In questa pagina ho riportato gli ultimi articoli che ho scritto per il quotidiano ambientalista Terra, il settimanale Carta, Manifesto, per siti come Global Project, FrontiereNews o siti di associazioni come In Comune con Bettin e altro ancora.

A Katowice è stato un funerale

Cop 24 è conclusa. Adesso sappiamo cosa bisogna fare per evitare ila catastrofe. E sappiamo anche che i Governi non lo faranno. La 24esima conferenza mondiale sul clima è finita come era cominciata. Ed  era cominciata proprio male, con il discorso di apertura del presidente polacco, il nazionalista Andrzei Duda, che augurava buon lavoro ai delegati di quasi 200 Stati presenti, aggiungendo subito dopo che “la Polonia non può rinunciar al carbone”. Non è neppure un caso che Katowice, scelta come sede della conferenza, si trovi proprio nel cuore della regione mineraria più importante della Polonia, la Slesia, che copre oltre l’80 per cento dei suoi bisogni energetici bruciando carbone. 
L’obiettivo di Cop 24 era quello di approvare il cosiddetto “rulebook“, cioè l’agenda per rendere operativo l’accordo di Parigi. Accordo che, ricordiamolo, impegnava i Paesi firmatari ad attuare tutte le misure necessarie a limitare l’aumento della temperatura globale a 2 gradi centigradi rispetto all’epoca pre-industriale ed a contenerlo possibilmente entro il grado e mezzo. Accordo immediatamente criticato dai movimenti ambientalisti di tutto il mondo, in quanto non vincolante e basato tutto sulla “buona volontà” dei vari Governi. Tutto vero. Ma dobbiamo tener presente che, se l’accordo fosse stato vincolante, almeno un quarto dei Paesi firmatari – e, guarda il caso, proprio quelli più inquinanti! – non lo avrebbero sottoscritto col risultato che di politiche volte a ridurre i gas serra non se ne sarebbe più parlato. A Parigi, si è scelta la via diplomatica. Una via che, se non altro, ha tenuto aperte le porte a future negoziazioni ed ha consentito ai movimenti ambientalisti di tutta la terra di attivarsi, agendo localmente su prospettive globali, per chiedere ai Governi dei loro Paesi il rispetto di quegli accordi che loro stessi hanno sottoscritto. 

E l’adozione del “rulebook” inteso come una tabella di marcia con tanto di regole vincolanti e trasparenti per valutazione degli obiettivi è forse l’unico risultato positivo di questa conferenza polacca. Certo, neppure il “rulebook” sarà vincolante, ma renderà più facile stabilire come, dove, quando e perché un Governo ha sforato i limiti di emissioni che si era prefisso con gli accordi parigini. Ma rimante comunque una incolmabile distanza tra le piccole concessioni strappate ai vari Governi, con mezze promesse e impegni tutti da verificare, e la spaventosa urgenza della crisi climatica in cui il pianeta intero è precipitato.  
Gli accordi di Parigi assegnavano alle future Cop il compito di fare il punto sulla situazione climatica del pianeta. Qualche giorno prima dell’apertura dei lavori, l’Ipcc, il “panel” di climatologi dell’Onu impegnato nello studio dei cambiamenti climatici, aveva diffuso un rapporto preoccupante. Dati alla mano, da Parigi in poi, le emissioni di gas climalteranti non soltanto non sono diminuite ma sono addirittura aumentate. La conclusione del rapporto è drastica: abbiamo dodici anni per ridurre le emissioni di almeno il 45 per cento a livello globale altrimenti si apriranno per la nostra Terra degli scenari catastrofici. Senza un’inversione di rotta, raggiungeremo e supereremo già entro il 2030 quel limite che gli accordi di Parigi imponevano di evitare entro la fine del secolo. 
Come dire che, davanti al baratro, l’umanità invece di rallentare o cambiare strada, ha accelerato. Una accelerazione climatica che va di pari passo con l’accelerazione a destra che ha portato partiti nazionalista, populisti e radicalmente ignoranti in posizioni di Governo in molti Paesi del Mondo. Ai tradizionali “fan” delle energie fossili, come Arabia, Russia e Kuwait, si sono aggiunti via via Paesi come l’Australia del liberale Scott Morrison e, new entry, il Brasile di quella sorta di macchietta di generale golpista da repubblica delle Banane che altro non è il neo presidente Jair Bolsonaro. Per non parlare degli Stati Uniti, che con Barack Obama furono i protagonisti in positivo della Cop di Parigi ed ora con Donald Trump alla Casa Bianca hanno già annunciato di volersi sfilare dagli accordi di Parigi non appena i tempi della burocrazia internazionale renderà praticabile questa opzione. Trump, d’altra parte, ha più volte twittato che gli scienziati possono dire quello che vogliono ma lui, ai cambiamenti climatici, non ci crede e, riferendosi agli aiuti economici ai Paesi più poveri perché abbassino le emissioni, che non capisce perché mai “i contribuenti e i lavoratori americani devono pagare per ripulire l’inquinamento degli altri paesi”. Il bello di Trump è che è sinceramente convinto che gli Usa non si trovino sul pianeta Terra!
Una marcia indietro, questa degli Stati Uniti, che ha avuto l’effetto di rallentare la conversione verso energie più pulite di Paesi come la Cina (responsabile del 27% delle emissioni globali), dell’India(7%) e pressoché di tutti gli Stati africani. Paesi disposti a cambiare politica energetica ma soltanto nel caso che questa si dimostrasse più conveniente dal punto di vista economico rispetto all’utilizzo del fossile. 
Il che ci porta al nocciolo della questione: quali e quanti incentivi assegnare ai cosiddetti “Paesi in via di sviluppo” affinché optino per una scelta energetica sostenibile? Una questione fondamentale che i delegati dei Paesi del mondo riuniti a Katowice hanno semplicemente evitato di affrontare, rimandando tutto alla prossima Cop che si svolgerà in Inghilterra. Perché la proposta di farla in Italia lanciata dal nostro ministro per l’Ambiente, Sergio Costa, è stata valutata dalla comunità internazionale credibile esattamente come il nostro Governo. Cioè, zero. 
Con una posta in gioco che è il futuro di tutto il pianeta, i delegati dei vari Governi sono andati a Katowice per litigare sugli spiccioli. Eppure “affrontare il cambiamento climatico farebbe risparmiare almeno un milione di vite all’anno” si legge in una relazione dell’Oms , l’Organizzazione Mondiale della Sanità. I benefici economici di un miglioramento della salute, sottolinea, statistiche alla mano, un articolo di ValigiaBlu, sono più del doppio dei costi di riduzione delle emissioni. “Al momento facciamo finta che i combustibili fossili siano combustibili a buon mercato, solo perché non ne includiamo il costo per la nostra salute e per l’economia” ha dichiarato Diarmid Campbell Lendrum, dell’Oms. “Non si tratta solo di salvare il pianeta in un ipotetico futuro, si tratta di proteggere la salute delle persone in questo momento”.
Per trovare dei politici capaci di guardare oltre i 4 o 5 anni del loro prossimo mandato, bisogna andare alle isole Marshall o alle Maldive. In quei Paesi insomma, che non sono imprigionati in politiche estrattiviste ma che, come colmo dell’ingiustizia, saranno i primi a pagare le spese dell’innalzamento del livello del mari. “Noi saremo i primi a soffrire le conseguenze dei cambiamento climatici – ha spiegato ai delegati la presidente delle isole Marshall, Hilda Heine, – Il mio Paese rischia l’estinzione. Entro il 2050 dovremo abbandonare centinaia di isole. Dove andremo?”
Tra i Paesi convertitisi ad una destra ostinatamente negazionista ci possiamo mettere anche l’Italia. Il siparietto del nostro sopracitato ministro a 5 Stelle in quel di Katowice, che ha proposto di far fare la prossima Cop anche ai bambini – “Loro parlano e noi adulti ascoltiamo. Abbiamo tanti da imparare dai bambini” ha dichiarato – è stato semplicemente pietoso. Ma si sa che i cambiamenti climatici sono rimasti fuori dal contratto del Governo del Cambiamento, proprio come gli incentivi al green sono stati esclusi dalla Finanziaria degli Italiani. Ricordiamo solo per amor di cronaca anche lo sproloquio del capo di gabinetto del ministero per la Famiglia, Cristiano Ceresani, per cui la colpa dei cambianti climatici sarebbe tutta del diavolo e dei peccatori, e chiudiamo qua il “contributo” del nostro Governo lega stellato alla questione del Climate Change. 
Chi ha capito invece, che i cambiamenti climatici sono una cosa seria è la finanza. Un articolo del Sole 24 Ore ha spiegato nei dettagli come ci si possa fare i soldi grazie al clima, investendo in operazioni finanziarie volte a “impadronirsi anzitutto di diritti d’accesso a falde acquifere sotterranee, sempre più scarse e preziose”. In particolare “nelle zone tra le più inaridite dall’effetto serra“, magari approfittando di situazioni contingenti come lo scioglimento delle nevi dei ghiacciai che liberano risorse idriche, proprio come è avvento in Nevada, con grande gioia degli investitori che hanno triplicato i loro soldi in due anni appena. 
A dettar legge, insomma, continua ad essere l’economia. Non la scienza e nemmeno la politica. In questo modo, i cambiamenti climatici sono stati utilizzati come utile ed emblematico strumento da rapina da un capitalismo che continua a crescere ed alimentarsi sfruttando gli ultimi sussulti di vita di un pianeta condannato. 
In mani rapaci, il clima è diventato un’arma da guerra puntata contro i Paesi meno industrializzati, prima per depredarli delle loro ricchezze fossili – le stesse che hanno causato i cambiamenti climatici – utilizzando Governi fantocci e terrorismi religiosi, e poi trasformando la loro ultima risorsa, la migrazione, in una merce da appaltare dove genera più profitto: le organizzazioni criminali, governative o meno. 
Il clima è entrato in borsa come un titolo in perenne rialzo. Al di là delle dichiarazioni di intenti, anche i Paesi europei che più si professano a favore di una svolta green, l’ottica di fondo rimane sempre quella capitalista. E’ il caso della Francia di Emmanuel Macron che aumenta le tasse sul carburante senza però impostare una politica di alternativa al trasporto privato, col solo risultato di scaricare i costi del disinquinamento sulle categorie meno abbienti.  
Oppure la proposta del nuovo padrone dell’Ilva, il miliardario indiano Adiya Mittal, che ha chiesto all’Europa l’istituzione di dazi verdi sull’acciaio prodotto da Paesi come gli Stati Uniti, le cui industrie non sono soggette al vincolo comunitario che le obbliga a ridurre del 43 per cento le emissioni di gas serra. Va de sé che questi dazi, anche a volerli definire “verdi”,  non andrebbero ad intaccare la quantità di Co2 sparata complessivamente nel pianeta Terra dall’inquinantissima industria siderurgica, quanto piuttosto a determinare “dove” questo acciaio viene prodotto. 
Ridurre i consumi, utilizzare materiale meno impattanti, riciclare e riutilizzare quanto è possibile, cambiare l’economia e non il clima, insomma, sono concetti ancora lontani dalla sfera di comprensione e di azione dei Governi. Soprattutto di quei Governi che potremmo definire neo nazionalisti ai quali i cambiamenti climatici fanno tutto sommato comodo perché possono cavalcare le tante crisi sociali che questi portano con sé – migrazioni, impoverimento, criminalità, svendita dei beni comuni… – per imporre militarizzazioni e autoritarismi. 
Tutto questo è passato sopra Katowice senza che i delegati dell’Onu riuscissero o volessero affrontarlo. Il rapporto dell’Ipcc indicava la luna e non hanno saputo o potuto far altro che guardare il dito. Sappiamo cosa bisogna fare ma sappiamo anche che i Governi non lo faranno. Sappiamo anche che non ci sono alternative e che solo una rivoluzione ci salverà. Quello che è andato in scena a Katowice è stato un funerale. Che sia quello della Terra o quello del capitalismo lo dovremo decidere noi. 
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