In viaggio con gli scettici: Ca’ Dario, la casa che uccide (Veneto)
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Gabriele d’Annunzio, nel suo romanzo autobiografico “Il fuoco”, pubblicato nel 1900, la descrive “inclinata come una cortigiana decrepita sotto la pompa dei suoi monili”. Il Vate d’Italia conosceva bene Ca’ Dario. La Casetta Rossa, che il principe Hohenlohe gli aveva messo a disposizione per suoi suoi soggiorni veneziani, sorge sull’altra sponda del Canal Grande e poteva vederla ogni volta che si affacciava dalla finestra. Più o meno dalla stessa prospettiva, la dipinse il pittore francese Claude Monet che sbarcò a Venezia nel 1908 alla ricerca di luci e colori. Il grande impressionista ne prese ispirazione per una celebre serie di quadri, tutti con lo stesso soggetto – la facciata di Ca’ Dario – ma sotto condizioni di luce sempre diverse. E anche a Monet, non sfuggì quella leggera inclinazione verso sinistra della facciata che contribuisce a donare alla Casa che Uccide, come viene chiamata a Venezia, un aspetto inquietante.
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 Il palazzo al civico 353 del sestiere di Dorsoduro con la sua eccentrica bellezza, non mancò di accendere anche la fantasia John Ruskin che nelle “Pietre di Venezia” ne descrisse lungamente e con la dovizia di particolari che contraddistingue la sua scrittura, le ricche decorazioni di marmi policromi che ornano la sua facciata.
Dopo la celeberrima Ca’ D’Oro, Casa Dario, situata a fianco dell’incompiuto palazzo Venier dei Leoni, oggi sede della collezione Guggenheim, quasi all’altezza di piazza San Marco, è senza dubbio alcuno, uno degli edifici più eleganti e spettacolari che si specchiano sul Canal Grande.
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Eppure c’è un “ma”. La casa sarebbe gravata da una antica maledizione che causerebbe a tutti i suoi proprietari e chi vi soggiorna la rovina economica e una morte violenta. Tutto cominciò nel 1479 quando il segretario del Senato e ambasciatore per la Serenissima Repubblica, Giovanni Dario (1414-1494), un ricco mercante di origini dalmate, commissionò un grande palazzo all’architetto Pietro Lombardo come dote per la figlia Marietta, promessa sposa al nobile Vincenzo Barbaro. Quello stesso anno Dario aveva ottenuto il titolo onorifico di Salvatore della Patria per aver negoziato un trattato di pace col sultano turco Mehmet II e l’unione con l’importante famiglia dogata dei Barbaro lo avrebbe reso un punto di riferimento della politica cittadina. Forse per questo l’uomo volle che nella facciata del palazzo comparisse la scritta “genius urbis Joannes Dario”. Frase traducibile come una dedica di Giovanni alla città di Venezia (“genius urbis”).
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I sostenitori della maledizione non hanno perso l’occasione di giocare con gli anagrammi, ricavandone un “Sub ruina insidiosa genero”: genero sotto una insidiosa rovina. Che, con un po’ di fantasia, diventa: porto la rovina a coloro che vivono sotto di me.
Il palazzo fu ultimato nel 1487. Il costruttore e primo proprietario Giovanni Dario non subì la maledizione della casa, considerato che si spense ricco e alla veneranda età di 80 anni. Più sfortunato fu, invece, il genero Vincenzo Barbaro, trovato morto in una calle, accoltellato da ignoti, probabilmente a causa dei debiti. La moglie Marietta morì nel 1505. La leggenda, costruita a posteriori, racconta che si sarebbe suicidata gettandosi nel Canal Grande a causa del tracollo finanziario. Altri commentatori, tutti moderni, parlano genericamente di “crepacuore”. In realtà non ci sono prove che la fine di Marietta avvenuta a 32 anni, sia stata violenta. Il Marin Sanudo nei suoi preziosissimi Diari, testimonia come la famiglia Barbaro non fosse affatto finita in miseria, considerato che riscuotevano ingenti affitti da molte proprietà.
La casa viene ereditata dai tre figli di Marietta: Gasparo (1496-1514), Giacomo (1501-1542) e Giovanni (1502-1582). Giovanni Barbaro porterà avanti la discendenza, ristabilirà le finanze familiari e si spegnerà ad 80 anni. Tocca al fratello Giacomo alimentare la leggenda della maledizione morendo per mano ignota nella lontana isola di Candia, l’odierna Creta. Ma la realtà è meno prosaica. Nel 1650 la Serenissima inviò una truppa di rinforzo alla città di Sittia assediata dai turchi; la spedizione cadde in un’ imboscata e, mentre i cavalleggeri riuscirono a rifugiarsi tra le mure della città, tutti i fanti vennero massacrati. Tra costoro figurava il provveditore Giacomo Barbaro.
Tra il Seicento e la fine del Settecento le generazioni dei Barbaro si susseguirono in Ca’ Dario senza altri incidenti di rilievo. Per risentire parlare di maledizione, bisogna arrivare alla caduta della Serenissima, quando l’ultimo dei Barbaro, Alessandro, vendette il palazzo ad un commerciante armeno di pietre preziose, Arbit Abdoll. Anche in questo caso, la leggenda torna a parlare di bancarotta ma non abbiamo prove certe. In ogni caso, Ca’ Cario non uccise Abdoll e passò di mano in mano senza fare vittime: nel 1838 il palazzo fu venduto ad un celebre studioso inglese di storia italiana, Rawdon Brown (1803-1883) che solo quattro anni dopo l’acquisto, fu costretto a rimetterlo sul mercato, non avendo denaro per la costosissima manutenzione. Fu la volta poi di un nobile ungherese, un ricco mercante irlandese, sino alla contessa Isabelle Gontran de la Baume-Pluvinel che vi ospita per due anni il poeta Henri de Régnier.
La maledizione pare essersi assopita. Per vederla risvegliarsi, dobbiamo attendere il dopoguerra, quando la casa fu acquistata da Charles Briggs, un americano proprietario di miniere in Sudafrica, fuggito dagli Usa per una accusa di omosessualità. Per qualche anno, abiterà a Ca’ Dario con il suo amante, quando nel 1962 la magistratura italiana gli comunica che, pur non essendoci nel nostro Paese leggi contro l’omosessualità, risulta comunque un personaggio non gradito in Italia. Briggs è costretto a rimettere Ca’ Dario sul mercato. Fuggirà in Messico dove il suo amante si suiciderà. Per sei anni Ca’ Dario rimane senza un padrone, quando nel 1968, si fa avanti un altro nobile, anch’egli omosessuale, il conte Filippo Giordano delle Lanze. Ed è proprio il conte delle Lanze, esperto d’arte e antiquario, l’unico proprietario che andrà davvero incontro ad una morte violenta all’interno del palazzo: il 19 luglio del 1970, il conte 46enne viene trovato assassinato con la testa fracassata da un vassoio d’argento. Sarà condannato a 18 anni un giovane amante del conte, il marinaio jugoslavo Raoul Biasich. Mai scontati perché il marinaio è tutt’ora irreperibile.
Dopo la nobiltà, va in scena il rock. Il nuovo proprietario di Ca’ Dario è Kit Lambert, manager del celebre complesso degli Who. La leggenda racconta che anche questo impresario si suicidò dopo un fallimento. Nulla di più falso. Lambert morì il 7 aprile dell’81 per una emorragia cerebrale dopo una caduta dalle scale di casa causata, secondo alcuni giornali, dal troppo alcol. In ogni caso, si trovava a Londra e la sua residenza veneziana l’aveva già venduta tre anni prima. Nel ’78 infatti, la casa era stata acquistata dalla Nuova Bavaria Assicurazioni di proprietà di un discusso uomo d’affari di Mestre, Fabrizio Ferrari, e viene usata come esclusiva location per feste dai vip della finanza e della politica. La magistratura indaga su festini a base di droga e prostitute, ma la Casa non uccide nessuno e tutti godono ancora di ottima salute.
L’ultimo dramma sul palcoscenico di Ca’ Dario va in scena nell’85 quando la casa viene acquistata da Raul Gardini, l’uomo di Enimont, della Montedison e del Moro di Venezia. Otto anni dopo l’acquisto, il finanziere travolto da Mani Pulite, sarà trovato morto. Non a Ca’ Dario, ma nella sua casa milanese, lo storico palazzo Belgioioso, il 23 luglio del 1993. Gli inquirenti avvalorano la tesi del suicidio con un colpo di pistola in testa. Oggi Ca’ Dario è disabitata. La figlia di Gardini, Elisabetta, l’ha venduta nel 2006 ad una società americana che ha commissionato gli attuali restauri. Sulla destinazione finale dell’immobile, non ci sono notizie.
Il timore è che la storica magione dei Dario diventi l’ennesimo albergo. La vera maledizione di Venezia è solo questa.
 
Bibliografia
Libri
  • Fabrizio Falconi; I monumenti esoterici d’Italia, Newton Compton, Roma
  • Gianni Nosenghi; Il grande libro dei misteri di Venezia risolti e irrisolti, Newton Compton, Roma
  • Marcello Brusegan; Storia insolita di Venezia, Newton Compton, Roma
  • Alberto Toso Fei; Leggende veneziane e storie di fantasmi, Elzeviro, Treviso
  • Gabriele D’Annunzio; Il fuoco, Newton Compton, Roma
  • John Ruskin; Le pietre di Venezia, Rizzoli, Milano
  • Marin Sanudo; I diarii 
  • Giulio Lorenzetti; Venezia e il suo estuario, Lint, Trieste
  • Thomas Jonglez e Paola Zoffoli; Venezia insolita e segreta, Thomas Jonglez editore, Venezia
  • Damien Simonis; Venezia, EDT Edizioni, Torino.
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