contro la lingua italiana, 36

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L’italiano è una lingua scomoda, ci pensavo qualche giorno fa.

È successa una sciocchezza. Un signore, non molto esperto di wikipedia, si è avventurato su una pagina di discussione per chiedere che fosse tolto un errore che “purtroppo, si sta diffondendo eccessivamente, sia per ignoranza, sia per leggerezza o sia per distrazione”. L’orribile errore era la parola “obbiettivo”, scritta con due B.

Ultimamente collaboro poco a wiki: e quel poco lo spreco in menate come questa. Sì, perché davvero ho perso cinque minuti del mio tempo per ob(b)iettare che non si trattava né di ignoranza né di leggerezza, ma di una forma consentita dai dizionari; e nel frattempo mi chiedevo se esista al mondo un’altra lingua scomoda come quella italiana, con tutte queste false regole e falsi errori che fanno perdere tempo alla brava gente che vorrebbe solo comunicare senza strafalcioni. Forse no: solo noi possiamo perdere una mezz’ora a litigare su una doppia B. O sulla virgola dopo la “e”: ci va o non ci va? (Ci può andare). O sull’accento su “sé stesso” (meglio metterlo). O sul gerundio a inizio frase, che non ha mai fatto male a nessuno. Lunghi dibattiti negli uffici (e su wiki) perché c’è gente che non si rassegna a dire “scannerizzare”, anche se sta già sui dizionari. “Ma è brutto”. Beh, non sempre le parole possono esser belle, ma l’importante è capirsi: e se ci vogliamo davvero capire, “scannerizzare” è più preciso di “scandire” o “digitalizzare”. Proprio non va giù? E va bene, c’è anche “scansionare”. Basta non mettersi a litigare su quale dei due sia più corretto: nei dizionari ci sono entrambi, uno deriva da scanner e l’altro da scansione. Sono sinonimi, come “adempiere” o “adempire”, come “obiettivo” od “obbiettivo”. Ognuno è libero di usare quel che vuole. In realtà l’italiano sarebbe una lingua tollerante… ma forse è proprio questa tolleranza il problema. La libertà fa paura, anche quando è solo la libertà di usare una o due B.

L’ipercorrettismo non viene dall’alto. Chi ha dimestichezza con i grammatici di professione sa quanto siano tolleranti (anche troppo: a volte per non dar torto a nessuno pasticciano un po’, come l’Accademia della Crusca sulla questione “euro/euri”). Gli ipercorrettivi sono persone come noi, che l’italiano lo sanno più o meno come noi, magari con l’inconscio segnato per sempre da una sadica maestrina elementare. Portano l’italiano come una giacca stretta, che in teoria dovrebbe farli apparire eleganti e invece li rende goffi, e pronti all’imminente prossima figuraccia. Il signore che ci teneva tanto a togliere una B alla parola obbiettivo, si muoveva impettito come un mangiatore di scope, mandando avanti virgole a casaccio. Questa è la nostra lingua: un vestito scomodo, che nessuno riesce a portare con grazia. Nel frattempo, chi non vuole correre il rischio taglia la testa al toro e invece di “obiettivo/obbiettivo” scrive “target”, che tanto si capisce lo stesso. Se l’italiano morirà, sarà anche colpa vostra, e della matita rossa che tante volte avete brandito a casaccio.

Ci ho ripensato leggendo questo pezzo di Matteo Bordone, significativo come può esserlo un lapsus. Non tanto per i suggerimenti (alcuni giusti, altri eccessivi), ma per l’atteggiamento: Bordone non ci prova nemmeno, a fare il simpatico. Sa benissimo che sta per interpretare il ruolo del maestrino stronzo, e ci si adegua.
Ho deciso, e l'ho deciso tanto tempo fa, che avrei detto il più possibile a uno che dice "mi pare che è", "guarda che si dice mi pare che sia" (e anche "hai un pezzo di insalata nei denti"). Male che vada, se la prende e gli sto sulla palle; poi però la volta dopo non lo dice, forse. (A dire la verità la tecnica non funziona con tutti, per dire con me non ha mai funzionato perché mia madre ripete il mio nome ad alta voce ogni volta che dico "cazzo", e il risultato è che ho una passione viscerale per ogni forma di turpiloquio.)

Ecco, appunto: tua mamma ha adottato una tattica educativa fallimentare, e tu la stai imitando. Freud ti direbbe che quel che cerchi è proprio il fallimento: davvero non hai pensato i tuoi lettori potrebbero mettersi a dire “anedottica” o “nel merito” con la stessa passione viscerale con cui tu continui a dire le parolacce? Sicuri che non ci sia un sottile gusto del proibito dietro al successo di "piuttosto che" o del sempreverde "a me mi piace"?

Gli errori non sono semplicemente “ignoranza, leggerezza, distrazione”. Prima di tutto sono segni di un disagio. Non c’è dubbio che sia triste sentirsi dire “c’è stato un misunderstanding”, quando l’italiano ha almeno due espressioni più brevi (e più belle) per dire esattamente la stessa cosa. Ma impuntarsi non serve. Occorre almeno cercare di capire perché succede: com’è possibile che qualcuno in Italia preferisca “misunderstanding” a “equivoco”? Davvero l’italiano è diventato così scomodo? E se lo è diventato, la colpa non sarà un po’ di tutte le maestrine che pretendono di imporre le loro idiosincrasie? Se “v’è” ti fa schifo, non usarlo. Ma perché qualcun altro non potrebbe preferirlo a “c’è”? Proprio l’esempio di Bordone (“Del doman non c’è certezza”) mostra come a volte un “v’è” possa evitare una cacofonia. L’italiano dovrebbe essere quella lingua confortevole in cui si può scegliere tra “v’è” o “c’è”, o “tra” e “fra”, a seconda di come suona la frase. Dovremmo sforzarci di rendere la lingua italiana un posto accogliente e confortevole, dove le parole si possono scegliere anche in base al suono, alla simpatia; e dove i neologismi e varianti fossero ancora benvenuti. Perché così era al tempo di Dante, e ancora al tempo di Gadda; e i periodi bui che ci sono stati in mezzo sono proprio quelli dominati da maestrine superciliose con problemi di punteggiatura. Anche a me danno fastidio i participi “ad sensum” (“ad minchiam”, li chiama Bordone), però alla fine dei conti che male fanno? Se i latini li tolleravano, c’è un motivo oggettivo per cui gli italiani non dovrebbero usarli?

Avremmo ancora una lingua viva, se solo volessimo. Invece perdiamo tempo prezioso a correggerci errori inesistenti, a lamentare la morte del congiuntivo (morte lentissima: se ne parla almeno da cinquant’anni), a stringerci ancora senza motivo il colletto linguistico. Moriremo strangolati dai nostri cravattini. If you want, be happy now: for tomorrow’s never sure.
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