Magari è stato Marx

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Chi è stato?

Di fronte alle catastrofi naturali gli esseri umani seguono una procedura standard. Dopo lo shock iniziale, si razionalizza. Anche quando di razionale magari non c’è nulla. Ma ci proviamo lo stesso, perché così funziona la nostra testa: causa, effetto. Siamo programmati per chiederci il perché, anche se la domanda non ha risposta e forse nemmeno senso. Questa millenaria interrogazione a vuoto, prima di impattare negli ultimi secoli con il pensiero scientifico, ha creato mostri molto interessanti.

Il concetto di colpa, per esempio: se questo ci succede è perché abbiamo fatto qualcosa di male. Il diluvio, il rogo di Sodoma, il crollo di Babele: tutta gente che se l’era andata a cercare, se leggi bene. Anche il fatto di vivere del frutto del nostro sudore, o di partorire con dolore, sarà colpa di qualche nostro progenitore poco serio. Ecco: abbiamo interiorizzato le categorie di causa ed effetto. Ora si chiamano Colpa e Castigo, e al prossimo terremoto sapremo almeno che le vittime non erano proprio santarelline. L’uomo antico ragionava così.

E non ha mai cambiato idea, perché non si è estinto, l’Uomo Antico: è ancora in mezzo a noi. Dentro di noi. La modernità è una crosta che gli è cresciuta sottopelle, ma il cuore continua ad aver paura del buio e del fulmine. Prontissimo a dare la colpa a qualcuno o qualcosa: anche a sé stesso, in mancanza di meglio. Perché deve essere colpa di qualcuno. L’alternativa sarebbe ammettere che siamo al mondo senza un motivo, alla deriva su continenti malfermi che non sono stati creati per noi e che un giorno ci lasceranno crepare, e questo è molto duro da mandare giù. Trovare quindi un colpevole. Non è difficile, perché ogni catastrofe naturale ha il suo contorno di errori umani. Sono stati rispettati i criteri antisismici? È stato divulgato per tempo l’allarme tsunami? Non è per caso che nei pressi c’era un geniale studioso che aveva anticipato il terremoto ma lo Stato Cattivo e i Media Ufficiali non l’hanno ascoltato? Dai e dai, alla fine si riesce sempre a trovare qualcuno un po’ colpevole. E intanto è un po' passata la paura.

L’altro giorno un telepastore evangelista ha ricordato che c’è un motivo per cui gli haitiani soffrono costantemente di uragani e terremoti: un vecchio patto col diavolo, stipulato due secoli fa durante la guerra coi francesi. Ma se la storia, in questi termini, offende ancora il vostro sottile strato razionale, potete tentare col Giornale di Vittorio Feltri. Ieri infatti Nicola Porro vi proponeva questa interessante teoria: quella di Haiti sarebbe la "Catastrofe dell’anticapitalismo". Porro non arriva ad affermare che il comunismo (o qualsiasi altra teoria anticapitalista) sia in grado di tirare scosse di 7 gradi magnitudo, però… però… probabilmente 7 gradi magnitudo non avrebbero fatto lo stesso effetto in un Paese capitalista:
Eppure quei numeri ci dicono anche che i diversi modelli di sviluppo sociale che gli uomini adottano hanno un peso nel contrastare la forza della natura. Il dramma di una regione in cui l’aspettativa di vita è di 50 anni contro i quasi 80 dei Paesi sviluppati si riflette nelle immagini tragiche del terremoto dell’altro giorno. Un bambino su due (la percentuale è ancora peggiore e si attesta al 57 per cento) muore in fasce; solo metà della popolazione sa scrivere o ha accesso all’acqua potabile: il Paese è tra i più poveri al mondo e tra i meno attrezzati a resistere a qualsiasi calamità. [Ancora una volta grazie a Mazzetta].
Vedete? Tutto risolto, è Colpa degli uomini che hanno adottato il modello di sviluppo sociale sbagliato. Basta dirlo, e passa la paura. Poveri haitiani, sì, però… la prossima volta ci pensino bene, al modello sociale da adottare. Senza bisogno di scomodare patti con Satana, perché noi non siamo fanatici oscurantisti. Noi abbiamo studiato Storia ed economia, quindi si tratta di un più prosaico patto con… Lenin? Fidel Castro? Di che anticapitalismo stiamo parlando, esattamente? L’ultimo regime haitiano è stato sostenuto dagli USA. Anche il penultimo a dire il vero. Quand’è stato esattamente che gli haitiani hanno firmato il loro subdolo patto con Marx?

Mai. Il popolo haitiano, uno dei più sfortunati al mondo e della Storia, non ha mai rinnegato il capitalismo. Potremmo spingerci più in là e affermare addirittura che Haiti nasce col capitalismo, proprio nella sua fase più ruggente e globalizzata: il Commercio Triangolare. Prima Haiti era una costa tropicale, popolata da indigeni che l’economia globale del Seicento estinse rapidamente. Gli haitiani di oggi non sono un popolo autoctono: arrivarono sull’isola come merce, o se preferite forza lavoro a prezzi supervantaggiosi (un terzo moriva nel giro di pochi anni). Nel Settecento Haiti diventa una delle piantagioni meglio organizzate del mondo: un modello per le emergenti potenze coloniali. Poi gli schiavi si ribellano, è vero (ed è una storia appassionante, per chi è curioso); ma non cessano per un istante di essere inseriti nel mercato mondiale, e di creare profitto per le multinazionali dello zucchero e del caffè.

Non è capitalismo questo? Certo che lo è. E non è una versione sciatta o inefficiente del nostro: il capitalismo haitiano è lo stesso nostro capitalismo globale, visto da un’angolazione magari meno favorevole. “Noi occidentali”, scrive Porro, “abbiamo anche la consapevolezza di aver migliorato la nostra condizione, di aver costruito il nostro destino, di aver fatto un passo avanti”. Questo non lo nega nessuno. Il problema è accettare il fatto che questo passo lo abbiamo fatto calpestando qualcuno. Che il nostro benessere è fondato sullo sfruttamento: non credo sia anticapitalista dirlo. Anzi, credo che i capitalisti maturi lo sappiano benissimo (mica perdono tempo col Giornale, loro) e stiano bene così.

Almeno fino alla prossima scossa, alla prossima crepa nella scorza moderna e razionale, al prossimo interrogatorio al cospetto della nostra coscienza di antichi. Coi quali non c'è sismologia né tettonica a placche che tenga: gli Antichi sanno di aver fatto qualcosa di male. E non è poi detto che sbaglino.
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