Adesso è stanchino, dice

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Beppe Grillo poteva scegliere di passare alla storia come uno degli artisti di popolo più importanti e influenti a cavallo tra due secoli; degnissimo erede di una tradizione di predicatori itineranti che comincia con Savonarola o Bernardino da Siena, e di monologhisti comico-tragici che ha il suo apice in Giorgio Gaber. Incidentalmente, il titolare dell'unico blog italiano di una qualche rilevanza.

Trasferendosi in politica, poteva ancora scegliere di essere ricordato come l'uomo che aveva fondato un partito dal nulla al ventotto per cento - come Berlusconi vent'anni prima - e che a Berlusconi aveva assestato l'invocatissima spallata finale. Beppe Grillo però non ha mai veramente smesso di fare il comico, e non ha mai cominciato a fare vera politica. Sarà ricordato soprattutto per aver conquistato nel 2013 la fiducia di un buon quarto degli elettori italiani, senza sapere cosa farci.

Così come l'ha conquistata l'ha buttata via senza nemmeno giocarci, come uno di quei giocattoli invocati per Natale e che non escono più dalla scatola dopo Capodanno. Dopo aver messo fuori gioco Bersani; auspicato e assistito alle larghe intese tra Berlusconi e il Pd, benedette da quel Giorgio Napolitano di cui avrebbe potuto evitare la rielezione; dopo aver visto affermarsi nel Pd la leadership più adatta a un progetto centrista; dopo aver monopolizzato una larga fetta di elettorato malcontento, imponendogli i candidati estratti al bingo della "Rete", o del "Portale"; dopo aver buttato fuori, con pretesti più o meno risibili, qualsiasi esponente del Movimento che minacciasse di costruirsi un consenso vero, al di fuori del suo giochino; dopo avere nei fatti impedito che il voto di un buon quarto degli elettori italiani servisse a qualcosa; dopo aver combinato questo mirabile capolavoro, adesso Grillo dice che è stanchino, e smolla il pacco ai primi cinque subalterni che si trova nel corridoio. A rifare il Movimento ci penseranno loro, lui è stanchino.

E i meetup? Gli attivisti? Gli iscritti? Se proprio insistono per dire la loro, possono votare sì per il listino bloccato. Molti elettori non sono stati ad aspettare il finale della farsa, e si stanno riorientando verso quella destra pop-razzista che Grillo ha sempre usato come spauracchio: se non ci fossi io ci sarebbero i neonazisti. Come dire: non saremo un granché, ma almeno non siamo Hitler. No, in effetti Grillo non è stato Hitler; del resto per guidare un piccolo partito populista attraverso le oscurità del primo dopoguerra fino al successo elettorale del '33 serviva una determinazione che Grillo non ha mai avuto in vita sua.

Che almeno la sua parabola possa servire come esempio per tutti quei movimentisti che dai Novanta in poi hanno rifuggito come Satana qualsiasi concetto di leadership: volevate movimenti perfettamente orizzontali, non volevate capi, non volevate volti, e avete visto il consenso coagularsi intorno all'ultima figurina ex televisiva disponibile sul mercato. Volevate la democrazia digitale e vi siete trovati il sito di Beppe col colonnino trucido. Meno male che era un cialtrone; il primo ad annoiarsi di sé stesso. In futuro non saremo necessariamente così fortunati.
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