farsi gli affari tuoi

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Deal or No Deal

Il culto del Presentatore
Per molto tempo il successo italiano di Affari Tuoi è stato attribuito unicamente a Bonolis, alle sue doti d’imbonitore di piazza. Non è bastato che se ne andasse; occorreva sostituirlo con una mezza calza perché ci si rendesse conto che le sue piazzate occultavano il vero fulcro della trasmissione: il format.
La conduzione di Pupo fu uno psicodramma. Sostanzialmente Affari Tuoi è la cosa più simile a un giuoco d’azzardo che si possa trasmettere sui canali in chiaro: mettere in cabina di comando una persona che aveva un problema di dipendenza dal gioco era la scelta più dissennata che si potesse fare: non basta essere incompetenti, bisogna anche essere un poco criminali. Come affidare a un ex eroinomane la distribuzione del metadone, se mi spiego. Che poi come conduttore, oggettivamente, facesse schifo, pazienza: è già miracoloso che non si sia rimesso a giocare immediatamente. Io al suo posto l’avrei fatto. Massimo rispetto a Pupo.

Con Insinna finalmente la versione italiana ha trovato un suo equilibrio; ancora un po’ sbilanciato sul presentatore (che suda, soffre e impiega il tempo sparando sequenze randomizzate di aforismi) mentre all’estero il protagonista è piuttosto il concorrente. Ma che ci vuoi fare. Se la tv è una pandemia mondiale, il Culto del Presentatore è la variante specifica italiana. E chissà, se ci fosse stata concessa, anche solo una volta nella Storia della Repubblica, la possibilità di votare Mike Bongiorno, ci saremmo finalmente tolti questo maledetto sfizio. E invece la nostra passione frustrata per il signore che a turno domina il video ci ha portato a cercare sulla scheda elettorale i surrogati più pittoreschi. Ma in fondo è lui che volevamo. L’ossessione italiana per l’uomo che conduce i telequiz è forse quel che resta dell’antica attrazione per il Tribuno, il Capo-popolo, l’oratore da balcone. Sì, in un certo senso è ancora fascismo, ma in una forma, come dire, benigna: non è un complimento, si dice la stessa cosa di certi tumori.

Matematica pratica
Resta da capire cos’ha questo format di irresistibile, più o meno in tutto il mondo. Ciò che lo rende diverso da ogni altro gioco a premi è il fatto che mancano le domande. Quindi la cultura generale non serve più. In questo modo è finalmente abolito il vantaggio che di solito godono gli enigmisti enciclopedici, gli antenati dei geek: quel tipo di persone che quando vengono a cena corri a nascondere il Trivial Pursuit.
Affari Tuoi sostituisce l’enciclopedia con le cifre; ma anche la sua matematica è la più pratica e universale che si possa immaginare: il linguaggio dei soldi. Se non vi è capitato di insegnarla a scuola, non avete idea di come diventi più intuitiva e facile la matematica appena aggiungiamo alle cifre il simbolo €. Bambini assolutamente refrattari all’idea astratta di “frazione”, non esiteranno a sommare due mezzi euro per ottenerne un intero. In questo senso la macchinetta delle merendine, arnese diabolico sotto quasi tutti gli aspetti, assolve una funzione pedagogica da non sottovalutare.
La cultura è di chi se l’è potuta permettere, ma l’aritmetica degli € è alla portata di tutti. Ciò rende, in teoria, Affari Tuoi il gioco veramente democratico: un verduraio ha più possibilità di vincere di un laureato per il semplice motivo che sa fare meglio i conti.
Il problema in Italia è che persino l’accorto verduraio, quando va ad Affari Tuoi lascia i suoi istintivi algoritmi a casa e si gioca i numeri come se fosse il lotto, col pretesto che tanto è un…

…gioco d’azzardo
E senz’altro lo è. Però, attenzione.
La fortuna è importante. Ma non è l’unico fattore, e non è poi molto più determinante che in tanti altri giochi a premi. In realtà Affari Tuoi non è che una forma semplificata del poker. A poker la fortuna conta; ma quante possibilità avremmo noi di vincere una mano col campione del mondo in carica?
Ciò che rende Affari Tuoi un vero gioco di azzardo non è tanto il caso, quanto la funzione assegnata ai soldi: ad Affari Tuoi si possono perdere. Dopo decenni di quiz che attiravano l’attenzione degli spettatori erogando soldi a pioggia sui vincitori, qualcuno ha capito che la medesima attenzione si può ottenere anche con la sottrazione. Naturalmente, la pruderie del ventunesimo secolo ci impedisce di saccheggiare i risparmi dei concorrenti (anche quelli che per condotta di gioco lo meriterebbero ampiamente); il colpo di genio sta appunto nel regalare in un primo momento i soldi al concorrente, soltanto per lo spettacolo di toglierglieli in un secondo momento. Il successo di questa innovazione è stato tale da contagiare altre produzioni; per esempio da due anni a questa parte un quiz molto più tradizionale, come L’eredità, funziona in una maniera simile: prima ti fanno vincere cifre nominali molto alte, e alla fine te le tolgono, per il gusto del sadico telespettatore.

La messa in scena
Se dunque per vincere mezzo milione occorre una notevole dose di fortuna, per uscire da Affari Tuoi con meno di ventimila euro in tasca bisogna essere un imbecille. Il fatto è che tutto è messo in scena appositamente per farti fare una figura da imbecille.
Il gioco in sé è molto semplice. Il tuo avversario ha una carta in mano, e tu devi scartarne altre 19. Quelle blu sono brutte, quelle rosse sono buone. Ogni tre carte l’avversario ti fa un’offerta. È chiaro che scartando le blu l’offerta sale, viceversa scende. Se te la spiego in questo modo, ti ho già suggerito la strategia di gioco ottimale: quando vedi che hai scartato più rosse che blu, accetti l’offerta. Se ti offre di cambiare carta, rifiuti, perché le possibilità di cambiare un rosso con un blu sarebbero aumentate (se invece avessi già scartato molte blu, dovresti accettare). Non c’è nient’altro che tu possa fare, razionalmente.
Questo discorso razionale va invece a farsi benedire nel momento in cui alle carte sostituisco i famigerati pacchi. Tutto l’inganno sta nell’ultimo pacco: è la carta in mano all’avversario, eppure è il “mio” pacco, ce l’ho davanti a me, mi è stato consegnato dalla Dea Fortuna, dal destino, dal povero nonno buonanima, da Padre Pio, da Rai1. Il risultato di questa messa in scena è che, invece di prestare attenzione al numero di pacchi rossi e blu ancora in gioco, e a cogliere i segnali impliciti nelle offerte dell’avversario, la maggior parte dei concorrenti va semplicemente avanti a testa bassa, come al bingo. L’errore è credere che tu abbia già vinto qualcosa, e che qualcosa sia nel tuo pacco, e che tutto quello che sta in mezzo sia solo un’agonia in attesa di scartare finalmente il tuo pacco. Mentre invece il premio finale dipende semplicemente dalla tua contrattazione col nemico. Di solito i concorrenti se ne rendono conto soltanto verso la fine della partita. E piangono. Quelli che alla fine del match hanno preso di più della prima offerta rifiutata sono veramente pochi.

La cabala
Nel frattempo, piuttosto di piegarsi a un vile compromesso, hanno sciorinato tutte le cabale possibili e immaginabili. L’anniversario di matrimonio. Il numero fortunato. L’oroscopo, la smorfia, i ritardatari. E intanto lo spettatore da casa oscilla tra la pietà e il cinismo. Quest’ultimo scatta di fronte a conclamati casi umani, come quel tizio che si ritrovò all’ultima scelta tra un euro e centomila. È chiaro che qualsiasi animale razionale avrebbe preferito un’offerta intermedia piuttosto che ritrovarsi in questa situazione. Ma il concorrente preferiva giocarsi il compleanno della madre. E perse. Insinna, diabolico, lo congedò con un pistolotto che in sostanza diceva: hai perso i soldi, ma hai salvato l’affetto di tua mamma. Nel frattempo probabilmente mamma sua lo diseredava e malediva.

Mort aux cons (Vaste programme)
Veramente, quando certi fessi piangono, non sai se piangere con loro o ridergli in faccia.
Personalmente ammetto un pregiudizio: per me vincere soldi in un gioco a premi è moralmente ingiusto; e probabilmente c’è anche un po’ d’invidia, perché se non lo trovassi moralmente ingiusto anch’io parteciperei, e siccome conosco l’abc del calcolo delle probabilità, sicuramente porterei a casa qualcosa di più del fesso di turno. Ma insomma, la mia è la vita del pigro razionalista nel paese in cui la religione di Stato è l’oroscopo: un po’ li odio, i miei simili, un po’ vorrei salvarli, ma di fronte a spettacoli del genere mi rendo conto che non ce la farò mai, e allora ripasso all’odio. Se fossi un po’ meno Pigro diventerei semplicemente Cattivo, ed entrerei a far parte in una di quelle entità che distribuiscono i pacchi e si prendono gioco della povera gente superstiziosa. Siccome lavoro nella scuola di Stato, non è detto che io non l’abbia già fatto senza accorgermene.

Il pacco mondiale
Quando mi sono messo a scrivere, volevo usare i pacchi come un pretesto per scrivere degli italiani e di certi loro vizi (irrazionalità, fatalismo, culto del presentatore). Strada facendo mi sono ricordato che Affari Tuoi è un format internazionale, che funziona bene in un sacco di Paesi. Anche se dovunque è un po’ diverso. Per cui un discorso serio sull’italianità dei pacchi dovrebbe passare attraverso uno studio comparato delle versioni nazionali; una cosa che non ho tempo di fare, ma se fossi laureando di Scienze della Comunicazione ci farei un pensiero (non esistono solo le tesi sui blog. Faccina ironica). L’unica cosa che posso dire è che la versione francese è molto più glamour, con flash e lustrini che confrontati al calore del nostro legno e del nostro cartone ondulato danno comunque un’impressione ospedaliera; che in Francia colui che Bonolis battezzò l’“infame” si chiama “banque” ed è persino fuggevolmente inquadrato, ma solo di spalle; tutt’un altro rispetto per le autorità, come si vede; e che almeno l’anno scorso c’era una cassaforte con davanti un figo pazzesco. Non faceva niente, stava lì nell'uniforme di guardia giurata: in confronto la Gregoraci si guadagna il pane. E mi è venuto in mente che Affari Tuoi è l’unico gioco italiano senza vallette. I pacchi italiani non hanno bisogno nemmeno del sesso. Notevole.

Non si patteggia
Mettiamola così: Affari Tuoi è un gioco che insegna ai cittadini del mondo l’importanza di contrattare, di venire a patti col destino. Ciò che rende la versione italiana uno spettacolo struggente, drammatico, irresistibile, è che gli italiani non imparano mai. Sono convinti che ci sia qualcosa di eroico nel rifiutare le offerte e andare avanti. Il pubblico applaude e loro si convincono vieppiù di stringere tra le mani il Pacco Finale, nel quale ci sono Meno Tasse per Tutti, o le Riforme, o le 35 Ore, o la Commissione d’Inchiesta, eccetera eccetera. Vanno verso la rovina tra gli applausi, e si credono anche dei grandi personaggi. Invece sono dei poveri cristi ai quali, se solo avessi più coraggio, dovrei semplicemente ridere in faccia.
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