mutande. Quindi alla fine cos'è il sesso per Ferrara? Non si sa, è una domanda inutile: non avendo alcuna forma, a Ferrara non resta che riempire quelle che trova, e sono sempre i calchi in negativo delle nostre. In fondo non ha senso neanche rimproverargli la scarsa coerenza, lui non fa che intonare il controcanto alla nostra. Antiabortista quando facevamo quadrato sulla 194; pro-life quando chiedevamo rispetto per la signora Englaro; clericale ateo tra gli anticlericali, sionista gentile tra gli antisionisti, libertino asessuato tra i bacchettoni, Ferrara in realtà è sempre in mezzo a noi. Non c'entra molto con la stampa di destra, quella vera, con Feltri Sallusti o perfino Signorini. In realtà il Foglio è la cosa più radical chic che si possa leggere nelle edicole italiane, solo che va letto in negativo.

In un romanzo per il resto non molto riuscito, Giancarlo De Cataldo immagina il disappunto di un opinionista di assalto ex comunista nei giorni della caduta di Craxi. “Attraversato il pensiero di aver commesso, nell'abbandonare il partito, una colossale castroneria, valutò i possibili esiti di un cambio di squadra. Poteva prendersi una mesata sabbatica, cominciare a limare i toni dei suoi editoriali, e poi lanciare in grande stile l'operazione riallineamento. “Ho sbagliato, compagni, non dovevo andarmene, eccomi qua, sono tornato”. I compagni erano abbastanza idioti da credere al pentimento. Ma anche anche abbastanza astiosi da fargliela pagare a caro prezzo. Dunque non aveva altra scelta che continuare a combattere”. È come se Ferrara continuasse a scontare, con gli anni, un errore di calcolo: qualsiasi cosa sarebbe stata meno umiliante di ammettere i suoi errori e tornare indietro. Qualsiasi cosa. E così, mentre Gianfranco Fini diventa un eroe della sinistra, Giuliano Ferrara si ritrova al Teatro del Verme in mutande, un autodafè che nessuno gli ha chiesto, l'ennesima umiliazione che si infligge da solo. Come quando tirò le uova su Benigni, non perché gli dispiacesse Benigni, ma tutti a sinistra lo amavano e in mezzo a tanta grigia unanimità ci voleva pure qualcuno nella parte del severo censore; Ferrara è così: se c'è bisogno del cattivo, del fariseo, del basso del melodramma, lui si sobbarca, senza risparmio: mette in gioco l'unico corpo che ha, ed è un corpo complicato, difficile da gestire. Mettersi in mutande gli costerà qualcosa, ma sa che ne vale la pena, che anche stavolta riuscirà a farci voltare la testa. Come fa a saperlo – è facile: ne soffrirà per primo lui, e lui non ha mai smesso di essere uno di noi. L'elefante più crudele di tutti.
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