In questa pagina ho riportato gli ultimi articoli che ho scritto per il quotidiano ambientalista Terra, il settimanale Carta, Manifesto, per siti come Global Project, FrontiereNews o siti di associazioni come In Comune con Bettin e altro ancora.

Serenissima stremata di nuovo sott’acqua. E la tregua è lontana

Com'è triste Venezia. Ieri puntuale è arrivata la «granda» annunciata. Oggi ne è prevista un’altra. La macabra processione dei politici per un selfie

Non è ancora finita. Anche ieri l’acqua è tornata crescere ma si è fermata «solo» a 154 cm sul livello del mare. Lo scirocco ha battuto ancora la laguna ma con minor violenza dei giorni precedenti e le previsioni originarie sono state superate soltanto di 14 cm. Che, per come gira di questi tempi, è come dire «quasi niente». Ma oggi si ricomincia a ballare. Il picco sarà a mezzogiorno: previsti 120 cm. Staremo a vedere.
L’UNICA COSA CERTA È che non è ancora finita. E non si sa neppure quando finirà. Anzi, non si sa ancora se finirà o se l’acqua granda che in questi giorni invade calli e campi è destinata a tornare presto, sull’onda dei cambiamenti climatici, senza incontrare difese da parte di una laguna violentata e scavata sino a farne un braccio di mare aperto per far passare le Grandi Navi o per sistemare nei suoi fondali grandi opere come il Mose, con le sue inutili paratie sommerse già corrose da quello stesso mare da cui dovrebbe difenderci.

E’ UNA CITTÀ FERITA E UMILIATA, la Venezia di questi drammatici giorni. Umiliata e ferita da quegli stessi politici che ci fanno passerella per i tempo di un selfie elettorale e farsi riprendere da Tv e fotografi (ieri dopo Berlusconi è stata la volta di Salvini a infilarsi gli stivaloni), scortati da cordoni di poliziotti, indicano il Mose come un’unica soluzione al problema dimenticandosi che il Mose è il problema, e pongono domande come «Perché l’opera non è stata ultimata?» quando dovrebbero invece dare risposte.

Quello che pensano sta tutto in un volantino anonimo, appiccicato sui muri di mezza città. Sopra la foto del sindaco Luigi Brugnaro e del presidente della Regione Luca Zaia, appare la scritta «Coccodrilli in laguna». Sotto si legge: “Il mare entra ormai direttamente a Venezia perché il millenario equilibrio della laguna è stato sconvolto, prima con l’enorme scavo del canale dei petroli e poi con lo squarcio alle bocche di porto per la posa del Mose. Nonostante questo, Zaia e Brugnaro sostengono l’ipotesi di ulteriori scavi, con l’allargamento del canale Vittorio Emanuele e del canale dei petroli per fare arrivare le grandi navi a Marghera. Eppure questi signori sono continuamente in passerella in Tv a mostrarsi impegnati e preoccupati per le sorti di Venezia».

DOVE SIANO RIUSCITI a trovare una stamperia aperta in città, non me lo immagino proprio. I quadri elettrici sono saltati quasi dappertutto. Negozi e supermercati hanno i banchi frigoriferi chiusi, oltre che gli scafali per lo più vuoti. Il rifornimento di cibo sta diventando un’emergenza soprattutto per gli anziani soli che non possono uscire o allontanarsi troppo in una città invasa dall’acqua. In città è arrivato per il governo anche il ministro dei beni culturali Dario Franceschini: «Ci sono danni enormi e massimo impegno da parte dello Stato”, ha assicurato.

LA SITUAZIONE PIÙ CRITICA la troviamo nelle isole. Quelle dimenticate. Quelle che non sono state oggetto di turistificazione di massa, come la bella Pellestrina. L’isola che è il baluardo di Venezia dagli assalti del mare, con la sua lunga costiera di pesanti «masegni» che fanno diga. Durante la mareggiata che ha coperto completamente l’isola, sono morte due persone: un anziano che tentava di mettere in funzione la pompa e un uomo per cause ancora da accertare.

DA LUNEDÌ I NEGOZI SONO chiusi e la gente campa con quello che aveva in dispensa. Anche i collegamenti con Venezia sono saltati e l’unico sistema per raggiungere la terraferma è passare per Chioggia. Sul profilo Facebook del gruppo dei residenti dell’isola, è apparso, senza parole, il fiocco nero del lutto.

L’ACTV, IL TRASPORTO PUBBLICO di Venezia, ha ripreso a funzionare ma è ancora a mezzo servizio, dopo che l’acqua granda ha affondato o pesantemente danneggiato buona parte della flotta. Le immagini dei vaporetti scaraventati sulle fondamente o incastrati tra le calli, hanno fatto il giro del web. Molte linee sono chiuse, in particolare quelle per le isole, e molti approdi inagibili.

Scuole ancora chiuse senza previsione di apertura. Il che ha comunque consentito a tanti studenti di armarsi di moccio e ramazza, e raccogliere l’appello di Fridays for Future andando ad aiutare chi ha bisogni. Anche questa è una lezione non meno importante di quelle di storia o di matematica.

CON GLI STUDENTI, SONO tanti i veneziani, e tanti anche coloro che, pur non risiedendo in laguna, hanno a cuore la sorte della città più bella del mondo, che si sono rimboccati le maniche per risollevare chi ha bisogno di risollevarsi. I centralini della Caritas, che su invito del patriarca Francesco Moraglia si è messa a disposizione della cittadinanza, sono stati letteralmente ingolfati di offerte di aiuto provenienti da tutte le regioni di Italia. “Servono in particolare elettricisti ed idraulici – spiega la signora Francesca che coordina gli aiuti – ma si sono già offerte parecchie persone. Adesso vediamo di destinarle dove c’è più bisogno”.

LA MENSA POPOLARE della Tana è aperta 24 ore su 24 per offrire un pasto caldo a chi ne ha necessità. Sempre la Caritas, ha messo a disposizione dei posti letto e tre anziane signore con la casa allagata hanno potuto passare al caldo e, soprattutto, all’asciutto, queste tragiche notti di acqua granda.

La «rivolta» del clima in Consiglio regionale

Il consiglio regionale boccia gli emendamenti contro i cambiamenti climatici. Due minuti dopo, l’aula si allaga. Il presidente Luca Zaia e i consiglieri sono costretti ad interrompere la seduta ed a scappare a casa. E’ accaduto a Venezia, nella serata della grande mareggiata. La sede del Consiglio Regionale Veneto si trova a palazzo Ferro Fini, uno splendido edificio che si specchia nel Canal Grande. Ed è proprio dal «canalasso» che l’acqua è improvvisamente entrata nel palazzo, superando le paratie stagne e invadendo l’aula.Non se lo aspettavano i consiglieri che, in fretta e furia, hanno preso armi e bagagli e son battuti in ritirata, lasciando segretari e personale di servizio a mollo. Andrea Zanoni, consigliere del Pd, ha diffuso nei social le immagini dell’alluvione, sottolineando: «Ironia della sorte, l’acqua è arrivata due minuti dopo che la maggioranza Lega, Fratelli d’Italia e Forza Italia aveva bocciato i nostri emendamenti per contrastare i cambiamenti climatici che chiedevano finanziamenti per le fonti rinnovabili e per la sostituzione degli autobus a gasolio». Bocciatura che non stupisce. I consiglieri veneti di maggioranza sono per lo più dei noti negazionisti e i loro profili social sono famosi per le battutacce su Greta e i «gretini», come chiamano i ragazzi di Fridays for Future.

Senza tregua, per oggi previsti 145 centimetri sopra il livello del mare

Venezia. Ma la città non si arrende, con decine di persone che lavorano nella calli per ripulirle


Il giorno dopo la grande alluvione, Venezia si è risvegliata con l’acqua alla gola e un dolore a livello del mare. Tanto per citare una nota canzone di Francesco Guccini. La grande paura non è ancora passata. L’ultimo sms del Centro Maree ha avvisato i residenti che per oggi è atteso un altro picco di marea alle ore 11 e 20. Sono previsti 145 cm sopra il livello del mare. Un allarme rosso secondo che la scala delle maree sta a significare in codice una «alta eccezionale». Si tratta comunque di una marea gestibile con i consueti accorgimenti ai quali i veneziani si sono dovuti assuefare da quando, con lo scavo del canale dei Petroli e gli interramenti di Porto Marghera del dopoguerra, l’equilibrio idrogeologico della laguna è stato alterato per sempre.

Chi abita nei piani più bassi ha piazzato le paratie in acciaio davanti alla porta, nei negozi e nei bar le pompe sono pronte ad entrare in funzione. Le barche legate saldamente alle bricole, ma con il lasco necessario a farle muovere senza strappi e con i parabordi ben piazzati. Nei magazzini, le merci e tutto quello che ha a che fare con l’elettricità alzato nei ripiani superiori.

La protezione civile ha messo in sicurezza quello che si poteva mettere in sicurezza e ha piazzato le passerelle sulle strade principali per consentire alle persone di spostarsi e raggiungere i punti nevralgici della città come piazzale Roma, da dove partono gli autobus per la terraferma, e la stazione dei treni.

Insomma, tutto è pronto per un’altra battaglia. La domanda è: basterà? Sempre il Centro Maree ha avvisato sui suoi canali internet che «sono previsti venti di Scirocco lungo l’Adriatico». Proprio quel vento caldo e umido che soffia da sud est e che in laguna significa «acqua alta» perché spinge la marea dentro le bocche di porto e, cosa ancora più pericolosa, le impedisce di uscire al momento della «dozana», la marea calante. Proprio quel vento che, soffiando a 100 chilometri all’ora, è stato una delle principali cause del disastro di martedì.

L’altra causa, quella ancora più impattante e pericolosa, è sempre la stessa: l’uomo. O il capitalismo, come scriverebbe qualcuno. Fatto sta che queste mareggiate non sono un disastro naturale. Tanto è vero che non si verificavano ai tempi dei dogi, quando attentare all’incolumità della laguna era l’unico reato per cui il consiglio dei Dieci ti poteva condannare a morte. «I canali profondi delle bocche di porto, scavati per far passare le grandi navi e per realizzare il Mose fanno affluire migliaia di metri cubi d’acqua nella laguna consegnando Venezia a una marea di una violenza inaudita», hanno spiegato in una nota le ragazze ed i ragazzi di Fridays for Future che hanno deciso di spostare a Venezia, al laboratorio Morion, la loro assemblea che era programmata in terraferma. Per tutta la mattina, in stivali e tuta da lavoro, armati di badili e di sacchetti delle immondizie, hanno battuto la città, pulendo dove c’era da pulire e aiutando chi aveva bisogno. I social e le chat hanno fatto da mezzo di comunicazione per organizzare il lavoro ed indirizzare gli sforzi verso le scuole più colpite, il conservatorio, i tanti musei, senza dimenticarsi «il kebabaro vicino al liceo Benedetti», come scritto in un WhatsApp che avvertiva: «gli è partito il frigorifero ed ha bisogno di un elettricista».

«Oggi ho visto una città che si è svegliata con la voglia di continuare a vivere e di costruire un percorso comune – ha evidenziato il rettore di San Marco, Amerigo Restucci -. In mezzo a tanta devastazione, c’erano giovani che giravano per le calli per ripulirle. Il libraio vicino all’università aveva già aperto il suo negozio e sistemato in una bancarella i libri un po’ rovinati dall’acqua, con un cartello che diceva che, chi li voleva leggere, se li poteva prendere gratuitamente. Questo evento catastrofico potrebbe essere un’occasione per ritrovare un senso civico che si stava perdendo e per mettere in campo quello che sino ad oggi è mancato alla politica: un vero progetto di salvaguardia diffuso, basato, più che sul cemento e sulle grandi opere, su quegli interventi di bonifica e di riequilibrio idrogeologico che possono davvero contrastare questi fenomeni atmosferici estremi ai quali andremo incontro sempre più frequentemente».

A tutto Mose. Saltano i vertici, arriva la supercommissaria

Com'è triste Venezia. È Elisabetta Spitz, ex direttrice dell’Agenzia del Demanio E Conte annuncia i primi, insufficienti, finanziamenti

Piazza San Marco, dopo la grande mareggiata, è una passerella d’alta moda di politici con la faccia indignata e gli stivali ai piedi. Tutti a sottolineare la vergogna nazionale di un’opera costata miliardi e ancora lontana dal venir realizzata. Tutti. Anche chi, come il presidente della Regione Veneto Luca Zaia, qualche responsabilità sulla mancata realizzazione dell’opera in questione, potrebbe cercarla a casa sua, sin da quando era il delfino di Giancarlo Galan – già presidente della sua Regione, caduto in disgrazia proprio in virtù degli scandali giudiziari connessi con quel sistema di malaffare istituzionalizzato chiamato Mose.

Il piagnisteo ricorrente, come lo ha definito Gianfranco Bettin, è sempre lo stesso: «Se il Mose fosse stato realizzato come avrebbe dovuto – e se non lo è stato è colpa degli altri partiti e non del mio – la mareggiata di lunedì non avrebbe messo in ginocchio la città». Di alternative alla grande opera, di lavori di riequilibrio del sistema idrogeologico o, più banalmente, di interventi di compensazione al Mose, perché non va dimenticato che l’aumento della frequenza e della violenza di queste mareggiate va imputata soprattutto agli scavi dei canali di accesso alla laguna effettuati proprio per sistemare le paratoie dell’opera, nessun accenno.

E COSÌ, ECCO IL SINDACO Luigi Brugnaro, altro accanito sostenitore del Mose, che lamenta ritardi e mancati finanziamenti, scordando di essere uno dei sostenitori più accaniti delle Grandi Navi e del progetto di scavo di una ulteriore autostrada d’acqua in laguna per farle entrare in porto. Quel che ci mancava per compromettere definitivamente l’ecosistema lagunare e trasformare la laguna in un braccio di mare aperto.

Chi non indugia nel piagnisteo, si sbilancia in previsioni tutte da dimostrare e dà il via al solito teatrino delle promesse. Promesse che i veneziani si sentono ripetere da sedici anni. L’opera infatti doveva essere pronta nel 2014 e costare “solo” 3,4 miliardi di euro, contro gli 8 ai quai siamo vicini ora. E senza contare le paurose spese di manutenzione previste.

«Per il Mose siamo nella dirittura finale – ha azzardato il premier Giuseppe Conte – . Siamo al 92 o al 93 per cento dell’opera e, guardando all’interesse pubblico, non c’è che da continuare nel completamento di questo percorso. Il Mose va completato e poi mantenuto». Proprio sulla manutenzione, che si prevede costosissima, e sulla spartizione di quest’ultima «torta» miliardaria si giocherà l’ultima partita del Mose.

LA DATA DELL’INAUGURAZIONE intanto slitta di anno in anno. L’ultimo comunicato del Consorzio Venezia Nuova, parla del 2021. Ma è notizia di quasi un anno fa. Poi, lo scorso 4 novembre, i tecnici han tentato di sollevare una paratoia a mo’ di test e si sono accorti che il giocattolo si era già rotto. L’acqua salata e gli organismi infestanti di cui la laguna è piena avevano corroso tutto il sistema di cardini. Tutto rinviato a data da destinarsi e altri soldi per la voce «manutenzione».

Ma se il gioco degli «imprevedibili problemi tecnici» e dello spostamento continuo della data di inaugurazione risulta credibile in condizioni normali, dopo un disastro come quello di martedì, il banco salta. A farne le spese sono i vertici del Consorzio mandati a casa per fare spazio alla nuova super commissaria che sarà Elisabetta Spitz, già direttore dell’Agenzia del Demanio. Classe ’53, architetta, la Splitz ha alle spalle una lunga carriera nelle strutture burocratiche statali. E’ l’ex moglie di Marco Follini (Udc) ed è stata definita «la regina degli immobili pubblici».

Assieme alla dichiarazione dello stato di calamità, dal governo arriva una promessa di indennizzo per chi è stato danneggiato dall’acqua alta. Giuseppe Conte ha parlato di 20 mila euro agli esercenti e di 5 mila ai privati. Cifre che hanno già fatto storcere il naso a chi, proprietario di una gondola o di un taxi, ha visto sfasciarsi la sua imbarcazione che costa quanto una Ferrari.

I DANNI CHE L’ACQUA «granda» ha causato alla città, più che sulle migliaia, si contano sui milioni di euro. Senza contare quello che nessun conto in banca potrà mai risarcire: la perdita o il danneggiamento di opere d’arte uniche al mondo. Un quadro questo che avremo chiaro solo nei prossimi giorni. Augurandoci che lo Stato trovi perlomeno i mezzi, i finanziamenti e la progettualità per mettere in sicurezza il patrimonio rimasto e far sì che le acque «grandi» a Venezia non arrivino più.

Il procuratore di San Marco: «Siamo gli artefici della nostra cattiva sorte»

Intervista. Parla Arrigo Restucci: «Non c’è nessuna progettualità seria per difendere Venezia dal mare e dagli altri seri pericoli»

Drammatizzando non si risolve nulla. Anzi, si complicano le cose e si impedisce la costruzione di una vera progettualità capace di governare il problema. Arrigo Restucci, già rettore dell’Università di Venezia e Procuratore di San Marco, scomoda Niccolò Machiavelli per spiegare che prevenire è sempre meglio di curare.

«Sul Principe il grande filosofo scriveva che se non si sistema l’alveo dei fiumi, alla prima piena questi inonderanno, se non si puliscono i campi dalle sterpaglie, al primo focolaio di incendio, brucerà tutto. Allora non diciamo che la fortuna ci ha voltato le spalle ma che siamo stati noi gli artefici della nostra cattiva sorte. Per Machiavelli, provvedere a ciò è compito del Principe. Oggi noi diremmo lo Stato, ma il discorso non cambia. Il disastro di oggi a Venezia è stato causato sì da condizioni meteorologiche avverse, ma se le amministrazioni avessero provveduto a pulire i canali per facilitare il deflusso, a difendere gli argini delle rive ed a mettere in atto tutte quelle operazioni di prevenzione necessarie, oggi non ci troveremo in queste condizioni. Queste sono cose che la Serenissima col suo buon governo faceva regolarmente e che oggi non si fanno più».

Alcuni sostengono che lo Stato ha fatto – e speso! – sin troppo per Venezia realizzando il Mose. Che ne pensa?

Il Mose è un progetto nato già vecchio. Ricordo la lungimiranza dell’ex sindaco Massimo Cacciari, che io considero l’ultimo epigone della Serenissima, che aveva bocciato il progetto sostenendo che era inutile, oltre che costoso. Oggi abbiamo visto che aveva ragione. Abbiamo speso 5 miliardi per un’opera sommersa che, quando un mese fa abbiamo provato ad alzare una paratoia, è andata subito in crisi. Con questo denaro, anzi con molto meno, si sarebbe potuto alzare la pavimentazione di piazza San Marco, mettere in sicurezza tutte le rive, risistemare l’ambiente lagunare che ha sempre fatto da polmone a Venezia. Se avessimo investito in questa direzione, oggi non saremmo in queste condizioni.

Il sindaco Luigi Brugnaro e il presidente della Regione Luca Zaia continuano a sostenere il Mose. Anzi, dicono, proprio quanto è avvenuto dimostra che l’opera è necessaria.

Ragionano da politici. Dicono che, visto che è pronta al 99 per cento, tanto vale finirla e poi vediamo. Io qui alzo le braccia. Molti ingegneri affermano che ci sono forti dubbi sulla tenuta e sulla tecnicità dell’opera. Vorrei avere dei dati più certi prima di esprimermi. Ma il vero punto è la prevenzione. Il rischio del Mose è che, una volta in funzione, con gli altissimi costi di manutenzione che avrà, assorba i finanziamenti destinati ad una vero piano di difesa della città. Venezia è una città fragile. Una città sotto gli occhi di tutto il mondo. Eppure non c’è nessuna progettualità seria per difenderla dal mare e dalle altre criticità che la mettono in serio pericolo.

Questa alluvione ha colpito Venezia al cuore. E il cuore di Venezia è nella cripta della Basilica, il punto più basso della città, che è stato completamente sommerso dopo oltre mezzo secolo.

Già. La Basilica ha un suo sistema di pompe ma non è bastato a contenere un assalto così massiccio della marea. Nei prossimi giorni faremo la conta dei danni. Auspico che quanto accaduto si trasformi in un buon punto di partenza per mettere in campo quella indispensabile progettualità di buon governo cui accennavo. Questa acqua alta ci è costata tanto ma dobbiamo tirare fuori la capacità di farne un punto di partenza per un nuovo inizio. La città si sta svegliando. Le calli sono piene di persone che si stanno dando da fare per ritornare a vivere. Il patriarca ha dato l’esempio mettendo a disposizione di chi ha perso la casa tutte le strutture della Caritas. Seguiamo il suo esempio, recuperando una etica civile che sta scomparendo. E seguiamo anche l’esempio del padrone dell’Harry’s Bar che, acqua alta o no, questa mattina si è messo gli stivali e ha aperto il suo bar.

Nella notte da incubo, la città lagunare si scopre a rischio

Com'è triste Venezia. L’allarme del Servizio Maree andato in tilt, paura e sconforto. I cittadini fanno da sé. Luigi Bugnaro e la sua maggioranza sotto accusa per aver smantellato il sistema di allerta precoce


La paura è arrivata alle 10,30 di sera, l’ora in cui avrebbe dovuto cominciare il deflusso e pareva che anche questa ondata di “acqua alta” si fosse conclusa col “solito” disastro di primi piani allagati, magazzini pieni di merci da buttare, tavolini dei bar che se ne vanno a spasso per le calli, qualche barca disormeggiata e catapultata in mezzo ad un campo. Il solito refrain di un normale novembre veneziano ai tempi del Mose, insomma.

A FAR CAPIRE CHE STAVOLTA Venezia non se la sarebbe cavata a buon mercato sono state le sirene che in laguna annunciano l’arrivo dell’alta marea e che, proprio nel momento in cui tutti si aspettavano il deflusso si sono messe ad ululare tra campi e calli come se non volessero più smettere, gelando il cuore dei veneziani. «Un’altro ’66», hanno pensato i più anziani, ricordando la grande mareggiata che aveva messo in ginocchio Venezia, 50 anni prima.


E LA PRIMA COSA DA DIRE è che non se lo aspettava nessuno. Certo, sarebbero stati due, forse tre giorni di alte maree eccezionali. Lo si sapeva. Per due volte, in questi giorni, seguendo il ritmi della luna, l’acqua avrebbe dovuto raggiungere i 140 cm, forse anche 145 cm e portare le solite, nefaste, conseguenze, alle quali però i residenti sono abituati. Il giorno prima inoltre, lunedì, la situazione era andata meglio del previsto e il livello dell’acqua si era fermato dieci centimetri sotto quanto annunciato. I più speravano che la cosa si sarebbe ripetuta anche mercoledì.

NON È STATO COSÌ. L’Ufficio Maree aveva previsto un massimo di 145 cm per la sera ma quel massimo era già stato raggiunto due ore prima. E superato, pure. Il vento forte di scirocco che ululava nei canali e la corrente che aveva trasformato ogni calle in un torrente in piena, dipingevano una Venezia da apocalisse. Chi abitava nei primi piani ha dovuto abbandonare casa, salvando il salvabile. Fondamenta e salizade erano riempite di commercianti che cercavano di portare all’asciutto le loro merci. Le pompe dei magazzini e delle entrate dei condomini lavoravano senza sosta ma, quando l’acqua saliva di un certo livello, anche loro diventavano inutili. Così come le piccole paratoie sistemate davanti agli usci delle case, adatte a fermare solo le altre maree “normali”.

Nei cellulari dei veneziani rimbalzavano gli sms di allarme del Servizio Maree. Uno più preoccupante dell’altro. «Condizioni meteo peggiori di quanto previsto. Prossimo max 155, 160 cm h 23 di oggi 12/11». Un’ora dopo, alle 21,45: «Ulteriore peggioramento meteo. Previsti 170 cm alle ore 23 di oggi. Marea eccezionale, codice rosso». Un’altra ora, un’altra previsione ancora peggiore. «La laguna subisce gli effetti di non previste raffiche di vento da 100 km orari. Il livello potrete raggiungere i 190 cm alle 23,30». Quasi due metri sopra il livello del mare!

MA COME MAI UNA TALE confusione in previsioni così breve termine? L’Ufficio Maree era una delle perle dell’amministrazione del Comune di Venezia. Le sue previsioni sempre puntali e precise. Una delle prime operazioni della nuova giunta fucsia – una giunta né di destra né di sinistra come sottolinea sempre il sindaco Luigi Bugnaro ma che ha nella sua maggioranza Lega e Fratelli d’Italia – è stata quella di smantellare il servizio, privandolo di fondi e pensionando i tecnici che avevano espresso dubbi sul sistema Mose diffondendo statistiche secondo le quali, da quando hanno cominciato a scavare per l’opera, le maree in laguna sono sempre più frequenti. E i risultati del cambio di gestione si sono visti sin da subito.

ALLA FINE, AD AVERE PIETÀ di Venezia è stato il vento. Alle 22,50 lo Scirocco è calato, permettendo all’acqua di defluire verso il mare. Ma il picco raggiunto è stato da record: 187 centimetri. Mai così alta nell’ultimo mezzo secolo. Soltanto in quel famoso 4 novembre del ’66 era stato registrato un livello superiore: 194 centimetri sul livello del mare.

QUESTA MATTINA LA CITTÀ si è risvegliata da una notte quasi insonne contando i danni. Un pensionato di 78 anni dell’isola di Pellestrina è morto fulminato nel tentativo di azionare la pompa di casa, molti battelli e motoscafi delle linee di servizio sono stati devastati. Nel web girano incredibili ma vere immagini di battelli disormeggiati e scaraventati di traverso alle fondamenta. Anche il patrimonio artistico ha subito devastazioni ancora tutte da verificare. La Basilica è stata sommersa. San Marco, d’altra parte, è uno dei punti più bassi di Venezia. Ma anche Ca’ Pesaro e il suo museo, il Teatro La Fenice sono stati invasi dall’acqua del mare.

E POI CI SONO I DANNI SUBITI dai cittadini: case devastate, magazzini sommersi con tutto quello che c’era dentro, negozi chiusi e pieni di merci rovinate, gondole sfasciate incastrare nelle calli, taxi e imbarcazioni rovinate o finite chissà dove. I conti si faranno nei prossimi giorni. Ma si sa che saranno salati come l’acqua che li ha causati. Intanto si lavora per ritornare a vivere, senza stare a sentire il telegiornale che dava notizie del genere: «Acqua alta a Venezia. Disagi per i turisti». I residenti si sono rimboccati le maniche e si sono organizzati in squadre di volontari. Servono soprattutto elettricisti perché l’acqua ha fatto saltare i quadri elettrici di mezza città.

BRUGNARO, IL SINDACO FUCSIA di Venezia, ha chiesto al Governo di dichiarare lo stato di calamità naturale. Si è fatto fotografare con gli stivaloni davanti alla Basilica quando l’acqua era già scesa sotto i livelli di guardia ed ha spiegato che: «Questi sono evidentemente gli effetti dei cambiamenti climatici. Adesso tutti avranno capito che il Mose serve». Quindi se l’è presa con i “finti ambientalisti” che non gli permettono di difendere a colpi di cemento la città.

DICHIARAZIONI CHE HANNO immediatamente sollevato l’indignazione di tanti veneziani. «Parole che sintetizzano l’orrore politico di cui questa città è vittima, la lucida follia e la corruzione morale che il nostro primo cittadino incarna – hanno commentato le ragazze ed i ragazzi del centro sociale Morion in una nota – Il nostro sindaco chiama in causa i cambiamenti climatici per allontanare le responsabilità politiche».

Mose e cambiamenti climatici infatti, non vanno affatto d’accordo. Se l’opera dovesse funzionare in uno scenario realistico di drastico innalzamento del livello del mare, previsto nell’arco di pochi decenni, le paratoie dovrebbero rimanere sollevate per più di sei mesi l’anno, come conferma uno studio della rivista Nature. Il che significherebbe la morte della laguna che dal mare riceve vita, ossigeno e nutrimento.

FA ECO UN COMUNICATO dei No Navi: «Quello che è successo non è una fatalità: l’acqua alta fa da sempre parte della vita della laguna, ma picchi del genere non sono naturali. Questi picchi arrivano se si scavano canali nuovi, cambiando per sempre l’equilibrio lagunare. Arrivano se si tagliano i fondi al Centro Maree, che non è più in grado di garantire un’efficenza totale. E non raccontiamoci bugie: non sarà il Mose, una grande opera devastante, costata miliardi, mai finita, fonte di speculazioni e tangenti, a risolvere la situazione!».

VENEZIA NON È SOLO un sindaco fucsia, il Mose o le grandi navi. È anche le ragazze e i ragazzi di Fridays for Future che, prima di rimboccarsi le maniche per andare ad aiutare chi ne aveva bisogno, sono andati in piazza a farsi una foto dietro un grande striscione che diceva: «La marea sta crescendo, e così anche noi».

La vergogna delle Grandi Navi in laguna entra anche in un fumetto della Bonelli

“Oh! Mamma! Che cosa è quella roba là?” E’ la domanda che Julia, la criminologa protagonista dell’omonimo fumetto edito dalla Bonelli (quella di Tex e Zagor, per intenderci) pone al suo accompagnatore mentre assiste al passaggio di una Grande Nave. L’ultimo albo della serie intitolato “Il mistero di Venezia” l’eroina ideata da Giancarlo Berardi, il papà di Ken Parker, vede l’investigatrice sosia di Audrey Hepburn visitare la città lagunare per risolvere un caso. Passeggiando per Piazza San Marco, Julia assiste al passaggio di uno di quei condomini galleggianti del tutto spropositati per l’ambiente lagunare e non manca di stupirsi. “Ma come è possibile che tutto ciò sia tollerato? I veneziani non dicono nulla?” chiede Julia. La sua guida le spiega che i veneziani protestano parecchio e che organizzano anche partecipate manifestazioni, ma che a comandare rimangono gli interessi delle multinazionali del turismo di massa. I danni alla città, alla salute dei suoi cittadini, non contano per la politica di palazzo. “Ed intanto che si discute, le Grandi Navi distruggono tutto”, conclude amaramente l’eroina della Bonelli.

Ecco alcune delle efficaci tavole tratte dal numero 254 di Julia e disegnate da Federico Antinori.






Il giorno dopo la grande mobilitazione: la rassegna stampa dell'horror

Lo confessiamo. Ieri sera, mentre scrivevamo della più grande manifestazione ambientalista della storia dell’umanità, non vedevamo l’ora che sorgesse il sole di domani per andarci a leggere i titoli di quotidiani come Libero o il Giornale. “Chissà che titolacci riusciranno ad inventarsi” pensavamo. Bisogna dargli atto di una innegabile, pure se un tantino perversa, immaginazione sulle sparate in prima pagina. Tanto di chapeau, come dicono i francesi. Certe cose nemmeno in mille anni noialtri che facciamo giornalismo e non fantascienza riusciremmo ad inventarcele. E così, prima ancora del caffè, siamo andati a spulciare sui siti che riportano le prime pagine dei quotidiani in edicola e abbiamo deciso di fare una bella rassegna stampa degli orrori su carta stampata. Di solito ce n’è da fare invidia a Stephen King e paura a Cthulhu ma stavolta, ammettiamolo, siamo rimasti un pochino delusi. 


Già, delusi. Delusi soprattutto da Libero che ci aveva regalato l’intramontabile “La rompiballe va dal papa”. La manifestazione che ha portato in piazza più di un milione di giovani in Italia e un numero incalcolabile in tutto il mondo, Libero non se l’è neppure cacata. Ci informa invece che, per il Governo, il nemico è il contante. Se intendessero la finanza o il capitale o le multinazionali, ci avrebbero pure ragione. Ma no. Ce l’anno su con gli sconti a chi usa le carte di credito. “Una rapina” secondo loro. La mobilitazione mondiale è relegata ad un box dedicato ai “disagi ovunque” portati dai ragazzi scesi in piazza e ad un botta e risposta tra studenti e automobilisti. “Ci avete rotto i polmoni” vs “ci avete rotto i maroni”. Per fortuna c’è anche un corsivo su bambini “senza sogni” uccisi in India e Nigeria che, secondo i “colleghi” di Libero, dovrebbero essere presi ad esempio. E va beh. Potevano fare di meglio. Applicatevi di più la prossima volta e rimanete sul tema del giorno. Voto: 5. Deludenti e prevedibili. 


Il titolone del Giornale ci gratifica un po’ di più. Perlomeno mette in prima la notizia della manifestazione informandoci che “Anche manifestare rovina l’ambiente”. In primo piano della foto di apertura c’è un cestino straripante di rifiuti. Sullo sfondo tre ragazzi seduti che chiacchierano. Nessun cartello, nessuna bandiera, nessun striscione. Non ci sono indicazioni su quando sia stata scattata la foto (certo non durante la manifestazione). L’ultima volta, il fake lo avevano costruito meglio. Ma allora erano stati aiutati dalla “Bestia” di Salvini che aveva fatto girare immagini taroccate come dio comanda su strade e piazze invase dalla sporcizia colpevolmente abbandonata dagli ipocriti inquinatori “gretini”. Da soli, si sono ridotti a cercare qualche immagine battendo “cestino sporcizia giovani” su Google. No, no. Così non va. Voto: 4. Esame da ripetere. Inventatevi una bufala tutta vostra la prossima volta, se volete alzare il voto. E che cazzo!


Per trovare una bella prima pagina, tocca andare su La Verità. Il quotidiano di Maurizio Belpietro è l’unico che non ci delude e ci rivela gli autentici retroscena della mobilitazione, sia pure solo di quella italiana. E’ stata tutta una manovra del Governo. A che scopo? Ma per le tasse, ovviamente! “Hanno usato migliaia di ragazzi per giustificare le tasse verdi”. Il sottotitolo poi non è neppure del tutto falso: “Il Governo e molti professori hanno spinto gli studenti a scendere in piazza”. Che stia maturando una coscienza verde? Macché! “Obiettivo: spegnere il cervello e accettare qualsiasi fesseria green”. Dai, a questi per incoraggiarli gli diamo 7 meno. Il “meno” perché non possono continuare a infilare la parola “tasse” su ogni apertura di prima. Ci sono che i migranti, i comunisti e gli ebrei, no?


Un’onda verde ha sommerso la Terra

La marea verde cresce e non si arresta. Il terzo sciopero globale, dopo quelli del 15 marzo e del 24 maggio, è riuscito a mobilitare ancora più giovani – e non solo giovani – di quanto fatto nelle due, già eccezionalmente partecipate, manifestazioni precedenti. Le squallide operazioni di sputtanamento lanciate contro Greta e i “gretini” – ragazzini viziati che se ne fregano dei quelli meno fortunati di loro costretti a lavorare -, gli sproloqui pseudo scientifici di chi continua  negare i cambiamenti climatici, i tentativi di distogliere l’attenzione puntando le canne di un fucile sempre carico contro migranti, neri o gli “ebrei” di turno, hanno clamorosamente fallito il loro scopo. Nemmeno le spocchiose  dichiarazioni di forza hanno ottenuto l’effetto sperato. Bolsonaro che ti va a dichiarare, proprio mentre all’Onu si parlava di clima, che “l’Amazzonia è mia e me la gestisce io” è riuscito solo a far incazzare ancora di più le ragazze ed i ragazzi brasiliani che, proprio nel momento in cui scriviamo, sono scesi in piazza a milioni per le strade di Rio e di San Paolo. La protesta ha investito tutta la terra da est a ovest, seguendo il corso del sole e del fuso orario. L’Australia dove ogni giorno sbarcano migranti costretta ad abbandonare isole già finite in fondo al mare, l’Indonesia dai cieli oscurati dai fumi provenienti dalle foreste in fiamme, e ancora l’India, la Turchia dove sono state organizzate “feste tematiche” sul clima perché nel Paese dei Erdogan non si può scioperare. In tutti le città, in tutti i paesi del mondo, i giovani di Fridays For Future si sono mobilitati come e quanto hanno potuto. 
Checché se ne dica, siamo di fronte, per la prima volta nella storia dell’umanità, ad un movimento di dimensione globale, non ideologico, basato su affermazioni scientifiche, che non mira a conquistare Palazzi d’Inverno, e che ha un obiettivo nel suo contesto tanto semplice quanto fondamentale: consegnare agli uomini e alle donne che verranno dopo di noi, un pianeta vivibile. Un obiettivo definitivo, che va conquistato a qualunque costo. Un bene comune imprescindibile che appartiene a tutti coloro che abitano questo pianeta, al di là di diverse religioni, geografie, politiche, specie, generi e culture. E vorrei aggiungere anche “etnie” se non fosse che è una cosa che non esiste perché è un modo edulcorato per dire “razza”.
Siamo di fronte insomma ad un’onda verde che, per prima cosa, è riuscita a superare gli argini di un ambientalismo che, in tanti casi, andava poco al di là di una mistica dichiarazione di amore per la natura. L’onda verde su cui naviga Fridays For Future non è giardinaggio ma rivoluzione. Ne sono consapevoli le milioni di giovani e meno giovani che oggi, venerdì 27 settembre 2019, hanno occupato le piazze del mondo. Lo hanno scritto nei loro cartelli, lo hanno sventolato nelle loro bandiere, lo hanno gridato nei loro slogan. Salvare la terra dalla dittatura dei fossili significa giustizia sociale. Significa diritti civili, significa reddito, casa, scuole, ospedali, città vivibili. Significa democrazia diffusa e partecipata. Significa aprire i porti ai migranti perché solo insieme l’umanità si potrà salvare. I muri, non sono la soluzione agli sconvolgimenti causati dai cambiamenti climatici ma parte del problema. Non fosse altro che per il tremendo costo in emissioni di Co2 che portano con se tutte le politiche di guerra. 
La generazione FfF scesa in piazza oggi è la prima ad essere cresciuta dopo la caduta del muro di Berlino e libera dal peso delle ideologie novecentesche. Con leggerezza e spontaneità, hanno saputo vedere ciò che è davanti agli occhi di tutti: capitalismo e umanità non hanno nessun futuro comune. Ed hanno scelto l’umanità. 

Milioni di partecipanti allo sciopero. Nel mondo, il clima è già cambiato

“A Milano in 100 mila. Cinquantamila a Napoli, trentamila a Roma, ventimila a Torino” titola Repubblica. Un milione di partecipanti in tutta Italia, secondo il Fatto Quotidiano. Altissima partecipazione anche nel Veneto. A Venezia la ragazze ed i ragazzi di Fridays fo Future hanno dato vita ad un coloratissimo corteo, fermatosi per suonare l’allarme della crisi climatica davanti alla sede della Rai, scandendo i nomi delle cento multinazionali colpevoli del 70% delle emissioni di Co2, tra cui spicca l’italianissima Eni. Trento, Padova e Schio ganno fatto da teatro ad altrettanto partecipate manifestazioni, portando in piazza migliaia di studenti. 
Le manifestazioni, al momento in cui scriviamo, non sono ancora finite ma già le notizie che rimbalzano sul web riportano numeri da spavento. A New York, le strade sono state occupate da oltre 250 mila manifestanti. Una risposta chiara al vertice del clima che, proprio nella Grande Mela, si è appena concluso con risultati assolutamente deludenti. Se qualche Paese ha messo in cantiere qualche buona pratica, è chiaro come il sole che proprio i grandi inquinatori – Usa, Cina, Russia, Paesi arabi, in testa – non hanno nessuna intenzione di cambiare rotta. In compenso, si stanno attrezzando per avvantaggiarsi il più possibile dagli sconvolgimenti che si stanno preparando, come lo scioglimento dei ghiacciai artici che renderanno disponibili nuovi giacimenti fossili. Tipo il Trumpche chiede alla Danimarca se gli vende la Groenlandia. Questo per dare la misura di come la battaglia per la terra sia, come scrive Vandana Shiva, più che altro una battaglia contro gli idioti e la loro idiozia. Ma il clima sta già cambiando. Adesso deve cambiare anche la politica.

Deniz, rinchiuso dentro un Cpr, a due settimane di sciopero della fame, ci scrive...

Deniz è stato fermato a Piacenza perché privo di documenti. Da agosto è rinchiuso nel Cpr di Torino. Rinchiuso in una struttura carceraria, senza essere mai stato condannato e senza che nessuno gli abbia mai detto quanto durerà la sue reclusione.
Deniz Pinaroglu è di origine turca, si è dichiarato rifugiato polito, perseguitato dal regime di Erdogan. Dall’1 settembre ha deciso di intraprendere uno sciopero della fame perché considera illegittimo il suo fermo e chiede che venga esaminata la sua richiesta d’asilo.
In questa lettera che è riuscito ad inviare oltre le sbarre del Cpr, ci fa sapere come sta procedendo la sua protesta e quali sono le richieste sue e degli altri migranti rinchiusi.


Il diciannovesimo giorno del mio sciopero della fame, un’amica parlamentare mi ha visitato. Ha detto che stava seguendo il mio caso e stava tentando di accelerare l’iter burocratico. Abbiamo parlato dei problemi di questo posto e le ho inoltrato le mie richieste, che sono le seguenti:

1. Monitoraggio regolare, nel Cpr, da parte degli individui/ong indipendenti e impegnati nel salvaguardare i diritti umani,

2. Nominare professionisti che prendono sul serio il proprio lavoro e portare le cause al tribunale della città per discutere i casi delle persone trattenute nel Cpr, non giudici pensionati,

3. Nell’infermeria, all’interno del Cpr, devono lavorare le persone che rispettano l’etica professionale e le visite effettuate devono essere registrate in un sistema ospedaliero sulla rete senza subire modifiche,

4. Diversificazione dei pasti e migliorare e rispettare le condizioni igieniche con delle ispezioni periodiche,

5. Accelerare il processo burocratico che si svolge qui dentro il Cpr e impedire/evitare che le persone trascorrano i migliori anni della loro vita tra 4 mura,

6. Formazione linguistica e di diverse attività formative per le persone che rimarranno qui a lungo,

7. Chiudere questi e campi simili a lungo termine.

La mia richiesta personale: appena possibile, uscire di qui senza perdere la salute, ricostruire la mia vita.

Ringrazio; La deputata Jessica Costanzo per il suo interessamento e la sensibilità per la situazione,
Al mio caro Murat Cinar, che è stato con me sin dall’inizio del processo ed è stato il mio interprete, ai miei avvocati Federico Milano e Gianluca Vitale
“La famiglia” della nostra famiglia Mika Sims and Zeynep Koçak
Alla cara Ezel Alcu, che ha portato la mia situazione alla stampa italiana, correndo il rischio di perdere il lavoro.
Engin Aslan da cui ho ricevuto informazioni sul mio caso, parliamo al telefono quasi ogni giorno.
I miei angeli custodi a Güleycan Demir, Naciye Demir, Naat Naat, Yeşim Pınaroğlu, Seçil Pınaroğlu, Nazlı Bayram ‘a.
Ai compagni/attivisti della Göçmen Dayanışma Ağı – Migrant Solidarity Network che si sono riuniti per trovare soluzioni ai problemi degli immigrati in solidarietà e lotta,
Al caro Luca De Simoni e #BlackPost, #LinformazioneNero #subianco, che hanno fatto sentire la mia voce in Italia,
Ad Alda e agli amici che compongono #Lasciatecientrare, il cui lavoro e solidarietà sono sempre stati al mio fianco,
Non sono stato in grado di scrivere i nomi di alcuni a causa della loro sicurezza, che erano con me prima e dopo lo sciopero della fame; dalla Grecia verso l’Italia, dalla Polonia alla Turchia, dalla Svizzera dalla Germania, dalla Francia all’Inghilterra per combattere spalla a spalla per superare i confini, i miei compagni che hanno dedicato la loro vita alla lotta contro l’ingiustizia, ai miei cari heval ed a tutti miei amici…

Sto continuando con lo sciopero della fame.

Per la libertà,

Con solidarietà e in lotta …
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